A TAVOLA I MIGLIORI `AFFARI` - Comune di Rimini

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A TAVOLA I MIGLIORI `AFFARI` - Comune di Rimini
COLLAZIONE DI NOTIZIE ARCHEOLOGICHE TRAMANDATE, SU
ENTRAMBE LE COSTE DELL’ADRIATICO, DA MEMORIALI A STAMPA
DI VIAGGIATORI DEI SECC. XVI-XIX (CON PARTICOLARE
RIFERIMENTO AL MEDIO-ADRIATICO);
PREFAZIONE
Sembra di vedere un campo di battaglia in cui il tempo ha combattuto contro il
genio, e quelle membra mutilate attestano la sua vittoria e le nostre perdite
(Corinne ou L’Italie, Madame De Staël)
L’archeologia è un caleidoscopio, un amalgama di immagini che si
integrano e si elidono a vicenda, giorno dopo giorno. Quasi un miraggio appaiono,
dunque, quei mondi costellati di siti, musei, epigrafi, che emergono dalle pagine
dei diari dei viaggiatori stranieri calati in Italia e in Dalmazia. La maggior parte
dei quali sembra, infatti, percorrere questi luoghi con la testa piena di Lucano e
Teocrito. Oltre a saper raccontare con piglio brioso e coinvolgente la storia dei
rispettivi viaggi, navigando con maestria in un mare di schemi classici, ma anche
di originali spunti di ricerca. Archeologia, insomma, come onda planetaria, come
onnipresente flusso di energia. Segno di una volontà di comprensione più
profonda e di una comune attenzione alla storia del passato che a ogni latitudine
influenza la vita presente e le condizioni culturali di individui e comunità.
L’archeologia diviene così strumento privilegiato per fare affiorare ciò che è
nascosto, per portare in luce le stratificaizioni, il rimosso che ossessiona la
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coscienza collettiva, mescolando gli stimoli visivi alla ricchezza evocativa del
racconto del viaggio e della memoria. Ma la realtà muta, evidentemente, a
seconda del punto di vista, e questo è tanto più vero quanto più intensa e originale
è la preparazione culturale dei viaggiatori, il cui profilo appare assolutamente
fondamentale per chi tenti l’operazione di collazionare le notizie archeologiche
che fanno capolino dai diari e dalle relazioni di viaggio.
Non si confondono con questo genere di letteratura odeporica, i diari e le
relazioni di viaggio degli intellettuali più noti.
Stendhal, ad esempio, non appartiene alla schiera dei “voyageurs
descriptifs”, pertanto il suo bellissimo viaggio in Italia non figura tra le pagine di
questo lavoro che si avvale più di relazioni spesso sconosciute che di quelle dei
viaggiatori a tutti noti. Perché i diari di viaggio di Sthendhal, Goehte, Sterne –
solo per citare qualche nome altisonante – non sono, né vogliono essere in alcun
modo, guide dettagliate del patrimonio archeologico del nostro Paese. Molti, a
questo proposito, sono gli autori che si compiacciono di non avere scritto guide
alla maniera di altri “commessi viaggiatori che corrono per l’Italia a contare
colonne” (così scrive Sthendal).
E tuttavia nell’ambito della presente ricerca le relazioni dei viaggiatori
descrittivi hanno lo stesso peso specifico di quelle più conosciute; restituiscono
infatti la fotografia di una Italia felix e di un passato che ci dà la misura del
cambiamento. Frantumando la visione distorta dell’archeologia come apoteosi
dell’inaccessibile e ostaggio degli specialisti. In questo febbrile lavoro di voler
riportare nel dettaglio i monumenti visti durante il viaggio, traspare, infatti,
l’entusiasmo della scoperta, la sensazione di aver trovato il mezzo di conservare e
comunicare un patrimonio.
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Il bel Paese, vivisezionato dalla penna dei viaggiatori, vanta, dunque, un
prezioso archivio per ripercorrere a ritroso la storia del proprio passato. E’
affidato, pertanto, a questi intellettuali ‘nomadi’ il compito di descrivere e
illustrare le antiche vestigia delle città oggetto della ricerca.
Volendo restringere la sfera di nostro interesse e limitarla all’indagine
archeologica delle relazioni di viaggio che si riferiscono alle città bagnate dal
medio Adriatico, proponiamo qui di seguito alcuni passi significativi allo
svolgimento della ricerca. (Va da sé che nel presente lavoro vengono prese in
considerazione soltanto le città adriatiche menzionate sulla base di notizie
rilevanti dal punto di vista archeologico. Pertanto non verranno citate le città
adriatiche verso le quali l’interesse del viaggiatore si mostra altro rispetto alla
sfera dell’archeologia. Mancheranno, dunque, spesso all’appello Venezia, Ferrara
e talvolta anche Ravenna dove - in quest’ultima città - le notizie riportate nei diari
di viaggio sfuggono non tanto dal contesto archeologico quanto piuttosto all’arco
cronologico di questa ricerca. La quale si ferma ai primi secoli dell’Impero
Romano d’Occidente).
Sembra doveroso aggiungere che anche i viaggiatori più celebri si sono occupati,
talvolta, di descrivere nel dettaglio i monumenti archeologici del nostro Paese. E’
il caso di Lessing nel suo “Viaggio in Italia”: e tuttavia il nostro autore non fa
sosta né ad Ancona, né a Rimini, né a Ravenna. Si ferma, infatti, solo a Loreto.
Parimenti, nemmeno le “Lettere italiane” di Winckelmann fanno menzione dei
luoghi cui questo lavoro è dedicato.
Infine, se per l’Italia, terra prediletta dai viaggiatori del Grand Tour,
disponiamo delle guide illustri di notissimi intellettuali, per la Dalmazia ci
avvaliamo talvolta dei quaderni di viaggio di perfetti carneadi. Tali diari e
annotazioni sono ulteriormente ridotti in considerazione del fatto che la Dalmazia
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era terra nota, conosciuta in tutti i suoi aspetti. Superfluo, dunque, era ritenuto
soffermarsi sulla sua descrizione, la quale “non destava meraviglia”.
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RELAZIONI DI VIAGGIO
Viaggiare, come raccontare – come vivere – è tralasciare. Un mero caso porta a
una riva e perde un’altra […]
(Microcosmi – Claudio Magris)
NOME DELL’AUTORE: FLAVIO BIONDO (1392-1463)
NOME DELL’OPERA: ITALIA ILLUSTRATA
Flavio Biondo (in latino Flavius Blondus) è stato uno storico ed umanista
del Rinascimento italiano. Fu il primo a coniare il termine Medio Evo e uno dei
primi ad occuparsi degli studi antiquari, precursori dell’archeologia. Biondo
pubblicò tre guide documentate e sistematiche alle rovine dell’antica Roma, che
gli diedero la fama di essere il primo degli archeologi. Ai sui tempi si era in gran
parte persa a Roma la memoria dell’identità degli antichi edifici di cui ancora
emergevano le rovine. Quando nel 1430 Poggio Bracciolini scalò il Campidoglio
vide intorno soltanto distese di campi abbandonati: il Foro Romano era abitato dai
maiali e cresceva liberamente la vegetazione. Flavio Biondo e i suoi colleghi
umanisti, come Leon Battista Alberti, cominciarono a occuparsi dell’architettura,
della topografia e della storia di Roma antica, sia documentandosi sulle fonti degli
autori classici, sia esplorandone ed esaminando i resti antichi. Il primo lavoro di
Biondo, pubblicato in tre volumi tra il 1444 e il 1446, fu il De Roma instaurata
("Roma restaurata"), una ricostruzione della topografia romana antica basata sui
resti allora visibili, che fornisce anche una lista di chiese e cappelle. Nel 1459
pubblicò quindi il popolare De Roma triumphante ("I trionfi di Roma"), che narra
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la storia della Roma pagana come modello per le attività di governo e militari
contemporanee. Il libro ebbe il merito di risvegliare il patriottismo e il rispetto per
la Roma antica, della quale il papato si proponeva in veste di erede e continuatore.
I più importanti lavori di Biondo in campo storico furono l'"Italia illustrata",
scritto tra il 1448 e il 1458 e pubblicato nel 1474, e l'Historiarum ab inclinatione
Romanorum imperii decades ("Le decadi storiche dal declino dell'impero
romano"), scritto tra il 1439 e il 1453 e pubblicato nel 1483. L'"Italia illustrata" è
un libro di geografia, basata sui viaggi personali dell'autore, e di storia delle allora
diciotto provincie italiane. La storia inizia con la Repubblica Romana e l'Impero
Romano, attraversa 400 anni di invasioni barbariche e propone un'analisi di
Carlomagno e degli imperatori del Sacro Romano Impero successivi. La maggiore
opera di Biondo fu l'Historiarum, in ben 32 libri, una storia dell'Europa dalla
prima presa di Roma nel 410 all'epoca dell'autore, nel 1442. L'opera utilizza solo
fonti primarie e accertate e introduce il concetto di Medio Evo, che copre l'intero
periodo dalla caduta dell'impero romano fino ai tempi dell'autore.
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NOME DELL’AUTORE: LEANDRO ALBERTI
NOME DELL’OPERA: DESCRITTIONE DI TUTTA ITALIA
Leandro Alberti (1497-1553), frate domenicano e bolognese, umanista,
geografo, storico, inquisitore, conoscitore dell’Italia, esperto dell’Emilia
Romagna, fu per questi suoi attributi destinato a incrociare molti percorsi
intellettuali e religiosi di uomini e donne del suo tempo. Uscito nel gennaio del
1550 il suo libro “Descrittione di tutta Italia” fu un bestseller del Cinquecento,
l’opera in cui Alberti ha coagulato la sua conoscenza teorica ed empirica della
nostra penisola. In essa si sommano gli spunti offerti da “L’Italia illustrata”, testo
scritto da Flavio Biondo da Forlì nel 1453, e le esperienze personali di un viaggio
durato due anni e spintosi fino alla Puglia e alla Sicilia. “La Descrittio – è
l’incunabolo dell’immagine dell’Italia. Alberti, infatti, pur non pensando a
un’identità politica, guardò alla penisola come al contenitore di un’unica cultura e
fece dei suoi scritti il punto di riferimento per tutti gli intellettuali europei
successivamente interessati al nostro paese, alla sua storia, alle sue vicende
politiche e alla sua geografia”.
ANCONA
Anticamente sopra la sommità di questo monte d’Ancona, vi era il Tempio
di Venere (come dimostra Giuvenale, narrando che fosse dato il Robo pigliato
avanti il Tempio di Venere così Ante domum Veneris, quam Dorica sustinet
Ancon.) hora abitano sopra questo monte alquanti romiti, che vi hanno fatto un
Monastero con molte grotte, e capannuzze in qua, et in là per esso, ragunandosi
però a certi tempi alla chiesa di detto Monastero. Sotto detto promontorio, da quel
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lato, onde si piega quello nel mar si vede posta l’antica città d’Ancona così detta
dalla curvità, e piegatura del lito ove ella è edificata; imperò che in Greco Ancon,
in Latino significa gobito: concio sta cosa che quivi si piega Italia nel mare
Adriatico a somiglianza di un gobito (come dice Pli. et Pomp.Mela) Era posta
anticamente questa città si come termine tra’Galli, e gli Italiani, poiché come dice
Mela terminava quivi Italia, et cominciavano i Galli Senoni, et parimente la Gallia
Togata. Fu edificata Ancona (secodo Catone) da gli Aborigeni, e da loro
dimandata in lingua Hetrusca Picena: Ma secondo Strab. fu fabbricata da i
Siracusani, che quivi passarono fuggendo la tirannia di Dionisio, come dice
etiandio Plinio, e Solino. Vero è, che par voler Giuvenale che quella avesse
principio da i Dorici Greci, quando dice. Ante domum Veneris, quam Dorica
sustinet Ancon.
Io credo che così si potrebbero concordare questi autori, cioè che la fosse
principiata da i Greci Dorici, e poscia da i Siracusani, o siano Siciliani aggrandita.
Et pur quando alcuno ostinatamente volesse tenere che’l Poeta dica della prima
edificatione se li potrebbe rispondere che fossero molte Colonie de i Dorici in
Sicilia, e che questa città avesse avuto principio da i Siciliani, già Colonia de i
detti Dorici. La onde poi fu detta essere stata fabbricata da i prefati Dorici. Si
potrebbe altresì dire, essere stato fondato il porto da i Dorici (come par’accennare
Giuvenale,) et la città da i Siciliani. Sono altri che dicono ch’ella fosse edificata
da i Dolopi di Tessaglia, come scrive Papia, e Carino historico: e altri da Anco
Martio Re de’ Rom. Secondo che ho letto in una cronica molto antica senza nome
di autore. Et perché non vedo in queste opinioni fermi fondamenti, tanta fede vi
do quanta ne meritano. Par’a me, che ci dovemo appoggiare a quelle opinioni,
nelle quali convengono gli autentici scrittori, si come Strabone, Plinio, e Solino, e
non tanto di questo luogo, ma etiandio de gli altri, più tosto, che a quelle, che sono
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scritte senza nome di autore, e senza vero fondamento. E’ posta Ancona sotto il
Promontorio sopra nominato, ove si vede il bello, e sicuro Porto, che risguarda al
Settentrione (come etiandio scrive Strabone) Et è molto ben disposto ad entrarvi
dentro, e altresì per conservare sicuramente le navi. Il qual ristorato da Traiano
Imperatore di belle pietre di marmo, e con gli scaglioni da scendere all’acqua, e
salire di sopra per portare le robbe alle navi, e da quelle etiandio portarle di sopra
ornandolo di un superbo Arco trionfale fatto con gran’artificio, e grande spesa,
ove vi fece intagliare l’infrascritta inscrittione con misurate lettere. Imp.Caes.divi
Nervae.F.Nervae
Traiano
optumo
Augu.Germanic.Datico
Pot.Max.Tr.Pot.XIX.Imp.XI.Cos.VII.P.P. Providentissimo Princi. S.P.Q.R. Quod
Adcessum Italiae Hoc Etiam Addito ex Pecunia sua Portum Tutiorem
Navigantibus Reddiderit. Dal lato destro di detto Arco così è scritto. Plotinae
Augu.Coniugi.Aug.Et dal sinistro. Divae Marcianae Aug.Sorori Aug. Egli è
questo eccellete porto tato dal naturale sito, quando dall’arte talmente disposto,
che si può annoverare fra i primi porti del mondo tanto in grandezza quanto in
agevolezza, e sicurezza. Et per tanto al volgo si dice. Unus Petrus in Roma, una
Turris in Cremona, e unus portus in Ancona. Vero è, che per negligenza de gli
Anconetani egli è hora atterrato in alcuni luoghi, con gran loro vergogna. […]
FANO
Lungo poi il lito del mare caminando tre miglia appare la città di Fano,
Fanum nominato da Strabone, Plinio, Tolomeo, Antonino, Procopio, Agathio, e
da Cornelio Tacito nel 10 libro dell’historie, nominandolo Fanum fortunae, […]
Quivi si vede un sontuoso Arco Trionfale di marmo, molto artificiosamente
lavorato alto trenta gobiti (come si può giudicar,) essendogli accresciuta la terra
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intorno, et largo venti, la cui sommità fu rovinata, che era con gran magisterio
fatta, Pur’ in parte si può considerare la disposizione di esso, e tanto più quanto si
può cavare da una effige di quello scolpita nel sasso ivi vicina da i Fanesi a
perpetua memoria. Essi in detto Arco così scritto di belle lettere cubitali. Divo
Augusto Pio Constantino Patri Domino.Q.Imp.Caesar Divi.F.Augusts.Pontifex
Max.Cos.xiij.tribunae potest.xxxij.Imp.Pater patriae murum dedit. Poscia così gli
è sotto posto.Curante L.Turcio Secundo Aproniani Praef.Urb.Fil.Asterio, V.C.
Corr.Flam e Piceni. Sotto quella figura di detto Arco intagliata nel sasso, che
dimostra la grandezza dell’artificio di esso, sono intagliate queste lettere. Effigies
Arcus ab Augusto erecti, postea tormentis ex parte dirupti bello Pauli, contra
Fanenses. M. C C C C L X I I I. Fu roinata questa città da Totila Re de’Gotti si
come Pesaro, e poi ristorata da Belisario, come dimostra Biondo nell’historie. Ella
è assai onorevole città, e ha buono, e fertile territorio, del quale dice Niccolò
Perotto nel Cornucopia, essere amenissimo sopra gli altri delle città d’Italia, tanto
per il sito, quanto per l’ingegno de gli uomini […]
RIMINI
Furono alcuni che dissero che fosse fabricata questa città da Ottaviano, e
certamente dimostrano questi tali non haver veduto Livio nel luogo disopra citato,
ove dinota che la fosse dedutta Colonia, avanti che Ottaviano vedesse il sole oltra
di 200 anni: Con ciò fosse cosa che fu dedutta colonia essa città avanti
l’avenimento di Cristo da 282 anni (come è detto.) Ancor questi tali non hano
letto Livio, il quale in più luoghi fa onorevole memoria di Rimini, e
massimamente nel 27. lib. annoverandola fra quelle 18 colonie, che dierono aiuto
a i Romani, essendo afflitti, et molto travagliati da Annibale, dandogli danari, et
etiandio soldati. Et parimente non l’hanno veduto nel 31. lib. e altrove. Ben’è
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vero, che Ottaviano la ornò di sontuosi edifici, e tra gli altri, vi fece il superbo
ponte, che infino ad oggi in piedi si vede sopra il fiume Rimine, di cui poi
scriverò, e parimente fece l’Arco. Ne parla etiandio altrove Livio di detta città, si
come nel 21. lib. e nel 109. e Cesare ne’ suoi Commentari, e anche Lucano […]
Veggonsi in essa assai sontuosi edifici, de i quali è quell’artificioso Arco fatto da
Ottaviano alla porta, che mira all’Oriente verso Pesaro, ove sono quelle lettere
intagliate, che così dicono.Cos.Septimio designat.Octavo.M.V.celeberrimeis
Italiae vieis consilio Senat.Pop. Così ho ritrovato scritto. Ma così giace.
Cos.Sept.Designat.Octavu.V.Celeberrimeis
Italiae
vieis
cosilio.Senatus
Pop.Ta.C.S.Vs.Nileis. Poi in un altro così si ritrova scritto.imp.Caesar divi
Iul.Fi.Augustus Pont.Max.Cos.XIII.Trib.Pont.XXVII.P.P. Murum Dedit curante.
L.Turno secundo Aproniani praef.Urbis.FiActeio.V.C.Corect.Plam.e Piceni.
Vedesi altresì una parte del Teatro di mattoni cotti, che risguarda alla marina,
qual’era quivi anticamente. Si leggono assai epitaffi, onde si dinota l’antichità di
essa. Veggonsi anche alcuni sontuosi palagi edificati p magior parte dalla nobile,
et illustre famiglia dei Malatesti […]Uscendo fuori di Rimini dall’Occidente
vedesi il superbo ponte fatto da Ottaviano sopra il fiume Marecchia, che
congiunge la via Flaminia insieme con l’Emilia, e parimente la città col Borgo.
Questo è un de’ quattro ponti fatti da Augusto nella via Flaminia con granda
spesa. E non meno artificio, oltra la moltitudine de gli altri ponti che fece fare in
detta via, ch’era per maggior parte silicata di selci, e fatta di buon bitume (come
anche in più luoghi di essa si vede) che trascorreva infino a Roma. Erano detti
quattro ponti, il primo questo di Rimini (di cui più in giù parlerò) l’altro era presso
Narnia sopra il fiume Negra, come nell’Umbria dimostrai. Il terzo si vedea sotto
Otricolo (che congiungeva amendue le rive del Tevere.) Il quarto hora si vede
sopra il Tevere nell’entrar de i borghi di Roma, da gli antichi detto pons Milvius,
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ma oggidì ponte Mole. Questo ponte di Rimini è tutto di pietre di marmo ben
quadrate, e ha cinque Arconi con le belle sponde sopra, da ogni lato. Egli è in
larghezza piedi 15 e in lunghezza 200. In una delle sponde così è scritto,
Imp.Caesar Divi.F.Augustus Pontifex Max. Cos. XIIII. Imp. XX. Tribunitiae
potestat. XXXVII.P.P. Et nell’altra parte.Tib.Caesar Divi Augusti F.Divi Iuli. N.
Augusti Pont.Max.Cos.IIII.Imp.VIII.Trib.potest.XVII.dedere.Vedesi poi il Borgo.
Quivi cominciava la via Emilia […]
RUBICONE
Passando più avanti si giunge al piccolo fiume Pissatello, tanto da gli antichi
nominato Rubicone, come da Strab. Livio, Plut.Plinio, Cesare ne’ commentari,
Lucano, Silio Italico e da molti altri scrittori. Et perché appresso di molti è dubbio
se questo Pissatello sia il Rubicone, overo quell’altro, che habbiamo descritto per
Plusa, chiaramente il dimostra Strabone nel 5. lib. quando dice. Cesena Isapi
fluvio propinqua, e Rubiconi, cioè Cesena è vicinia all’Isapi fiume, e al Rubicone,
conciosta cosa che dall’altro lato ha il Savio e da ques’altro il Rubicone. La onde
pare
a me che siano in errore quelli, che altrimenti vogliono tenere. Era
anticamente sopra questo fiume un ponte di pietra per poter passare dall’una ripa
all’altra, che hora è rovinato. Questo è quel fiume, che già era termine d’Italia,
secondo Plinio, e Livio, il quale scrive qualmente quivi finiva Italia, e cominciava
la Gallia, dipoi che vi furono prolungati i termini dal fiume Esio infino a questo
fiume. […]
Non era lecito a i soldati, e meno a i capitani, ritornando dalla battaglia, a
passar questo fiume co l’armi, senza licentia del Senato, e popolo R. altrimenti
erano giudicati nemici della Rep.Romana, come già vedeasi scritto in una pietra di
marmo quivi posta al ponte antidetto, che diceva. Iussu mandatu ue
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P.R.Cos.Imp.Trib.Mil.Tiron.Commiliton.Arma quisquis es Manipulariae ue
Centurio turmae ue legionariae hic sistito, vexillu sinito, arma deponito nec citra
huc amnem Rubiconem signa ductu Exercitum commeautm ue traducito. Siquis
ergo huiusce iusionis adversus praecepta ierit fecerit ue adiudicatus esto hostis.
P.R. ac si contra patriam arma tulerit penatesq; ex sacris penetralibus asportaverit
S.P.Q.R. sanctio plebesciti. S. ue consulti ultra hos fines arma ac signa proferre
liceat nemini. Scrive Biondo lui haver veduto detta Tavola di marmo nella quale
era tal proibitione del Senato, popolo R. Ma io sovente quindi passando, e
diligentemente cercandola mai l’ho possuta vedere. Ben’è vero che egli dice,
averla veduta istrata dal proprio luogo. La onde potrebbe occorrer che la sia stata
portata altrove, overo di terra coperta in processo di tempo. A questo fiume si
fermò Cesare ritornando alla Gallia in Italia per passare a Roma, essendo molto
dubbioso se’l dovesse passare con l’armi, o nò, e co l’essercito, dopo molti
consigli, vedendo alquanti prodigii, che pareano invitarlo a valicare il fiume
deliberò passarlo con l’armi dicendo (como dimostra Tranquillo). Eatur, quo
Deoru ostenta, e inimicorum iniquitas vocat. Iacta sit alea, cioè si passi ove i
prodigi de gli Dei, e la iniquità de i nemici ci chiama, Sia gittato il dado. Il simile
dice Appiano Alessand. Nel 2. lib. Fu questo passaggio principio della guerra
civile. Onde poi andò a Rimini, e più oltra come narra Plutarco, e Cesare ne’ suoi
Commentari e Lucano nel I.lib.cos’.
Iam gelidas Caesar cursu superaverat Alpes,
Ingentesq; animo motus bellumq; futurum
Coeperat, ut ventum est parui Rubiconis ad undas, e c.
In più altri luoghi memora detto Rubicone, e massimamente quando dice pur nel
detto libro.
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Puniceus Rubicon, quum fervida canduit aestas
Perq; imas serpit valles, e gallica certus
Limes ab Ausonijs disterminat arua colonis.
[…]
POLA
Vedesi poi sopra l’alto, e difficilmente, ch’è sopra questo golfo, o porto, del quale
ho avanti scritto, la molto antica, e forte città di Pola, così nominata da Stradone,
da Plin. Addì mandata Colonia, EDIFICATA DAI Colchi, parimente da Tolomeo.
Vero è, che Plin. Addice, che ne’ suoi tempi era nominata Iulia pietas. Etiandio la
nomina Pola Antonino nel suo Itinerario. Ella è discosta da Trieste 100.miglia, et
da Ancona 200. Giace ella, come ho detto, sopra il monte avendo la sommità di
esso nel mezo, sopra il quale vi fu una forte Rocca, come dalle roine conoscere si
può, ove vi è una gran cisterna per conservare l’acque, che dall’aria scendono. La
fu edificata questa Città da i Colchi, che furono mandati da Oeta a seguitare gli
Argonauti, che conduceano seco Medea sua figliola, con i tesori a lui robbati, i
quali (come avanti dissi) o per paura del Re, o per stracchezza del viaggio non
avendo potuto aggiungere detti Argonauti, quivi si fermarono, et edificarono
questa Città, nominandola così Pola, che significa in lingua Greca città de gli
esuli, e banditi, come dice Callimaco; ma secondo altri vuol significare, habbiamo
fatto assai, così ragionando del viaggio fatto, e di quello che avevano a fare,
parendo a loro di non più oltre procedere. Tutti gli Scrittori dicono che la fu
edificata da’detti Colchi. Et perciò ella è molto antica. Dimostrano la sua antichità
alcuni begli edificij, si come un’anfiteatro fatto di gran pietre quadre. Ove erano i
belli sedili, che sono stati portati altrove. Anche vi si vede un altro grande edificio
mezo roinato, addimandato Zadro. Et questi edifici sono fuori della Città con
molte antiquitati di marmo, porfido, serpentino, con colonne di preziosi marmi, et
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con molti sepolcri, che sono fuori, et che sono dentro la città. La fu rovinata anche
ella da Attila si come l’altre Città di questi paesi, e poi la fu ristorata, ma da chi,
non lo so […]
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NOME DELL’AUTORE: MICHEL DE MONTAIGNE
TITOLO DELL’OPERA: JOURNAL DU VOYAGE DE MICHEL DE
MONTAIGNE EN ITALIE, PAR LA SUISSE E L’ALLMEGNE, EN 1580 E
1581AVEC DE NOTES PAR M. DE QUERLON
Nel 1580 e nel 1581 viaggiò in Francia, Svizzera, Germania ed Italia, nella
speranza di trovare beneficio nelle acque termali per combattere la calcolosi
renale di cui soffriva. Dopo aver sostato brevemente a Verona e a Venezia, fu a
Roma, dove rimase fino all'aprile del 1581, ricevuto con tutti gli onori. A maggio
ripartì e visitò la Toscana, che gli parve più bella di tutte le altre regioni italiane.
Si trattenne lungamente a Bagni di Lucca, per sottoporsi alla cura delle acque. A
settembre dello stesso anno, ebbe notizia della sua nomina a sindaco di Bordeaux
e prese la via del ritorno. Le annotazioni sul lungo viaggio furono da lui raccolte
nel Journal du voyage en Italie par la Suisse et l'Allemagne - Diario del viaggio in
Italia attraverso la Svizzera e la Germania - pubblicato soltanto due secoli dopo,
nel 1774.
ANCONA
Ancona. C’est la maitresse ville de la Marque: la Marque etoit aus latins
Picoenum. Elle est fort peuplée & notammant de Grecs, Turcs, & Escalvons, fort
marchande, bien bastie, costoiée de deus grandes butes qui se jetent dans la mer,
en l’une desqueles est un grand fort par où nous arrivasmes. En l’autre qui est fort
voisin, il ya un’Eglise entre ces deus butes, & sur les pandans d’icelles, tant d’une
part que d’autre, est plantée cette ville: mais le principal est assis au sons du
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vallon & le long de la mer, où est un très-beau port, où il se voit encores un grand
arc à l’honur de l’Amperur Trajan, de sa feme, & de sa seur […]
Ancone s’apeloit enfin antienemant du mot grec, pour l’encouignure que la
mer faict en ce lieu; car ses deus cornes s’avancent & font un pli enfoncé, où est la
ville couverte par le davant de ces deus testes & de la mer, & encore par derriere
d’une haute bute, où autrefois il y avoit un fort. Il ya encores una Eglise Greque,
& sur la porte, en une vieille pierre, quelques lettres que je pense Sclavones […]
FANO
Fano. Nous y vismes un grand arc antien, où il y a un’inscription sous le
nom d’Auguste, qui muros dederat. Elle s’appelloit Fanum, & étoit Fanum
Fortunae.
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NOME DELL’AUOTRE: BERNARDO BIZONI
TITOLO DELL’OPERA : EUROPA 1606
Poche, anzi pochissime sono le notizie sul conto di Bernardo Bizoni. Di lui si
sa soltanto che nel 1606 accompagnò Vincenzo Giustiniano, marchese di Bassano,
in un viaggio attraverso l’Austria, la Germania, le Fiandre, l’Inghilterra e la
Francia. Di qui la Relazione in forma di diario del viaggio che corse per diverse
province d’Europa il signor Vincenzo Giustiniano, marchese di Bassano, l’anno
1606 per lo spazio di cinque mesi, la quale fu giornalmente scritta dal Q. signor
Bernardo Bizoni romano, il quale fece compagnia al marchese in quel viaggio
come camerata e amico antico e confidente. La sua relazione di viaggio fu
pubblicata per intero con il titolo di Europa 1606 (Milano, 1942).
RIMINI
[…] Alli 30 marzo, giovedì, dalla Cattolica andammo a desinare in Rimini
in casa del signor Alessandro Orio, padre del signor Giovambattista che serve per
medico al signor cardinal Giustiniano; dove ancora che fosse all’improvviso, ci
ricevettero con molte dimostrazioni di cortesia. Dopo aver vedute le parti più
cospicue di quella città, particolarmente un arco antico fatto da’Romani e il porto
[…]
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NOME DELL’AUTORE: TOMMASO ALBERTI
TITOLO DELL’OPERA: VIAGGIO A COSTANTINOPOLI
Di questo viaggiatore si sa soltanto che una prima volta fu a Costantinopoli
e in Polonia fra il 1669 ed il 1614, e successivamente di nuovo a Costantinopoli,
donde ritornò a Bologna nel 1621. La sua città d’origine è molto probabilmente
Bologna, ma la ragione dei due viaggi in Oriente è da ricercarsi nella sua
professione di rappresentante di mercanti veneziani. La relazione completa dei
due viaggi è stata pubblicata da Alberto Bacchi della Lega nella “Scelta di
curiosità letterarie inedite o rare dal secolo XIII al XVII” col titolo di Viaggio a
Costantinopoli (Bologna, 1889).
POLA
[…] Dipoi andassimo a Pola, città antichissima ma piccola e tutta rovinata e
cascata dall’antichità sua, ma a suo tempo dovea essere una bella cosa, essendo
tutte le case ed altro di pietra viva; nella quale vedessimo una memoria sopra la
porta del Duomo, dove egli è un millesimo che dice dell’anno 757. Di poi gli è un
teatro bellissimo e di molta alteza, tutto di pietra viva, cosa molto vaga da vedere,
nel quale li palatini se ne servivano per farvi le loro giostre e tornei. Vi è anco il
palazzo d’Orlando, qual poco più si tien insieme, ma doveva esser molto grande e
bello. Vi è molte sepolture, cioè cassoni di pietra, ma tutti ruinati dall’antichità,
quali dicono che sono sepolture de’ pagani.
19
NOME DELL’AUTORE: SPON JACOB [1647-1685]
TITOLO DELL’OPERA: VOYAGE D’ITALIE, DE DALMATIE, DE GRECE
ET DU LEVANT
Jacob Spon, nato a Lione il 13 gennaio 1647, è il più qualificato esponente
dell’antiquaria francese in quella generazione a mezzo fra il Peiresc e il
Monfaucon. Pressoché sconosciuto alla storia dell’archeologia novecentesca, il
suo libro più noto è il Voyage d’Italie, de Dalmatie, de Grèce e du Levant, agile
volume che ebbe un’enorme fortuna e che ha esercitato un’influenza duratura
nella cultura europea come prototipo di un’interpretazione ampliata del Grand
Tour e come prima descrizione attendibile dei monumenti e delle opere dell’arte
greca.
Infatti,
per
metodo
e
interessi
Spon
si
presta
ad
incarnare
emblematicamente il sçavan secentesco, morbosamente curioso degli aspetti
quotidiani e domestici della vita degli antichi, più appassionato di epigrafi che di
sculture (“c’est mon fue, c’est ma passion que les inscriptions anqiques!”). Fu più
erudito che esteta: e questi aspetti, sommati alla mancanza di sistematicità, hanno
finito per farlo dimenticare. L’esordio nel campo dell’archeologia è affidato a due
scritti di diversa ambizione ma singolarmente coerenti nel metodo e
complementari nel contenuto: due scritti che parlano di uno Spon intento a
lustrare le memorie antiche della sua città: Lione. Il primo, la Recherche des
antiquités et curiosité de la Ville de Lyon ancienne colonie des Romains et
capitale de la Gaule Céltique avec un mémoire des principaux Antiquires et
Curiex de l’Europe. Lione era piazza favorevole per gli studi antiquari, con ottimi
stampatori ed una tradizione prestigiosissima nel campo dell’erudizione, da
20
Symphorien Champier a Claude Bèllievre, da Gabriele Simeoni al grande
Guillame du Choul.
Frequentò la facoltà di medicina di Parigi e assorbì una fede assoluta nella validità
dell’insegnamento e nell’attualità degli scritti di Ippocrate. Il viaggio di Spon è
complessivamente ben conosciuto e debitamente valorizzato. Tuttavia, come sa
chi si occupa di letteratura odeporica, le sue diverse fasi non hanno la stessa
importanza dal punto di vista culturale e archeologico. Il Voyage de Provence et
d’Italie, la porzione di itinerario che va da Lione a Venezia passando per Roma e
Firenze, è meno noto e molto meno citato della corrispondente descrizione della
Grecia, anche perché di interesse complessivamente minore. Un viaggio in Italia
alla fine del XVII secolo non è che un momento in una tradizione secolare che ha
alle spalle gli itineraria medievali e d’innanzi il Grand Tour settecentesco, con
una messe ricchissima di diari, resoconti e descrizioni, alcuni dei quali di alta
qualità letteraria. Il Voyage de Grèce è, al contrario, un unicum che ha prodotto la
prima descrizione attendibile della Grecia e delle isole dell’arcipelago, rimasta
tale per oltre un secolo. Per la prima volta dai tempi di Ciriaco di Ancona i
viaggiatori europei hanno avuto a disposizione una guida puntigliosa, dettagliata e
basata su un accurato esame autoptico condotto con la consulenza del testo di
Pausania, che Spon utilizza con solido buon senso.
Tome Premier
ZARA
Zara s’appelloit anciennement Fadera, & joüissoit des droits de Colonie
Romaine. J’y lûs une Inscription antique, où l’Empereur Auguste est qualifié du
tître de pere de cette Colonie, & il y est ajoûté qu’il en avoit fait bâtir les Tours &
les murailles. Proche de l’Eglise des Grecs appellée S.Helie, je vid deux belles
21
Colomnes canelées d’ordre Corinthien, dont la base, le plinthe, le chapiteau &
l’architrave sont également de bonne maniere. On juge que c’est le reste d’un
Temple de Junon par une Inscription qu’on à trouvée proche de là, & que je vids
dans l’ancienne Eglise de S.Donant. La porte de Saint Chrysogone est composée
d’une partie d’Arc antique transporté d’un quart de lieuë au delà. L’Inscription
nous apprend de ce Arc étoit chargé de quelques statuës, qu’il y avoit en cet
endroit-là un Marché, & qu’une certaine Melia Anniana l’avoit erigé à l’honneur
de son mary Lepicius Bassus ; ce qui donne à connoître que la Ville avoit alors
beaucoup plus d’étenduë qu’elle n’a presentement, le tour de ses murailles ne
faisant pas plus de deux milles d’Italie, & le nombre de ses habitans ne pouvant
guere monter qu’ù cinq ou six mille. Dans l’enceinte d’une demi-Lune il y avoit
un reste d’Amphitheatre, dont on ne void maintenant aucun vestige, ayant été
détruit pour regler la fortification. Les Romains ne pour voyoient pas tant au
divertissement, qu’ils ne pourvûssent davantage au necessaire. L’eau manquoit à
la Ville, & même presentement il n’y a que des citernes. Pour remedier à ce defaut
ils avoient fait un Aqueduc, qui menoit l’eau masures, proche desquelles
Monsieur l’Archidiacre nous assure qu’on avoit trouvé un fragment d’Inscription
de l’Empereur Trajan, qu’on jugeoit par-là en avoir été l’Autheur. Cet Archidiacre
s’appelle Valerio Ponte, homme sçavant, & qui possede bien l’histoire de son
pays. Il me fit voir parmi ses Livres un manuscrit des Inscriptions d’Istrie & de
Dalmatie […]
SPALATO
L’abord de Spalatro par mer est fort agreable, & il est situé au fond d’un
grand Bord fait en demi-Lune. La Ville est quarrée, & n’a pas plus d’un mille de
tour. Dans les monuments anciens de trois à quatre cent ans elle est appellée
22
Spaletum, Spalatum & Aspalatum, & de cette maniere Spalato me sembleroit plus
conforme à l’origine, que Spalatro, quoy que ce dernier soit plus en usage. Ce
nom-là luy peut être venu du mot Latin Palatium, parceque ce n’étoit
anciennement qu’un Palais de l’Empereur Diocletien, natif de Salone, qui n’est
éloignée de Spalatro que d’une lieuë comme on l’apprend par la tradition du lieu,
& par ce qu’en a dit Constantin Porphyrogenete, qui remarque que ce Palais étoit
tout bâti de grandes pierres de taille. Ceux qui l’ont pris pour l’ancienne ville
d’Epetium, se font écartez de six ou sept mille, car on en void les ruines plus au
delà vers l’embouchûre de la petite riviere de Zarnovina […]
Le Dome de Spalatro étoit autrefois un petit Temple au milieu du Palais de
Diocletien. Il est octogone au dehors, & rond au dedans tout bâti de belles pierre
de taille, horsmis la voûte qui est de brique, au dessous de laquelle est une galerie
soûtenuë de huit colonnes Corinthiennes de prophyre & de granite. Entre le cul de
lampe & cette galerie il y a une frise chargée de differens animaux, de festons, de
mascarons, & de quelques têtes, que les gens du pays entêtez du nom de
Diocletien, prennent pour des têtes de cet Empereur. Au dehors du Temple regne
à moitié de sa hauteur un corridor couver de pierres de taille, travaillées en
compartiment, & soûtenu de huit colonnes Corinthiennes de marbre, avec un frise
bien travaillée. On y montoit par un autre Temple quarré long, qui donnoit aussi
l’entrée à un autre Temple rond au fond, & en avoit un autre petit à main droite
qu’on appelle maintenant S. Jean Baptiste. La place & la disposition de l’ouvrage
étoient de quelque bon maître, mais dans le détail les corniches ; les feuillages &
les chapiteaux n’étoient pas de si bonne maniere que du temps des Empereurs.
Depuis que ce Temple a été changé en Eglise, on l’a percé pour y faire un Chœur,
& on y a fait quelques jours car auparavant il ne recevoit de jour que par la porte.
Les Payens faisoient presque tous leurs Temples obseurs, pour ne pas profaner
23
aux yeux des mortels les mysteres de leurs Dieux, & de là vint l’usage des
flambeaux & des lampes qu’on y allumoit.
On a aussi ajoûté au devant de la porte sur l’escalier un tres-beau Clocher,
percé de quantité de fenêtrages, dont les materiaux de marbre ou de belle pierre
ont été tirez des ruines de Salone, parmi lesquelles nous trouvâmes quelques
Inscriptions qui parlent de cette Ville. Appian & Gruter en citent une dans ce
temple quarré proche d’une Idole de Cybele. J’y vids l’Inscription ; mais cette
prétenduë idole n’est autre chose qu’un Sphinx de marbre granite d’Egypte. Les
colonnes qui sont là autour sont aussi de la même pierre.
Les murailles du Palais de Diocletien qui embrassent les deux tiers de la
Ville, sont presque entieres, & font un quarré juste, avec une porte au milieu de
chaque face. Il en reste trois d’une architecture aussi belle que solide. Les pierres
soûs l’arc sont entées en mortaise les unes sur les autres ; ceux qui bâtissoient
alors prétendant de cette maniere rendre leur voute plus assurée. Aux côtez de
chaque porte il y avoit deux petites. Tours hexagones, qui gardoient l’entrée, & y
ajoûtoient quelque embellissement. Tout ce quartier de la Ville enfermé dans cette
enceinte est vouté en plusieurs endroits, & a quantité de masures antiques. Du
côté de la marine il y avoit un corridor entre le Palais & un mur élevé à même
hauteur, mais percé de fenêtres qui lui laissoient la vûe de la mer. Ces fenêtre ont
des entre-colonnes & une frise dessus d’ordre Dorique assez bien proportionnée.
Nous y trouvâmes une douzaine d’Inscriptions qui peuvent avoir été portées de
Salone, & dans l’Eglise de S.François un bas relief avec 25 figures ou environ, qui
paroissoit être la victoire de Constantin sur Maxence qui se noya dans le Tybre.
Vers la pointe Occidentale du Port il y a un Eglise de S.George, qui est
apparemment l’endroit appellé Ad Dianam, dans la Table de Peutinger, à cause de
quelque Temple de Diane qui y étoit. Près de la porte par où l’on sort en ce
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quartier-là, il y a deux ou trois petits ruisseaux d’eau salée & souffrée qui coulent
dans la mer, & dont l’on ne tire aucun avantage […]
LESINA
Liesina est une Isle que Ptolomée appelle Pharia, & Strabon Pharo […] ils
y ont fait un tres-beau mole de marbre & de pierre de taille, qui environne le
demi-cercle de ce Port. Les éceuils qui font vers l’entrée tir en montant. A la
façade sous l’angle du toict est un buste de marbre d’une femme couronnée. On
nous dit que c’étoit la tête de la femme de cet Empereur. Mais je n’en voudrois
pas être caution, ne l’ayant point connuë ni par les medailles, ni par le statuës. Elle
est pourtant antique, & l’Eglise aussi, qui a deux rangs de colonnes en dedans
l’une sur l’autre. Les materiaux en sont presque tout de marbre, qui se taille dans
l’Isle même à autre ou cinq milles delà.
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NOME DELL’AUTORE: SPON JACOB [1647-1685]
TITOLO DELL’OPERA: ITALIE – DESCRIPTIONS ET VOYAGES -
ANCONE
Cette ville est à quinze milles de Lorette, elle est belle & grande. Les fossez & le
Bastions on sont bons, & il y a deux Forteresses, qui commandent la Mer. C’est le
plus beau Port & le plus assuré qui soit sur la Mer Adriatique après celuy de
Venise. La Mer fait là un coude, d’où est venu l’ancient nom d’Ancona car Ancon
en Grec signifie le coude. Du temps des Romains ce Port estoit magnifiquement
orné. Il y reste encore d’un côté du Mole l’Arc triomphal de Trajan, qui est un
Ouvrage-merveilleux. Il avoit esté dressé pour cét Empereur comme porte
d’Inscription, en reconnoissance de ce qu’il avoit fait pour rendre l’accez de ce
Port assuré à tous, les Vaisseaux. On trouve le dessein de cét Arc dans les
Observations antiques de Gabriel Simeoni, & l’Inscription dans Gruterus […]
FANO
Fano anciennement appellé Fanum Fortunae, pour le beau Temple dedié à la
Fortune qui y estoit […]
PESARO
Pesaro est située dans le sable. C’est une ancienne Colonie Romaine, qu’on
appelloit Pisaurum. […] Le Port est fort bon : proche de la ville coule l’Isaurus
qu’on appelle aujourd’huy la Foglia.
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RIMINI
Rimini qui est l’ancient Ariminum, cerniere ville d’Italie, estoit voisine de la
Gallia togata ou Gaule Cisalpine. Il y a un beau Pont de marbre de cinq Arcades
sur la riviere Marecchia. Il a eté basty par Tibere pendant le regne de l’Empereur
Auguste, comme il paroit par de grandes Lettres, gravées sur le groffes pieces de
marbre du Parapet. Ce fut sur ce Pont d’Auguste fit joindre les deux grandes
voyes Flaminia qui venoit de Rome & AEmilia de Bologne, Parme & Plaisance.
On acheva depuis la traverse de la Flaminienne jusq’à la ville d’Aquilée, capitale
du Frioul. Le port d’Arimini, est à une portée de canon du Pont. Il estoit autrefois
fort beau, mais on l’a laissé perire & ensabler, de forte qu’il n’y peut entrer que de
petites Barques. […]
La ville n’a qu’un fossé & de simples murailles sans aucune Fortification. On y
void les restes d’un Amphiteatre ancien de brique. […] La place du marché est
assez belle, l’on y voit la tour de l’horologe & une pierre sur laquelle est écrit le
lieu où Cesar harangua ses Soldats après avori passé le Rubicon. L’inscription
n’en est pourtant pas fort ancienne. Proche delà il y a une Chapelle bastie en
memoire d’un miracle fait par S.Antoine : & un reste d’Arc de triomphe antique
avec quelques inscritions.
A seize milles de Rimini & quatre de Cesena on passe sur un Pont la pètite riviere
du Rubicon, qui separoit autrefois l’Italie de la Gaule Cisalpine. Quelques
Autheurs ne sont pas d’accord sur le nom qu’on donne à cette riviere, &
pretendent que ce ne soit pas le Rubicon. Je croy pourtant qu’il en faut suivre le
sentiment vulgaire, & je puis dire avec verité, qu’ayant trouvé tout aupres un
vieux paysan qui racommodoit une haye, je luy demanday, Amico come si
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domanda questo fiumicello? il me répondit, Rubicone, Signor. Ce qui fait voir que
son ancien nome se conserve dans le pays. Il entre dans la Mer sous le nom de
Fiumicino, après avoir receu deux petites rivieres la Pisatella & il Borcone. C’est
fut ce Pont que Cesar passa avec son Armée, nonobstant la défense du Senat.
Comme il approcha de cette riviere, dit Svetone, il s’arresta un moment, & faisant
un peu de reflexion sur le grand dessein, qui estoit de se rendre maitre de
l’Empire, il se retourna & dit à ceux qui estoient proche de luy, nous avons la
liberté de nous en retourner, mais si nous passons une fois ce petit Pont, il ne faut
plus avoir de confiance que sur nos Armes qui ne doivent rien épargner. Ensuite
estant confirme par quelque bon presage, la pierre en est jettée, dit il, & estant
passé, son Armée s’empara de l’Vmbrie & l’Etrurie, d’où s’ensuivit la guerre
civile, qui le mit sur le Trône.
On voit proche de ce Pont un Pilier où est écrit l’Arrest du Senat qui défendoit aux
Generaux de passer cette cette riviere ; & de ceder leur Armée à ceux que le Senat
envoyoit pour la commander. Cette Inscription n’est pas l’ancienne, mais falsifiée
& bâtarde, & peut etre imitée de celle qui y estoit autrefois. Neantmoins telle
qu’elle est la voicy, pou éviter aux curiex la peine de la copier.
JVSSV MANDATVVE * P.R.
COS. IMP. MILES TIRO
COMMILITO MANIPVLARISVE TVRMAEVE
LEGIONARIAE ARMATE
QVISQVIS ES HIC SISTITO
VEXILLVM SINITO NEC
CITRA HVNC AMNEM
28
RVBICONEM SIGNA ARMA
DVCTVM COMMEATVM
EXERCITVMVE TRADVCITO
SI QVIS HVIVSCE IVSSIONIS
ERGO ADVERSVS IERIT
FECERITVE ADIVDICATVS
ESTO HOSTIS P.R. AC SI
CONTRA PATRIAM ARMA
TVLERIT SACROSQVE
PENATES A PENETRALIBVS
ASPORTAVERIT
SANCTIO PLEBISCITI SENATVSVE CONSVLTI VLTRA
HOS FINES ARMA PROFERRE LICEAT NEMINI
S.P.Q.R.
Populi Romani Consul Imperator.
29
NOME DELL’AUTORE: ALBERTO FORTIS
TITOLO DEL LIBRO: VIAGGIO IN DALMAZIA
Fortis, nato a Padova nel 1741, si dedica fin da giovanissimo agli studi
naturalistici. Diventa a sedici anni agostinaiano ma ben presto lascia la vita
religiosa. Collabora con alcuni giornali tra i quali il “Giornale d’Italia” che
pubblica i suoi “Pensieri geologici” elaborati in seguito al primo viaggio in Istria
in cui comincia a manifestarsi l’interesse dello scrittore per le terre bagnate
dall’Adriatico orientale, con la descrizione di tutti gli aspetti del paese che ha
visitato, da quello naturalistico al letterario ed artistico-archeologico. E’ dunque
l’interesse scientifico a spingere il Fortis verso la Dalmazia, per “andar
riconoscendo quanto vi fosse di vero nelle meraviglie che si dcievano
dell’estensione delle ossa fossili pell’isole della Liburnia, e pelle coste della
Dalmazia”. Destinata ad allargare ben presto i suoi orizzonti, l’impresa del Fortis
affianca al prevalente interesse naturalistico, la ricerca antiquaria ed epigrafica. Il
libro ebbe una grandissimo successo non solo in Italia (la prima edizione è del
1774) ma anche in Germania, Francia ed Inghilterra, dove venne tradotto negli
anni immediatamente successivi.
ZARA
Zara, detta Jadera da’latini e Diadora nei bassi tempi, ch’era una volta la capitale
della Liburnia, vale da dire della gran penisola che sporge in mare fra i due fiumi
Tedanio e Tizio, ora conosciuti sotto i nomi di Zermagna e di Kerka, dopo la
decadenza dell’impero romano è divenuta la capitale di una più estesa provincia
[…]
30
Delle antiche fabbriche romane che l’adoranavano, miserabili vestigi vi si
conoscono appena, le fortificazioni moderne essendo state fatte a spese degli
antichi rimasugli.
Troverà vostra eccellenza agevolmente ne’collettori le molte iscrizioni che vi si
conservano sino al principio di questo secolo. Elleno provano che questa città e
colonia fu guardata con particolare affezione da molti imperadori romani, e
segnatamente da Augusto e dall’ottimo Traiano. Il primo meritò d’esser chiamato
padre della colonia jadertina, e di questo resta il documento in una pregevole
lapida, il secondo fece fabbricare, o ristorare, un acquedotto che vi portava
l’acqua di lontano, il che rivelasi da un frammento d’iscrizione tuttora esistente
nella città.
Io sono stato accolto a Zara con generosa ospitalità nella bella abitazione del
signor dottor Antonio Danieli, dotto professore di medicina. Ella è adornata da
vari pezzi di scolture antiche, fra’quali distinguonsi quattro statue colossali di
marmo salino, che a proprie esorbitanti spese questo zelante amatore dell’antichità
fece trarre dalle rovine della vicina città di Nona. Parecchie lapide colà portate da
vari luoghi della Dalmazia vi si veggono, fra le quali la riguardevole iscrizione
riferita anche dallo Spon come esistente nella casa dei signori Tommasoni, che dal
1675 in poi era stata nascosta da un intonaco di calce, e dal dottor Danieli fu
scoperta e ridonata alla luce dietro alle traccie lasciatone dal viaggiator francese
(Spon). V’hanno, fra le altre molte, tre tavole greche trasportate dall’isola di
Lissa, che sembrano frammenti delle sottoscrizioni dei senatori. Presso questo mio
amico ed ospite trovasi anche un’abbondante collezione di monete antiche
romane, e in buon numero di greche egregiamente conservate […]
[…] A’ santi Filippo e Giacomo ho veduto i vestigi dell’acquedotto fabbricato o,
ristorato da Traiano, e gli ho anche seguiti verso la loro meta non meno che verso
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il principio per lungo tratto […] I residui dall’acquedotto veggonsi comparire
poco lontano dalle mura di Zara lungo il mare verso la villa di S.Cassano; indi pel
bosco di Tustizia sino alle torrette, dove servono di sentiero ai pedoni e a’cavalli;
poi presso a’Santi Filippo e Giacomo, e più oltre a Zara vecchia, nel qual luogo se
ne perdono le tracce, che però accennano essere state diretta da Skradincki-Slap a
dritta linea trenta buone miglia.
BURNUM
Andando per terra da Knin al monastero degli ospitalissimi Calogeri di
Sant’Arcangelo noi ci dilungammo mai sempre poco dal fiume, che di là alle foci
scorre quasi costantemente fiancheggiato da monti…trovammo per la destra
Bukoviza vestigia di antiche abitazioni romane: ma rozzamente appianate, nelle
quali veggonsi scalpellati de’buchi in quadro per piantarvi travicelli, o altra cosa
simile da sostenere le tende pegli accampamenti, giacciono da entrambe i lati
lungo la via per quasi un miglio di cammino. Molti frammenti d’iscrizioni
stritolate s’incontrano sparsi qua e colà, fra’quali un pezzo di pilastro a quattro
faccie adorno di basso-rilievi agli angoli, su di cui si legge in lettere massime e
ben conservate un residuo d’antico elogio. V’ha ogni ragion di credere che la città
distrutta in questo sito sia stata il Burnum di Procopio, e la Liburnia di Strabone.
La tavola di Peutingero mette Burno a destra sul fiume Tizio, sopra Scardina, 24
miglia lontano da Nedinum ch’è il Nadino de’giorni nostri, 25 miglia per
l’appunto distante da questo luogo, da’tre archi che tuttora vi si vedono chiamato
Suppliacerqua, vale a dire chiesa traforata. Non ha molti anni eglino erano cinque,
e da un Morlacco due ne furono disfabbricati per far uso del pietrame. Di quei tre
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che sussistono, uno ha ventun piede di corda; i due minor, che gli stanno a destra,
la metà meno[…]
Non vorrei determinare a qual fine sieno stati eretti i cinque archi di
Suppliacerqua. Sembra però dovessero essere isolati, perché le scannellature e
cornici dell’arco si vedono equalmente da entrambe le facciate. Potrebbe egli
essere stato un monumento trionfale di cinque archi? Rovine rimarchevoli non
v’hanno colà presso: ma di sotterra cavansi grosse pietre, e ne’contorni trovansi
de’resti d’una strada romana. Suppliacerqua è nome precisamente del sito dove
sono gli archi, il tratto poi di campagna vicina sparsa di ruderi chiamasi Trajanskigrad, vale a dire Traianopoli.
SPALATRO
Fra le foci del fiume Hyader, ora detto Salona, e l’imboccatura della Xernovniza,
altro fiumicello non conosciuto forse da’geografi antichi, stendesi un
promontorio, la di cui punta è formata dal monte Marian e la base delle radici del
Mossor. Costeggiando per mare colla barchetta questo tratto di paese, io feci più
volte prender riposo a’ miei rematori, per esaminare dappresso le strane
modificazioni di materie calcaree disposte lungo quelle rive, con leggi
differentissime da quelle che i maestri della natura sogliono prescrivere in bei
discorsi su le stratificazioni, pensati e dettati senza dilungarsi dallo scrittoio. Fra
molti luoghi osservabili di quella costa, fabbricata di varietà che hanno però
sempre una base argilloso-cretacea, io ne ho fatto disegnare uno del primo
picciolo seno, che trovasi lungo al lido del medesimo promontorio, dove secondo
la Tavola di Peutingero, era un tempio dedicato a Diana. Io l’ho creduto
meritevole d’occupare il mio disegnatore […]
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De’ gran residui romani, che formano il pregio più conosciuto di questa città
ragguardevole, io non farò parola. E’ bastevolmente nota agli amatori
dell’architettura e dell’antichità l’opera del signor Adams, che ha donato molto a
que’superbi vestigi coll’abituale eleganza del suo toccalapis e del bulino. In
generale la rozzezza dello scalpello, e’l cattivo gusto del secolo vi gareggiano
colla magnificenza del fabbricato. Non è già per questo ch’io voglio togliere il
merito a quegli augusti residui del Palazzo di Diocleziano. Io gli annovero fra i
più rispettabili monumenti dell’antichità che ci rimangono: ma non vorrei che gli
scultori e gli architetti studiassero a Spalato, piuttosto che fra le rovine di Roma, o
fra i bei vestigi dell’antica grandezza di Pola.
La cortesia degli abitatori moderni fa ben più onore a Spalato che i magnifici
avanzi delle fabbriche antiche […]
Io trovo in una pregevole relazione manoscritta della Dalmazia, scritta dal
senatore Giambattista Giustiniani intorno alla metà del XVI secolo, un cenno di
quanto vi sussisteva in quel tempo.
“La nobiltà, grandezza e magnificenza della città di Solona si comprende dai volti
ed archi del teatro meraviglioso che oggi si vedono, dalle grandissime pietre di
finissimo marmore che sono sparse e sepolte per quei campi, dalla bella colonna
fatta di tre pezzi di marmore, la quale sta ancor in piedi nel luogo dove si dice
ch’era l’arsenale verso la marina; e dai molti archi di meravigliosa eccellenza
sostentati da colonne altissime di marmore, la cui altezza è un tirar di mano, sopra
li qual v’era un acquedotto che conduceva da Salona a Spalato…Si vedono
d’appresso diverse rovine e vestigie di gran palazzi, e in molte bellissime pietre di
marmore si leggono epitaffi antiqui: ma il terreno ch’è cresciuto ha sepolto le più
antique pietre, e le più belle cose”.
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Gli abitanti del villaggio, che sorse dalle rovine di Salona, traggono pur troppo
spesso di sotterra iscrizioni ed altri lavori d’antichi suppellettili: ma la costoro
ingordigia è così proporzionata alla barbarie, ch’eglino preferiscono il rompere e
guastare ogni cosa al ritrarne un discreto prezzo. Io ho tentato di salvare alcune
belle lapide nuovamente scoperte dalle triste mani d’un villano, che ne avea di già
guaste molte altre, delle quali vidimo i rottami, per farsi delle imposte di finestre e
di porte: ma la di lui avidità ruppe i miei disegni per allora, e mi dovetti
contentare di ricopiarle.
Un gran numero d’iscrizioni salonitane non pubblicate ha raccolto un diligente
cittadino di Spalato, dalla di cui cortesia io non ho potuto ottenerle. Egli le
destinava all’illustratore di quelle, che per la maggior parte deformate si trovano
nel vol. II dell’Illirico Sacro; e tanto meno ardisco dolermi che mi sia stato
preferito il celebre uomo, quanto più sono lontano dall’impegnarmi ad illustrarle
diffusamente, cosa che mi allontanerebbe dall’oggetto mio principale. Io avrei
forse trascurato del tutto i residui antichi, se l’esempio rispettabile del signor de
Tournefort non m’avesse dato coraggio di farne menzione alla sfuggita. L’aver
poi conosciuto quanto facilmente traveggano, e scrivano cose ovvie o puerili,
coloro che si mettono a far gl’illustratori di antiche cose senz’aver fatto di
proposito e a lungo studi antiquari, mi ha persuaso a metter tutta questa messe fra
le mani del dottissimo ed eruditissimo amico mio, il conte abate Girolamo
Silvestri di Rovigo, come farò di quanto ne’viaggi miei potesse cadermi sotto gli
occhi d’antico. Il pericolo quotidiano ne’viaggi miei potesse cadermi sotto gli
occhi d’antico. Il pericolo quotidiano di essere distrutte minaccia tutte le cose di
questo genere, che trovansi sparse pella Dalmazia; ed anche per una sì
lacrimevole ragione mi sono creduto in dovere di parlarne. Io spero che Voi, ben
lungi dal condannarmi, approverete la mia diligenza, che spargerà forse un poco
35
di varietà non disaggradevole nel mio scritto, reso pur troppo stucchevole
dall’aridità delle materie orittologiche.
Se le lagrimevoli macerie di Salona non bastassero a precisamente determinare il
sito, dov’ella sorgea stesa in riva del mare, ce lo avrebbe assai chiaramente
indicato Lucano:
Qua maris Adriaci longas ferit unda Salonas,
Et tepidum in molles zephyros excurrit Hyader.
Dev’essere stato guasto il testo di Cesare, che mette Salona in edito colle ; non si
può credere altramente, da ch’egli dovea ben conoscere la vera situazione di que’
luoghi.
Questo fiumicello che non corre più di tre miglia, incappandosi tratto tratto in
banchi tufacei, nodrisce nelle sue grotte muscose una squisita spezie di trote.
Di qui prese motivo alcuno autore, ben più giusto apprezzatore dei bocconi ghiotti
che delle azioni de’ grand’uomini, di lasciarci scritto che Diocleziano (facendo
peggio d’Esaù) rinunziò al piacere di comandare a quasi tutta la terra allora
cognita, per mangiarsi tranquillamente di que’ pesci a crepapancia, nel suo
magnifico ritiro in Spalato. Io non so se a Diocleziano piacesse il pesce come gli
piacevano gli erbaggi, ma credo che anche per un uomo non ghiotto Sapaltro
dovess’essere un delizioso soggiorno; e per crederlo più fermamente m’immagino
rivestita di antichi boschi la vicina montagna, che pell’orrida sua rudezza
riverbera a’tempi nostri un troppo insofferibile caldo ne’giorni estivi. E’ ben
chiara cosa che un accesso di buona filosofia, e forse un tratto di giudiziosa
politica sia stato il motivo della ritirata di Diocleziano. Egli visse dieci anni di
quiete in Spalato, e forse avrebbevi goduto di più lunga vita se le lettere di
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Costantino e di Licinio non fossero venute a inquietarlo. Ad onta di tutto il male,
che di questo Imperadore dalmatino hanno lasciato scritto ricopiandosi l’un l’altro
gli autori cristiani, forse più pii che imparziali e veridici, fa d’uopo confessare
ch’egli fu un uomo di merito sommo, salito al trono senza macchiarsi diede per
avventura il maggior esempio di moderazione filosofica che sia mai stato sentito
al mondo. Io conto per distinto pregio di Diocleziano l’essere stato lodato da
Giuliano ne’ Cesari, che l’avrebbe certamente punto se avesse potuto farlo.
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NOME DELL’AUTORE : JANO PLANCO (1693-1775)
TITOLO DELL’OPERA: ODEPORICI
Archiatra, botanico, naturalista. Letterato, storico, archeologo. Giovanni
Bianchi, alias Jano Planco (1693-1775) fu investito di innumerevoli onorificenze
e gli furono affidati altrettanto innumerevoli incarichi. Prima fra tutti la cattedra di
Anatomia all’Università di Siena, incarico lasciato dopo tre anni a causa delle
inimicizie che il suo carattere fiero e pieno di sé aveva creato; il titolo di medico
dei pontefici Clemente XIV e Pio VI, quello di aggregato alle Accademie di
Berlino, Lipsia e della Crusca, quello di membro del Collegio dei Medici di
Venezia e principe perpetuo di quello dei Congetturanti di Modena, socio
dell’Accademia dei Lincei, che fece risorgere nella sua casa; e questo solo per
dirne alcuni. In secondo luogo fu autore di moltissimi saggi di medicina,
veterinaria, storia naturale, scienze, storia erudita e archeologia. Infine le molte ed
illustri amicizie, strette durante i numerosi viaggi e la sua corrispondenza con noti
personaggi dell’epoca tra cui spiccano Winckelmann, Voltaire, Beccari,
Spallanzani, Maffei e Muratori. Tra i suoi scritti inediti conservati presso la
biblioteca Gambalunghiana di Rimini, rimangono i Viaggi, relazioni che il
Bianchi fece sui suoi spostamenti, conosciuti con il titolo di Odeporici. L’opera,
che copre un arco cronologico che va dal 1740 fino al 1774, oggi si presenta come
un unico corpus costituito da ventuno fascicoli di varie dimensioni, rilegati tra
loro successivamente, le cui carte sono state numerate secondo questa
sistemazione moderna per un totale di 631. Ravenna è ricordata quattro volte, e
rispettivamente nelle relazioni di viaggio degli anni 1750, 1763, 1769 e 1772.
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RAVENNA
[…]E con lui andai fuori di Porta Serrata a veder la Rotonda, che trovai tutta
contornata da casupole contadinesche, dentro delle quali si passa per salirci sopra
e vidi che è tempio tutto di macigno o sia di marmo, diviso in due parti e tutto
rotondo, la cui parte inferiore è ingombrata dall’acqua ed ha una parte, come di
chiesa, ma ha vari archi aperti lateralmente, per li quali comunica esteriormente,
onde tutta questa macchina è sopra archi, come un anfiteatro.
La chiesa superiore è coperta d’una cupola concava di dentro e convessa di sopra,
e questa cupola o coperchio è tutta d’un marmo solo, con dodici grandi maniglioni
attorno, lungo ciascuno da un braccio e mezzo, onde il marmo era d’una
prodigiosa grandezza; nella testata di questi maniglioni sono i nomi de’dodici
apostoli, ma di carattere non troppo antico, e molti credono che sopra questi
dodici maniglioni in ciascuno fosse collocato la statua d’un apostolo, il che è
inverosimile, perciocché questi maniglioni sono tutti fatti a schiena d’asino,
toltone qualcuno che è piano, onde non c’era modo da collocarci una statuta
stabilmente, non essendo anche sui maniglioni alcun vestigio che ci potesse essere
stata statua alcuna.
Sul vertice della cupola ci sono sei buchi bislunghi e profondi, ne’ quali doveva
essere incastrata quell’urna di porfido che si trova nella facciata del re Teodorico
vicino a Sant’Apollinare de’Zoccolanti, che dicono essere stata rotta da una
cannonata da francesi, ma il signor Zirardini mi disse aver notizie che si trovasse
rotta molto prima del tempo de’Franzesi. Sulla convessità della cupola sono due
solchi che dicono essere stati fatti da un fulmine, ma sono solchi fatti ad arte per
dare uno scolo giusto al di fuori all’acqua che piove sopra detta testudine; gli orli
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di questa testudine sono tutti lavorati con merli fatti di questa figura tra i marmi
del lato rotondo del tempio, ivi trovai una pianta di paronicchia, o sia di ruta
muraria. Per salire fino al vertice della testudine non esitai molto, benché i ferri da
appoggiarsi non fossero fino a quel termine, ma nel discendere feci la strada colle
natiche temendo di vertigine. Dopo d’avere veduto questo illustre monumento
d’antichità ch io credo opera romana e non de’ Goti, e forse del tempo di
Augusto1, che stabiliì la dimora dell’armata navale in Ravenna […]
1
Il passo richiama quanto già espresso dal Bianchi in una lettera datata 26 settembre 1735 ed indirizzata al Temanza,
assertore della “goticità” dell’edificio: “Mi spiace che ella non si trattenne molto in Ravenna per osservare l’altre
antichità de’ tempi bassi che colà sono, per le quali avrebbe compreso che la Rotonda non è di que’ tempi, né di quella
maniera. Io credo che esso abbia i suoi errori di architettura, ma di questi errori ne hanno anche il nostro Ponte e il
nostro Arco che pur sono de’ tempi di Augusto. Può essere che sia stata fabbricata al tempo di questo Imperatore, o
circa, dove l’architettura non era a que’ gradi di perfezione che fu dopo nei tempi di Nerone e in quei di Trajano. Al
tempo certo di Teodorico Re Goto nel quale dicono essere stata fatta, non sapevano far tanto, né avrebbero saputo alzare
quella tanta macchina della cupola che ella ha osservata….”
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NOME DELL’AUTORE: MISSON FRANÇOIS MAXIMILIEN [ 1650 - 1722 ]
TITOLO DELL’OPERA: NOUVEAUE VOYAGE D’ITALIE, FAIT EN
L’ANNEE’ 1688.
La vicenda professionale di Misson è strettamente legata alla confessione
religiosa della famiglia di provenienza, che era protestante. Consigliere della
Camera al Parlamento di Parigi, perse infatti questa carica in seguito alla revoca
dell'editto di Nantes (1685). Si trasferì allora in Inghilterra dove attese
all'educazione del conte d'Arran, di cui fu tutore nel Grand Tour realizzato tra
Olanda, Germania e Italia (1687-88). Frutto delle note raccolte in quegli anni è il
volume che lo rese celebre, intitolato Nouveau voyage d'Italie, fait en l'année
1688. Avec un mémoire contenant des avis utiles à ceux qui voudront faire le
même voyage (La Haye, Van Bulderen 1691): divenuto il primo best-seller del
genere legato alla letteratura di viaggio, tradotto in inglese, tedesco e persino
olandese - gli attirò anche non poche critiche per il suo pungente sarcasmo nei
confronti della chiesa cattolica.
Col Nouveau voyage Misson fece opera nuova dal punto di vista del
contenuto, per la visione 'critica' che offrì del nostro paese. Ma fece opera nuova
anche dal punto di vista formale, chiudendo la stagione dei diaristi e configurando
una vera e propria guida, nei propositi e nell'impianto di scrittura. La forma
epistolare gli consentì infatti di essere conciso e familiare allo stesso tempo. Poté
così realizzare quanto si proponeva: non essere esaustivo ma scrivere solo ciò che
aveva potuto osservare. Fu in Italia tra il 1687 e il 1688 ed in Toscana nel maggio
di quell'anno provenendo da Roma e proseguendo poi per Bologna. Attraverso la
via Emilia (Viterbo, Montefiascone, Bolsena, Acquapendente, Radicofani) giunge
a Siena e poi visita Pisa, Livorno, Lucca, Pistoia, Firenze (maggio 1688),
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dedicando una lettera alla provincia ed una alla capitale. Ancora di queste città
parlerà poi nel volume Memorie per i viaggiatori, ricco di nuovi consigli ed
indicazioni.
Vol. II
RAVENNA
Le principal Port de mer que les Romains eussent sur le Golfe Adriatique.
Aujourd’hui cet endroit a changé de face, non seulement les Lagunes se sont
desséchées, mais la mer même s’est retirée à trois ou quatre mille au-delà & ce
païs autrefois stérile & noyé, est devenu une des plus fertile campagne d’Italie. On
ne doutera pas que la Ravenne d’aujourd’hui, ne soit l’ancienne Ravenne, puisque
divers monuments le prouvent assez. Il y a même contre les murailles qui sont du
côté de la mer, plusieurs gros anneaux de fer, qui servoient autrefois à attacher les
vaisseaux, & l’on voit encore un reste du Phare. Cette Ville a tant de fois été
desolée par les guerres, qu’on y trouve fort peu de restes de sa premiere antiquité
[…]
RIMINI
Nous avons suivi ce chemin jusq’à un mille de Rimini, où il a fallu
reprendre les terres, afin de passer la riviere qui étoit autrefois appellée Ariminum,
du même nom que la Ville de laquelle elle arrose les murs : la riviere porte
aujourd’hui le nom de Maréchia.
Rimini est une petite ville assez pauvre ; cependant le pais est gras & bien
cultivé. Elle est mal bâtie, mal pavée, son mur tombe de tous cotés ; son Château
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est gotique ; le dome n’a point la façade : la petite riviere de Marechia arrose la
ville ; on la passe sur un pont de cinq arches construit par Tiberre. Sigismond
Pandolfe Malteste l’avoit autrefois fortifiée ; mais elle n’a présentement qu’une
muraille en assez mauvais ordre. Vous sçavez que les Malatestes étoient autrefois
Seigneurs de plusieurs Places dans cette Province. Le pont de marbre, sur lequel il
paroît par deux Inscriptions fort bien conservées, qu’Auguste & Tibere l’ont fait
bâtir, & l’Arc Triomphal érigés pour Auguste, sont les deux principaux
monuments de cette ville. On y voit aussi les ruines d’un Amphitéâtre derriere le
jardin des Capucins, avec cette Inscription : Amphiteatri olim Sempronio Cos.
excitati reliquias indigitat Sen. Arim. Les murs de la Ville ont traversé le terrein
qu’il occupoit ; & à cinq cens pas plus loin hors de la Ville, il y a une Tour qui est
de brique qui étoit le Phare de l’ancien Port ; mais la mer s’est retirée à un demi
mille de cet endroit, & le Phare est présentement environné de jardins. Cette Tour
qui est de brique, a peu d’élevation, peu d’épaisseur ; ella a même des crenaux,
ce qui rend incroyable qu’elle soit la même qui servoit de Phare à l’ancien Port.
P. Malateste en 1451. acheva de détruire le Port, qui passoit pour un des plus
beaux d’Italie, pour bâtir l’Eglise de S.François des pieces de marbre qu’il en
enleva. Cette Eglise passeorit pour belle, si elle étoit achvée. On y garde une
N.Dame, qui ne sert qu’à faire venir ou à faire cesser la pluye quand il en fait ou
trop ou trop peu : jamais on ne lui demande rien qu’en l’une de ces deux
occasions. […] au milieu du marché, une maniere de piedestal de marbre, sur le
quel sont gravées ces paroles : Caïus Caesar Dict. Rubicone superato civili bel.
Commilit. suos hîc in foro Ar. allocutus. Et sur une autre face on voit l’année où
ce monument a eté réparé[…]
43
FANO
Fano est une assez jolie petite ville. Nous n’y avons rien vû de remarquable,
qu’un Arc de Triomphe . construit du tems d’Auguste, à ce qu’on prétend, &
duquel même les Inscriptions sont presque toutes effaccées. Cet Arc a toris portes,
au lieu que celui de Rimini est d’une suele arcade.
ANCONA
Cette ville est fondée sur un double côteau, à la pointe du promontoire, de
sorte qu’elle est un amphithéâtre. Elle est plus grande qu’aucune des quatre ou
cinq dernieres dont je vous ai parlé ; mais elle n’est pas beaucoup plus riche,
quelque bon que soit son port & quelque fertile que soit son païs. C’est une chose
surprenante, que la maniere dont le trafic s’est aneanti dans un lieu, qu’il avoit
autrefois rendu assez fameux. Il est vrai qu’après l’exemple d’Anvers, tien le
semblable ne nous doit étonner. Les rues d’Ancone sont étroites, & par
conséquent obscures ; il n’y a , ni fort belles maisons, ni belles Eglises, ni Places
considerables, & sa situation haute & basse, la rend tout-à-fait incommode. La
Citadelle que l’on voit en entrant sur la premiere hauteur, commande la ville & le
port ; & l’autre côteau qui fait la pointe due cap, est l’Eglise de S.Cyriaque.
L’Evêque fait sa résidence sur cette hauteur […] On voit à l’entrée du Mole un
Arc Triomphal de très-fin marbre blanc : Cest une précieuse antiquité. Cet Arc fut
érigé à Trajan par l’ordre du Sénat. L’Inscription qui s’y est conservée trèsparfaite, nous a appris que ce fut en reconnoissance de ce que ce Prince avoit
amelioré le Port de ses propres deniers.
44
Imp. Caes. Divi Nervae F. Nervae Trajano
Optimo Aug. Germanic. Dacio. Pont. Max.
Tr. Pot. XVIII. Imp. XI. Cos. VII. P.P.
Providentissimo Principi S.P.Q.R. Quod
Adcessum Italiae hoc etiam addito ex pecunia
sua portum tutiorem navigantibus reddiderit.
A droite.
A gauche.
Plotinae August.
Divinae Marcianae Aug.
Coniugi August.
Sorori Aug.
On nous disoit tantôt, comme nous considerions ce Monument, que je ne
sçai quels Moines l’avoient plusieurs fois demandé avec instance, pour en
employer les matériaux à quelque ouvrage de leur Couvent, & qu’il avoit enfin
fallu les chasser avec menaces, pour se délivrer de leur importunité. La Statue
Equestre de Trajan étoit placée sur le haut avec deux autres en pied. C’étoient
sans doute celles de Plotine & de Marciane. Elles ont subsisté, à ce qu’on dit,
jusq’au tems que les François ont pillé la Ville. On garde dans une grande sale le
pied & une partie de la jambe du cheval de Trajan. Ce fait est attesté par une
Inscription […]
Vol. III
RAVENNA
Ravenne n’a pu réparer le dommage qu’elle a souffert par les armes de
Loüis XII. Avant ce temps-là, on trouvoit encore quelques richesses, &
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particulierement dans les Eglises. Présentement, on n’y voit que de tristes restes,
tout y paroist pauvre & comme abandonné. Ses ruines ont pourtant quelque chose
de grand […] Proche de la porte qu’on appelle dorée, il y a quelques pieces de
Marbre, qu’on dit avoir esté du magnifique Palais de Theodoric. Il ne paroist plus
rien de l’Amphiteatre que ce Prince avoit basti ; non plus que de l’ancien Aqueduc
don parle Blondus. Pour estre bien informé de tout ce qui regarde l’ancienne &
fameuse Ville de Ravenne, il faut lire ce qu’en écrit Desiderius Spretus, & Jerôme
Rubeï.
CERVIA
Cervia est une Ville nouvelle, & un nom nouveau. Il n’y a pas encore longtemps qu’elle s’appelloit Phycocle […]
On y voit en passant un ancien Tombeau de marbre blanc, fait en pyramide,
& haut d’environ six pieds, sur lequel paroissent deux enfans en bas relief, qui
d’une main tiennent un flambeau allumé & tourné vers terre ; & qui soutiennent
une guirlande de l’autre main. Entre ces deux figures on lit à peine l’inscription
que voici, & dont je n’ay trouvé l’explication en aucun lieu : M. Aur. Mace. Vet.
Nat. Delin -ex sub. Opt. sibi & anno Victoriae liberatae Vivus posuit. Si quis
banc Arc. P. Ex. F.S.S.S.S.A.D.F.C.
RUBICONE
Il est certain que le Pisatello d’aujourd’huy est l’ancien RUBICON, & non
l’autre petite Riviere dont j’ay parlé. Personne n’ignore avec combien de severité
il estoit défendu, non seulement aux Officiers des Armées Romaines, mais aussi
aux simples Soldats de passer cette Riviere en habit d’armes, quand mesme
ç’auroit esté au retour de quelque Victoire. Ce fut cette defense qui arresta César,
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& qui le fit tant balancer au bord de ce ruisseau. EATUR, dit-il enfin, QUO
DEORUM OSTENTA, ET INIMICORUM INIQUITAS VOCAT : JACTA SIT
ALEA.
Famgelidas Caesar cursu superaverat Alpes,
Ingentesque animo motus, bellumque futurum
Caperat, ut ventum est parvi Rubiconis ad undas &c. Lucan. l. I.
RIMINI
Sur l’article de Rimini, j’ajoûteray seulement, pour la satisfaction du
Voyageur, les Inscriptions de l’ancien Pont, & de l’Arc Triomphal dont j’ay parlé.
Ce Pont est un des quatre principaux qu’Auguste avoit bastis sur la Via Flaminia,
il la joignoit à Rimini, avec la Via Emilia.
Casar Divi F. Augustus Pontifée Maxim.
Cos. XIIII. Imp. XX. Tribunitix Potestat.
XXXVII.P.P.
De l’autre costé
Ti. Caesar Divi Augusti F.Divi Juli N.
Augusti. Pontif. Maxim. Cos. IIII. Imp. VIII.
Trib. Potest. XVII. dedere.
Sur l’Arc Triomphal
Cos. Sept. Designat. Octavum. V. Celeberrimeis Italiae Vieis Consilio Senatus Pop. Ta. C.S.
US. Nileis.
Dans un autre endroït.
Im. Caesar Divi Jul. Fi. Augustus Pont.
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Max. Cos. XIII. Trib. Pot. XXVII. P.P. Murum dedit curante L. Turco Secundo Approniani Praef. Urbis Fi. Acteio. V.C. Corect. Flam.
& Piceni.
FANO
Fano aussi bien que Pesaro, fut détruite par Totila, & en suite réparée par
Bellisaire. Voici l’inscription, qui se voyoit sur l’Arc Triomphal.
Divo Augusto Pio Constantino Patri Domino. Q. Imp. Caesar Divi. F. Augustus.Pontifex
Max. Cos. XIII. Tribunal. Potest. XXXII.
Imp. Pater Patriae Murum dedit
Curante L. Turcio Secundo. Aproniani Praef.
Urb. Fil. Asterio. V. C. Corr. Flam. & Piceni.
SENIGALLIA
Senegallia est appellée Sena Gallorum, pour la distinguer de Sienne, qui
est Sena Hetruscorum. Une de montagnes voisines porte le nom d’Asdrubal, parce
que ce General (fils d’Amilcar & frere d’Annibal) fut tué proché de là, avec près
de soixante mille hommes de siens.
ANCONE
Ancone est ainsi nommée, à cause du coude ou du detour que fait son
rivage. Sur la hauteur de son promontoire, il y avoit autrefois un Temple dedié à
Venus.
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Ante Domum Veneris quam Dorica sustinet
Ancon. Juven.
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NOME DELL’AUTORE: JOHANNE MABILLON
TITOLO DELL’OPERA: MUSEUM ITALICUM
Un’altra una vera e propria relazione di viaggio è quella pubblicata a Parigi nel
1724 a firma di Johanne Mabillon2. Vi si trova la descrizione accurata dei
monumenti, in particolare l’autore, che scrive significativamente in latino, inclina
ad occuparsi soltanto di quelli antichi (con insistente attenzione per le epigrafi).
Erudito e paleografo francese, studiò all'università di Reims e pochi anni dopo
entrò nel seminario della città. Le opere di Mabillon Annales Ordinis sancti
Benedicti ab anno 480 ad annum 1157 e De re diplomatica libri sex posero i
fondamenti scientifici per lo studio della paleografia e della numismatica. Nel
1685 Mabillon partì per l'Italia insieme a Michel German e nei quindici mesi di
permanenza andò alla ricerca d'antichi manoscritti nelle più importanti biblioteche
italiane. Risultato di questo viaggio è l'opera Museum Italicum seu collectio
veterum scriptorum ex bibliothecis italicis (Paris, Martin-Boudot-Martin 168789), che contiene sia i documenti trovati da Mabillon che un'accurata ed erudita
descrizione dei monumenti presenti in Italia. Negli ultimi anni della sua vita si
recò a Tours e ad Angers per raccogliere documenti concernenti la sua opera più
rilevante - gli Annales de l'ordre de Saint Benoit - rimasta incompiuta.
Tome premier
RIMINI
Ariminum, urbs antiqua, veteri fama & conciliabulo ariminensi celebratur
[…] Supersunt Arimini duo praestantia antiquorum operum monumenta; nempe
2
Johanne Mabillon, Museum italicum, Parigi, 1724.
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Ravennam versus pons super flumen Ariminum, quod urbem alluit; & porta
vetustissima ex lapidibus quadratis, qua Pisaurum tenditur, in honorem Augusti
constructa; ut inscriptionis reliquiae docent. Pontis structura permagnifica est,
marmore undique decorata.
Arcubus quinque fluivii ripas conjungit, ad suburbium continuatus, ea latitudine,
ut praeter marginem ex utraque parte, duae quadrigae adverso cursu concitate se
se non impediant. Hunc pontem (quod litterae ab utraque sponda incisae testantur)
Augustus & Tiberius condidere […]
FANO
Fanum –fortunae, ubi reliquiae veteris arcus in honorem Augusti […]
ANCONA
Ad portum Anconis legitur inscriptio in honorem Trajani, qui ex pecunia
fua portum tutiorem navigantibus reddidit.
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NOME DELL’AUTORE: COLBERT JEAN-BAPTISTE MARQUIS DE
SEIGNALAY [1651-1690]
TITOLO DELL’OPERA: L'ITALIE EN 1671. RELATION D'UN VOYAGE
DU MARQUIS DE SEIGNELAY SUIVIE DE LETTRES INÉDITES À...ET
PRECEDÉE D'UNE ÉTUDE HISTORIQUE PAR PIERRE CLEMENT
Il marchese di Seignelay, entrò al servizio del cardinale Mazzarino, di cui
divenne l'amministratore personale delle finanze. Alla morte del cardinale, nel
1665, divenne controllore generale delle finanze del regno di Luigi XIV. La
politica economica di Colbert si basò sullo sviluppo delle attività industriali,
comprimendo i salari ed istituendo una serie di misure protezionistiche oltre che
d'incentivi agli investimenti nel settore. Nel 1667 fece redigere un codice di
procedura civile (Ordonnance civile) e al 1673 risale la pubblicazione del primo
codice moderno di commercio (Ordonnance du commerce). Molto importante fu
l'azione di Colbert in campo culturale: fondò nel 1664 l'Accademia di pittura e
scultura e nel 1671 quella di Architettura.
Al 1666 risale la costituzione dell'Accademia Francese a Roma, dove gli artisti
francesi trovarono il luogo ideale per conoscere e studiare l'arte italiana. In questo
contesto s'inserisce il viaggio di Colbert in Italia di cui rimane un'interessante
relazione in L'Italie en 1671. Relation d'un voyage du marquis de Seignelay suivie
de lettres inédites à...et precedée d'une étude historique par Pierre Clement
(Paris, Didier 1867). Il testo contiene le istruzioni che Colbert dà al figlio che va a
compiere l’ormai classico viaggio in Italia.
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Negli ultimi anni della sua vita l'influenza di Colbert presso Luigi XIV andò
diminuendo a favore del maggior peso politico assunto da Francois-Michel Le
Tellier, marchese di Louvois e segretario alla Guerra dal 1666.
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NOME DELL’AUTORE: CAYLUS ANNE CLAUDE PHLIPPE COMPTE DE
(1692-1765)
TITOLO DELL’OPERA: VOYAGE D’ITALIE 1714-1715
Caylus fu un personaggio di primo piano in Francia e in Europa tra il 1714 e
il 1765. La passione per le arti e le lettere lo portò ad abbandonare la carriera
militare e dedicarsi ai viaggi per approfondire la sua ricerca di oggetti antichi. Il
rigore e la scientificità con cui il conte Caylus condusse le sue ricerche, ne fanno a
tutti gli effetti uno dei padri dell'archeologia. Molto importante si rivelò per i suoi
studi sull'antichità il viaggio compiuto da Caylus in Italia nel 1714, di cui si ha
un'ampia testimonianza nell'opera Voyage d'Italie 1714-1715 (Paris, Fischbacher,
1914). L'opera si presenta sotto forma di diario ed è ricca di annotazioni e
osservazioni sulle città più importanti d'Italia. Fondamentale fu l'apporto del conte
di Caylus nella diffusione dello stile 'alla greca', corrente artistica che segnò la
transizione dal rococò al neoclassico. La sua opera Recueil d'antiquités
égyptiennes, étrusques, grecques et romaines... in 7 volumi illustrati, fu per pittori
come Joseph-Marie Vien o Louis-Joseph Le Lorrain una ricca fonte cui attingere.
Molto importante fu il rapporto tra Caylus e il pittore Watteau, nel cui laboratorio
il conte compì il suo apprendistato come incisore. Il ruolo di mecenate sostenuto
da Caylus nella Parigi del Settecento è testimoniato dalla sua elezione a membro
onorario dell'Académie Royale de Peinture et de Sculpture, e in seguito
dell'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, dove promosse la fondazione di
una borsa per un premio letterario dedicato allo studio dei popoli antichi.
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RAVENNE
Pour y entrer je le passai sur un pont de brique. Ravenne est un archevêché ;
la ville est assez grande, pauvre, déserte, pas bien bâtie : il y a cependant qeulques
maisons qui portent le nom de palais. Elle est entourée d’une simple muraille
délabrée en quelques endroits. On y trouve quelques pans de murs dont
l’épaisseur et la construction m’on fait croire qu’ils estoient des Romains. […]
Le Dôme ressemble à ces halles de nos villages de France. Un pavé de mosaïque
tout rompu, deux rangs de colonnes antiques de chaque côté d’inégal grandeur, la
porte de bois dont les planches hautes de quatorze à quinze pieds, larges de six à
huit pouces et épaisses de deux, un chœur dont le le plafond est d’ancienne
mosaïque, volà le Dôme de Ravenne. […]
RIMINI
Rimini, autrefois Ariminum comme je l’ai vu par plusieurs monuments, est
une petite ville ayant l’air pauvre et je crois l’estand en effet, mal bâtie et encore
plus mal pavée. Un vieux mur tombant en lambeaux en fait l’enceinte. Un château
gothique délabré et soutenant mal le titre pompeux de fotreresse qu’on lui donne
dans la ville, fait la force de lieu.
Auprès de ce redoutable château est le Dôme, sans façade ; ce bâtiment moderne
n’a de remarquable que son autel à l’envers, comme celui de Ravenne. Rimini est
un évêché. L’eglise de S.Francesco bâtie par Sigismond Malatesta en 1450 a le
commencement d’un portail élevé jusques au premier ordre de bon goût et riche.
Le dedans de l’église peut estre fini jusques un peu plus de la moitié : ce qu’il y a
de fait n’est pas laid ; le tout eut esté beau. Le côtés extérieurs sont
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extraordinariers : ce sont sept grands portiques dont la base est élevée aux
environs de deux toises de terre. Dans chacun il y a un tombeau de pierre d’égale
construction, ce qui fait un coup d’œil pas commun. - Auprès de ces tombeaux il y
a une grande inscritpion grecque. - Le côté de la maison des moines a les sept
protiques, mais point de tombeau […] Derrière, sur le mur de la maison du
gouverneur, on lit cette inscription :
« C. Caesar. August. F. Cos. Vias omnes Arimni ster »
Sur une autre place, on lit sur un piédistal bien distinctement ces paroles :
« Caio Caesar dict., Rubicone superato, civili bello commilitones suos hic, in foro
Ar. adlocut”.
Et derrière, messieurs de Rimini ont écrit l’année où ils ont un peu réparé le
monument.
Il y en a d’autres dans cette ville dont je vais parler. Sur la Marecchia, petite
rivière qui arrosse la ville, est un pont de cinq arches de marbre ou plutôt de pierre
dure. Il m’a paru que l’on a un peu travaillé à la première en entrant dans la ville.
Il paroît par deux inscriptions bien écrites, un surtout, que ce pont a esté construit
par Auguste et Tibère.
A l’autre bout de la ville il y a un Arc de triomphe n’ayant qu’une porte et deux
colonnes de chaque côté, d’ordre corinthien ainsi que tout le bâtiment. Le coté de
la campagne et plus entier que celui de la ville ; les colonnes y ayant leur
chapiteau on y lit distinctement des mots entiers, mais les commencemens estant
détruits, je n’y ai rien pu comprendre. Au milieu et de chaque côté est une tête de
taureau et dans deux médaillons un teste de jeune homme et une de vieillard, ce
dernier toujours à droite. Le haut de cet édifice est cuouvert de brique et forme
une espèce de tour avec des créneaux pour le conserver. On passe dessous pour
sortir de la ville.
56
Je fus aux Capucins, conduit par l’espérance d’y trouver un amphithéâtre, mais à
pein en vis-je l’ombre. Dans les murs de la ville je vis deux portiques et une
colonne soutenant un ceintre, le tout de brique et renouvelé, avec cette
inscription :
« Amphiteatri Olimp. Sempronio Cos. excitati reliquias indigitat. sen. Ar.”
avec un bas-relief en bas. Il n’est pas estonnant qu’il ne reste plus rien de ce
monument, les murs de la ville s’estant trouvés passer dedans le terrain qu’il
occupoit dans le temps des fortifications gothiques.
Il y avoit autrefois un port, il n’en reste plus nul vestige : la mer s’est retirée
d’environ un demi-mille. Le terrain qu’elle occupoit est fertile, plein de jardins.
Une tour que l’on montre et que plusieurs ont écrit estre le phare, n’a nulle
apparence ; celle qui reste est de peu d’élévation, mince, de brique, ayant encore
des créneaux. Enfin elle a esté bâtie dans le temps de l’ignorance de tout : il se
peut qu’elle soit à la place de l’ancienne.
CATTOLICA
[…] Je fis sur le bord de la mer quinze milles, suivant de temps en temps un
chemin ferré fait en chaussée que je crois avoir esté fait par le Romains…..
FANO
Un reste d’arc de triomphe de pierre est tout ce qu’il y a de digne de la
curiosité. Il est peu épais, assez simple, ayant trois portes ; les deux petites en sont
bouchées. On lit assez aisément les inscriptions et l’on apprend qu’il a esté fait
sous le regne d’Auguste. Il y avoit un ordre de colonnes en portique dessus le
ceintre de la voûte, on en voit encore quelques restes et l’on voit avec plaisir ce
57
qu’estoit l’édifice en entier, par un bas-relief en petit fait sur le mur de la petite
église de Saint-Michel qui touche le bâtiment. Le proportions m’ont paru
observées dans cette jolie copie ; on y lit aussi les inscriptions don il n’en reste
plus que deux sur l’original.[…]
ANCONA
En y entrant, l’on passe au pied d’une citadelle qui commande la ville et la
mer. Elle n’est pas mal fortifiée, elle se trouve entre cette hauteur et celle de
Saint-Ciriaque. Elle est petite ; les rues vilaines, estroites, et son terrain montueux,
m’en déplaisent […] Ce mont tire son nom de ce saint, autrefois évêque du lieu et
qui est patron du Dôme qui est sur cette hauteur. […] L’on dit qui’il y a un port à
Ancône, mais je ne l’ai pu trouver : [je n’ai vu] qu’une jetée ou mur assez mince
qui va dans la mer en faisant un demi-cercle au bout duquel est un fortin ou
redoute dans le goût gothique […]
C’est en cet endroit que se trouve une des plus belles antiquités que l’on
puisse voir. Au commencement du môle dont j’ai parlé qui forme le port et qui
s’élève peut estre de vingt-cinq à trente pieds, l’on trouve un Arc de triomphe bien
conservé, tout entier de mrabre blanc. Il n’y a qu’une seule voûte et les deux côtés
sont égaux : deux colonnes de chaque côté s’y voyent ; toutes les moulures sont
conservées. L’on voit les marques où dans l’entre-deux des colonnes estoient
attachés des ornements fait en festons ou guirlandes de bronze. Le côté de la mer
est le plus parfait, celui de la ville est un peu plus usé ; c’est celui qui a les
inscriptions [suivantes] :
Imp. Caes. divi Nervae F. Nervae Traiano optimo Aug.
Germanic. Dacio Pont. Max. Tr. Pot. XVIII. Imp. XI
58
Cos. VII. P. P.. Providentissimo Principi S.P.Q.R. Quod adcessum Italiae hoc
etiam addito ex pecunia sua portum tutiorem navigantibus reddiderit.
Au-dessous des colonnes:
A droite:
PLOTINAE AUGUST.
CONJUGI AUGUST.
A gauche :
DIVAE MARCIANAE AUG.
SORORI AUG.
J’ai mesuré un des morceaux de marbre que j’ai trouvé. Il fait l’épaisseur du
portique et la hauteur du piédestal avec les ornemens en dehors de chaque côté. Il
a douze pieds et demie et un pouce de long sur cinq et demi de hauteur et trois
pieds et demi et deux pouces d’épaisseur.L’on dit que sur le haut estoient une
statue équestre de Trajan et deux en pied, apparemment des deux femmes
mentionnées dans l’inscription, que le tout estoit de bronze et que cela a demeuré
jusqu’au temps où les François ont pillé Ancône et brisé par avarice les précieuse
antiques. Si cela est, j’en veux grand mal à ma nation ! En dedans la voûte, j’ai
remrqué cinq entailles faites dans le marbre, à la hateur d’un homme, de
différentes grandeurs, dans lesquelles apparemment estoient des lames de bronze
qui servoient de mesures. On voit encore le morceaux de fer qui les attachoient au
marbre. Tout ce qui s’élève depuis le bas du portique jusques au haut est de
marbre fin et blanc come s’il venoit d’estre travaillé. Le fondement, qui est
appuyé par les murs de brique qui forment le môle, est de marbre moins fins mais
beau. Enfin c’est un beau monument et bien conservé ; on y voit jusques à la plus
petite moulure. Du côté de la mer la ville est bien forte, mais jamais une place
n’est prise par là. Les même hauteurs qui en font la force da ce côté, sont
commandées du côte de terre. Il y a quantité de canons. La ville est en
59
amphithéâtre. Il peut avori mille Juifs ou environ qui sont tous riches ; il n’en est
pas de même des autres habitants de la ville où le pape tient un gouverneur ainsi
qu’à Pesaro, Fano et Senigaglia,et les places où il n’a pas de légat. […]
60
NOME DELL’AUTORE: ADDISON JOSEPH [ 1672 - 1719 ]
TITOLO DELL’OPERA: REMARKS ON SEVERAL PARTS OF ITALY
Joseph Addison prima ancora di essere un viaggiatore fu un noto saggista, un
poeta, un uomo di stato nonché fondatore del giornalismo letterario in Inghilterra
(«The Tatler»; «The Spectator»). Lasciò l'Inghilterra nel 1699. Fu prima a Parigi
poi, per quasi un anno, a Blois. Durante la sua prolungata permanenza in Francia
apprese la lingua francese e conobbe alcuni dei maggiori esponenti del mondo
culturale parigino come il filosofo Nicolas Malebranche (1638-1715) e il poeta e
critico Nicolas Boileau (1636-1711) storiografo alla corte di Luigi XIV.
Nel 1700 ebbe inizio il suo viaggio in Italia che lo portò a Savona, Genova,
Milano, Venezia, San Marino, Roma, Napoli, Capri, Ostia e Firenze. Raggiunse
Genova nel 1701 per imbarcarsi nuovamente e far ritorno in Francia. Dopo alcune
tappe a Vienna, ad Amburgo e in Olanda fece rientro definitivamente in
Inghilterra, nel 1703. Il resoconto del viaggio in Italia Remarks on several parts of
Italy, & c. in the years 1701, 1702, 1703, pubblicato a Londra nel 1705, mise in
evidenza il forte contrasto esistente tra il passato, fatto di splendore culturale, ed il
presente fortemente condizionato da un immobilismo culturale e politico. Suscitò
nell'Addison grande ammirazione il porto di Livorno divenuto meta irrinunciabile
per le navi mercantili inglesi. La meraviglia nel constatarne l'efficienza e le
potenzialità per il commercio e il profitto costituiscono una chiara testimonianza
della crescente importanza del porto tirrenico.
Joseph Addison è fermamente convinto che non esiste luogo al mondo dove un
viaggiatore possa trovare tanta ricchezza e stimoli quanti in Italia: dalla natura alle
61
collezioni, dalla musica ai gabinetti d'arte, dalla letteratura alle antichità. Intende
descrivere i luoghi partendo da ciò che di quei luoghi hanno detto i classici, le
fonti; desidera evitare i luoghi comuni ed individuare percorsi e strade nuove alla
scoperta di questo paese.
RIMINI
From Ravenna I came to Rimini having pass’d the Rubicon by the way.
This River is not so very contemptible as it is generally represented and was much
increas’d bu the meltin of the Snows When Caesar pass’d it, according to Lucan.
Fonte cadit modico parvisque impellitur
undis
Puniceus Rubicon, cum fervida canduit
aestas:
Perque imas serpit valles, & Gallica
certus
Limes ab Ausoniis disterminat arva colonis:
Tunc vires praebebat Hyems, atque auxerat undas
Tertia jam gravido pluvialis Cyathia
cornia
Et madida Euri resoluate slatibus Alpes.
L. I.
62
While Summer lasts, the Streams of
Rubicon
From their spent Source in a small
Current run,
Hid in the winding Vales they gently
glide,
And Italy from neighb’ring Gaul divid:
But now, with Winter Storms encreas’d,
They rofe,
By wat’ry Moons produc’d, and Alpine
Snows,
That melting on the hoary Mountain
lay,
And in warm Eastern Winds dissov’d
away.
This River is now call’d Pisatello.
Rimini has nothing at present to boast of. Its Antiquities are as follow: A
Marble Bridge of Five Arches built buy Augustus and Tiberius, for the Inscription
is still legible, tho’ not rightly transcrib’d by Gruter. A Triumphal Arch rais’d to
Augustus, that makes a Noble Gate to the Town, tho’ part of it is ruin’d. The
Ruins of an Amphitheater. The Suggestum, on which it is said that Julius Caesar
harangu’d his Army after having pass’d the Rubicon. I must confess I can by no
means look on this last as Authentick: It is built of hewn Stone, like Pedestal of a
Pillar, but something higher than ordinary, and is but just broad enough for one
Man to stand upon it. On the contrary, the ancient Suggestiums, as I have often
63
observ’d on Medals, as well as on Constantine’s Arch, were made of Wood like a
little kind of Stage, or Bulk of a Shop, for the Heads of the Nails are sometimes
represented, that are suppos’d to have fasten’d the Boards together. We often see
on ‘em the Emperor, and Two or Three General Officers, sometimes fitting and
sometimes standing, as they made Specches, or distributed a Congiary to the
Soldiers or People. They were probably always in readiness, and carry’d among
the Baggage of the Army, whereas this at Rimini must have been built or the
Place, and requir’d some time before it could be finish’d.
If the Observation I have here made is just, it may serve as a Confirmation
to the Learned Fabretti’s Conjecture on Trajan’s Pillar; who supposes, I think,
with a great deal of Reason, that the Camps, Intrenchments, and other Works of
the same Nature, which are cut out as if they had been made of Brick or hewn
Stone, were in reality only of Earth, Turf, or the like Materials; for there are on
the Pillar some of these Suggestums that are made like those on Medals, with only
this difference, that they seem built of Brick or Free-Stone.
ANCONA
From Rimini to Loreto the Towns of Note are Pesaro, Fano, Senigallia
and Ancona. Fano receiv’d its Name from the Temple of Fortune that stood in it.
One may still see the Triumphal Arch that was there erected to Augustus: It is
indeed very much defac’d by Time, but the Plan of it, as it stood entire with all its
Inscriptions, is neatly cut upon the Wall of a neighbouring Building […]
Ancona is much the most considerable of these Towns. It stands on a
Promontory, and looks more beautiful at a distance than when you are in it. The
Port was made by Trajan, for which he has a Triumphal Arch erected to him by
64
the Sea-side. The Marble of this Arch looks very white and fresh, as being
expos’d to the Winds and Salt Sea-Vapours, that by continually fretting it
preserves it self from that mouldy Colour, which others of the same Matter have
contracted. Tho’ the Italians and Voyage-Writers call these of Rimini, Fano and
Ancona Triumphal Arches, there was probably some Distinction made among the
Romans between such Honorary Arches erected to Emperors, and those that were
rais’d to ‘em on the Account of a Victory which are properly Triumphal Arches.
This at Ancona was an Instance of Gratitude to Trajan for the Port he had made
there, as the Two others I have mention’d were probably for some Reasion of the
same Nature. One may however observe the Wisdom of the ancient Romans, that
to encourage their Emperors in their Inlination of doing good to their Country,
gave the same Honours to the great Actions of Peace, which turn’d to the
Advantage of the Publick, as to those of War. This is very remarkable in the
Medals that were stamp’d on the same Occasions. I remember to have seen one of
Galba’s with a Triumphal Arch on the Reverse, that was made by the Senate’s
Order for his having remitted a Tax. R. XXXX. REMISSA. S.C. The Medal
which was made for Trajan in Remembrance of his Beneficence to Ancona is very
common. The Reverse has on it a Port with a Chain running a crofs it, and
betwixt’em both a Boat with this Inscription, S.P.Q.R. OPTIMO PRINCIPI. S.C.
65
NOME DELL’AUTORE: ROBERT DE COTTE
TITOLO DELL’OPERA : LE VOYAGE EN ITALIE
Nato a Parigi nel 1656, Robert de Cotte, è figlio e nipote di architetti e nel
1687 entra a far parte dell’Accademia Reale di Architettura. L’anno seguente gli
viene affidato il progetto del peristilio del Trianon, nella sua qualità di braccio
destro del primo architetto di corte. Egli, infine, gli succede nel 1734, quando
diviene a sua volta primo architetto del re. Quanto al suo viaggio di studio in
Italia, e alla relazione che ne seguì, il fatto che sia così poco conosciuta è
probabilmente imputabile alla mediocrità della stessa (il manoscritto inedito e i
disegni di Robert de Cotte sono conservati a Parigi presso la Biblioteca
nazionale). Il suo manoscritto ha subito il disprezzo di tanta critica “On garde,
après avoir lu ses petits pages couverts d’un écriture serrée, l’impression qu’il
accomplit sagement un exercice scolaire, mais qu’il n’a pas ardemment désiré voir
l’Italie et qu’il ne subit pas le charme de Florence et de Rome […] »
ANCONA
Nous allons coucher le lundi à Enconne qui est un port de mer, à 15 mil.
J’allé visiter le port, qui n’est poin fermé, mais ayant un molle qui advence dans la
mer aveq un fort au bout pour défendre les petits vaisseau [et] barque qui vien
mouiller et ce mettre à couvert. Je vis un arc de triomphe entique contrui de
marbre que l’on dresa pour Trajan3. J’en est fait un deseins pour mémoir mais
cette ouvrage n’est pas d’un grande remarque. Dans la ville, l’église des
Cordellier, un tableau du Titien. Sur la porte de la ville, un fragment d’arc entique.
3
Arc de Trajan, attribué à Apollodore de Damas (peu après 115), légèrement restauré en 1667.
66
Nous partisme le grand matin pour aler dîné à Seneglia, petit ville sur le
bord de la mer. Elle est fortifier. L’on voit une Décente de croix du Baroche. / Ce
mesme jour j’allé couché à Fano, peti ville à 15 mil de Seneglia. Dans l’église du
dosme, une chapelle peinte par le Dominiquain mais mal décoré4. A Sant Pier, où
il y a de Per de l’Oratoire : cette esglise est petite mais assez belle, en ayant fait un
plan; il ya des tableau du Guide et Guerchin et de bon maistre. L’on voit ausy un
reste d’arc antique dont ce qui reste donne des marque que ce n’estoit pas grand
chose.
Le 14 dîné à Catolica, petit bourg, et allé coucher à la ville de Rimini où
l’on voit à l’entré un petit arc antique5 […]
4
Cathédrale du XII siècle, trés remaniéè au cours des siècles suivants ; la chapelle Nolfi est décorée de seize fresques
du Dominiquin (1612).
5
Arc d’Auguste (an 2 de notre ère), plutôt une porte d’entrée de la ville à l’issue de la route qui la reliait à la via
Flaminia.
67
NOME DELL’AUTORE: LORENZO MASCHERONI
TITOLO DELL’OPERA: INVITO A LESBIA
Il Mascheroni fu professore a Pavia dal 1786 al 1797, e due volte rettore,
negli anni 1789-90 e 1793-94: splendidissimo lume di quella Università, il brutto
abate, il goffo maestro di seminario, il Misogino, com’egli firmava alcune lettere,
divenne il professore-abate più ricercato ne’salotti pavesi. Il Mascheroni era stato
preceduto a Pavia da Aurelio Bertòla, che dal 1784 al 1793 vi insegnò storia
universale. La venuta del gentil Riminese avea determinato a Pavia un certo
risveglio letterario, e fatto rifiorire l’Accademia degli Affidati, che, sorta nel
1562, dormicchiava da un pezzo. Il Bertòla ne fu eletto principe nel 1785, e vi
fece entrare il Parini, l’Amaduzzi, il Godard, il Pompei, Ippolito Pindemonte, il
Tiraboschi e altri. Fin dal 1785 il Mascheroni aveva diretto alla contessa Paolina
Secco Suardo Grismondi di Bergamo (1748-1801), poetessa allora famosa, nota
col nome di Lesbia Cidonia, il sonetto Vieni, e consola del Tesin la sponda,
invitandola a Pavia. Apparve strano che, invitando Lesbia a Pavia, il Mascheroni
non cercasse di allettare la gentile visitatrice, accennando, sia pur sobriamente,
gl’insigni ricordi storici e i monumenti d’arte in quella città. Né mancava il culto
dell’arte al nostro Poeta. Il quale, come ci fa sapere il Fantoni, “desideroso di
esaminare dappresso i grandiosi monumenti architettonici lasciati dalla romana
potenza in Rimini, in Fano, in Ancona, in Roma, in Napoli, e quelli che, al
risorgimento delle belle arti, inalzarono Giotto, il Brunelleschi, il Bramante e
Michelangelo…; intraprese, coi professori Gregorio Fontana, Cesare Baldinotti e
Giuseppe Mangili, nell’autunno del 1791, per le Legazioni, le Marche, gli Abruzi,
il viaggio di Napoli e Roma.
68
NOME DELL’AUTORE : JACQUES-NICOLAS BELLIN (1703-1772)
TITOLO DELL’OPERA : DESCRIPTION GEOGRAPHIQUE DU GOLFE DE
VENISE ET DE LA MOREE
Cartografo, idrografo, nato a Parigi nel 1703 e morto a Versilles il 21 marzo
1772). Nel 1721 Bellin è nominato idrografo dal ministro della marina in seguito
alla creazione dell’ufficio idrografico francese e del deposito di carte e piante
della marina. Membro de l’Académie de Marine e della Royal Society of London.
E’ autore di numerossime carte. Fondatore dell’idrografia francese.
ANCONA
Il ya sur la jetté du port & à l’entreè du môle, un arc de triomphe de beau
marbre blanc, qui a été érigé en l’honneur de Trajan, l’an cent douze de JésusChrist : cet arc est le mieux conservé qu’il y ait en Italie. A quelque distance de
cet arc de triomphe, on voit un autre arc moderne.
RIMINI
Rimini est à une lieu de la riviere d’Amarano ; c’est une ancienne ville,
autrefois Colonie Romaine, aujourd’hui dépendante de l’Etat Ecclésiastique : son
nom latin est Ariminum : elle est située à l’embouschure de la riviere de
Marechia. Cette ville a été beaucoup plus considérable qu’elle n’est ; elle étoit
bien forifiée : il y avoit un port qui passoit pour un des plus beaux de l’Italie ; mai
la mer sétant retirée, le port a été détruit, & l’on a bâti une Eglise des pieces de
marbre qui en ont été enlevées, de sorte qu’il ne reste qu’une espece de petit port,
lù il ne se fait que très peu de commerce, car il n’y peut aborder que des barques
de pêcheurs ; ce sont les atterrissements de la Marechia qui l’ont rendu
69
impraticable depuis une quinzaine d’années, par la quantité de graviers & de
galets qu’elle amene des montagnes.
RAVENNA
Ravenne est une ville qui contient quatroze mille ames : elle est grande,
ancienne & célebre, située à soixante & trois lieues au nord de Rome, & à vigtsept lieues au midi de Venise.
Strabon dit que Ravenne fut fondée par le Thessaliens, anciens peuples de
Grece, qui envoyerent, comme beaucoup d’autres, des Colonies sur le côtes de la
Mer Adriatique. Les Sabins l’occuperent ensuite, comme le dit Pline en parlant de
la huitieme Région de l’Italie. Ravenne avoit un beau & vaste port, où l’Empereur
Auguste tenoit les flottes de la Mer Adriatique. Les villes de Cesarea & de
Classis, qui en étoient tout proche, contribuoient aussi à la sureté du port & aux
richesses de cette côte ; mais les atterrissements qui ont comblé ce port, ont
couvert les bâtiments superbes qui y étoient, dont on trouve souvent sous terre des
vestiges considérables. On reconnôit encore la situation du phare qui servoit à
guider le vaisseaux. De sorte que Ravenne est aujourd’hui à une grande lieues de
la mer : ainsi la Martiniere se trompe lorsqu’il dit qu’elle se trouve présentement à
sept lieues de la mer […]
ZARA
Cette ville a été Colonie Romaine, & beaucoup plus grande & plus peuplée
qu’elle n’est aujourd’hui ; & comme l’eau y manquoit, n’y ayant à présent que des
citernes, les Empereurs firent construire un aqueduc qui amenot l’eau de très loin,
& donti il reste encore quelques ruines. Du côté du canal, dans toute la longueur
de la ville, il regne un platin de roches que la mer couvre, & qui empêche les
vaisseaux d’approcher des murailles […]
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SPALATO
On voit dans Spalato des marques de son ancienne splendeur, sur-tout les
restes du palais que l’Empereur Dioclétien y avoit fait construire pour se retirer
lorsqu’il abandonna l’Empire ; ce Prince le fit bâtir l’an de grace 304. Ses
murailles, qui embrassent les deux tiers de la ville, sont presque tout entieres. On
a fait l’eglise cathédrale d’un temple qui étoit renfermé dans l’intérieur du palais
[…]
71
NOME DELL’AUTORE: LA ROCHE (1726-1798)
TITOLO DELL’OPERA: VOYAGE D'UN AMATEUR DES ARTS EN
FLANDRE, DANS LES PAYS-BAS, EN HOLLANDE, EN FRANCE, EN
SAVOYE, EN ITALIE, EN SUISSE, FAIT DANS LES ANNÉES 1775-76-77-78
ANCONA
[…] On voit sur l’ancient Mole, un Arc de triomphe construit de très-gros
blocs de marbre, érigé l’an 112 de J.C. à l’honneur de Trajan, de Plotine sa femme
& de Martiana sa sœur. Le Statues, les Trophèes, les Inscriptions & autres
ornemens en bronze en ont été enlevés. On y voit encore quelqus Bas-reliefs, qui,
étant pris dans la masse, n’ont pu être déplacés. Cet Arc est bien conservé ; la
composition en est simple, mais noble : Aux deux côtés de l’Arcade sont deux
Colonnes élevées sur leurs piédestaux ; l’entablement profile sur chacune d’elles ;
cette ordonnance est corynthienne. Un attique, dans lequel est encadrée la
principale Inscription, couronne très-bien cet édifice ; auquel cependant on peut
reprocher un pue de maigreur dans ses masses, & quelques innovations dans le
placement des moulures, qui réussisent mal.
[…] L’Eglise de St. Syriaque, du côté de l’art, n’offre rien digne de remarque ; les
deux Colonnes, & les deux Lions antiques que l’on prise beaucoup sur les lieux,
& qui entrent dans la décoration du grand Portail, sont au moins médiocres : le
vaisseau est intérieurement triste & d’un mauvais plan…mais la vue dont ce
plateau fait jouir, est très-étendue & très-variée..
72
FANO
La petite Ville de FANO, est agréablement située ; on y remarque quelques
jolis bâtimens, qui annoncent une certaine aisance. Le grand chemin fait passer
sous un Arc de triomphe, construit en marbre, originairement érigé à l’honneur
d’Auguste. Il est vraisemblable que le temps, ou quelqu’accident particulier, en
avront détruit la partie supérieure sur laquelle on aura élevé celle que l’on y voit
aujourd’hui : Cette reconstruction a son époque vers les premières années du
règne de Constantin, à qui elle fut dédiée. La première composition porte
l’empreinte du meileeur goût ; la seconde est, on ne peut pas plus mauvaise ; elle
caractérise l’extrême décadence où les arts étoient tombés alors.
On fait voir contre le mur d’une petite Eglise qui tient à cet arc, le dessein sculpté
en relief, de cet édifice, tel qu’il étoit autrefois : ce coup d’œil est bientôt donné.
RIMINI
[…] L’Arc de Triomphe élevé par Tibère, à l’honneur & sous le règne
d’Auguste, est le premiere monument que l’on apperçoit en entrant dans la Ville ;
le grand chemin le traverse. Il est fort dégradé, & l’on ne peut juger que
difficilement de sa première intention ; les réparations, les additions qui y ont été
successivement faites & dans différens siècles, sont autant de mêlanges sensibles
de bonnes, de médiocres & de très-mauvaises parties. Le fronton qui couronne
l’avant-corps n’entroit point dans la première composition, mais il ne fait pas mal.
Les deux médaillons (que l’on croit représenter Jupiter & Junon) répétés de l’un
& de l’autre côté de l’arc, sont peu d’effet, s’aggraffent mal, & cependant
73
appartiennent à l’ancient dessein : en général, le grand Arc est d’une proportion
mâle & belle ; mais cette partie est la seule que l’on puisse applaudir.
Cette même rue traverse, à peu de distance de l’Arc, une PLACE assez vaste,
assez réguilière, mais peu décorée : elle est remarquable par un Piédestal antique,
le même (du moins l’Inscription & la tradition le disent ainsi) sur lequel Cézar
harangua son armée, lorsqu’il passa le Rubicon.
[…] Le Portail de l’Eglise de St. François est moderne, mais il n’est vaut pas
mieux ; aussi n’est-ce point lui que nous avons intention d’indiquer ici ; mais
bien, la disposition de sept Tombeaux antiques, placés sous autant d’Arcades, qui
closent cette Eglise par la droite, en longeant une assez belle rue, Toute cette
composition est excellente dans son genre : le soubassement su lequel ces Arcs &
ces Tombeaux sont élevés, est d’un caractère mâle & sérieux : il contribue pour
beaucoup à répandre sur toute cette masse un ton vraiment sépulcral. Toute cette
façade, ainsi qu’une partie de l’Eglise, est construite en marbre, qu l’on assure
avoir été enlevé du bassin qui circonserivoit le Port, & des ornemens qui
l’enrichissoient. Les amateurs de Ruines antiques, trouveront près du Jardin des
Capucins de gros matonages que l’on croit avoir fait partie d’un Amphithéatre.
Assez près de ces ruines, sur la droite, se voyent les restes du Phare de l’ancient
Port : c’est une tour construite en briques, aujour’hui éloignée de la mer de près
d’un mille.
[…] On traverse la Marecchia en sortant de Rimini sur un MAGNIFIQUE
PONT : il est construit en marbre & composé de cinq arches d’une égale
largeur.. »C’est un des plus beaux & de mieux conservés de tous ceux qui restent
des anciens. Le style en est grand & sublime, les bandeaux des arcs sont fiers ; on
remarque sur les clefs des couronnes & des vases sculpté ; la corniche est
admirable par le ton mâle & l’élégance des profils, &c. »
74
RAVENNA
Ravenne, dont le Port, suos le règne d’Auguste, étoit si fréquenté, si célèbre,
se trouve aujord’hui éloigné de prés de trois milles des bords de la mer : Les
ruines du Phare qui servoit à l’éclairer, se voyent des monumens publics dont les
Empereurs ne cesserent d’enbellir cette ville : quelques débris du Palais de
Théodoric, indiquent seulement l’emplacement où il fut élevé ; de longuers
guerres, & le temps, ont tout dévasté, tout détruit. Cette Ville dans son ètat actuel
rassemble quinze à seize mille habitans ; on y remarque quelques belles Rues,
bein bâties, mais silencieuses & sans mouvement.
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NOME DELL’AUTORE: DUCOS BASILE JOSEPH [1767-1836]
TITOLO DELL’OPERA: ITINERAIRE ET SUOUVENIRS D’UN VOYAGE
EN ITALIE EN 1819 ET 1820
RIMINI
On entre à Rimini, l’antique Ariminum, par un beau pont de marbre blanc,
jeté sur la Marcochia, et d’une conservation parfaite. Il date des règnes d’Auguste
et de Tibère. De ses cinq arches, quatre sont à plein cintre : celle du milieu est un
peu moins arquée. Les assises des parapets se composent de blocs à peine
dégrossis. On n’a taillé avec quelque soin, que celui destiné à recevoir
l’inscription qui relate l’origine de ce monument. Au milieu, finit la voie
émilienne, et commence celle qui conduit de Rimini à Rome. Le conusl Flaminius
la fit paver en l’an 533. Elle en garda le nom de voie flaminienne. Un arc
triomphal, consacrè à Auguste, décore son entrée […]
Dans une des parties latèrales du marché, on voit une pierre antique, taillé
en forme de piédestal, et posée sur un socle moderne. Elle passe pour avoir servi
de tribune à Jules César, lorsqu’il harangua ses soldats après le passage du
Rubicon. Les traces d’une inscription dont quelques lettres sont à peine lisibles, ne
suffisent point pour confirmer cette tradition historique […]
FANO
[…] se nommait Fanum Fortunae, temple de la Fortune. Elle est arrosée
par le Métaure, et renferme quelques antiquités.
[…] Enfin, les restes d’un arc consacré à Auguste, terminent une des
avenues qui conduisent à la ville. On n’aurait eu, d’après ces ruines, qu’une idée
76
imparfaite du monument auquel elles appartiennent. L’ensemble en a èté dessiné ;
et pour satisfaire la curiosité des amateurs, les habitans de Fano en ont fait tracer
l’épure en plâtre, sur un mur voisin. La partie inférieure était percée de trois portes
également espacées. Dans le haut, il y avait sept arcs semblables à ceux d’un
aqueduc. Cette composition a de la lourdeur, et manque de régularité dans son
ordonnance.
ANCONE
Ancône, bâtie sur le penchant d’un coteau escarpé, est exposèe au nord […]
Sur le quai qui conduit au môle s’élèvent deux arcs triomphaux, l’un consacré à
l’empereur Trajan, l’autre au pape Benoît XIV : celui-là, remarquable par sa
forme élégante et légère, celui-ci par la noble simplicité de sa coupe. Le second
est dépourvu d’ornemens. Dans le premier, ils avaient été prodigués si l’on en
juge par les pierres déchirées dont on les a probablement arrachés, et où des
portions d’agrafes demeurent suspendues à des restes de scellemens. Ces
monumens qui se touchent presque, n’ont dans leur position respective aucune
symétrie. Placés comme au hasard, ils se nuisent par leur voisinage. Toutefois
cette circonstance aide à étudier en eux, la décadence ou les progrès de l’art, à
l’époque de leur construction. On se plaît non-seulement à les comparer dans leur
ensemble et dans leurs détails, mais encore à rapprocher les hommes célèbres en
l’honneur desquels ils ont été érigés […]
77
NOME DELL’AUTORE : RICHARD JEROME [1720-1800]
TITOLO DELL’OPERA : DESCRIPTION HISTORIQUE ET CRITIQUE DE
L’ITALIE
Nacque a Digione e divenne canonico dell'abbazia di Vézelay. Grazie alle
pubblicazioni in campo umanistico entrò a far parte dell'Accademia di Digione e
divenne precettore del figlio del presidente del Parlamento. Nel 1761 Richard
partì per l'Italia insieme a Jean-François Charles - presidente del Parlamento di
Borgogna - e vi si trattenne per quasi un anno. L'opera di Richard - Description
historique et critique de l'Italie (Dijon, Des Ventes 1766) - rappresenta una
descrizione molto puntuale dei molteplici aspetti che caratterizzano il nostro
paese. Negli Avertissement l'autore informa che lo scopo del testo è quello di
fornire una dettagliata relazione non solo sulle bellezze del paese ma anche sulla
storia, sulle scienze ed i costumi; intento che raggiunse pienamente, tanto da far
diventare il testo una delle descrizioni di viaggio più scrupolose del Settecento.
Tra le altre opere dell'autore si ricorda: Hipparchie, histoire galante, traduite du
grec, divisée en trois parties, Tablettes historiques, topographiques et physiques
de Bourgogne, pour les annes 1753-1760, La théorie des songes
Tome sixième
ANCONE
Ancone, ville actuellement très commerçante, & Port de mer très-fréquenté,
a été fondée par les Syracusains lorsqu’ils fuyoient la tyrannie de Denys le pere ;
le cap sur lequel ils commencerent leurs constructions, qui fait une courbure qui
78
s’avance dans la mer, lui donna son nom d’Ancone ou Ancona ; c’est-là où ces
peuples, originairement Grecs Doriens, bâtirent un Temple à Venus.
Ante domum veneris quam dorica sustinet Ancon…Juv. 1. 4. Elle devint assez
promptement une place importante. Deux cent vingt-sept ans après sa fondation,
les Romains y établirent la station de la flotte, qui devoit tenir la mer supérieure
pendant la guerre contre les Illiriens : Adversus Illiriorum classem, creati duum
viri navales erant qui tuendam viginti navibus mari Superiore Anconam, veluti
Cardinem haberent. (Tit. Liv. l. 41. A. 574.) Ce fut une des premieres villes où
Cesar mit garnison après avoir passé le Rubicon. Trajan fit fortifier son Port. La
Ville occupoit alors à-peu près le même emplacement où elle est aujourd’hui, s’il
est vrai que la Cathédrale, qui est placée sur le cap, qui étoit l’ancien Crumerum,
ait succédé au Temple de Venus que les Syracusains y avoient bâti. Ce qu’il v a
de certain, c’est que les ouvrages de Trajan qui subsistent encore, ne laissent
aucun doute à ce sujet. Les Goths détruisirent dans le cinquième siecle toute la
partie inférieure de la ville, que Narses, Général des armées de Justinien, fit
rétablir peu de tems après. Dans le dixième siecle les Sarrasins, après avoir brûlé
la flotte des Vénitiens dans la golphe de Trieste, ravagerent plusieurs places de la
mer Adriatique, Ancone fut du nombre. Il y a très-long-tems que’elle est du
Domaine de l’Eglise ; Pie II qui y mourut en 1464, commença à la faire rétablir &
à remettre son port en meilleur état, ouvrage auquel on a travaillé à différentes
reprises, & que l’on continue à présent avec plus d’ardeur que jamais. Lorsque j’y
passai en 1762 ; il y avoit le plus grand mouvement dans la ville & sur le Port, les
Marchands, les Matelots, le Maçons travailloient chacun de leur côté ; les uns
traînoient les pierres & les matériaux qui devoient être employés à finir le grand
Mole, les autres réparoient le Port & le nettoyoient : ici on charge oit des
vaisseaux des marchandises que l’on tiroit du pays même ; là on apportoit dans le
79
magasins de la ville les productions des Indes & du Levant ; il sembloit voir les
Tyriens en mouvement, occupés à établir la ville & le commerce de Carthage.
Instant ardentes Tirii, pars ducere Muros,
Molirique arcem, & manibus subvolvere Saxa,
Hic portus alii effodiunt……
Virg.AEneid. I...
[…] L’arc de Trajan qui est à l’entrée du Mole, de marbre de
Carrare avec des colonnes d’ordre Corinthien, petit & solide, mais de bonne
maniere ; il a eu autrefois plusieurs ornement en bronze qui ont été enlevés, il n’en
reste plus que les inscriptions antiques, qui sont très-lisibles6. Vanvitelli a fait
élever un autre arc de triomphe à l’extrémité du nouveau Mole, qui est une
continuation de l’ancien ; il est bâti en pierre d’une proportion plus grande que
celui de Trajan, & très-beau […]
RIMINI
Ariminum est une ville ancienne, autrefois considérable, ainsi que
l’annoncent les restes de plusiurs monumens don elle a été décorée du tems des
6
Imp. Caesari. divi. Nervae. F. Nervae.
Trajano.optimo. Aug. Germanico. dacico. Pont.
Max.Trib.pot.XIX. Imp. IX. Cos. V. P.P.
providentissimo. Principi. S.P.Q.R. quod.
Adessum. Italiae. hoc. etiam. addito. ex pecu
nia. sua. portum. tutiorem. navigantibus. red
diderit.
Au dessous on lit à droite.
à gauche.
Plotinae. Aug.
Divae. Marcianae.
Conjugi. Aug.
Sorori. Aug.
80
Romains ; ce fut la premiere place dont César s’empara, après avori passé le
Rubicon, E d’où il commença la guerre civile. Il y étoit entré avec la treizieme
Légion : On prétend conserver encore dans la place publique de Rimini, la pierre
sur laquelle il monta pour haranguer ses Soldats dans cette occasion, ainsi qu’on
le peut voir au premier Livre de la guerre civile.
L’Arc de triomphe sous lequel on passe en entrant dans cette ville, n’a rien de plus
beau que son antiquité, e d’être encore sur pied après les révolutions de tant de
siécles ; le Pont qui est à la suite, est du même âge, mais d’une construction plus
belle e plus solide que l’Arc : ces deux monumens sont du temps d’Auguste. On y
lit ces inscriptions antiques :
Imp.Caes.divi.Jul.Fil.Augustus.Pont.Max.
Cos.XIII.XX.Tribun.pot.XXVII.P.P.
Tib.Caes.Divi.Augusti.F.Divi Julii.N.
Aug.Pont.Max.Cos.IV.Imp.VIII.pot.XXII.
On voit encore à la face de l’Hôtel de –Ville cette inscription du meme siécle
C.Caesar.Augusti.F.Cos.Vias.omnes.
Ariminis.Ter..
On sçait que la voie Flaminienne se terminoit à Rimini, e cette inscription désigne
sans doute une réparation générale des voies Romaines faite sous l’empire
d’Auguste, e achevée à cette Ville. On dit qu’il y a plusieurs autres restes
d’antiquité e quelques édifices gothiques du tems des Malatesta, seigneurs de
Rimini, mais que je n’ai pas vu, n’ayant fait que traverser cette Ville assez
promptement.
A qualque distance de là on trouve la riviere du Rubicon, si fameuse dans
l’Historie par le passage de Cesar lorsqu’il vint des Gaules à Rome, dans
81
l’intention de s’opposer au parti que Pompée avoit formé contre lui. On s’attend à
passer un fleuve majestueux capable d’arrêter un conquérant, e on est tout étonné
de ne trouver qu’un ruisseau bourbeux, coulant dans un lit fort large dont il
occupe la sixieme partie au plus, e que l’on traverse aisément à gué, quoiqu’il soit
peu éloigné de son embouchure dans la mer. On ne se rappelle point que Lucain
n’en a pas donné une grande idée en disant :
Fonte cadit modico, parvisque impellitur undis.
On ne songe qu’a Cesar qui hésita s’il le passeroit ou non ; mais il étoit plus
occupé de la defense du Sénat e de la guerre civile, qu’il allant commencer, que
de la difficulté du passage. On l’appelle aujour’hui il pisatello. Cette riviere étoit
la borne de l’Italie e de la Gaule Cispadane7. […]
7
Sur une colonne d’une antiquité douteuse, relevée par les soins d’un Cardinal Legat de la Romagne, on lit le fameux
Décret du Sénat, qui défendoit à tout Général ou Officier,; de passer cette borne à la téte d’une troupe armée, sous peine
d’être déclaré ennemi de la Patrie, e qui étoit conçu en ces termes :
Jussu, Mandatuve, P.R. – Cos.Imp.Trib.
Miles, Tyro, - commilito armate – quisquis
es – manipularisve Centurio turmaeve Legiona
riae – hic sestito. Vexillum finito – arma dponito. – nec citra hunc Amuem-Rubiconem signa ductum – exercitum, commeatumve – Traducito. – Si quis hujusce jussionis – ergo ad
versus praecepta – ierit feceritue – adjudica.
82
NOME DELL’AUTORE : COYER GABRIEL FRANÇOIS [ 1707 - 1782]
TITOLO DELL’OPERA : VOYAGE D’IITALIE
Compì la sua formazione presso i Gesuiti di Porrentruy, specializzandosi
principalmente in materie a carattere filosofico e umanistico. Intorno al 1736
divenne il precettore privato del principe di Turenne, futuro duca di Bouillon. Fu
proprio per accompagnare i nipoti del duca che compì il viaggio in Italia, di cui
abbiamo un interessante resoconto - redatto in forma epistolare - in Voyage
d'Italie par m. l'abbé Coyer... (Paris, Duchesse 1776). La parte più originale
dell'opera risulta quella conclusiva, intitolata Vue générale sur l'Italie, dove Coyer
oltre a descrivere le bellezze monumentali del paese, si sofferma sugli usi e
costumi degli italiani. L'abate Coyer scrisse diverse opere vicine alla corrente dei
philosophes: da ricordare la pubblicazione, nel 1756, del volume Noblesse
commerçante. L'opera può essere classificata come un importante trattato a
carattere storico-economico, grazie alla ricostruzione di vicende storiche
esemplari che portano a dimostrare l'origine mercantile di gran parte del ceto
nobiliare europeo.
Second tome
Lettre XLI
ANCONA
83
Ancône. Ma premiere station, après Lorète, a été Ancône, que les
Syracusains fonderent en fuyant la tyrannie de Denys. Devenue ensuite Colonie
Romaine, elle eut beaucoup à se louer de Trajan, à qui elle marqua sa
reconnoissance par un arc de triomphe tout en marbre, & bien conservé, avec une
belle inscription, dont le plus beau mot est celui-ci, providentissimo Principi
Trajan le méritait par sa vigilance sur le bien public. Deux Papes ont partagé la
gloire de Trajan en faisant du bien à cette Ville. Exposée par son commerce
maritime au danger de la contagion, elle n’avait point de Lazaret. Clément XII en
a bâti un qui s’avance dans la mer. Le port n’était pas sûr ; il commença un môle
que Benoît XIV a fait continuer, & on l’acheve à présent par les dispositions qu’il
a laissées. Un marbre en face de l’arc de Trajan consacre la mémoire de ces deux
Princes de l’Eglise, qui ont vraiment agi en Princes.
FANO
Fano. C’est Fano, que les Romains nommoient Fanum Fortunae, à cause
d’un Temple dédié à la Fortune. On y voit les restes d’un arc de triomphe qui fut
érigé à Auguste, en marbre blanc, & ruiné par l’artillerie du Pape Paul II, lorsqu’il
assiégea cette Place en 1463. A une lieue de la Ville le voyageur instruit considère
l’endroit où Asdrubal, frère d’Annibal, fut défait par le Consul Claude-Néron, &
perdit la vie.
RIMINI
Rimini a beaucoup perdu par la retraite de la mer. Son port ne reçoit plus
que des barques de pêcheurs. Les amateurs de l’antiquité y trouvent encore de
quoi satisfaire leur goût.
84
Un arc d’ordre Corinthien, érigé à Auguste, pour avoir fait réparer les voies
Romaines ; un pont de marbre sur la Maréchia, commencé par le même Empereur
& achevé par Tibere, comme l’inscription en fait soi. Ce pont n’a rien perdu de sa
solidité, ni des belles proportions que Palladio admirait. Le Lituus Augural qu’on
y voit sculpté, ne différe en rien de la crosse épiscopale.
On lit ces mots sur une colonne qui s’élève au milieu de la place publique…C’est
ici que Jules César, après avoir passé le Rubicon, pour se rendre maître de Rome
& du monde, harangua ses soldats…Ce petit fleuve coule à peu de distance de la
Ville. Un célébre Senatus-Consulte, qu’on lit encore, dévouait aux Dieux
infernaux, déclarait sacrilége & parricide, tout Romain qui passerait le Rubicon
avec des troupes. Ce ne fut pas sans frayeur, & sans hésiter, que César osa le
passer. On a remarqué, comme une chose singuliere, qu’en 1740, le troupes de la
Maison de Savoie vinrent pour la premiere fois jusqu’aux bords du Rubicon.
RAVENNA
Ravenne. La ville de Ravenne est bien différente de ce qu’elle était
autrefois. Elle fut le siége de l’Empire de Théodoric, Roi de Ostrogoths, soumise
ensuite aux Empereurs de Constantinople, qui la gouvernaient par des Exarques,
puis à Charlemagne qui en donna la Souveraineté aux Pape. C’est un Légat qui y
regne. Les Romanis y avaient fait plusieurs grands ouvrages; à peine en voit on
les vestiges. Elle avait de leur tems un bon port. Jules César y tenait une flotte,
pour défendre le Golphe. La mer s’étant retirée à la distance de cinq milles, elle
n’a plus de port. On lit sur la porte de la Ville...Naves cesserunt Aratro. Cette
défection de la mer se remarque, mais un peu moins dans les autres Villes dont je
85
viens de vous parler. On a suppléé, autant qu’on a pu, par des canaux qui ont
rétabli la communication, que la nature avait coupée.
NOME DELL’AUTORE : WATKINS THOMAS - 1792
TITOLO DELL’OPERA : TRAVELS THROUGH SWISSERLAND, ITALY,
SICILY, THE GREEK ISLANDS, TO COSTANTINOPLE
Vol. II
ANCONA
We came to Ancona, a maritime town pleasantly situate, but ill built. Its port
was declared free by Clement the XIIth, wich made it very commercial. It was
originally formed by the Emperor Adrian, to whom the citizens in their gratitude
erected an arch upon the mole; the structure of which is truly elegant, and the
marble whiter than in any edifice I ever saw.
RUBICONE
The Rubicon is a narrow river that scarce seem to move through its deep
banks of clay. On the northern side are ancient lapidary inscriptions almost
obliterated, at least I could not read them. Do you recollect the description of this
rivulet in Lucan’s Pharsalia? […]
POLA
86
In the evening we were driven by the wind and current upon the coast of
Istria within a mile of Pola, - a city founded (as Pliny and others tell us) by the
Colchians, and called Julia Pietas by the Romans. I was very desirous of landing
there, to examine more minutely what appeared to be the noblest amphitheatre
NOME DELL’AUTORE: CADELL WILLIAM ARCHIBALD [1775-1855]
TITOLO DELL’OPERA: A JOURNEY IN CARNIOLA, ITALY, AND
FRANCE IN THE YEARS 1817,1818, DEL 1820
William Archibald Cadell (1775-1855) nacque nel Falkirk, in Scozia, e
frequentò l'Edinburgh University divenendo membro della facoltà degli avvocati.
Nel 1802, durante la guerra con la Francia, fu fatto prigioniero e riuscì a tornare in
patria solo nel 1809. Attratto da interessi di tipo scientifico, fu l'amore per la
scienza che lo spinse ad intraprendere i suoi viaggi attraverso la Carniola, l'Italia e
la Francia, negli anni 1817-1818. Di questi viaggi riferì le esperienze più
significative nel suo diario A Journey in Carniola, Italy, and France, in the Years
1817, 1818, del 1820.
RIMINI
The gate by wihich we enter Rimini is an ancient Roman arch, with two
fluted Corinthian columns and a pediment. It was erected to commemorate the
restoration of the Via Flaminia, which Augustus accomplished in his seventh
consulship, an historians mention; and the mutilated inscription, which exists
above the pediment, mentions the seventh consulship. The four medallions on the
edifice are the heads of Jupiter, Minerva, Neptune, and Venus; deities who
favoured and protected the city of Rimini. A drawing of this arch is published by
87
Temanza and by Fabretti, who considers it to resemble the monument of the Aqua
Marcia at the Porta San Lorenzo, and the arch of Drusus near the Porta San
Sebastiano of Rome. Rimini contains some buildings of good architecture […]
We leave Rimini by an ancient Roman bridge of five arches, built over the
Maricchia. This is one of the most considerable ancient bridges in Italy, and was
built by Augustus and Tiberius, as the inscriptions given by Gruter attest. The
span of each of the three principal arches, according to Palladio’s measurement, is
twenty-seven English fett. The thickness of the piers is nearly one half of the span
the arches.
The ancient Roman bridges in Italy have semiricular arches, which are inferior in
size to the arches of several stone bridges that have been constructed in Europe in
modern times, such a Black-friars Bridge and the Wellington Bridge in London;
the bridge of Neuilly, the bridge of Louis XVI., and the bridge of the Invalids,
formerly called the bridge of Jena, at Paris. The Romans were unacquainted with
bridges of cast iron, some of which have been constructed within the last thirty
years with arches of a greater spam than the widest storn arches; and even
suprassing the width of the wooden bridges at Schafhausen, and the Wettingen on
the Limma, near Zurich. The largest Roman bridges that are known are those of
Evora and of Salamanca in Spain, built or repaired in the time of Trajan. The
bridge built by Trajan over the Danube, the greatest Roman work of this kind, was
demolished by his successor Adrian. The Pont du Gard, over the gardon between
Nismes and Avignon, now used as a bridge, was an ancient Roman aqueduct; it is
magnificently constructed of squared bridges that are known are those of Evora
and of Salamanca in Spain, built or repaired in the time of Trajan. The bridge built
by Trajan over the Danube, the greatest Roman work of this kind, was demolished
by his successor Adrian. The Pont du Gard, over the gardon between Nismes and
88
Avignon, now used as a gridge, was an ancient Roman aqueduct; it is
magnificently constructed of squared stones without mortar; and, in respect to the
materials, supasses the arcades of the aqueducts at Rome, which are only of brick.
The Via Flaminia extends from Rome to the bridge of Rimini; the ancient way,
which begins on the other side of the bridge, is the Via Emilia, made in the year
566 of Rome, from Rimini to Placentia.
The harbour of Rimini at the mouth of the river is only capable of containing
coasting barks. It is said that, since the time of the ancient Romans, the deposition
of alluvial matter has extended the land in this place.
SAVIGNANO
At Savignano, between Rimini and Cesena, the road crosses an ancient
Roman bridge of three arches. The bridge is repaired with Istrian marble, like that
used at Venice. Each arch is twenty-one feet in span. The river, which now at this
season contains little water, is called the Fiumesino, and is supposed by Cluverius,
D’Anville, and others, to be the Rubicon of the ancients; but there was formerly a
great dispute between the antiquaries of Cesena and those of Rimini on this
subject. Each claimed the honour of having the Rubicon; the stream is in the
territory of Cesena, and crosses the highroad two miles cast of that town, and near
the river is to be seen an inscription, by which it is declared unlawful for a consul
or legionary soldier to pass the Rubicon. This inscription is considered to be a
fabricated production of the antiquaries of Cesena and is published by Gruter
amongst the false and spurious. Rimini maintained, that the Rubicon was the
Fiumesino, which runs by Savignano. Some said it was the Luso, a small stream
which crosses the road two miles cast of Savignano. Several dissertation on this
subject are published by Graevius. All the three streams are small. The Fiumesino
is only about twenty miles in length from its source to its mouth, where it falls
89
into the Adriatic. It is joined by the Pisatello before falling into the sea. The
Rubicon divided Italy from Cisalpine Gaul; Rimini was the city of Italy nearest
the frontier on the Adriatic, and Ravenna was the city of Cisalpine Gaul nearest
the frontier of Italy. On the Tuscan Sea, Lucca was in Cisalpine Gaul, Pisa in
Italy.
The Rubicon was the limit of Julius Caesar’s province, and the act of marching
his troops beyond that limit was in effect a declaration of was against the senate.
He marched from Ravenna, crossed the Rubicon, and immediately took
possession of Rimini. […]
Rimini and Cesena are near the south-eastern angle of the great and very fertile
plain, which extends westward on both sides of the Po, and is bordered by the
Alps to the north, and the Apennines to the south. This plain was the Gallia
Cisalpina of the Romans, and, after it had been conquered by the Lombards in
570, it acquired the name of Lombardy.
This plain of the Po may be considered as forming an equilateral triangle, the base
of which, from Cervia to Venice, is ninety English miles, and each of the sides,
from Venice to Vercelli, and from Cervia to Vercelli, 180 English miles. This
triangle, but more extended, is decribed by Polybius.
90
NOME DELL’AUTORE:COCHIN CHARLES NICOLAS [ 1715 -1790]
TITOLO DELL’OPERA : VOYAGE PITTORESQUE D’ITALIE
Cochin, figlio del famoso incisore, apprese l'arte incisoria dal padre,
completando la sua formazione presso due artisti di primo piano come Le Bas e
Restout. La sua fama lo portò a lavorare per Luigi XV, riproducendo nelle sue
incisioni molteplici occasioni pubbliche e politiche legate alla vita di corte.
Quando nel 1749 Madame de Pompadour inviò suo fratello, il marchese di
Vandières e Marigny, in Italia come sovrintendente delle residenze reali, Cochin,
l'architetto Soufflot e l'abate Le Blanc lo accompagnarono nel viaggio.
Ritornato in patria, Cochin pubblicò l'opera Voyage pittoresque d'Italie (Paris,
Jombert, 1758), che divenne ben presto, grazie anche alle interessanti illustrazioni,
un'utile guida per i viaggiatori in Italia. Non meno importante fu la pubblicazione
del saggio Observations sur les antiquités de la ville d'Herculanum che contribuì,
insieme all'opera di Caylus, alla diffusione in patria dello stile 'gout grec'.
Nel 1755 Cochin divenne segretario e storiografo dell'Accademia ma abbandonò
tale carica pochi anni dopo per il posto di consigliere, così da avere più tempo
libero per le sue ricerche a carattere umanistico. Con l'avvento della rivoluzione
francese e i mutamenti politici nel paese, Cochin cadde in disgrazia e morì pochi
anni dopo.
RIMINI
91
On y voit un ARC DE TRIOMPHE, bâti par Tibere, sous le regne
d’Auguste : il n’est point beau.
Le pont est de la même antiquité, mais mieux décoré. Il est de marbre, & si
bien bâti, qu’à peine introduiroit-on la pointe d’un canis dans les joints […]
Un Amphithéâtre.
ANCONE
Le port est fort beau. Il ya un mole décoré d’un arc de triomphe antique, de
marbre blanc, bien conservé, & d’une assez belle proportion; la port n’est pas
large, ni écrasée comme dans la plǔpart des autres ; elle est dans la proportion à
peu-près du double de sa hauteur.
Un autre ARC DE TRIOMPHE sur le même mole, de Van Vitelli : il est
bâti de pierre, & fort beau, quoiqu’il y ait quelques licences.
On voit du même architecte un LAZARET bâti dans la mer : c’est un trèsbel ouvrage. Son plan est un pentagone ; il y a plusieurs petites chambres & une
grande cour, au milieu de laquelle est une petite chapelle décorée de colonnes,
dont la penséè est fort belle : tout cela est traité de bon goǔt.
92
NOME DELL’AUTORE:GROSLEY PIERRE JEAN [ 1718 - 1785]
TITOLO DELL’OPERA : NOUVEAUX MEMOIRES, OU OBSERVATIONS
SUR L’ITALIE ET SUR LES ITALIENS
Compì gli studi di diritto a Parigi e intraprese, come il padre, la carriera
d'avvocato a Troyes. L'amore per i viaggi lo portò in varie parti d'Europa e in
Italia, come testimonia l'opera Nouveaux mémoires ou observations sur l'Italie et
sur les Italiens..., (Londres, Nourse 1764). Grosley partì per l'Italia insieme
all'amico svedese Belly nel 1758 e visitò le città più importanti, soffermandosi sia
sulle bellezze del paese che sulla condizione politica dei vari stati italiani. Molte
altre notizie sull'Italia si possono trovare nelle lettere pubblicate dopo la morte di
Grosley: Lettres inédites de Grosley, écrites de l'armée d'Italie en 1745 et 1746,
Lettres inédites de Grosley, écrites pendant son voyage d'Italie e de France en
1758 et 1759... Le pubblicazioni di Grosley gli valsero l'ammissione all'Académie
des Inscriptions et Belles-Lettres; la passione per la letteratura lo avvicinò inoltre
ad esponenti di primo piano dell'ambiente culturale parigino come Voltaire e
Montesquieu. Molto interessante, per lo spirito critico, la lettera scritta da Grosley
a Montesquieu, nella quale sono presenti interessanti osservazioni sul libro XV
dell'Esprit des Lois.
Primier Tom
RIMINI
93
Après avoir passé le Rubicon, que le Pizatello & une autre petite rivière se
disputent l’honneur de représenter, nous arrivâmes à Rimini, par un pont
entiérement bâti de blocs du plus beau marbre blanc. L’inscription qui subsiste
encore en entier, fait honneur de sa construction à Auguste & à Tibere. Ce pont
également remarquable & par la solidité de sa bâtisse, & par sa belle conservation,
est le monument le plus entier du siécle d’Auguste […]
Rimini eut aussi un port revêtu par Auguste, avec la même magnificence.
Ce port devenu inutile par la retraite de la mer, fut démoli vers le milieu du
quinziéme siécle ; & Pandolfe Malateste en employa les démolitions à la
construction de l’église de S.François : église dans laquelle l’Architecture a
déployé tout ce dont elle étoit capable avant la renaissance des baeaux arts.
La cathédrale de Rimini, élevée sur les fondements d’un temple de Castor
& Polux, est dédiée à Sainte Colombe, née & morte a Sens en France […]
En sortant de Rimini, on passe sous un arc de triomphe élevé en l’honneur
d’Auguste, après le rétablissement des grandes routes d’Italie, qui toutes venoient
aboutir à Rimini, où, si je ne me trompe, commençoit la voie triomphale. Cet arc
très-surbaissé & degradé par le tems, ne ressemble au pont, qu’en ce qu’il est
aussi de marbre blanc.
CATTOLICA
De la colline dont la Catolica occupe la croupe, on nous montra le
lieu qu’occupoit autrefois une Ville que la mer couvre aujord’hui, ajant repris là
ce qu’elle a perdu en s’eloignant de Rimini.
PESARO
94
Elle étoit fameuse dans l’antiquité, par la malignité de l’air qu’on y
respiroit en été. Catulle l’appelloit moribundam sedem […]
Les antiquités de Pézaro ont été illustrées depuis quelques années, par un
de ses citoyens, dans un Ouvrage intitulé Marmora Pisaurensia. Cet ouvrage
remplit un volume infolio, très-bien imprimé à Pézaro même.
FANO
Fano a aussi un arc de triomphe, erigé en marbre blanc a l’Honneur
d’Auguste. Cet arc, qui avoit trente coudées d’elevation, fut à-demi ruiné par
l’artillerie de Paul II […]
On y montre aussi quelques restes fort équivoques du temple de la
Fortune, qui a donné le nom à cette ville.
A une lieu de Fano, la voie Flaminia traverse le Metaurus, aujourd’hui
Métrò, dans la lieu même où Asdrubal fut défait par les Romanis :
Testis Metaurum Flumen & Asdrubal Devictus.
Ce fleuve avoir à peine de l’eau, lorsque nous le passames à son
embouchure dans la mer. Le pompeux Silius Italicus lui a consacré ce vers
empullé :
Rapidasque sonanti
Vortice contorquens undas & saxa Mataurus,
RAVENNA
95
En approchant de Ravenne, nous perdìmes la mer de vûe dans des lieux
qu’elle couvroit encore sous les Exarques, c’est-à-dire, dans les sixiéme &
septiéme siécles de l’ère chrétienne. Au milieu de la plaine qu’elle a formée en se
retirant, nous laissâmes à la gauche, l’église de S.Apollinaire : magnifique, mais
unique reste de l’importante ville de Clasce, qui, sous les Empereurs Romains,
gardoit l’embouchure méridionale d’un port où Auguste avoit établi la station de
la flotte destinée à la garde de l’Adriatique. Le fond de ce port étoit défendu par
une autre ville appellée Césarée, & Ravenne en commandoit l’embouchure
septentrionale. Ce port, dont l’entrée étoit resserrée sans doute par des moles &
des jettées, avoit une lieue de large sur autant de profondeur ; & ses bords, dans
l’intervalle des trois villes qui le commandoient, étoient couverts de magasins, de
casernes pour les soldats & pour les matelots, & de maisons de plaisance. Les
fouilles découvrent tout les jours des vestiges de vastes & solides bâtimens, qui,
des trois villes que je viens de nommer, formoient une ville continue. En
abandonnant ces beaux lieux, la mer semble les avoir engloutis : ils n’offrent plus
q’une plaine rase & toute unie.
Ravenne domine cette plaine : son ancienne situation, d’après la
description que Strabon nous en a laissée, ressembloit assez à la situation actuelle
de Venise : elle est maintenant éloignée de la mer de plus d’une lieue.
La Géographe que je viens de citer, dit qu’elle fut fondée par les
Thessaliens, dans ces tems sans doute où des essains d’hommes fortis de la Gréce
aujourd’hui presque déserte, vinrent couvrir d’habitans les côtes d’Italie qui
étoient le plus à leur portée : elle fit partie des conquête des Romains sur les
Gaulois-Boïens qui en avoient chassé les Sabins. Tibére releva ses murs avec une
magnificence don la Porta aurea présente encore des vestiges.
96
SPINA
L’embouchure de ce bras du Po fut très-célebre dans l’antiquité, par la ville de
Spina, que les anciens Pélasges y avoient bâtie. Dans les premiers siécles de sa
fondation, cette ville, la Tyr & la Venise de ses parages, avoit envoyé au temple
de Delphes des offrandes dont la richesse & le goût étoient encore des objets
d’admiration dans les plus beaux siécles de la Gréce & de Rome. La mer, au
milieu de laquelle elle étoit située, l’abandonna insensibilement, ensorte que, du
tems de Strabon, elle en étoit déjà éloignée de 90 stades, c’est-à-dire, d’environ
trois lieues de France ou douze milles d’Italie. Il ne reste plus de vestiges de cette
ville. Si la mer a continué à s’en éloigner dans la proportion progressive de
l’attérissement qu’elle a formé à cette côte, depuis le siécle de Strabon, il faudroit
aujord’hui chercher les restes de Spina à 5 ou 6 dans les terres.
Seconde Tome
ANCONA
Le vieux Mole bâti en marbre par Trajan, est coupé dans son milieu par cet
arc de triomphe dont parlent toutes les relations. Avec le pont de Rimini & la
maison quarrée de Nîmes, c’est l’un des restes les plus entiers que j’aye vus de la
magnificence Romaine. Il est encore, pour ainsi dire, à fleur de coin. Les Siécles
& les Elémens semblent avoir respecté dans ce monument, la mémoire d’un
Prince qui trouva son bonheur dans la félicité genre humain. On y lit cette
inscription :
97
IMP. CAESARI DIVI NERVAE F.
NERVAE TRAJANO
OPTUMO, AUG. GERMANICO, DACICO,
PONT. MAX.
TRIB. POT. XIX. IMP. IX. COS. V. P. P.
PROVIDENTISSIMO PRINCIPI,
S.P.Q.R. QUOD ADCESSUM ITALIAE,
HOC ETIAM ADDITO EX PICUNIA SUA PORTU,
TUTIOREM NAVIGANTIBUS REDDIDERIT.
Au-dessous de cette Inscription, on lit à droite:
PLOTINAE AUG.
CONJUGI AUG.
Et à gauche :
DIVAE MARCIANAE.
SORORI AUG.
L’ouverture on baye dont cet Arc est percé, paroît à l’œil d’une hauteur
plus que double de sa largeur : proportion qui lui donne un air étranglé, mais qu’a
déterminée le peu de largeur de son emplacement. En effet, si, sur cette largeur,
on eût asservi la baye aux proportions ordinaires ; ou en conservant à cet édifice
sa hauteur, la baye seroit devenue un guichet percé dans une masse qui l’eût
écrasé ; ou, en réduisant proportionnellement l’édifice, ce monument fait pour
98
s’annoncer de loin aux Navigateurs, n’eût plus été q’un colifichet, que l’on
n’auroit apperçu q’en le touchant, pour ainsi dire, à la main. Enfin, comme son
vrai point de vûe est à la mer, l’étranglement de sa baye doit à peine être sensible
aux Navigateurs, don la marche n’est jamais, ou que très-rarement,
perpendiculaire à cette baye.
La cathédrale d’Ancône occupe le sommet d’un promontoire appellé
Cumerum par les anciens, & qui fut le premier emplacement d’Ancône. Ce
promontorie forme la pointe de l’angle que décrit l’Apennin, en tournant là du
Nord au Midi, après avoir, depis Gênes, couru de l’Ouest à l’Est. C’est sans doute
à cet angle qu’Ancône doit son nom, qui, dans la langue des Grecs qui le lui ont
imposé, signifie coude, courbure ; & non à l’enfoncement de son port, qui n’a rien
à cet égard qui le distingue de tous les port se l’Univers […]
La cathédrale dédiée sous l’invocation de S.Quiriace, a pris la place d’un
temple autrefois consacreé à Venus, & don parle Juvenal 8. Elle n’offre rien de
remarquable, que qulques tableaux de bonne main, & son portail bâti en marbre,
aux dépens sans doute de l’ancien Mole, mais sans goût & sans dessein. Du parvis
de cette église, on voit, à vûe d’oiseau, la mer, le port […]
8
Satyre IV. Il parle d’un poisson monstrueux échoué dans le port:
Ante domum Veneris quam Dorica sustinet Ancon.
99
NOME DELL’AUTORE : ROLAND DE LA PLATIERE, JEAN- MARIE
[1734-1793]
TITOLO DELL’OPERA : LETTRES ÉCRITES DE SUISSE, D'ITALIE, DE
SICILIE ET DE MALTHE
Nato da una famiglia nobile, divenne ispettore delle manifatture ad Amiens.
La passione di Roland per i viaggi lo portò a visitare l'Italia nel 1776, alla ricerca
di luoghi rimasti inesplorati negli itinerari dei viaggiatori precedenti. Frutto di
questa esperienza sono le Lettres écrites de Suisse, d'Italie, de Sicilie et de Malthe
(Amsterdam, Merkus 1780). L'opera testimonia la volontà di Roland di scoprire
nuovi luoghi senza avvalersi del giudizio dei notabili e governanti ma
confrontandosi con la popolazione locale. Pochi anni dopo il ritorno dall'Italia,
sposò Manon Jeanne Phlipon, meglio conosciuta negli anni della rivoluzione
francese come Madame Roland.
Le competenze di Roland nel settore commerciale lo portarono a collaborare alla
nuova stesura dell'Encyclopédie, nella quale, come in tutta la sua produzione
letteraria, fu assistito dalla moglie. Con l'avvento della rivoluzione francese fu
eletto deputato straordinario presso l'Assemblea Costituente e sposò le idee dei
Giacobini, mentre il salone di sua moglie divenne il luogo ideale d'incontro per
personaggi come Brisson, Pétion, Robespierre. Negli anni seguenti la sua
posizione mutò e si trovò in disaccordo con molteplici esponenti della rivoluzione
francese; per questa ragione si rifugiò a Rouen, dove si tolse la vita nel 1793.
100
Tome cinquième
Lettre XXXI de Rome à Mantoue, par Terni, Foligno, Lorette, Ancone, Rimini,
Ravenne, Ferrara.
ANCONE
Elle a peu d’édifices remarquables; l’arc seul de Trajan, de marbre de
Paros, qui coupe le mole; &, si l’on veut, celui bâti par les modernes.
RIMINI
Rimini, Ville antique & célèbre. L’arc d’Auguste & le pont bâti du temps
de cet Empereur, en sont les monuments les plus remarquables. Le premier est le
plus large de tous ceux qui nous restent des anciens : Palladio dit que l’autre est,
tant par sa solidité que par son compartiment, le plus beau & le plus digne
d’attention qu’il ait jamais vu. On les a dessinés, gravés & décrits plusieurs fois :
on ne croit pas, dans le pays, que les arcades en briques qui soutiennent des
dépendances du Couvent des Capucins, soient les restes d’un amphithéatre, ni
qu’elles aient l’antiquité q’on leur attribue. Quant à la tribune où César harangua
son armée, ce qu’on en dit est une puérilité dont on se moque ; c’est le piedestal
en marbre d’une colonne. Le marché au poisson, dont on fait quelque commerce
& beaucoup de consommation, est remarquable par l’édifice, par ses tables de
marbre, ses fontaines, sa propreté. L’Eglise de San-Francesco, bâtie par
Gismondo Malatesta, est revêtue en marbre, & fort remodernée, mais trèsfrappante par son grand goût d’architecture […] j’ai pris celle de Ravenne, que
quitte la précédente à une demi-lieue pardelà Rimini, à huit à neuf milles de la
sourche, dans un pays bas, plat & sablonneux ; on traverse, sur un méchant pont
de bois, le Fiumicino ou Rubicon, célèbre par le décret du Sénat, affiché sur le
lieu, qui déclaroit ennemi de la patrie, & dévouoit aux Puissances infernales,
101
quiconque oseroit le passer à main armée ; & par l’attention de César, sacrilège
envers les Dieux qu’il méprisoit, & la patrie qu’il sacrifia à son ambition.
RAVENNA
Cette Ville, de fondation grecque, occupée par les Sabins, puis par les
Gaulois, fameuse sous les Romains, capitale du Roi des Hérules & de celui des
Ostrogoths […] cette Ville qui dominoit sur le plus beau port de l’Adriatique, &
qui avoit de superbes monuments, est repoussée avant dans les terres, par les
acquisitions de celle-ci sur la mer, & n’offre plus que quelques débris de son
ancien splendeur. L’Eglise de St Vital est de la construction la plus bizarre, telle
qu’on ne la peut rapporter à aucun des genres, dont elle est plutôt un mélange
confus & barbare ; mais elle est précieuse dans ses détails, par le belles colonnes
de marbre Grec qui la soutiennent ; par d’autres d’un marbre autrement curieux, &
si rare qu’on ne connoît rien qui y ressemble ; par des ornements en porphyre, en
mosaïques, & c. ; & singulièrement par deux bas-reliefs en marbre […]
La chapelle des tombeaux, dans la cour, est aussi ornée d’un beau marbre ;
on va voir l’apothicairerie pour la collection intéressante des machines &
instruments de chirurgie […]
102
NOME DELL’AUTORE: BROSSES CHARLES [1709-1777]
TITOLO DELL’OPERA: LETTRES FAMILIÈRES ÉCRITES D'ITALIE EN
1739 ET 1740
Compì i suoi studi presso i Gesuiti a Digione diventando, nel 1730, consigliere
al Parlamento. Lo studio della filologia classica lo portò ad intraprendere, nel
1739, un viaggio in Italia alla ricerca di manoscritti nelle più importanti
biblioteche del paese, al fine di ampliare la sua conoscenza di Sallustio. Il viaggio
compiuto in Italia è testimoniato dalle Lettres historiques et critiques sur l'Italie
(Paris, Ponthieu, 1739), opera scritta in forma epistolare, che ebbe gran successo
in patria. Charles de Brosses continuò i suoi studi classici anche negli anni
seguenti, entrando a far parte, nel 1746, dell'Académie des Inscriptions et BellesLettres e pubblicando il libro, tradotto anche in italiano, Lettres sur l'état actuel
de la ville souterraine d'Herculée. Molto interessante, tra le opere dell'autore, è
l'Histoire des Navigations aux Terres Australes, nel quale Charles de Brosses
considerò l'Oceania come il quinto continente, intuizione che aprirà la strada a
future scoperte. Con l'avvento di Luigi XVI, de Brosses divenne Presidente del
Parlamento della Borgogna, continuando, nonostante la carriera, a coltivare i suoi
studi umanistici.
A NCONA
103
Ancône, où nous arrivâmes au sortir de Lorette, mérite mieux d’ètre vu. La
ville est bâtie en très-bel aspetct, sur un rocher baigné par la mer. Elle a un bel et
bon port que Trajan fit autrefois construire ou réparer. Il vient de l’être
mignifiquement et à grands frais par le pape Clément XII. Il a fait bâtir dans la
mer même un lazeret commode et sûr pour faire la quarantaine. Le port est fermé
par un long môle ; c’est un des meilleurs de la mer Adriatique. A l’entrée du môle
est un très-bel arc de triomphe de marbre blanc de Paros, élevé en l’honneur de
Trajan, de Plotine sa femme et de Marciana sa sœur.
La ville d’Ancône est ce que nous avons trovué de mieux depuis notre départ de
Rome. […]
Il tira à son enseigne et nous tout le long de la mer à Sinigaglia, petite ville de fort
jolie apparence, où nous n’entrâmes point. Il s’y tient chaque été une foire célèbre
pour la quantité pour la quntité de Levantins qui y abordent.
FANO
Après Sinigaglia, c’est Fano, où il y a un arc de triomphe à trois arcades,
mal conservées. Puis Pesaro, petit, mais joli, avec une fontaine dans la place
publique.
RIMINI
Enfin Rimini, où l’on entre par un arc de triomphe, jadis élevé en l’honneur
d’Auguste. J’y remarquai, au clair de la lune, une longue rue droite, una place, un
beau pont de marbre antique à cinq arches. Toutes ces villes son bâties de briques.
Rien n’est plus beau que toute cette route à travers la marche d’Ancône […]
104
NOME DELL’AUTORE: LUIGI LANZI
TITOLO DELL’OPERA: VIAGGIO DEL 1783 PER LA TOSCANA
SUPERIORE, PER L’UMBRIA, PER LA MARCA, PER LA ROMAGNA,
PITTORI VEDUTI: ANTICHITA’ TROVATEVI
Luigi Lanzi nacque a Montecchio, oggi Treia, ma la sua famiglia era
originaria di Montolmo, oggi Corridonia. Studiò presso i gesuiti, divenne abate e
professore di greco. Dopo la soppressione dell'ordine, nel 1775, fu chiamato dal
granduca Pietro Leopoldo alla Galleria degli Uffizi a Firenze come vicedirettore
ed antiquario. Pubblicò diversi saggi, tra cui: Guida della reale Galleria di
Firenze (1782); Saggio di lingua etrusca e di altre antiche d'Italia (1789); Storia
pittorica della Italia (1796). Quest'ultimo in particolare fu tradotto in diverse
lingue e l'enorme successo avuto lo portò, tra l'altro, ad essere eletto come
presidente dell'accademia della Crusca e la storia lo consacrò come padre della
moderna storiografia artistica italiana. Muore a Firenze ed è sepolto nella Basilica
di Santa Croce.
L’esperienza del viaggio di istruzione, a partire già dal Cinquecento e per i due
secoli successivi, rientra in una pratica comune a gentiluomini, intellettuali ed
eruditi europei. Dai taccuini lanziani (un corpus di dieci taccuini autografi di
105
Luigi Lanzi, veri e propri repertori di antichità e pittura, concepiti dall’abate in
funzione di un utilizzo pratico e immediato dei materiali schedati nel corso delle
perlustrazioni effettuate in Italia settentrionale e centrale e redatti in un arco di
tempo che va dal 1777 al 1794) emerge, infatti, un avanzamento rispetto
all’inclinazione meramente erudita degli studiosi a lui contemporanei, poiché la
raccolta del materiale è solo momento propedeutico e non fine ultimo della
ricerca. La classificazione dei reperti è l’indispensabile presupposto per una
sintesi di ben più ampio respiro e che va sicuramente oltre le tendenze del secolo.
Si pensi ad esempio alla monumentale raccolta di documenti storici di un
Muratori, al Diarium Italicum di un Montfaucon9, che per la stesura dell’opera si
serve, al pari del Lanzi, del viaggio come momento di verifica sul campo delle
informazioni, senza però superare la fase della semplice inventariazione del
materiale reperto.
Lanzi ad Adria: al suo tempo Spina era ancora sconosciuta, mentre Adria
era nota fina dal 1500 e Lanzi sa che è un emporio greco, anche se la realtà di
Adria è oggi evidenziata, oltre che dai materiali archeologici misti, da iscrizioni
greche, etrusche e paleovenete, perché doveva accogliere non solo merci ma
anche etnie diverse.
Si riportano le iscrizioni così come trascritte dal Lanzi ma con il
corrimano critico offerto dal commento di Costanza Costanzi, curatrice della
trascrizione del manoscritto lanziano concepito qui come agile strumento di
consultazione e riproposto con trascrizione critica dei testi originali,
postillato e corredato di un ricco apparato iconografico. Il Taccuino, che
risale al 1783 (e cioè negli stessi anni in cui Goehte si accingeva al suo viaggio
9
B. de Montfaucon, Diarium Italicum sive monumentorum veterum, bibliothecarum, musaeorum, Paris, 1702.
106
in Italia) si presentava, infatti, sconvolto nel suo ordine dalla brutalità degli
eventi.
RIMINI
Le iscrizioni di Rimini non dovevano essere estranee al Lanzi in quanto
erano state divulgate in una serie di lettere da Giovanni Bianchi (alias Janus
Plancus) a G.Lami, edite nelle Ephemerides Florentinae, riprese nel “Giornale dei
Letterati” di Firenze, e spesso oggetto di diatribe tra i dotti. Giovanni Bianchi –
medico, scienziato e filosofo riminese (1693-1775) – è elogiato anche da
L.Muratori ceh in una lettera gli scrive: “mi rallegro […] a vedere che non passa
letterato per Rimini che non faccia capo a lei”. Infatti alcune iscrizioni segnalate
dal Muratori provenivano da schede del Bianchi, che aveva adottato il nome latino
di Janus Plancus. Oltre a segnalare epigrafi, il Bianchi le acquistava; purtroppo la
sua raccolta, passata ad Antonio Bianchi (1784-1840), è andata dispersa; nella
Biblioteca Civica Gambalunga di Rimini si conserva tuttavia il suo manoscritto
Inscriptiones Ariminenses, segnato “A.F.” 25”. Ai fogli 12r e 12v Lanzi trascrive
una serie di iscrizioni raccolte nel coevo museo di Rimini. Inizia con due epigrafi
etrusche, rispettivamente desuente da un coperchio e da una cassa di urna; la
prima (operculum) sinistrorsa: l:cvenle: caupnal. Le epigrafi saranno riportate nel
Saggio di lingua etrusca di Luigi Lanzi (1789), al vol. II, p. 367, equivalenti ai nn.
95 e 96, a p. 296 della II edizione. L’epigrafe era stata trascritta da A.Francesco
GORI nel Museum Etruscum (Florentiae 1737, III, classe II, tav. XIII, n.5); per la
seconda epigrafe, ugualmente trascritta da destra a sinistra. Lanzi annota “urna” e
scrive: “larth cvenle papa”. Nella edizione recente che ne dà H. RIX (ET. Ager
Senensis, I, 17 e I, 29) vediamo che, nella seconda epigrafe, Lanzi ha tralasciato la
107
i di larghi ed ha trascurato i due punti per cui l’epigrafe si presenta più
correttamente come “larghi: cvenle:papa”. Il CIE, ai numeri 224 e 236, segnala
come si tratti di un coperchio e di una urna in travertino appartenenti alla stessa
famiglia. Il CIE, ai numeri 216 –246, ricorda ancora come quindici urne cinerarie
– di cui undici iscritte e diciassette vasi di terracotta rozzi, ma con iscrizioni,
evidentemente usati come cinerari – fossero stati torvati il 13 dicembre 1728 tra
Monteaperti e Pancole, nel territorio senese, in una tomba nei poderi del nobile
Tommasi (CRISTOFANI 1979, pp. 179-183, n. 143 coll. Tommasi). Alcune
iscrizioni furono trascritte da Pecci (ASS D60; D80) che le passò anche a Gori
(Biblioteca Marucelliana di Firenze. Codice A IXXV); successivamente alcune
urne furono donate dal Tommasi a Janus Plancus (Giovanni Bianchi) per il suo
museo; il CIE le ricorda passate a Rimini nel Mueso Bianchi-Tonini.Dopo queste
due epigrafi di urne, Lanzi nomina rottami di tegole con lettere a rilievo, ovvero
con singole lettere, alcune delle quali scritte da sinistra a destra, altre da destra a
sinistra; queste potrebbero essere anche etrusche visto che le lettere c. e, v
ritornano nel gentilizio delle urnee considerato il fatto che nella tomba in
questione erano vasi di terracotta. Si potrebbe pensare che il Tommasi avesse
aggiunto al dono anche alcuni frammenti di cinerari di terracotta della stessa
famiglia cvenel. Un altro nucleo laterizi con lettere a rilievo in un bollo
rettangolare riporta invece all’età romana in cui abitualmente i bolli venivano
impressi sopra le tegole usate per la copertura degli edifici. Tali bolli riportano i
nomi dei produttori e ci fanno addentrare nel vivo dell’economia del tempo. I bolli
che segnao la proprietà della famiglia Pansiana sono stati studiati recentemente da
MATIJASIC 1983, p. 961, che ne ha distinto nove tipi con sessantadue varianti,
tutti databili dalla metà del I secolo a.C. alla metà del I d.C. Tornando al foglio
12r, la prima iscrizione è segnalata nel CIL, VI, 1ª p., n.950, a Roma, in casa
108
Ciampolini, dove era già stata ricordata da G.Gruter nel 1603. Nel 1764 fu inviata
al Bianchi ei il Tonini la segnala ancora a Rimini nel 1848. La lettura del CIL è
precisata da Dessau, n. 7317: “Imp. Nervae/Caesari Aug. III cos. / Ti.
Claudius/felix et P. Lollius/ Paris allectores/cultores Silvani idem immun”. Si data
nel 97 d.C. UGGERI 1975, pp. 135-154, oltre a ricordare la storia di C. Vibius
Pansa, segnala la diffusione dei più numerosi Pansiana nell’area da Rimini a
Pesaro (CIL, XI, 6681, 6687) e “Solonate” -, secondo Uggeri non si riferiscono ad
un gentilizio, ma piuttosto ad un etnico per cui si può supporre che un’epigrafe di
Rimini (CIL, XI, 414) ricorda un “curator” Sasinatium et Solonatium”. In fondo al
foglio 12v, a destra, il Lanzi trascrive altri bolli annotando “laterculi litteris
exstantibus ex majoribus tegulis”; MERCANDO 1974, pp. 426,427, nota I, figg.
335-338, ne ricostruisce le misure tra i 60-61 cm di lunghezza e i 47-48 cm di
larghezza. Il primo è il bollo SOLONAS, il secondo PANSIANA, il terzo, A,
F.AESONIA.F (CIL, IX, 6078, 85; CIL, XI, 6681, 1-5). Tutti e tre questi tipi di
bolli rettangolari con lettere a rilievo sono stati rinvenuti nelle tegole di copertura
delle tombe scavate tra il 1962 e il 1965 nella necropoli a sud di Recanati, verso la
colonia romana di Potentia (ALFIERI 1948, p.110). Non sarà inutile ricordare
come nel CIL, XI, (II, p. 605, n. 6078) si trova scritto: “trovate in molti luoghi
presso le spiagge dell’Adriatico”, ad Osimo nella casa dei Bellini (che le avevano
comprate a Roma) e si allude anche a manoscritti di casa Leopardi in cui sono
riportati i bolli, alla tav.4. visti nel 1826 dall’estensore del CIL. Sullo stesso
foglio, sotto le lineette che la distinguono dalle epigrafi delle tegole mattoni, è
l’epigrafe incisa su una tavola di marmo (1x0,31 m) nota già nel Cinquecento, ma
poi coperta di gesso, riscoperta e finita nella raccolta di Jano Planco, che ne dette
notizai nelle “Ephemerides Florentinae” del 1746 , a.p. 533; successivamente fu
trasferita alla Biblioteca Gambalunga, col n.5. Il CIL (XI, Iº, n.361) riporta la
109
lettura che ne dava Borghesius in TONINI (290,5): “Saluti ex voto/Q(uintus)
Plautius Iustus aedil(is) Ar(imininsium) / n(omine) s(uo) et Cassiae Threptes
c(oniugis) s(uae) et/ Q.Plauti Verecundi f(ilii) s(ui) aedem S(alutis) A(ugustae)
ded(icavit) H(aec) A(edes) S(alutis) A(ugustae) h(abet) l(eges) q(uas) D(ianae)
R(omae) in A(ventino)”. L’ultima riga dell’epigrafe allude ad una santuario
dedicato da Quinto Plauto, dalla moglie e dal figlio alla Salus Augusta; egli fa
questa dedica come edile secondo le leggi depositate nel tempio di Diana a Roma
sull’Aventino (gli edili avevano cura delle strade, degli edifici ecc.). I magistrati
di Rimini ripetono il nome dei magistrati di Roma. La seconda epigrafe, riportata
nella prima colonna a sinistra, si trova oggi nel Lapidario Romano di Rimini
(v.DONATI 1981, p. 110, n.38); si tratta di una base in marmo greco, alta 1,69 m.
larga 0,77m e spessa 0,20 m. Il CIL (XI, Iº, n.393) racconta come fosse stata
trovata nel gennaio 1749 nelle fondazioni del muro antico di Rimini; la parte
destra dell’epigrafe è stata rotta nel reimpiego per cui Lanzi integra il testo. La
base faceva parte del nucleo antico che si trovava in casa di Janus Plancus e che
poi passò nella Biblioteca Gambalunga (n.40); diamo la trascrizione dell’epigrafe:
“C(aio) Nonio/C(ai) f(ilio) An(iensis) Caepian(o), / equo pub(lico) ex
quin(que)/deuris iudicu(m)/praef(ecto) coh(ortis) III Britt(o)/num veteranor(um)
equitate, trib(uno) leg(ionis)/ Ad(iu)tricis Piae Fidelis, pra(efecto)/alae Asturum,
praepos(ito)/numeri equitum elector(um)/ex illyrico:/C(aius) Valerius Saturninus
d(ecurio)/alae/Asturum
praef(ecto)
optim(o)/L(ocus)
d(atus)
d(ecreto)
d(ecurionum)”. Trattasi della dedica del sottufficiale Caio Valerio Satrunino al
suo comandnante C. Nonio Cepiano, membro dell’ordine equestre iscritto alla
tribù Aniense in cui la cittadinanza romana di Rimini risulta iscritta dal 90 a.C. La
gens Nonia, forse di orgine picena, probabilmente fu trapiantata tra altre simila
famiglie nel periodo più antico della colonizzazione di Rimini (268 a.C.). La
110
grande base onoraria doveva essere collocata in un luogo pubblico a seguito di un
decreto dei decurioni. Per la carriera equestre si veda: DEVIJVER 1977, pp. 597,
598. Sopra la trascrizione di questa lapide, a sinistra, Lanzi annota “parrus lapis”:
infatti si tratta della tabella marmorea d 37x28x6 cm, rinvenuta nel 1754 e
segnalata da Jano Planco nella “Ephem. Florent.” LXV dell’anno successivo, a p.
823; successivamente passa, col n.96, nella Biblioteca Gambalunga. TONINI
1848, p. 316, annota: “unica iscrizione greca trovata dalle nostre parti”; è riportata
anche in CIL, XI, 553, e in IG, XIV, n. 2254. Lanzi non la riporta nel Saggio,
tuttavia è già importante il fatto che egli copi questa piccola epigrafe perché,
essendovi il ricordo di un altro liberto, sembra che egli voglia raccogliere più
confronti possibili per cercare poi possibili equivalenze etrusche. A destra di
questa
epigrafe
il
Lanzi
riporta
l’iscrizionedi
un
cippo
centinato
(1,15x0,35x0,19m) di cui schizza la forma rotondeggiante. Il manufatto in pietra
locale conserva solo il nome della defunta – CALPURNIA PARHANIUS(A) -,
privo di ulteriori refernze biografiche; riuslta trovato il 13 novembre 1765 lungo
la via Emilia. Plancus, che lo ebbe in dono, lo descrive nella “Ephem.Florent.” del
1765, a p. 677; dalla sua collezione passò alla Biblioteca Gambalunga (n.138). Il
recente spostamento al Museo di Rimini ha comportato la vanificazione di un
nucleo dalla suggestiva storia antica. L’epigrafe è edita in CIL (XI, Iº, 448) e in
DONATI 1981, p. 96; nella foto che questa studiosa riproduce si nota una piccola
s sovrapposta alla n, che il Lanzi non ha visto. Il cippo è riferito al I secolo d.C.
Sotto l’epigrafe del cippo di Calpurnia il Lani annota: “in altero eiusdem formae
cippo sed praealto et litteris majoribus”. In effetti possono essere due cippi in
pietra calcarea locale, limitanti un’area sepolcrale, di cui uno è più curato
dell’altro. Spesso i cippi che definivano le aree sepolcrali erano disposti agli
angoli, e potevano raggiungere anche il numero di quattro; in altri casi le aree
111
erano circondate da un muro con un edificio al centro, a forma di edicola o di
piramide. Il lato sulla fronte della via pubblica era più stretto perché più costoso,
per cui abbiamo di frequente XIII piedi sul davanti XV verso l’interno,
equivalenti a 4,20 e 4,80m. Questa seconda epigrafe ricorda una donna Nasinia,
figlia o serva di Tito Labeone; entrambe le epigrafi sono trascritte in CIL, XI, Iª
parte, n. 490 a, b (ma ne aveva già dato notizia Planucs nel 1765). I due cippi
erano stati trovati lungo la via Flaminia e, dopo una breve permanenza nella
raccolta di Planucs e del cavalier Belmonti, erano passati nella Biblioteca
Gambalunga, dove sono registrati ai nn. 113 e 114 (DONATI 1981, n.29, li data al
I secolo a.C.). A sinistra l’epigrafe di Nasinia, nella colonna centrale della carta, il
Lanzi segnala una iscrizione “sotto un anaglifo ove è una donna molto simile ad
una del Museo Mediceo”; poi dà l’epigrafe EGNATIA L.CHILA/UXOR, e sotto
annota “infra bina capita v m”. Nella stele funeraria, conservata oggi al Museo
Civico di Rimini, sono infatti due teste – resti di due busti femminili – con
acconciatura del tipo di Ottavia; sopra queste è l’iscrizione e, entro una nicchia
delimitata da due fusti di papiro, è una figura femminile acefala, con chitone e
manto; questo taglia obliquamente il busto con un rotolo di pieghe che scende
dalla spalla destra passando sotto la mano sinistra abbassata, per ricadere in terra.
La stele – alat a 1,66m e larga 0,60m – è datata all’età augustea; fu trovata a
Bordonchio presso Bellaria e fu donata a Plancus, che la pubblicò nelle “Ephem.
Florent.” (1752, n. 387); passò poi nella Biblioteca Gambalunga (n.131) e
recentemente è stata trasferita al Museo di Rimini (v.CIL, XI, 458; IG. XIV;
MANSUELLI, p. 136, fig. 36; DONATI in Analisi…1980, p.233, tav. LXXII, 1).
Nella colonna centrale, sotto la stele ricordata, Lanzi trascrive….
RIMINI
112
Arimino. Il ponte celebre è all’ingresso della Città sostenuto da grandi
archi ben centinati, fra quali è disegnata una porticina di soda e semplice
architettura: il cornicione di sopra è retto da una fila di mensole: la sponda è
composta di gran marmi l’uno presso l’altro di questa figura: nel mezzo del ponte
di qua e di là sono due inscrizioni affatto compagne assai lunghe, che risaltano per
altezza dalla spalliera predetta, scorniciate e incise con bellissimi e superbi
caratteri molto grandi e rotondi (scritta a memoria).
MIMP.C.CAESAR.DIVI.IVLI.F.AVGVSTVS.P.M.COS.XIIII.IMP.XX.TR.P.XX
XVII.P.P.DEDERETI.CAESAR.DI.AVGVSTI.F.D.IVLI.NEPOS.AVG.COS.IIII.
IMP.VIII.TR.P.XXII
L’arco è della maggior centina che si vegga, di struttura soda, antico fino al
cornicione poi guasto da fabbrica laterizia di bassi tempi, a cui sono inseriti
de’frammenti che credonsi appartenere all’antico arco.
COS.SEPT.DESIGN.OCTAVO/SENATVS POPV/S…..
CELEBERRIMEIS.ITALIAE.VIEIS.CONSILIO
Le lettere sottosegnate credo sian supplite; così le ultime parole poco si capiscono
né sono intere.
Quattro colonne scanalate per lungo con capitelli corinzi sono due innanzi due
indietro composte di vari pezzi commessi, e 4 tondi similmente due innanzi due
indietro entro i quali dalla parte anteriore della iscrizione Nettuno e Marte; dalla
opposta Giove e Venere teste di rilievo assai belle e di carattere, senonché quella
che si ascrive a Marte è assai giovane imberbe mal composta ne’ capelli con sotto
la testa o semibusto e nella cornice un uccello. Vedi Antichità di Rimino di
Antonio Temanza Architetto Veneziano stamapato nel 1741.
Quest’arco è cinto di muro di bassi tempi e la posizione di essi, la grandezza
dell’arco, le colonne ad alcuni han dato sospetto di rinnovazione.
113
In Palazzo altra lapide C. CAES AVGVSTI F. CONSVL OMNES.ARIMINI.
VIAS STRA
La colonnetta in piazza grande che riferisce aver G. Cesare in quel foro parlato a
soldati è cosa moderna e appoggiata non si sa dove […]
L’antica chiesa di S.Gregorio è sul disegno de’battisterl antichi con catino, così
l’altra del preteso pante. Innanzi la porta una croce in pietra, nella quale una mano
che benedice come in Faenza etc.
Urne trovate presso Rimini tutte dal taglio dell’Anconetana una sola con
mascheroni, né manichi, le altre semplici.
T.GEMINI. L. F
L. GEMINVS
STEL
ANAMNESTVS
PICAE. CENTVRIONI
CLAVDIA. C. F. GALLA
CLAVDIA. MVSA
V.A.XVI
V.AN. III
Attaccato a una parete di S.Gregorio un frammento di bassorilievo: tre colonne in
fila, e un giovane tunicato che volta loro le spalle […]
operculum10 l: cvenle: caupnal
larth : cvenle papa
Urna
rottami di tegole con lettere a rilievo v e altra v c altra e
columna
quadrilatera
IMP NERVAE
CAESARI. AVG III COS
10
Le iscrizioni di Rimini non dovevano essere estranee al Lanzi in quanto erano state divulgate in una serie di lettere da
Giovanni Bianchi (alias Janus Plancus). Lanzi trascrive una serie d’iscrizioni raccolte nel coevo museo di Rimini. Inizia
con due epigrafi etrusche, rispettivamente desunte da un coperchio e da una cassa di urna.
114
TI CLAVDIVS
FELIX EPIOLLIVS
PARIS ALLICIORES
CVLTORES SILVANI
IDEM. IMMVN
Laterculi cum litteris extantibus
PASIANA in aliis PANSIANA
SOLONAS in aliis 2 SOLONATE
SALVTI. EX VOTO
Q. PLAVTIVS. IVSVS. AEDIL. ARIM
N. S. E T. CASSIAE. THREPTES. C. S. ET
Q. PLAVTI. VERECVNDI. F. S. SA DED
H. A. S. A. TH. L. Q. D. R. I. N. A
Basis litteri pulcherrimis quae semper decrescunt
C. NONIO
C. F. AN. CAEPIANO
parvus lapis
.ALPVRNIA
M. AYP. MAPKOC PARTHANIV
equo. publ. Ex QVIN
CEB.AΠEΛEY in alia eiusdem formae cip-
decuris. judicu
ΘEPOC. MNH po sed praealto et
praef. coh. ĪĪĪ britt
MHC. XAPIN
num.veteranor
litteris majoribus
NASINIAE. TITI
equitate. trib. leg Ī. al Sub anaglypho ubi mulier
LABEONIS
bricis. piae fidelis prae
M.M pen. similis IN. FRONTEM. P. XIIII
alae Ī asturum. praepos
EGNATIA. >. L. CHILA IN. AGRVM P. XV
numeri equitum electo
VXOR
115
ex illyrico
infra bina capita v.e m.e
C. Valerius Saturninus. D
alae Ī asturum. praef. optim
l. d. d. d.
PANTHEVM. SACRVM
in columnula
LVICRIVS CYPERVS SEX VIR
C. VETTI.C.L.
SEXVIR. AVGVSALIS
VICTVM
Inventa scorj in fragmenta lapidum sent.a. P.ri impugnata a Passeris
SALVE
Lapis ingens litteris majoribus
IN. FRONT
P.XII
columna miliaria
altra di b. r. co’ CCXI
DDD. NNN
VALENTIN. etc.
MONVETO
BELENVS
Iacet post macer.m
in lapide quadrata
lapis integre litteris
majoribus et pulcherrimis
[disegno VI]
Catinus cum manu anaglifa
in arca
HIC EGO SVM POSITA IRENE
litteris extant
PORTVM SVPER
QVAE VIXI . X . VIII . KAL . HANC . MEI . MI
MISERE POSVER . ARKA . PARENTES
Lapis litteris major
FELICISSIMVS . AVG . LIB . ET . FVRFVLANA . IRENE M.LIBVRNIVS .
L.F
CREDO . QVIA REDEMTOR MS VI
M.VETTIVS.T.F
VIT ET IN NOVISSIMO DIE SVSCITA
EX.D.C.MVRVM.PVB
VIT ME.HIC REQUIESCIT IN PA
FAC.
CVR
116
CE VENERIVS.PRB.QVI.VIXIT
ANN.QVADRAGINTADVO
DEPOSIT.EST.DIE.XI.M.FEB
INDC.VIII.Q.H.TVM.VIOL.HABE
Lapis apertis litteris parvus
HYP DE FORO SEDE
AT ANATHEMA.ADCCCVIII
INDICO
PAT.P.VERB.DN SERGIVO.EPC.TE
PORT.C.IN.ATR AD.DNIN.IHVXP
D
M
C.SORNOIO…
In Museo lapideo vetere litterae mediocres
FVNERE non aequo puer immaturus obivi marmoreisque meis his jaceo
MAIORIS.VIX
M SEX D XXI
ORAS VIIII
tumulis. Non potui parvus puerilem implere
MONTANVS ET
juventam nec vestire meam novo flore faciem
SORTITA PATRES
nec senior capiti niveos mutare capillos at FATO
victus sorte puer perii. Heu crudele nefas quae
me generaverat hora haec eadem vitae ter-
Laterculi litteris extant.
minus hora fuit. Non ego quid perii doleo set
ex majoribus tegulis
parvulus infans quod cum plus saperem spem merui dubiam si vita incolumis potuisset vincere fata
SOLONAS
…
NSIANA
crevisset generis gloria magna mei. Fortuna in-
AESONA.F.
visa est spes est frustrata parentes mors CVNCTA
PANSIANA
eripuit dira quies hominum
117
Sono nello stesso Museo alcuni bassorilievi in terra cotta specialmente due
lottatori ben disegnati.
In oltre un marmo quadrato con una testa di toro non iscarniata non so se
ornamento di fabbrica o altro.
Un grosso frammento di uccello (merlo nisi fallor) disegnato e dipinto assai bene
in terra cotta con vernice durissima per calcestruzzo.
Varj idoli di bronzo etruschi sul far de’ Medicei trovati in queste vicinanze, così
teste di toro con 2 falli e con intaccatura al di sotto.
FANO
Il celebre Arco di Augusto si conserva tuttora in buon essere nella parte
inferiore dal cornicione in giù; è a tre porte, le due laterali sono strettissime e
senza taglio di cornice; e rimangono quasi interrate sopra terra. Sopra il
cornicione nella fascia era la inscrizione in bronzo che ora levato via del tutto
rimangon solamente i segni delle lettere, che sono piuttosto rotonde A tagliate in
cima, e altri caratteri del secolo augusteo. Nella fascia minore è la inscrizione di
Aproniano caratteri poco profondi che tirano all’alto e non hanno punto del
barbaro. Vicino all’arco è la imagine in bassorilievo di ciò che fu prima che nella
guerra mossa da Pio II fosse devastata la parte superiore di cui rimane piccolo
avanzo. Vi erano degli archi piuttosto alti frammezzati da colonne corinzie, e ogni
arco aveva parapetto che formava quasi una bella loggia.
In cima era scritto DIVO AVGVSTO . PIO . CONSTANTINO . PATRI.
DOMINORVM .
118
Nella fascia leggesi Imp . Caes . Divi . F. Augustus . Pontifex . Max . Cos . XIII .
Tribunicia protestate XXXII
Imp . XXVI . Pater . Patriae . Murum . Dedit
Sotto Curante L . Turcio . Secundo . Aproniani . Praef . Vrbis . Fil . Asterio . V .
C . Corr . Flam . et Piceni
La inscrizione de’ Bagni è come in istampa. Vi è qualche interpunzione notabile
DENOVO. E MAXIMA EX PARTE. Tutto senza punti che però si usano anche
nella parola RES . PUB .
Il carattere è bellissimo. Intorno la lapide sono come intaccature scavate a luogo a
luogo per le grappe.
E’ nel palazzo pubblico come la seguente ch’è in caratteri piuttosto rotondi
specialmente l’O molto dilatato e senz’apici ma d’un solco seguito e non molto
profondo. Le linee son fitte, e nel Museo Mediceo vi è qualche inscrizione dello
stesso carattere. La pietra è un cippo poco alto, nella cui estremità è un pezzo
rozzo per fissarla in terra.
A . TERENTIVS . ET
M. VARRO LVCVLLVS
PRO . PR . TERMINOS
RESTITVENDOS
EX . S. C . COERAVIT
QVA . P. LICINIVS
AP . CLAVDIVS
C. GRACCVS . III . VIR
A . D. A. I . STATVERVNT
119
In Palazzo Pubblico in un marmo che sporge e comparisce convesso come quello
de’ 2 Ars di in lettere bellissime e non dissimili molto da quelle
P . PLTIVS . L . F. CAM
VETERANVS . LEG . II
AVGVSTAE . SIBI . ET
VRBANAE . L .
TESTAMENTO . FIERI . IVSSIT
Casa Amiani
C. SEI . G. L . CROCI
Sejae C. L .
Feliculae . col
C . Sei . Mariti . FILI
In Palazzo C. Vergisius . C . L
PAMPHILVS
Sexvir Fanestriv
Ex testamento
Ivi
Q . Golius . Q . L . Nicomedes
Medicus Ocularius Sexvir
Col . Iul . Fanestris
Golia . Q . L . Salvia . Vxsor
Q. Golius . Q . F . Pol . Fanester Filius
Velia . Q . L . Prisca . Vxsor
120
ex testamento . Fanestris . Fili .
Ivi
D. M .
L . Titulenus L . L
Tertius . oriundus
Colonia . Iulia . Fano
Fortunae . Sex . Vir
L. Titulenus. Tituleni . F
Vrsio . Annorum XII
Casa Amiani in marmo che termina a semicerchio
Loc
ibidem
Sepulturae
Loc. Sep
C. Dinilleni Val
entis et uxoribus
concubinisque
In fro . ped
XVI
in ag. pe . XVI
SENIGALLIA
[…] Lanzi raccoglie una serie di epigrafi conservate nel palazzo dei
Marchesi Baviera a Senigallia, che erano state trascritte nel 1783 in un
manoscritto di Aurelio Guarnieri Ottoni (1737-1788), conservato nella Biblioteca
Comunale di Osimo: CORRADINI 1995 ricostruisce la vicenda di questa
raccolta. La collezione, che era costituita di 156 reperti, attualmente consta solo di
58 epigrafi; tuttavia è particolarmente interessante come documento del gusto del
121
tempo in quanto i reperti archeologici sono disposti, entro riquadri, nell’atrio del
palazzo, nel cortile interno e lugno lo scalone. Il Lanzi ammirava questi lapidari
privati, anche se agli Uffizi verrà disfatta la decorazione barocca dell’ingresso,
ricca di lapidi e di frammenti scultorei, per dividere le iscrizioni a seconda dei tipi
e del contenuto, segnando una divaricazione tra quello che si addiceva ad un
museo pubblico e quello che era consono ad una casa gentilizia. La raccolta in
questione risaliva a Gian Giuseppe Baviera, appartenente alla casa reale di
Wittelsbach la cui famiglia si sistema a Senigallia fin dal 1474. Gian Giuseppe,
cavaliere di Malta e referendario per volere di Innocenzo XII (1615-1700), fu
autore del Lapidario in questione. E’ utile sottolineare a questo punto come il
Baviera acquisti lapidi a Roma durante i suoi contatti con la capitale; questo dato
di fatto può mettere in guardia in tanti altri casi consimili in cui i reperti di antica
sistemazione sono troppo sveltamente considerati come prodotti locali. E’ poi
interessante notare come il Lanzi non si preoccupi della provenienza dei singoli
reperti: egli vuole studiare il contenuto delle iscrizioni, indipendentemente dalla
loro provenienza. La prima epigrafe riportata dal Lanzi (CORRADINI 1995, n.
86) era situata nell’atrio ed oggi risulta perduta; è comunque trascritta nel CIL,
(VI, p. III, 1813): D(IIS) M(ANIBUS)/TITUS FLAVIUS/ MARTIALIS
HIC/SITUS
EST/QUOD
EDI/BIBI
MECUM
HABE/QUOD
RELIQUI/PERDIDI/V(IXIT) A(NNIS) LXXX/IN F(RONTEM) P(EDES) V IN
A(GRUM) PEDES VIII. Il Guarnirei (v.CORRADINI 1995) legge dedi, ma
invece il motto in settenario trocaico, secondo il DESSAU che legge edi, suona
così: “Ho ciò che ho mangiato, ciò che ho bevuto, ho perduto ciò che ho lasciato”.
Il Lanzi annota “caratteri forse di Domiziano” e quest’osservazione è anche oggi
accettabile; a lato dell’epigrafe nota la corona tra le lettere D ed M ed esprime
dubbi sulla sua autenticità “omnia genuina”. In effetti questa epigrafe fu trascritta
122
dal Gori che la pubblicò (Firenze, Biblioteca Marucelliana, Cod. A 63) (cfr. DE
VERGERS, p. 24). Risulta scavata a Roma nel 1731 e, secondo il Gori, fu subito
nascosta; questa notizia costituisce una spia del materiale archeologico che,
secondo le leggi papali, non poteva lasciare la città.
Segue a destra un’epigrafe che corrispone in CORRADINI 1995 (p.56, n.66) e in
CIL (VI, 11592) alla piccola stele marmorea funeraria – 0,25x0,22m – dedicata ad
Ampliata, schiava di Primigenia. L’epigrafe – datata al I d.C. – termina con sei
senari
giambici
della
sventurata
in
forma
consolatoria:
D(IS)
M(ANIBUS)/AMPLIATA V(IXIT) A(NNIS) IIII, /M(ENSIBUS) VI D(IEBUS)
XXIV
PEDANIA/PRIMIGENIA
DO(L)ERE
FECIT/VERNAE
MAMMA/FACIENDUM
KARISSIMAE.
FUIT/PROSPERAVIT
NOLI
AETAS,
FATUS/VOLVIT MEUS. Il Lanzi annota “sic” sopra “fatus” e, invece di “meus”
legge “mejus”; per ultimo chiosa “caratteri come in una iscrizione di Arezzo”.
A sinistra, nella stessa fascia alta, è un’altra epigrafe, oggi illeggibile, della sconda
metà del I d.C. (CORRADINI 1995, p.55, n. 64; CIL, VI, 17843) che tratta
ugualmente di uno schiavo contraddistinto solo dal nome di battesimo, Felice
(DIS M(ANIBUS) S(ACRUM)/FELICI VERNAE SUO/FEC(IT) AMARYLLIS).
Forse questo è il motivo per cui il Lanzi ha trascritto l’epigrafe confermando così
il suo interesse per l’onomastica latina e per le varie formule distintive delle classi
sociali, prima di affrontare le possibili equivalenze etrusche.
Sotto
all’epigrafe
di
D.M/FELICITATIS/VIX(IT)
Amaryllis
il
ANNO
Lanzi
ne
segna
UNO/M(ENSIBUS)
un’altra:
IX
D(IEBUS)VII/CALLISTUS PATER/FECIT (CORRADINI 1995, p. 62, n. 82),
ove il padre della defunta Felicita (ironia della sorte) è contrassegnato dal solo
prenome. Il CIL (VI, pars III, 17813) segnala questa epigrafe in casa Baviera
123
Guarnieri nel 1783; il Lanzi la dice “non più rilevabile” e, a lato, annota
“caracteres aperti”.
Nella fascia sottostante, da sinistra, Lanzi riporta alcune epigrafi che si trovavano
nell’altrio, prima di salire le scale. A sinistra della precedente è un’epigrafe che
non risulta al Guarnirei, dedicata dai genitori a Quinto Julio Strentoni, figli di
Aurychia; a lato il Lanzi chiosa “caratteri belli”.
Al centro del medesimo foglio troviamo un’epigrafe – riportata dal Guarnieri –
che si trovava nell’altrio (CORRADINI 1995, n. 74) e che il cristogramma
riportato dal Lanzi indica come una epigrafe cristiana (ILCV, 3252). Il testo […]
A destra è riportata un’epigrafe che si trovava sempre nell’atrio e che oggi risulta
illeggibile; era stata trascritta dal Guarnirei (v.CORRADINI 1995, n. 70; CIL, VI,
p.
IV,
28458):
M(ARCUS)
METELLUS/M(ARCUS)
VENILIUS/M(ARCI)
L(IBERTUS),
VENILIUS/O(BIIT)/METELLI
L(IBERTUS)
PRIMUS./OSSA HIC SITA SUNT.
Lanzi trascrive questa epigrafe in cui sono riportati i nomi di due liberti della gens
Venilia; al posto di “obiit” disegna, come è nell’epigrafe, il theta greco che, come
inizio della parola “morte”, sta per “morì”; in fondo postilla “litterae oblongae ut
inscriptae Iesi sed elegantius”.
Sempre nell’atrio Lanzi trascrive un’altra epigrafe con l’onomastica di vari
defunti
e
di
uno
schiavo
VIBIUS/POLYCARPUS/C(AIUS)/VIBIUS
DORUS
augusteo:
HALUS
C(AIUS)
TI(BERII)
CLAUDII CAESARIS(SERVUS) AEDITUUS/DE AEDE JOVIS.PORTICUS
OCTAVIAE. Per questa iscrizione, oggi non più leggibile, si veda CIL, VI, 8708,
CORRADINI 1995, n. 16. In fondo alla trascrizione il Lanzi scrive “caratteri un
po’ inclinati verso destra”.
124
A destra è riportata un’altra epigrafe posta nell’atrio, oggi non più rilevabile;
segnalata nel CIL (VI, p. III, 17296), è riscontrabile nel Guarnirei
(v.CORRADINI 1995, n. 27): DIIS MANIBUS/EVANGELI/VERNACULI
SUI/V(IXIT) ANN(IS) XIIII, MENS(IBUS) X/MEMORIAE TI(BERIUS)
CLAUD(IUS)/HELENUS. Eleno è probabilmente un liberto imperiale.
Nella penultima fascia della carta il Lanzi riporta quattro epigrafi: la prima a
sinistra si trovava ancora nell’atrio e, prima di essere spostata lungo la scala, è
edita in CIL (VI, p. III, 20595) ed è segnalata dal Guarnieri (v.CORRADINI 1995,
n.40); è riportata su una stele con il busto della defunta dal nome grecanico,
offerta dal figlio: D(IIS) M(ANIBUS)/JULIAE PARHALIAE/V(IXIT) AN(NIS)
L.X./C(AIUS) JULIUS FELIX/MATRI B(ENE) M(ERENTI) F(ECIT). Il Lanzi
non accenna al ritratto della defunta, evidentemente il suo interesse è rivolto
soprattutto a tituli epigrafici.
Nello stesso punto dell’atrio, prima di salire le scale, è l’epigrafe riportata in CIL
(VI, 3376) e segnalata dal Guarnieri (v.CORRADINI 1995, p. 49, n. 39); in questa
iscrizione, oggi non più rilevabile, una donna ricorda l’alunno Agatonico:
AUR(ELIA)
SALVILLA/AGHATONICO/ALUMNO
FEC(IT)
V(IXIT)
AN(NIS) I M(ENSIBUS)/ I D(IEBUS) XXVI.
A destra è l’epigrafe che trova corrispondenza in CORRADINI 1995, p. 44, n. 31,
si trovava nell’atrio ed era parzialmente leggibile: P(UBLII) CLODII
PULCHERI/L.FELICIS/SEMPER
QUI
FUIT/DULCIS
SUEIS/CLODIA
PULC(HRA) LATHAUST.
Lanzi legge “Lucius”invece di “Publius”, è incerto tra il suis e il sueis arcaico;
nell’ultima riga completa “pulchra” per cui l’ultimo nome riuslta thenate?
Lanzi riporta una piccola stele marmorea con frontone semicircolare, datata al IIIII secolo d.C.: D(IIS) M(ANIBUS)/DOMI/TIO ABAS/CANTO (v.CORRADINI
125
1995, p. 50, n. 42; CIL, VI, 16922). Al Lanzi interessa soprattutto la formula del
defunto con il gentilizio ed il cognome “Abascanto” (non invidiato, amato),
frequente tra le persone di umili condizioni.
Un’altra epigrafe, proveniente dalle catacombe di Callisto e Protestato – oggi non
rilevabile
–
ricorda
ancora
una
liberta:
LAIS/L(IBERTA)
COPONI/SARCINATRIX.
Alla fine della pagina il Lanzi trascrive una epigrafe che si trovava nell’atrio e che
oggi non è più rilevabile. CORRADINI 1995, p. 44, n. 34, ne dà il testo:
P(UBLIUS)
VIBIUS
P(UBLII)
ET/M(ULIERIS)
L(IBERTUS)/ONESIMUS/VIX(IT) ANNIS XXVII. Si riscontrano differenze di
lettura tra il Guarnieri, che scrive “mulieris” e la parola quasi illeggibile del Lanzi
forse ANICIAE (CIL, VI, p. IV, 28828); Guarnieri segna “annis XXVII”, il Lanzi
“47”. Anche in questo caso è da segnalare la particolarità di un nome greco
latinizzato come “Onesimos”, che di per sé indica uno stato servile, ed il fatto che
il defunto sia un liberto di due padroni.
La trascrizione si riferisce ad una lastra divisa in due a libro da un solco continuo,
recante
due
epigrafi
VETTIENUS/L(UCII)
per
un
uomo
L(IBERTUS)
e
per
SALVIUS”
una
e
donna:
L(UCIUS)
“VETTIENA/LUCII
L(IBERTA)/ FĪLUMINA (v.CORRADINI 1995, n. 21; CIL, VI, 28657). Anche in
questo caso la donna, un tempo serva, porta un nome greco; rimane problematico
se i defunti fossero stati colliberti oppure se la donna fosse stata manomessa da
Salvius. A lato della trascrizione, Lanzi annota: “eiusdem caracteris in Museo
Maediceo”.
L’epigrafe era nell’atrio; corrisponde a CORRADINI 1995, p. 37, n.11, e a CIL,
VI, I, 2927: D(IIS) M(ANIBUS)/A(ULUS) UMBRICIUS SEDATUS/MIL(ES)
COH(ORTIS) XII URB(ANAE)/ C(ENTURIAE) EGNATI, MILIT(AVIT)
126
M(ENSES) XI/VIX(IT) AN(NIS) XIIX A(ULUS) UMBRICIUS/PROBUS
FRATRI PIENT(ISSIMO) FEC(IT). Il Lanzi non sottolinea il gentilizio
Umbricius che si è fatto derivare dall’etrusco Umria, Umrna o, più recentemente,
da Umber (v. Prosopographia Imperii Romani 1887-1993); ma il cognome
Probus riscritto a lato del testo. In effetti è un aggettivo di significato trasparente
che col tempo deve perdere questa caratteristica per entrare nell’uso onomastico
romano, per cui la formula diventerà trimembre (v.KAJANTO 1965). Il Lanzi
osserva questo movimento interno della lingua latina e del costume romano; in
effetti il cognomen sarà anche un elemento nella formula onomastica etrusca del
periodo più recente, specialmente nell’Etruria settentrionale (v.CRISTOFANI
1991, pp. 98-99). Si possono inoltre stabilire anche delle equivalenze tra alcuni
cognomi latini come Balbus (balbuiente) e Pulpe etrusco, Crispus (ricciuto) e
Crespe ecc.
Un’altra epigrafe che si trovava nell’atrio del Palazzo Baviera, non più rilevabile.
Il testo è riportato dal CORRADINI 1995, p. 39, n. 15, e nel CIL, VI, p. III,
22651: L(UCIUS) MUNATIUS CHIUS AEDICULAM/EMIT AB IMO USQUE
AD SUMMUM AB A(ULO)/AUTRONIO HERMETE ET AB METTIA
ZOSIME/SIBI ET POSTERISQ(UE) SUIS.
L’epigrafe – ricordata anche da DE VERGERS, p. 21 – tratta dell’acquisto di una
edicola funeraria da parte di L.Munatio Chio, che gli viene ceduta da due persone
di origine grecanica. Sulla destra della trascrizione Lanzi trascrive una epigrafe
dell’atrio ancora ben conservata ed oggi murata nel cortile interno del Palazzo: v.
CORRADINI 1995, p.38, n. 14 e CIL, VI, I, 3109. Nel Corpus non è citato il
Guarnieri,
ma
DE
VERGERS.
Il
M(ANIBUS)/POMPONIAE/VALENTINAE./CONIUGI
testo:
BEN/E
D(IS)
MERENTI
ET/M(ARCO) DOMITIO VAL/ENTINO FILIO/DULCISSIMO.QU/I VIXIT
127
ANNIS/VI.MENSIB(US)XI./M(ARCUS)
DOMITIUS
VAL/
ENS.MIL(ES)
CL(ASSIS) PR(AETORIAE)/MIS(ENESIS)/FECIT. Il Lanzi chiosa “e.o.
ortografia sospetta in diverse E”; in effetti la grafia è caratteristica del II secolo
d.C. e pertanto l’osservazione non è pertinente. Comunque l’epigrafe è già
importante per il fatto che proviene dalla via Appia e perché dedicata ad un
soldato che aveva fatto parte della flotta stanziata a Miseno e che era stato
accasermato nell’urbe accanto ai pretoriani. Le flotte di Miseno e di Ravenna si
denominano praetoriae a partire dal 114 d.C., se non dall’età flavia fino al 208
d.C. Il dedicante Marco Domizio Valente, pur essendo un soldato, ha una formula
onomastica tirmembre, che potrebbe essere connessa all’acquisto della
cittadinanza latina o alla “grazia imperiale” che così gratificava i militari della
flotta.
Nella fascia centrale, che il Lanzi delimita tra due righe verticali, troviamo in alto
una epigrafe che corrisponde ad una ara funeraria con patera ed urceus secondo il
disegno del Gaurnieri, che la riporta al n.4 del suo manoscritto fra le epigrafi
disposte nell’atrio del Palazzo; corrisponde alla trascrizione della CORRADINI
1995, n. 1 (CIL, VI, p. III, 20074). Il Lanzi scrive “in cippo sepolcrale” e riporta:
DIS
M(ANIBUS)/C.IULIO
HILARO/CONIUGI
BENE/MERENTI
FECIT/PLOTIA PARTHENOPE.
Ci sono delle discrepanze tra il testo di Gaurnieri e qullo di Lanzi; infatti alla
formula onomastica dell’uomo il Lanzi fa precedere un C. e traslittera il cognome
greco correttamente nel latino Hilaro da Hilarus invece che Hilario; anche la
donna ha un nome greco. L’epigrafe è opera tarda, databile al III d.C.
Nell’ultima zona verticale, a destra, il Lanzi riporta una epigrafe collocata sul
primo ripiano della scala ed oggi affissa alla parete del cortile del Palazzo
(corrispondente a: CORRADINI 1995, p. 67, n.88; CIL, VI, 12452). Il Lanzi
128
premette “sincerissima” e in fondo ripete “sincera con encarpi non rudi” forse
alludendo alla decorazione di fiori di acanto; la trascrizione: D(IS)
M(ANIBUS)/M(ARCI)ARTANI/ATHENEI
F(ECIT)/COIUX
B(ENE)/M(ERENTI) LUCIA PR/OCLA (il lapicida scrive COIUX per
CONIUX).
Questa iscrizione viene definita anch’essa “sincera” e trova confronto in una
piccola lapide nel secondo piano delle scale del Palazzo oggi affissa nella parete
lungo lo scalone (CORRADINI 1995, p.79, n. 106; CIL, VI, 12678), anche questa
tratta di un liberto, un certo Marco Azio Disca che compra quattro olle per le sue
ceneri e per quelle dei familiari. I liberti avevano ottenuto lo ius sepulchri nel I
secolo d.C.; i colombari, costruiti per le famiglie nobili, accoglievano anche le
loro ceneri; nel II e nel III secolo d.C. i liberti e le liberte avevano colombari a se
stanti dove erano deposte le olle con le ceneri dei cremati.
Sotto alla precedente è la trascrizione di una epigrafe che si trovava nel primo
piano della scala, in un’urna cineraria non più rilevabile, recante ai lati geni che
sostenevano corone come ricorda il CIL, VI, 2518. La CORRADINI 1995, p. 67,
n. 87, riporta il testo: D(IIS) M(ANIBUS)/ M(ARUCS.) ULPIUS M(ARCI)
F(ILIUS)/
JUL(IUS)
VERUS/EMONA/MESOR
COH(ORTIS)/
III
PR(AETORIA) V(IXIT) A(NNIS)/XXIX M(ENSIBUS) II/D(IEBUS) VII. Lanzi
non commenta, ma scrive “mesor” rispettando l’errore del lapicida, mentre il
Gaurnieri precisa “mensor” (architetto, agrimensore). Il defunto è un pretoriano
che militava in una coorte di frombolieri mediani. Il CIL, VI, 1, 2518, ci rende
edotti della giusta trascrizione; quindi si può escludere che il Lanzi abbia ripreso
le iscrizioni dal ms. Guarnieri, che è del resto dello stesso anno del suo viaggio.
Anche l’elenco del Lanzi non rispecchia la suddivisione del ricordato manoscritto.
La trascrizione dell’epigrafe in oggetto era stata fatta da Francesco Bianchini, il
129
primo acquirente, che l’aveva inviata a S.Maffei, il quale la pubblica a p.310 del
suo Museum Veronense, ne parla anche DE VERGERS, p. 23); quindi passa in
casa Baviera.
Nella stessa colonna, sotto l’iscrizione di Pomponia – murata oggi lungo lo
scalone di Palazzo Baviera e un tempo sul secondo piano della scala entro un
riquadro profilato – è una epigrafe che corrisponde a: CORRADINI 1995, p. 90,
n.124; CIL, VI, 25011. Il testo: HABE D(IS) M(ANIBUS)/PRIMAE FILIAE. Il
Lanzi non completa l’iscrizione, ma la riassume nei righi sottostanti: “(sic rel.ª sit
in M.=così replicata nel Museo Mediceo) pientissimae et incomparabili quae vixit
an(nis) II mens(ibus) XI d(iebus) 28 ecc.ecc.”.
Sotto a questa epigrafe il Lanzi ne trascrive un’altra premettendo la nota “non
certa”; questo appunto viene a confermare l’ipotesi che nella collezione dovevano
essere entrate epigrafi dubbie o addirittura false. L’epigrafe si trovava al secondo
piano delle scale (v.CORRADINI 1995, n. 89, che riporta CIL, VI, 25638: errato,
per 25636); il Guarnirei riporta il testo saltando, al V rigo, “Saturnina”, che
invece il Lanzi ed il CIL riportano. Il testo: D(IS) M(ANIBUS). / RUSTIA
SATURNINA CO/NIUGI ONESIMO BENE ME/RENTI FECIT. LIBERT(IS)
LIBERTA/HUS(QUE) POSTERISQUE EORUM./TI(BERIUS) CL(AUDIUS)
PANTHAGATHUS.
TATAE
SUO./FECIT.RUSTIA
SATURNINA
OLLAM/DONAVIT MAIO. CAES(ARIS) N(OSTRI) SERVO. TA/TULAE
SUO. Secondo SCHULZE 1904 il nomen “Rustia” è molto diffuso a Roma e
sembra originario dell’Etruria e dell’Umbria.
130
NOME DELL’AUTORE: GALY, PAUL (18..-18..; HISTORIEN).
TITOLO DELL’OPERA: TROIS SEMAINES EN ITALIE : (NOTES DE
VOYAGE). 1889.
ANCONE
Aprés avor rapidement franchi Bologne, Faenza, Forli, Urbino, Rimini,
traversé la République de St-Marin et passé à Pesaro, nous arrivâmes à Ancône,
où nous devions nous arrêter toute le journée du lendemain. – La pluie s’était
calmée, et nous n’avions été éclairés, pendant la nuit, que par les lucioles mettant
des miliers d’étincelles aux arbres et aux champs d’alentour.
Ancône est une assez petite ville, située sur deux mamelons que baigne la mer
Adriatique.
Elle est bâtie en amphitéâtre et possède un joli port, en demi-cercle.
A l’extrémité d’une jetée qui s’avance dans la mer, on aperçoit l’arc de triomphe
élevé à Trajan, le bienfaiteur d’Ancône. Cet ar-de triomphe a été construit à la
pointe meme d’un des promontoires du golfe, au sud de la ville, et se trouve dans
une position superbe, dominant la mer ; les colonnes des chapiteaux sont d’ordre
corinthien ; il est petit, mais paraît immense à cause de ses proportions ; audessous de l’entablement, on voit encore les trous qui servaient à fixer des
ornements de bronze ou têtes de taurreaux avec leurs banderolles de fleurs.
De l’autre coôté, comme faisant pendant, se trouve le phare. Nous vîmes de pres
ces intéressant édifices, et puis nous rentrâmes dans la ville en suivant les bords
131
du golfe. J’eus la plaisir de rencontrer des pecheurs qui retraient leurs filets et
leurs longues lignes. L’un d’eux eut la chance de prendre devant moi une
magnifique anguille de mer ou congre.
Nous primes le chemine de la ville et dégeunâmes à l’hôtel Milanèse. Dans la
journée, nous visitames la citadelle, la cathédrale, qui est un ancien temple de
Vénus, et après avor passé une bonne nuit, nous quittâmes Ancône pour Naples
par Foggia.
132
NOME DELL’AUTORE: ROCHE J. L. H. (18..? – 18..?)
TITOLO DELL’OPERA: VOYAGE CLASSIQUE EN ITALIE ET EN SICILE
ANCONE
JOSEPH.
Nous voici dans la marche d’Ancône et dans l’ancienne capitale de la province
qui porte ce nom. La rade est belle et commode, et ce port au fond du quel s’élève
un môle superbe me paraît très-fréquenté ; il doit avoir ses franchises
commerciales.
LE CICERONE.
Ancône est située sur le penchant d’une colline et s’étend jusq’à la mer. Vous
voyez, à l’entrée du môle dont vous venez de parler, un arc-de triomphe élevé en
l’honneur de Trajan. Benoit XIV a aussi le sien.
[…]
LE CICERONE.
133
Ancône dont le nom vient du mot Ancon, ou du coude que forme la côte vers le
promontoire de Cumerium, fut fondée par les Syracusains qui fuyaient la tyrannie
de Denys. Elle fut prise par César après la passage du Rubicon. Ce général s’en
rendit maître ainsi que de tout le Picenum.
RIMINI
Il s’empara de même d’Ariminum, aujourd’hui Rimini, et causa par ce nouveau
succès une consternation affreuse dans Rome. Le préteur Roscius porta au
triumvir des paroles de paix de la part du sénat ; mais les négociations ne purent
avoir des résultats favorables.
JOSEPH.
On voit encore, dit-on, un piédestal de marbre qui faisant partie de la tribune sur
laquelle César harangua ses soldats avant de marcher sur Rome.
[…]
ALFRED.
Cette ville offre-t-elle un bon port au commerce ?
LE CICERONE.
L’ancien port n’existe plus ; la mer s’étant retirée, on ne voit plus à l’embouchure
de la Marecchia que quelques bateaux de pêcheurs. On entre à Rimini par un pont
134
superbe et bîen orné ; c’est là qu’aboutissaient les deux routes consulaires : la
Flaminienne et l’Emilienne. En sortant par la port romaine, vous passerez sous un
bel arc-de-triomphe élevé en l’honneur d’Auguste.
NOME DELL’AUTORE: ROCHE EDMOND (1826-1861)
TITOLO DELL’AUTORE: L’ITALIE DE NOS JOURS. 1860
ANCONE
Ancone est une ancienne ville bâtie sur le penchant d’une
colline qui s’avance dans la mer. Son port, de forme circulaire,
défendu par deux môles, est un des plus beaux et des plus fréquentés
de l’Italie. Trajan le fit considérablement agrandir, et ce fut pour
marquer leur reconnaissance à cet empereur que les habitantse
érigèrent en son honneur l’arc de triomphe que nous voyons sur la
jetée du port, à l’entrée du môle. Assez près est un autre arc de
triomphe moderne élevé en l’honneur du pape Clément XII qui avait
commencé le môle et le lazaret. Ce second arc, d’ordre dorique, est
assez estimé […]
La cathédrale dédiée à saint Cyriaque est située sur la pointe du
cap, où était autrefois le temple de Venus […].
135
NOME DELL’AUTORE: MADAME DE STAEL
TITOLO DELL’OPERA: CORINNE OU L’ITALIE
Per Madame De Staël “E’ inutile affidarsi alla lettura della storia per
comprendere i popoli. Ciò che si vede suscita in noi molte più idee di ciò che si
legge, e gli oggetti esteriori producono un’emozione forte che dà allo studio del
passato l’interesse e la vita che si riscontrano nell’osservazione degli uomini e
dei fatti contemporanei”. Pertanto nel suo romanzo saggio sul suo viaggio italiano
“Corinne ou L’Italie” del 1807 Madame De Staël narra il mito di un’Italia
primitiva e, nello stesso tempo, coltissima.
Rimini. “Per dieci giorni costeggiarono l’Adriatico; quel mare, sul versante
romagnolo, non fa pensare né all’Oceano né al Mediterraneo. La strada si snoda
lungo il litorale, e sulle rive ci sono dei prati: non è così che ci si raffigura lo
spaventoso impero delle tempeste! A Rimini e a Cesena si lascia il territorio
classico degli avvenimenti della storia romana, e l’ultima memoria che torna in
mente è il Rubicone, attraversato da Cesare quando questi decise di divenire il
padrone di Roma. Per uno strano accostamento, non lontano dal Rubicone si trova
oggi la Repubblica di San Marino, come se queste ultime e deboli vestigia della
136
libertà dovessero sussistere accanto ai luoghi dove la repubblica del mondo venne
distrutta.
NOME DELL’AUTORE: GIOVANNI PASCOLI
TITOLO DELL’OPERA: IL RUBICONE IN POESIE DAL 1872 AL 1880
Tra le marruche in cui frascheggia il vento
corre un’acqua che ha nome il Rubicone,
un fil d’acqua che scivola al pilone
d’un ponte eccelso come un monumento.
NOME DELL’AUTORE: GIOVANNI PASCOLI
TITOLO DELL’OPERA: IL MONTE TITANO IN POESIE MINORI ED
EPIGRAMMI
La pianura animata dalle bianche città e l’Adriatico, percorso per ampio
tratto da candide vele, ti guardano con rispetto, monte Titano, come un guardiano,
ti stagli con le tue tre vette nel cielo sereno.
137
Chi sta per lasciare i fieri Lingoni e quei terreni sabbiosi che non hanno più
nessun ricordo del mare, sia che oltrepassi a piedi i fiumi che scorrono sotto i
ponti romani […]
Mons Titan
Te campus albis discolor oppidis
velisque late candidus Hadria
Titana mirantur sereno
tergeminum vigilare caelo.
Te quisquis acres linquere Lingones
vult atque harenas inmemores maris,
sive ille pilis obstrepentes
Romuleis pede transit amnes
138
NOME DELL’AUTORE: PETIT-RADEL-PHILIPPE
TITOLO DELL’OPERA: VOYAGE HISTORIQUE, CHOROGRAPHIQUE ET
PHILOSOPHIQUE DANS LE PRINCIPALES VILLES DE L’ITALIE EN 1811
ET 1812
Vol. 1
RIMINI
C’est un ville dont la fondation se reporte fort loin, ainsi que l’attestent
quelques monuments qui ont résisté à la barbarie des temps. Elle fut la première
dont César s’empara sur le Ombriens, après avoir passé le Rubicon ; elle fut
encore célèbre pour être le lieu où aboutissaient les voies Flaminienne et
Emilienne. Elle voulut aussi se constituer en république, et, sous ce
gouvernement, elle ne fut point heureuse, ayant été obligée de se soumettre aux
Malatesti […]
La mer s’est beaucoup retirée de cet endroit, où l’on trouve encore
quelques vestiges de l’ancien port ; ce qui donne lieu de croire que la ville était
autrefois très-commerçante. Au midi, elle a pour rideau une suite des collines
détachées du cordon des Apennins. La porte de Saint-Julien, par où l’on arrive à
Rimini, est au lieu de jonction des anciennes routes romaines. Le pont sur lequel
139
on passe, long de deux cent vingt pieds, fut construit sous les empereurs Auguste
et Tibère ; il est en pierre blanche d’un très-gros volume, et d’un grain si fin, que
la cassure imite celle du marbre. Il a cinq arches d’égale grandeur et de dix-sept
pieds de rayon ; quatre sont anciennes et assez bien conservées, l’autre est de
réparation. Les pierres énormes en sont encore si bien jointes, qu’on a peine à
suivre leur défaut de continuité ; chaque clef offre des couronnes et autres
ornemens. On distingue encore la corniche et deux grandes inscriptions. Les
attérissemens ont couvert une partie des piles, qui ont beaucoup moins de hauteur
aujourd’hui que du temps de Palladio, si on s’en tient à ses proportions. La rue
que nous traversâmes est large, droite et fournie de belles maisons toutes en
briques. Les monuments modernes ne sont pas d’une brillante architecture ; on
cite néanmoins la cathédrale, faite et ornée des marbres qu’a fournis l’ancien
port ; on la dit bâtie sur les ruines de l’ancien temple de Castor et Pollux. Elle a
trois nefs. L’église de Saint-François date du quinzième siècle ; elle fut élevée
d’après les dessins de Léon Alberti. On y voit de belles peintures du Giotto, et
beaucoup de bas-reliefs fort curieux, entre autres ceux qui ornent la tombe de
Malatesta, général vénitien qui aima les sciences et les savans. Cette église mérite
attention, comme offrant un des premiers monumens où le genre gothique a
commencé à empiéter sur le romain […]
Les antiquaires ne doivent point dépasser la ville sans demander à voir la
collection d’inscriptions, et autres objets d’antiquités formés par M.Bianchi.
Rimini, outre son pont, offre encore quelques autres objets curieux à voir en fait
d’antiquités, notamment au marché des poissons, un piédestal q’on dit être la
tribune d’où Jules César harangua son armée au moment où il allait passer le
Rubicon. Si la chose n’est point vraie, du moins l’inscription suivante la donne
pour telle :
140
Caїus Caesar Dict. Rubicone superato civili bell.
Commilit. Suos hìc in foro Ar. allocutus.
On doit aussi voir les ruines de l’amphithéâtre de Publius Sempronius, dont il
reste encore neuf arcades en briques, soutenant une dépendance de l’ancien
couvent des Capucins. Ayant resté le temps suffisant pour voir tous ces objets, et
lesté mon estomac par un repas dont l’Adriatique avait fait le plus grand frais, je
remontai en voiture au-dessous de la Porte Romaine, où je m’étais rendu seul pour
mieux considérer ce reste d’antiquité. Cet art fut élevé par Tibère en l’honneur
d’Auguste, après le rétablissement des grandes routes d’Italie, qui toutes venaient
aboutir à Rimini. Il fut depuis exhaussé par une assise de brique dont le goût
gothique dépare la portion de ce qui lui est inférieur. Le monument est en gros
blocs de même nature que les pierres du pont ; il n’annonce pas une grande
majesté dans ce qui manque. Sa hauteur est de soixante pieds, et l’ouverture de
trente-un sur un soubassement sur lequel s’appuient les colonnes. Au-dessous de
l’architrave se voient deux têtes en médaillons, don l’une paraît être un Jupiter, et
l’autre une Junon. Sur la clef est un tête de taureau, attribut de l’empereur ; il n’y
a aucune inscription. Tout ce monument est en pierre blanche des Apennins, dont
le grain est aussi fin que le marbre, mais tirant sur le gris jaune, quant à la couleur.
FANO
Fano […] qui a reçu son nom d’un petit temple que la Fortune y avait du
temps des Romains. Je m’y promenai cependant par un beau clair de lune qui me
servit pour voir toute la grandeur et la régularité de la place, dont le sol est dessiné
par compartiment, à l’aide de cette pierre blanche dont le nouveaux-venus sur les
141
ponts de Venise ont tant raison de se défier. Cette ville, que je parcourus le
lendemain de grand matin, est placée au bord de la mer, près du Métaure, dont un
bras forme un petit port. Elle conserve encore les restes d’un arc de triomphe
élevé en l’honneur d’Auguste, ou de Constantin, suivant quelques auteurs. Ce
monument, tout en marbre blanc, a beaucoup souffert lors du siége que vint en
faire Paul II, en 1463. A ces monument, d’une haute antiquité, se joignent des
inscriptions indiquant des faits qu’on cherche en vain à deviner ; le temps les a
rongés presque toutes. On dit encore que la salle de spectacle est une des plus
remarquables de celles qui son en Italie, tant par la quantité et la distribution des
loges, que par la beauté des décoration […] En sortant de Fano, à un quart de
mille, se trouve le Métaure, rivière fameuse dans l’histoire pour avoir été témoin
des hauts faits d’armes des troupes romaines.
SENIGAGLIA
Nous quittâmes Sinigaglia à midi, et longeant le rivage
nous arrivâmes à une colline dite le montagne d’Asdrubal, en mémoire de la
défaite qu’éprouva ce général carthaginois, lorsque venant au-devant de son frère
Annibal, 206 ans avant notre ère, il fut attaqué et pris par les Romains, et ses
troupes entièrement défaites. Cette brillante expédition est mentionnée dans une
Ode d’Horace à Drusus, où le poete célébrant celui à qui elle était confiée dit :
[…]
ANCONE
Ancône. Cette ville, dont la situation est pittoresque, fut fondée, à ce que dit
l’histoire, par des Grecs siciliens qui, fuyant la tyrannie de Denys de Syracuse,
142
vinrent s’établir sur le coteau qu’elle occupe aujourd’hui, et y bâtirent des
maisons qui furent bientôt entourées d’autres que peuplèrent ceux qui se sentaient
animés du même zèle pour la liberté.
Les Romanis qui revenaient victorieux des Carthaginois
qu’ils avaient combattus sur le Rubicon ne virent pas ce commencement de
populations sans intérêt ; ils le consolidèrent, et bientôt s’en rendirent maître. Leur
prise de possession ne fut pas vue d’une manière indifférente par le sénat ; aussi
cette parti de l’Italie fut-elle réputée bientôt une de leurs colonies : non seulement
alors ils y élevèrent des monuments de luxe, mais encore quelques temples qu’ils
dédièrent à leurs divinités particulières. Trajan, pensant à l’utile, y fit creuser par
la suite et à ses frais un port qui aujourd’hui est entièrement comblé. Ce fut pour
éterniser la mémoire de ce bienfait que le sénat lui éleva, en l’an 115, un arc de
triomphe qui aujourd’hui se voit au nord-est de la jetée. A juger par la blancheur
du marbre, on pourrait croire que l’édifice date d’un temps moderne ; mais la
beauté de son ensemble, l’accord des diverses parties qui le forment, et la liaison
intime de ses masses, forcent à le reporter au temps ancien, où régnait le meilleur
goût. Mais quelle ne devait pas être sa majesté, quand il ne manquait rien à cet
édifice, qu’il était décoré de ses statues et autres ornemens en bronze, quand enfin
il n’avait encore éprouvé aucune mutilation, et qu’il offrait dans tout son luxe un
véritable monument triomphal ? Ce monument, suivant l’opinion du plus grand
nombre, fut bâti d’après les dessins d’Apollodore. Il n’offre qu’une seule
ouverture ; son soubassement est d’un seul bloc de marbre blanc, d’un immense
volume, et soutenu sur un massif de pierres disposés en talu et battues par les
vagues. Ses deux faces sont semblables, et ont toutes deux pour ornement quatre
colonnes corinthiennes de la plus belle proportion, bien conservées, et posées sur
des piédestaux. Entre les deux têtes sculptées sur chaque face de la clef de
143
l’arcade sont deux consoles où étaient scellés ou des bas-reliefs, ou des trophées et
guirlandes de bronze que les barbares, au quinzième siècle, ont arrachés, ainsi que
tous les autres ornemens en métal qui décoraient ce chef-d’œuvre d’architecture.
Sur la partie de l’attique qui regarde la ville son quelques vestiges encore lisibles
de l’inscription en lettres de bronze qui furent également la proie de la cupidité.
Sur celle qui fait face à la mer était sans doute un décor, ainsi que l’indiquent les
quatre trous qui sont placés à distances égales. Sur les deux entre-colonnes se
lisent encore deux inscriptions, l’une à l’épouse, et l’autre à la sœur de Trajan.
Elles sont ainsi conçues :
Plotinae
Divae
Aug.
Marcianae
Conjug. Aug.
Aug.
Sorori Aug.
L’empreinte que laissent les trous on étaient les lettres de la grande inscription
donne lieu de l’établir de la manière suivante :
Imp.Caesari, divi Nervae F. Nervae, ___
Trajano, optimo. Aug. Germanic. ____
Dacico. Pout. Man. tr. pot. XVIIII Imp. IX. ___
COS. VI. PP. Providentissimo. Principi.____
Senatus P.Q. R. Quod. accessum.____ Italiae
Hoc. etiam. ex. pecunia. sua. ___ portu.
Tutiorem. navigantibus reddiderit.
144
Au sommet de l’attique, qui est dans un état de dégradation, était la statue de
l’empereur, placée au milieu de celles de Plotine et e de Marciana. Ce monument
faisant partie de l’ancienne ville qui alors se reportait plus sur la partie est, et était
abritée par deux monticules que surmontait un plus élevé, où était le temple de
Vénus, aujourd’hui la cathédrale. Isolé de la ville comme il l’est actuellement, il
en acquiert plus de noblesse et de pittoresque.
Le port d’aujourd’hui s’est formé insensiblement pour
correspondre aux maisons actuelles qui se sont élevées, par la suite des temps, sur
la pente de la montagne et sur le rivage. Il fut singulièrement agrandi, embelli et
rendu plus sûr par Clément XII, au moyen de deux digues, dont celle près le
Lazaret, qui restait à terminer, se poussait avec vigueur lors de mon passage. Celle
opposée, élevée sur les ruines d’un ancien môle construit sous Trajan, est
véritablement belle, tant par sa largeur que par sa solidité […]
145
NOME DELL’AUTORE : AUDIN JEAN MARIE VINCENT [1793-1851]
TITOLO DELL’OPERA : GUIDE DU VOYAGEUR EN ITALIE
Nato a Lione nel 1793 e morto a Orange nel 1851, lo scrittore ed editore francese,
dopo avere atteso agli studi in seminario veste subito l’abito ecclesiastico. In
seguito egli concentra i suoi studi sulla storia religiosa, è infatti autore di
numerose monografie che hanno contribuito alla sua notorietà. Anche se
marginalmente, la sua cultura poliedrica, lo porta a occuparsi di letteratura
odeporica, particolarmente carica di significato è la sua guida del viaggio in Italia,
di ritorno dalla quale trova la morte nel 1851.
RIMINI
Rimini est une ville très ancienne, grande et peuplée de 16 à 17,000 âmes,
située sur la Marecchia, autrefois Ariminum, qui la traverse près de la mer, avec
un petit port à son embouchure, qui ne sert maintenant qu’à des bateaux pêcheurs.
La mer s’étant retirée, on y voit à peine quelque trace de l’ancien port. On entre à
Rimini par la porte de Saint-Julien, on voit un pont magnifique et bien orné,
construit en beau marbre sous les empereurs Auguste et Tibère, dans le lieu même
où se réunissent les deux routes consulaires Flaminienne et Emilienne. En sortant
146
de la ville on passe par la porte Romaine sous un bel arc de triomphe, élevé en
honneur d’Auguste. La cathédrale et plusieurs autres églises sont ornées de
marbre, que l’on a transportés du port. On voit dans cette ville plusieurs édifices
élevés pour la plupart aux dépens des Malatesta. L’église principale, très
ancienne, est bàtie sur les ruines de l’ancien temple de Castor et Pollux. Celle de
Saint-François, superbe édifice du 15 siècle, fut construite d’après les dessins de
Léon Bptiste Alberti, architecte de Florence, et renferme de superbes tombeaux,
des statues et des bas-reliefs de beaucoup de prix. A l’église jadis des Capucins,
on voit les ruines de l’amphithéâtre de Publins Sempronius, jugées par quelques
antiquaires celles d’un bâtiment des siècles passés : et à la place du Marché, où est
encore le portique de la poissonnerie, on remarque un piédestal qu’on dit être la
tribune de Jules César, d’où il harangua son armée avant le passage du Rubicon.
Sur la place devant le palais du Magistrat, on voit une belle fontaine en marbre, et
la statue de Paul V, en bronze […] La collection d’inscriptions et d’autres objets
d’antiquité, formée par les soins du docteur Jean Bianchi, mérite de fixer
l’attention des antiquaires.
PESARO
[…] Il faut visiter aussi le port; les ruines d’un ancien pont construit sous l’empire
d’Auguste ou de Trajan; la collection d’inscriptions et d’autres antiquités de MM.
Amati e Olivieri, et le Musée Passeri […]
FANO
Fano, autrefois Fanum Fortnuae (déesse dont on voit sur une fontaine une très
belle statue), est située sur la mer près du Métaure, fleuve célèbre à cause de la
défaite d’Asdrubal, par le consul Livius Salinator et Claude Néron. Cette ville
147
conserve les ruines d’un arc de triomphe élevé en l’honneur d’Auguste, ou, selon
d’autres, en l’honneur de Constantin ; on y voit différents marbres et inscriptions
[…]
RAVENNA
La cathédrale est un édifice magnifique […] Les antiquaires verront avec
plaisir un grand nombre de pierres sépulchrales, trouvées dans les fouilles qu’on a
faites pour réparer ce temple, maintenant rangées avec ordre dans une cour. Les
fonts baptismaux son encore dans leur état primitif, de forme octogone, avec 8
grandes arcades, et sur le devant un grand bassin de marbre blanc grec.
ANCONA
Ancone est une ancienne ville bâtie sur le penchant d’une colline qui s’avance
dans la mer. Son port de forme circulaire, défendu par deux môles, est un des plus
beaux et des plus fréquentés de l’Italie. Trajan fit considérablement agrandir son
port, et ce fut pour marquer leur reconnaissance à cet empereur, que les habitants
d’Ancone érigèrent en son honneur, un arc de triomphe qu’on voit encore sur la
jetée du port ou à l’entrée du môle, monument qui est un des mieux conservés de
ce genre. Cet arc de triomphe est bâti en marbre de Paros, et joint si exactement,
qu’il semble ne faire qu’une seule pièce. Il est décoré de colonnes corinthiennes,
posée sur des piédestaux. Il y a un attique au-dessous avec une inscription que le
temps n’a point affacée. La solidité de cet ouvrage a beaucoup contribué à sa
conservation ; mais la main des barbares l’a dépouillé d’un grand nombre de
statues de bronze, de trophées et d’autres ornements accessoires […]
La cathédrale, dédiée à Saint Ciriaque, est située sur la point du cap où était
autrefois un temple de Vénus.
148
POLA
[…] On voit à peine les traces de plusieurs anciens bâtiments magnifiques :
l’Arène, la Porta Rata ou Aurea, et deux temples, existent encore en partie.
L’Arène, dont il n’existe que toute l’enceinte extérieure, rappelle à la mémoire
l’idée de la magnificence romaine. Elle est à 200 pas environ hors de la ville, et on
la voit de plusieurs milles de loin avant que d’y arriver. Il paraît certain que cette
arène était un vrai amphithéâtre. Sa figure est elliptique, elle est longue de 366
pieds vénitiens, large de 292 et haute du sommet jusq’à la base apparente de 74
pieds et deux onces. Tout ce monument est divisé en deux ordres, dont chacun a
72 arcs, autant qu’il y en à l’arène de Vérone, surimposés l’un à l’autre; elle a
aussi un troisème ordre de fenêtres carrées qui est placé sur les mêmes arcs. Ceuxci ont entre chaque pilier 9 pieds d’ouverture, et pris irrégulièrement, ils en ont de
4 onces jusqu’à 11, parceque le bâtiment étant de structure rustique et en pierres
de taille, quelques rocs ont été plus ou moins endommagés et dégradés par le
ciseau ou par le temps. La hauteur de ces cercles est de leur bas jusqu’aux clefs de
16 pieds et un once. Deux grands arcs situé à l’extrémité de l’Arène, servent de
portes, et elles sont hautes de 17 pieds 6 pouces, et larges de 14 pieds 10, 6. Ces
deux portes sont entrecoupées par deux autres arcs qui ont une ouverture plus
grande que tout les autres; c’est à dire de 10 pieds 7 onces, quoique égaux en
hauteur, en sorte que six arcs dans tout le circuit surmontent par la grandeur tous
les autres. L’ouvrage, qui est d’ordre étrusque, mais exécuté d’après un goût
particulier, est rustique et pesant ; les rocs sont unis par peu de ciment, et de
nombreux léviers de fer les resserrent d’une manière très sûr.
149
La Porta Rata ou Aurea est un arc funèbre magnifique, érigé à l’instar d’un arc de
triomphe, peu loin de l’entrée de la ville : elle est d’une très belle architecture
corinthienne. Dans la frise on lit :
SALVIA. POSTVMA. SERGII. DE. SVA. PECVNIA.
On lit aussi d’autres inscriptions semblables dans trois bases situées au sommet de
l’arc, qui soutenaient peut-être autant de statues.
Les deux temples sont situés sur la place de la ville. Ils sont d’ordre corinthien,
mais bien petits. L’un d’eux est tellement adossé au palais public qu’on le voit à
peine : peut-être était-il dédié à Diane, puisqu’un tel nom est passé par tradition
parmi cette population. L’autre est encore tout entier, hormis le toit qui a été
détruit par un incendie. Sa longueur intérieure est de 26 pieds, et sa largeur de 20.
La façade est décorée de 4 grandes colonnes, qui sont hautes de 26 pieds et demi.
L’inscription suivante annonce sa dédicace.
ROMAE. ET. AVGVSTO. CAESARI. INVI. F.
PAT. PATRIAE.
Le Dome ou la Cathédrale a été érigé sur les fondements et avec les restes d’un
temple ancien des payens, ainsi que le témoignent plusieurs fragments de marbres
anciens, de chapiteaux, des frises, bases et autres pièces dont il est orné.
ZARA
150
La Dalmatie, une des Provinces Illyriennes, a pour capitale Zara. C’est une ville
très ancienne; mais on n’y voit plus que quelques restes des édifices romains
qu’on y voyait autrefois ; on tira parti de tout ce qui existait de ces bâtiments pour
élever des fortifications autour de la ville. Dans la ville il y a encore sur pied deux
colonnes très grandes ; et au-dehors on voit les restes d’un acqueduc du temps de
Trajan, et un grand nombre d’inscriptions anciennes. La ville est d’une grandeur
médiocre, mais assez forte ; elle est d’une figure oblongue et compte 1330 pas de
circonférences. Elle est située sur une langue de terre, qui, en s’avançant dans la
mer, forme un très beau port qui peut contenir une armée navale tout entière. Ses
fortifications sont sept grands boulevards, des cavaliers et une enceinte de bonnes
murailles. Deux de ce boulevards, situés au nord, défendent l’entrée du port ; deux
autres magnifiquement construits la couvrent du côté du pays, et les autres
couvrent son flanc vers ledit port, l’autre flanc au midi étant assez bien défendu
par plusieurs ouvrages irréguliers, accommodés à la situation. Un double fossé la
sépare de la terre ferme. Au dela du premier fossé on voit un vaste ouvrage à
corne, appelé généralement le Fort, dont les hauts cavaliers dominent la demi-lune
t l’esplanade, qui sont séparés par le second fossé.
Parmi les églises, la cathédrale et celle de saint Chrysogone, protecteur de la ville,
peuvent fixer l’attention de l’étranger par leur aspect imposant. Le portail de cette
dernière est formé en partie avec un reste d’un arc ancien, dont elle était peu
eloignée […]
SPALATRO
Entre les édifices les plus distingués de Spalatro on doit remarquer la
cathédrale, qui était anciennement un petit temple du palais de Dioclétien. Il est
octogone extérieurement et rond intérieurement, décoré de beaux marbres, hormis
151
la voûte qui soutient une galerie appuyée sur huit belles colonnes corinthiennes de
porphyre et de granit. On y voit plusieurs ornements, feuillages, contours et
beaucoup de têtes que le peuple croit être de l’empereur Dioclétien. Au-dehors de
cet édifice, et à demi-hauteur, on voit une galerie qui tourne tout autour, incrustée
de marbres artistement travaillés, et soutenue par huit colonnes de marbre, avec
une belle frise correspondante. On montait à cette galerie par un autre petit temple
oblong par où l’on entrait aussi dans un troisième petit temple rong qui surmontait
le dernier ; à droite de celui-ci il y en avait encore un autre plus petit que tout ceux
dont on a fait mention, qui existe encore à présent, étant dédié à sain Jean –
Baptiste, dont il porte le nom […] Spalatro a été bâti après la destruction de
Salone, car il a été formé en grande partie avec le vaste palais de l’empereur
Dioclétien qui était peu loin de Salone. En effet, les murailles de ce palais
renferment deux bons tiers de la ville ; ils sont encore en bon état, et forment un
carré parfait avec une porte au milieu de chaque côté. Trois de ces portes qui sont
encore sur pied sont très belles, massives et solides. Les pierres des arcs sont
enchâssées l’une dans l’autre pour les rendre plus fermes. Toute la partie de la
ville qui est environnée de ces murailles est remplie d’arcs et de ruines anciennes.
Du côté de la mer on voit encore à présent les restes d’un portique entre le palais
et une enceinte de murailles, avec plusieurs fenêtres, ornées d’entrecolonnements
et de frises doriques fort belles, d’où l’on jouissait du coup d’œil de la mer.
Dioclétien, ennuyé de l’empire du monde, auquel il monta après avoir été simple
soldat, abdiqua le commandement, et vint se retirer dans la délicieuse Illyrie à
Salone, où il bâtit près de cette ville son fameux palais, dont on a parlé ci-dessus.
Ici même cet empereur mourut en homme privé. Salone, qui avait un circuit de
neuf milles, en conserve à peine le nome aujourd’hui, et ne présente rien de
remarquable, pas même de ses anciens édifices.
152
NOME DELL’AUTORE : DOMENICO SAMBALINO
TITOLO DELL’OPERA : GUIDA DEI VIAGGIATORI IN ITALIA E
ALL’ISOLE DI SICILIA E MALTA CON L’INDICAZIONE DELLE STRADE
ALLE PRINCIPALI CITTA’ D’EUROPA E CARTA GEOGRAFICA POSTALE
RIMINI
Città antichissima, passibilmente grande, la quale contiene circa 17mila abitanti,
situata sul fiume Arimino, oggi Marecchia, che la traversa presso il mare, con
porto al suo sbocco, ma il mare essendosi ritirato, non serve attualmente, che per
barche pescherecce, e non si ravvisa alcun vestigio dell’antico porto. Si ha
l’ingresso in Rimini per la porta S.Giuliano sopra un superbo ponte di finissimo
marmo bianco, costruito sotto gl’Imperatori Augusto, e Tiberio nel luogo appunto
dove si riuniscono le due strade consolari Flaminia, ed Emilia; ed uscendo dalla
città si passa per la porta Romana sotto un bellissimo arco trionfale in onore di
Augusto. Molti marmi tolti dall’antico porto ornano la cattedrale, e diverse altre
Chiese. La Chiesa principale antica fu eretta sulle rovine del Tempio di Castore, e
Polluce, ora Casella. Il Tempio di S.Francesco superbo edifizio del XV secolo fu
153
fabbricato su disegno di Leon Battista Alberti celebre Architetto Fiorentino,
racchiude dei magnifici seplcri, delle statue, e dei bassorilievi di molto pregio. Ai
Cappuccini vedonsi gli avanzi dell’Anfiteatro di Publio Sempronio, ed alla piazza
del mercato vi è un piedistallo, che pretendesi fosse la Tribuna di Giulio Cesare,
ove arringò l’armata, prima del passaggio del Rubicone […]
FANO
Fano altre volte Fanum Fortunae (Dea che viene
rappresentata da una bella statua posta sopra una fonte) è situata sul mare presso il
Metauro, fiume celebre per la disfatta data ad Asdrubale dai Consoli Livio
Senatore, e Claudio Nerone. Questa città conserva le vestigia di un arco trionfale
eretto da Augusto, o secondo altri a Costantino, ed altri monumenti antichi,
particolarmente diversi marmi, ed iscrizioni […]
SINIGAGLIA
(Senogallìa) è una piccola città ma florida e ridente degli antichi Galli Senoni […]
Nelle vicinanze di Sinigaglia fu disfatto l’esercito di Asdrubale dal Console Livio
Salinatore. In poca distanza di Urbino esiste il di lui Sepolcro, chiamato il Monte
Asdrubale.
ANCONA
Antica città capitale della Marca, provincia fertilissima è
situata sul declive di una collina, e si estende sino alla spiaggia del Mare […] Il
molo è un’opera bellissima, che misurato dal Lido ha 2000 piedi di lunghezza, e
68 di altezza. E’ ornato all’ingresso di un antico arco trionfale, eretto in onore di
Trajano, benissimo conservato, le cui proporzioni sono regolari, e giuste. Ve ne è
154
un altro moderno alzato in onore di Benedetto XIV dal Vanvitelli, che fabbricò il
molo, e terminò il lazzaretto […] La Cattedrale di S.Ciriaco è posta sulla sommità
del promontorio, dove anticamente era un tempio di Venere.
RAVENNA
Essa contiene monumenti preziosi della sua antichità e
magnificenza, ed è celebre per i suoi mosaici, marmi Orientali, e Sarcofagi
meritevoli di attenzione. […] La Cattedrale è una fabbrica magnifica, a cui si è
dato un aspetto moderno […] Gli antiquari osserveranno con piacere un buon
numero di lapidi sepolcrali dissotterrate in occasione di restaurare questo Tempio,
e ora con bell’ordine disposte in un cortile.
155
NOME DELL’AUTORE: DRIOU ALFRED (1810-1880)
TITOLO DELL’OPERA: LES APENNINS ET LA MER ADRIATIQUE - 1872
RIMINI
Enfin nous arrivons sur le bords d’un ruisseau qui semble avoir soif tant son eau
coule lentement sur son lit de cailloux, et déjà Garisenda veut la franchir d’un
pied dédaigneux, lorsque messire Emile, saissant la bride, arrête court notre
bucéphale, et s’écrie :
-
Malheur à nous ! voici le Rubicon…Sommes-nous des Césars pour sauter
ainsi à pieds joints sur cette limite sacrée de la Gaule Cisalpine, et entrer dans
l’Italie proprement dite, sans une autorisation bien en regle de la souveraine
maitresse du monde, Rome ?
-
Hélas ! la souveraine maîtresse du monde est trépassée depuis long-temps, et
le Rubicon n’est autre chose à cette heure que l’Uso, formé de ces trois cours
d’eau que tu vois, là-bas, briller dans la plaine comme des rubans d’argent,
suou les noms de Pisciatello, Ragosta et Fiumicino.
-
En tous cas, arrêtons-nous, et saluons cette modeste rivière, si fameuse
pourtant, et le pont romain qui la couvre… continue Emile. J’ai le cœur qui
156
bat avec effort dans ma poitrine, en songeant que ce fut en ce lieu que César,
irrité des hostilités que Pompée lui créait dans Rome, après avoir franchi les
Alpes, vint passer le Rubicon afin d’éviter les défilés, dangereux pour son
armée, de la Voie Emilienne, et s’ecriant Alea jacta est! s’élança, de ce pont,
sur Rome, pour y porter la guerre civile.
Je respecte le nobles impressions que subit mon compagnon de voyage : nous
examinons donc et le Rubicon, et le pont romain qui le couvre.
Un heure après nous apercevions, Rimini, l’antique
Ariminum, s’élevant mélancoliquement dans la plaine, sur les bords marécageux
de la mer, et, par un autre pont romain et un arc-de-triomphe, nous entrions dans
la cité qu’immortalise Francesca di Rimini.
Cette capitale de l’Ombrie, dans l’origine, avait un excellent port ; nous en
trouvons à peine les traces. Jules César employa des sommes considérables à
l’embellir, et, Octave, devenu le premier empereur de Rome, sous le nom
d’Auguste, y acheva les embellissements commecés par son bienfaiteur, et dont
plusieur subsistent encore. Notre première visite leur appartient de droit.
C’est d’abord le pont romain qui s’appelle le Pont
d’Auguste, sur lequel nous avons traversé la rivière Ariminius, maintenant la
Marecchia, en entrant dans la ville. Ce pont termine la Voie Emilienne qui
s’arrête à Rimini. Il n’a pas moins de deux cents pieds de longueur et se compose
de cinq arches. On lit sur la pierre du parapet, pierre blanche tirée de l’Istrie,
l’inscription antique relative à sa construction. Auguste mourut avant que ce pont
fût complétement terminé. Mais Tibère l’acheva.
Vient ensuite l’Arco Triomfale ou la Porta Romana, que le habitants d’Ariminum
élevèrent à la gloire d’Auguste et comme témoignage de leur reconnaissance pour
la réparation des grandes Voies Romaines qui aboutissainet à leur ville. Cet arc157
de-triomphe est en fort belle pierre blanche, imitant le marbre par ses tons et sa
dureté, et venant d’Istrie, comme celle du pont. L’architecture de ce monument est
simple, mais lourde. Elle se compose d’un fronton suppporté par deux demicolonnes corinthiennes. Des médaillons, représentant Neptune et Vénus à
l’intérieur, et au-dehors, Jupiter et Junon, décorent l’entre-deux de l’arcade et des
colonnes.
Enfin, dans le milieu de la ville, sur
la Piazza del
Mercato, on voit une pierre colossale, taillée en forme de tribune, du haut de
laquelle la tradition rapporte qu’après avoir franchi le Rubicon, avant de les faire
marcher contre Rome, Pompée et le sénat, Jules César fit entendre un discours
véhément à ses soldats. Vous comprenez quel intérêt nous offre cette pierre qui a
nom, à Rimini, Piedestallo di Cesare.
Autour de ces magnifiques souvenirs de la puissance
romaine, groupez une série de larges rues qui rayonnent dans tous les sens;
composez ces rues de maisons bien bâties; établissez ici un Marché aux Poissons
entouré d’arcades, là ouvrez une Piazza Maggiore ornée d’une fontaine et de la
statue de bronze du papa Paul V ; de l’ancienne Cathédrale élevée sur le
décombres d’un temple de Castor et Pollux, faites une caserme occupée par des
carabiniers pontificaux ; dressez ici le Domo Nuovo, dédié à San-Francesco, église
du VI siècle; entre la ville et la mer, couronnez un mamelon romantique d’une
Citadelle de très belle construction, et vous aurez à peu près l’idée de Rimini.
Seulement, quoique peuplée de dix mille citoyens, gardez-vous de vous figurer
voir la foule aller et venir dans les rues et sur les places! Rimini est grande, elle
est belle même, mais elle est solitaire, elle est comme déserte, elle est triste.
Son rôle dans l’ancien temps a toujours été modeste. Elle
n’eut de vie réelle que sous Auguste, qui l’aimait, et à cause de deux Voies :
158
l’Emilienne qui lui venait de Rome, en passant par Pise, Plaisance, Modène,
Bologne, etc., et la Flaminienne qui, partant de son enceinte, allaità Rome aussi,
mais par le pays des Senones, l’Ombrie et la Sabine. César sétat emparé de vive
force de Rimini, en 49 avant J.-C., après avori passé le Rubicon. Vitiges, roi des
Ostrogoths, l’assiégea en 438 ; mais elle fut délivrée par Bélisaire […]
FANO
Fano, où la tombée du jour nous a surpris et où nous
avanos pour dîner et coucher à l’Albergo del Tre Re, n’existait pas quand les rives
du Métaure furent rougies du sang des Carthaginois. Mais après la victoire des
Romains, le consul Salinator ayant élevé sur le champ de bataille un Temple à la
Fortune, comme monument de reconnaissance, ce Fanum Fortunae appela bientôt
une nombreuse population autor de son enceinte, et c’est ainsi que se forma Fano.
Cette ville, qui devait son origine à une lutte sanglante, devint bientôt célèbre par
un autre combat, celui dans lequel, en 545 après J.-C., Totila, le roi des Ostrogoths
dont je vous parlais tout à l’heure, battit les Romains. Il détruisit alors Fano […]
Rien de plus romantique que notre route. A notre droite,
n’étaient de nombreux accidents du sol, des hauteurs voisines de Fano, comme du
chemin que nous suivons, on verrait pendant longtemps, comme nous l’avons vu à
diverse reprises, mais de loin, dans la brume d’or du matin, le long du cours du
Métaure, une vaste contrée fort pittoresque et couverte de robustes chennes,
abrités par la montagne de Pietramala, où eut lieu la defaite d’Asdrubale. C’est le
lieu précis où furent couchées dans la poussière et le sang les cohortes
carhaginoises, par Néron et Livius Salinator. On trouve dans les cavernes de la
montagne des ossements fossiles que l’on dit être les débris des éléphants des
159
Carhaginois. La ville de Fossombrone, sur le Métaure que couvre un pont
moderne, magnifique, et qui est l’antique Forum Sempronii, est voisine du théâtre
de ce drame mémorable.
De Fano à Ancone, notre route continue à longer le
rivage de l’Adriatique. J’estime que nous sommes à peu près en face de cette
partie de la Dalmatie, sur le rivage opposé de la mer, qu’occupait jadis Salone, et
où le vieux Dioclétien, après avori abdiqué l’empire, était venu se livrer aux doux
loisirs de planter ses choux. Oh ! que je voudrais être de cet autre côté de
l’Adriatique, et y voir ses contrées fameuses ! […]
ANCONE
Cette ville est Ancône.
[…] Mais elle est délicieusement placée en amphitéâtre, sur le penchant d’une
colline qui s’avance dans la mer, escortée du Monte Ciriaco que dominait jadis un
Temple de Venus, remplacé maintenant par la Cathédrale dédiée à SaintCyriaque, et couronnée d’une coupole, et du Monte Comero, qui forment de
chaque côté de gracieux promontoires. Son port, creusé en hémicycle, est abrité
par duex môles que décorent les deux arcs-de-triomphe, et c’est à sa position
centrale sur la côte orientale de l’Italie qu’Ancône doit toute son importance.
Toutefois, si Ancône, dans l’interieur de la ville, n’offre
rien d’agréable, et même semble triste, vue du côté de la mer, ainsi bâtie sur les
étages de la colline, avec ses églises qui la capitonnent de leurs tours, avec son
Monte Ciriaco dont le cap met en saillie la belle église de Saint-Cyriaque, avec
ses môle et ses autre décors, citadelle, arcs-de-triomphe, etc., elle produit un effet
des plus pittoresques, qui rappelle les beaux promontoires de la Grèce avec les
cités et les temples qui, de leur sit élevé, semblaient regarder les navires sillounant
la haute mer, dans les brumes d’or du jour.
160
Jadis, vers 405 avant l’ère chrétienne, dans la Sicile, à
Syracuse, il y eut un simple soldat, né d’un homme obscur, qui à raison de la
vaillance qu’il déployait contre les dominateurs de l’Afrique, les Carthaginois, prit
un tel empire ser ses camarades qu’il se fit proclamer roi. Il se nommait Denys :
on le surnomma bientôt le Tyran, car, après la perte de la ville de Géla, voyant des
siges de mécontentement et de désapprobation sur le front de ses sujets, il devint
si morose d’abord, puis si farouche et si cruel, qu’il fut alors craint et dedouté de
ceux mêmes qui l’approchainet le plus. Ainsi, jamais il n’admit sa femme et ses
enfants dans son appartement sans la fouiller. Il fit creuser dans la roc vif
d’immense souterrains, disposés de manière à ce qu’il entendît tout ce qui se disait
autour de lui. En un mot, Denys devint tellement violent dans sa façon d’agir vis à
vis de son peuple, que bon nombre de Syracusains, ne prévoyant pas que le tyran
allait périr d’une indigestion, par suite de sa gloutonnerie, désertèrent leur patrie,
se livrèrent aux hasards des flots, et abordèrent sur la côte orientale de l’Italie
qu’ils avaient tournee par le Golfe de Tarente. Ce sont eux qui fondèrent Ancône.
Mais Ancône, qui devait son origine à l’amour de la
liberté du peuple de Syracuse, finit par être esclave. Elle tomba, comme le monde
entier, au pouvoir des Romains. Les traces de leur passage qu’ils y ont laissées,
prouvent la puissance de ces étranges civilisateurs. L’empereur Trajan la fit
entourer de magnifiques quais en marbre. Il l’agrandit considérablement et l’orna
de plusieurs monuments. Aussi, comme témoigage de leur gratitude pour ce
prince, les Anconais élevèrent en son honneur l’un des arcs-de-triomphe dont j’ai
parlé, celui qui décore la jetée du port. Cet Arco Tromphale, parfaitement
construit en marbre blanc, fut orné de trophées militaires et de nombreuses statues
de bronze. Malhereusement les Barbares, et surtout les Goths, le dépouillèrent de
ces richesses artistiques. Mais à part cette spoliation, l’arc subsiste,
161
merveilleusement conservé. Du côté de la mer on lit la légende suivante qui a trait
à la femme et à la soeur de Trajan :
PLOTINAE. AVG. CONJVG. AVG.
DIVAE. MARCIANAE. AUG. SOROR. AVG.
Non loin de là, sur le môle également, mais formant un contraste qui ne lui est pas
avantageux, se dresse un autre Arco Triomphale, d’ordre dorique, de Vanvitelli,
érigé à la gloire de Clément XII […]
162
NOME DELL’AUTORE: CONDAMINE, JAMES [1844-1928]
TITOLO DELL’OPERA: DU VESUVE A’ L’ETNA ET SUR LE LITTORAL
DE L’ADRIATIQUE
ANCONA
Sur le môle enfin, s’élèvent deux arcs de triomphe : l’un, dans la partie ancienne,
fondée par l’empereur Trajan ; l’autre, dans la partie construite au XVIII siècle,
par Clément XII, et ajoutée à l’ancienne. Le premier, qui est d’emblée le plus
beau, écrase un peu l’œuvre voisine, de Vanvitelli : ce monument de marbre, qui
date du commencement du II siècle, est bien conservé et porte, en dessous de sa
frise, une longue inscription. On aura une idée de son élévation, si l’on se rappelle
que l’escalier qui se trouve à la base de l’Arc de Trajan, a deux fois la hauteur
d’un homme.
RIMINI
Au cœur de la ville, se trouve une grande place rectangulaire, qui porte, elle aussi,
le nom de « Piazza Cavour » […] Près de là en effet on aperçoit le piédestal en
pierre, du haut duquel, d’après la tradition, César aurait harangué ses troupes,
après le passage du Rubicon : l’allusion est donc transparente.
[…] Le Corso se prolonge, au nord-ouest, jusq’aux faubourgs, au-delà de la
Marecchia, qu’il enjambe sur un vieux pont, en dos d’âne, appelé « Pont
d’Auguste ». Il aboutit, au sud-est, à l’ “Arc d’Auguste », qui n’a pas la valeur de
l’arc de Trajan, à Ancona […]
163
NOME DELL’AUTORE : SAVERIO SCROFANI
TITOLO DELL’OPERA: VIAGGIO IN GRECIA [1965]
Saverio Scorfani nacque a Modica nel 1756. Lo zio materno monsignor Alagona
provvide alla sua istruzione con l’intento di avviarlo alla carriera ecclesiastica, ma
il giovane si contentò della veste di abate preferendo agli ordini religiosi l’agio di
studiare tranquillamente a Siracusa …….
Il “Viaggio in Grecia” uscì nel 1799 e fu in certo qual modo catalizzatore riguardo
alle principali componenti della letteratura antiquaria.
POLA
Eccomi, mio caro P…, in faccia all’anfiteatro di Pola, uno de’ più superbi
monumenti del fasto romano. Sì piccola città come fu capace di sostenere tante
spese? Pola era repubblica. Gl’Inglesi si prendono la pena di misurarlo in alto, in
lungo, in largo; di contarne gravemente i piani, i gradini, le gallerie, i sassi; per
me il meraviglioso di quest’edificio, che eguaglia le arene di Nìmes, di Verona, di
Roma, si è ch’ei posa sopra un altro anfiteatro incavato sotterra e sostenuto da
enormi pilastri. Ivi, credo, fra le tenebre e al solo lume di poche lampade,
celebravano i gentili i loro misteri; e quindi, uscendo al giorno col cuore in
tumulto, assistevano a certa sorte di spettacoli ove imparavano a compatire le
miserie degli uomini dopo aver sotterra imparato a temere gli dei […]
Ecco la Dalmazia. Ecco quei popoli che, passando per tanti secoli e per
tanti padroni, conservano tuttavia l’antico nome d’Illirici e l’antica durezza.
164
Volete conoscere le medaglie di Alessandro? Assicuratevene alla pelle del leone
che porta sul capo; volete distinguere uno schiavone? Conoscetelo alla sua
caparbietà. Che dirò io di Diocleziano nato in Illiria e che fabbricò il palazzo di
Spalato? Che tutti gli uomini dovrebbero riunirsi per toglierne il nome dall’istoria,
unitamente a quelli di Nerone, di Tiberio, di Silla.
Ma dove ci trasporta il vento? Dov’è la Dalmazia? Non si vede più. Come
si chiamano quei monti e quella terra? Gli Appennini e l’Abruzzo. Ivi dunque
vissero i valorosi Sanniti che cedettero al genio de’Romani, ma che li vinsero in
coraggio?
165
NOME DELL’AUOTRE: BARTOLOMEO BIASOLETTO
TITOLO DELL’OPERA: RELAZIONE DEL VIAGGIO FATTO NELLA
PRIMAVERA DELL’ANNO 1838 DALLA MAESTA’ DEL RE FEDERICO
AUGUSTO DI SASSONIA NELL’ISTRIA, DALMAZIA E MONTENEGRO
Probabilmente uno dei più eminenti ricercatori stranieri della flora del
Monte Maggiore è stato il re sassone Federico Augusto, conosciuto come
appassionato botanico. Il 22 maggio 1838 il re intraprese col suo seguito a bordo
della nave “Conte Mitrovsky” e partendo da Trieste, una spedizione botanica in
Dalmazia, una delle cui mete fu il Monte Maggiore con i suoi fiori. Quella fu
l’ultima impresa flogistica del viaggio, terminato l’11 giguno del 1838, col ritorno
a Trieste. A seguito del re, tra gli altri, c’erano Bartolomeo Biasoletto, botanico e
farmacista, natio di Degnano, in qualità di guida professionale, poi Muzio
Tommasini, pure botanico, e a quel tempo anche presidente politico ed economico
del Municipio di Trieste, ed il colonnello e poi bano (governatore) croato Josip
Jelacic. Bartolomeo Biasoletto scrisse un libro su quel viaggio, che venne
pubblicato nel 1841. Così recita la dedica del volume: “La maestà del re Federico
Augusto di Sassonia, protettore e cultore ei medesimo delle scienze naturali,
divisò di fare nella primavera dell’anno 1838 un viaggio per l’Istria e la Dalmazia,
ad oggetto di conoscere le piante di quelle contrade”.
POLA
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Non si può negare che l’entrata in Pola per mare sia sorprendente. Offre per
prima il magnifico porto ampio, profondo e sicuro, capace di contenere una
numerosa flotta […] Alzando l’occhio si presenta il sontuoso edifizio
dell’Anfiteatro, raro monumento di antichità romana, situato dalla parte orientale,
200 passi circa distante dalla città. Si scorge molte miglia in mare prima
dell’imbocco del porto. Anche la fortezza, che compare subito dirimpetto,
proteggendo da una elevata collina la città, dà a quel luogo non poco risalto.
Disceso S.M. a terra si diede subito a visitare quelle antichità, cominciando dal
tempio d’Augusto, le vicine reliquie di quello di Diana, il Duomo, che trovasi
sulla via per recarsi all’Anfiteatro. L’ordine dei due tempj è corintico. Dal Duomo
passò all’Anfiteatro detto anche arena. L’anfiteatro è di figura el[l]ittica, diviso in
due ordini di arcate sovrapposti l’uno all’altro, ed ha un terzo ordine di finestre
quadrate, che gira sopra gli archi stessi; tutto costruito in pietra viva. Il re qui tolse
qualche disegno, poi si trasferì a vedere la porta di Ercole che trovasi mezzo
sepolta, ed attorniando le mura gran parte in rovina, arrivò alla porta Aurea,
ovvero Arco de’Sergi.
Il re ammirò quell’arco funebre, che serve in oggi di porta alla città, eretto qual
testimonianza d’amor coniugale di Salvia Postuma a Sergio di lei marito, come ce
lo attesta sull’architrave dell’arco che dice:
SALVIA POSTUMA SERGI DE SUA PECUNIA.
SALONA
Prima di scostarsi molto da Salona diremo, che questa città una volta
importante e celebratissima, sta ridotta in oggi in un semplice villaggio. La
167
magnificenza sua vien ricordata dalle rotte colonne, capitelli distrutti, lapidi, urne
ed altro, che incontransi fra le macerie di quella.
SPALATO
Veduta la cattedrale, un dì tempio di Giove, il sarcofago che rinchiude le
ossa di S. Doimo vescovo di Salona, titolare della chiesa, il battistero di
S.Giovanni che fu tempio di Esculapio, il campanile appoggiato su d’un arco
ardito, che serve d’ingresso alla chiesa, abbellito da colonne ed ornati scavati fra
le rovine di Salona e varj altri oggetti mirabili d’antichità, si recò a vedere il
vastissimo palazzo di Diocleziano, quello cioè che la falce sterminatrice del tempo
seppe ancor rispettare; indi una raccolta di medaglie antiche, con altri documenti
ed iscrizioni d’archeologia scoperti in que’ d’intorni […]
CURZOLA
Curzola del resto è un’isola lunga, che scorre dall’est all’ovest non molto
larga; ha dei boschi di pinus halepensis e si crede, che un tempo tutta fosse
coperta, e che ciò le desse un aspetto nero, ebbe il nome di Corcyra Nigra o
Meloene. La città che è capoluogo di tutta l’isola si presenta come un anfiteatro,
ed è situata su d’una punta o ….cinta da mura antiche, fiancheggiate da torri, che
trovansi però in cattivo stato.
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NOME DELL’AUTORE: ALFREDO SERRISTORI
TITOLO DELL’OPERA: LA COSTA DALMATA E IL MONTENEGRO
DURANTE LA GUERRA DEL 1877: NOTE DI VIAGGIO
L’autore dedica il libro all’onorevole commendatore Quintino Sella “A voi,
illustre uomo di stato, che occupate i rari momenti d’ozio di cui disponete in
ardite esplorazioni sulle vette più elevate delle Alpi; a voi, che seguirò dappertutto
fuoriche per quei sentieri, offro queste disadorne pagine vergate su monti non
meno aspri e scoscesi, i quali non […] Né ciò per la sola curiosità, o per sentito
bisogno di sciogliere le intorpidite membra; ma per conoscere invero e studiare da
vicino un popolo di cui mi si era di sovente con ammirazione parlato, non tanto
per la sua fortezza d’animo impareggiabile e per suo raro coraggio; quanto per un
amore sviscerato di libertà e indipendenza, a cagion delle quali volle ridursi
piuttosto da secoli a vivere in un suolo brullo e inospitale; che sottomettersi al
duro giogo dei dominatori Ottomani, padroni delle fertili sottostanti pianure, che
d’ogni parte quel paese circondano e serrano”.
POLA
“Profitto adunque del tempo concesso dal nostro arciduca Massimiliano per
visitare i principali monumenti, e m’avvio per primo al tempio d’Augusto, che
sebbene di non grandi dimensioni, si presenta tuttavolta allo sguardo svelto ed
elegante. Da questo mi dirigo alla porta Aurea (Arco de’Sergi) d’ordine corintio,
169
ornata di finissimi bassorilievi, e che s’inalza in fondo alla via principale della
città. Visto finalmente l’anfiteatro, posto fuori dal recinto urbano, e che dopo il
colosseo, giudico il più bel monumento di quel genere da me fin qui conosciuto:
più vasto certamente di quel di Verona, e meglio conservato all’esterno almeno;
giacché le scalinate sono quasi tutte distrutte.
ZARA
[…] Altri monumenti non vi esistono, fuorché gli avanzi di un antico
acquedotto e di un tempio romano, due colonne del quale furono trasportate dai
Veneti ai due estremi della città.
SPALATO
L’occhio scopre per primo il vasto palazzo che l’imperatore Diocleziano si
fece costruire poco lungi dal mare e mi volgo a visitarlo, e rimango altamente
sorpreso per la vastità e bellezza di alcune sue parti, che hanno sopravvissuto alla
quasi generale trasformazione avvenuta col succedersi dei secoli. La sua cinta
comprende quasi metà dell’attuale Spalato; ed ha 190 metri di lunghezza su 160
metri di larghezza. La facciata meridionale è decorata da una serie di cinquanta
colonne, di ordine che si accosta al dorico, e dicesi che fossero sormontate da
statue le quali oggi mancano del tutto.
Tre porte principali davano ingresso alla reggia ed erano situate in mezzo ai lati di
tramontana, di levante, e di ponente. Quella di tramontana chiamavasi Aurea, e
metteva sulla grande via per Spalato; Aenea, dicevasi quella a levante che dava
sulla via per la quale si andava a Epezia; Ferrea la terza rivolta a ponente, e dove
si suppone che vi fosse un parco riservato alla caccia dell’imperatore: credesi
170
inoltre che ne esistesse una quarta chiamata Argentea, per la quale si uscisse alla
marina. Oltre duecento famiglie vivono adesso nel palazzo che è stato diviso e
suddiviso in tanti piccoli quartieri. Alle due estremità che guardano il porto
sorgevano due alte torri delle quali sola una sussiste al presente.
Ma il monumento che desta una maggior maraviglia è il tempio di Diana
ottimamente conservato; e che convertito al culto cristiano serve ora da chiesa
cattedrale. Esso presenta una forma circolare internamente, ottangolare
all’esterno: otto grandi colonne di un sol pezzo di granito orientale e di ordine
corintio girano intorno alle mura, sostenendo un ricco ornato sormontato da un
altr’ordine di colonne composito rientrante. Quattro di queste sono di un sol pezzo
di porfido, le altre di granito. Tra quelle dell’ordine secondo, girano sulle pareti
all’intorno alcuni fregi a bassorilievo in pietra, allusivi a cacce, alle quali
presiedeva, appunto, secondo la favola, la Dea cui fu sacro in origine quel tempio.
Di fronte al tempio di Diana sorge un altro monumento convertito ad uso di
battistero, e che si ritiene per un tempio dedicato in origine ad Esculapio.
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NOME DELL’AUTORE: XAVIER MARMIER (1808-1892)
TITOLO
DELL’OPERA:
LETTRES
SUR
L’ADRIATIQUE
ET
LE
MONTENEGRO, 2 VOL.
Xavier Marmier, nato il 24 giugno 1808 a Pontarlier e morto l’11 ottobre
1892 a Parigi, fu uomo di lettere, viaggiatore e traduttore, ebbe particolare
interesse per la letteratura europea del nord.
Dopo essere stato per breve periodo bibliotecario di Besançon, parte per Parigi,
poi viaggia in Germania e collabora alla Revue germanique e con altri giornali. In
seguito prende parte a più di una spedizione marittima in Islanda e in Scandinavia.
Nel 1839 diventa professore di letteratura straniera a Rennes, ma riparte qualche
mese più tardi per il Polo Nord. Di ritorno da Parigi egli è nominato bibliotecario
dal ministero della pubblica istruzione. Viaggia in seguito nei Paesi-Bassi, in
Finlandia, in Russia e in Polonia, poi in Oriente e in Algeria. Nel 1846 egli
diviene conservatore e amministratore generale della Biblioteca Sainte Geneviève
de Paris. Infine, nel 1848, parte per l’America del Nord e del Sud. Di tutti i suoi
viaggi, egli scrive dettagliati resoconti.
Nel 1870 viene eletto membro de l’Académie française e diventa membro della
commissione Dictionnaire. E’ autore non soltanto di resoconti di viaggio ma
anche di traduzioni, poemi e romanzi. Infine Xavier ha soprattutto contribuito a
fare conoscere alla Francia la letteratura scandinava e germanica.
SPALATO
172
Il y avait une fois…c’est une vieille histoire que je puis bien commencer
ainsi, tant elle ressemble à un conte de fée. Donc, il y avait une fois dans une
petite bourgade de la Dalmatie un pauvre homme réduit d’abord à l’état d’esclave,
puis affranchi par un maître qui ne pouvait probablement lui donner que la liberté.
Car l’esclave se fit scribe, ce qui était en ces temps lointains, de même
qu’aujourd’hui, un très-triste métier. Cet homme avait un fils qui, plus habile ou
plus hardi que son père, embrassa un meilleure profession. Il se fit soldat.
Voilà tout ce qu’on sait sur l’origine de ce jeune Dalmate, qui fut Dioclétien. De
même que les grands fleuves dont on retrouve difficilement la source dans un petit
filet d’eau, de même que le Nil dont on va chercher avec tant de peine les
premiers flots dans le montagnes de la Lune, les premières années du célèbre
empereur disparaissent aux regards de l’historien. Le nom qu’il inscrivit sur le
marbre et l’airain n’était pas même celui de son père ; c’était celui de la petite
ville où il était né, de la petite ville de Dioclaea, sur les bords du lac de Scutari, au
pied du Montenegro […]
Puis il se retira dans un chariot couvert et partit aussitôt pour la Dalmatie, non
point pour y chercher la pauvre maison de son père, mai pour y occuper un palais
gigantesque.
C’est au sein de ce palais que les péripéties de cette histoire me sont revenues à la
mémoire, en une longue rêverie, comme un des merveilleux récits des Mille et
une Nuits. Là, le souverain du plus grand empire qui ait jamais existé, vint
enfermer sa vie à un age qui pouvait encore lui promettre les jouissances d’une
longue domination; là, son ancien collègue Maximien vint le solliciter de
reprendre le pouvoir, et l’on sait par quelles rustiques paroles il répondit à cette
tentative. Plus sage que son impétueux collègue, qui allait se jeter dans un
nouveau conflit où il devait misérablement périr, là, il n’assista qu’aux tempêtes
173
de l’Adriatique, tandis qu’un vent d’orage mille fois plus terrible soulevait les
vagues populaires, tandis que de toutes parts le sol de l’empire craquait sous le
poids des légions barbares, sous le pied de Ghoths […]
A cette même place, j’ai passé tout une soirée dont je ne puis oublier l’impression
solennelle. J’étais là au centre, au cœur même de cet antique palais. Les autres
parties de l’édifice ont été entièrement bouleversées. Celle-ci, malgré les
transformations qu’elle a subies, apparaît encore dans son majestueux ensemble.
Voilà les colonnades du péristyle auxquelles on arrivait par la porte d’or; voilà le
temple de Jupiter, patron de Dioclétien, et, en face, le petit temple qu’on est
convenu d’appeler le temple d’Esculape, bien qu’il ait eu peut-être une autre
destination. L’une de ces colonnades forme aujourd’hui la façade de la demeure
de l’évêque catholique ; sous une autre est un café dont le toit n’arrive pas même
au faîte des arceaux. Le temple de Jupiter a été consacré à saint Doimus, disciple
de l’apôtre saint Paul, et du temple d’Esculape le clergé a fait un baptistère.
Ce temple de Jupiter est une sorte de rotonde octogone construite dans le plus
élégantes proportions. A l’extérieur, il était entouré d’un cercle de colonnes
corinthiennes sur lesquelles probablement s’élevaient jadis des statues. La plupart
des colonnes ont été brisées et les statues ont disparu, mais l’intérieur de l’édifices
est superbe à voir encore avec ses colonnades circulaires et sa haute coupole. Les
travaux qui y ont été faits pour l’adapter au service de la religion chrétienne, lui
ont donné plus d’un nouvel effet pittoresque, sans altérer sa primitive beauté. Sur
son portique, un simple ouvrier maçon de Spalato, nommé Teverde, bâtit, au
commencement du XV siècle, avec de piliers, des chapiteaux et d’autres débris de
monuments antiques, un campanile de cent soixante-treize pieds de hauteur, d’une
originalité surprenante et d’une grâce parfaite.
174
Des innombrables constructions des Romains, combien il en est, dit Gibbon, qui
échappent à l’histoire, et combien il en est peu qui aient résisté aux désastres du
temps et aux ravages de Barbares !
Celles qui ont été le mieux conservées, l’ont été par le chrétiens. En première
ligne, je placerai le Panthéon de Rome, ensuite la cathédrale actuelle de Spalato.
Le petit temple qui se trouve en face de celui-ci est d’un aspect plus sévère. Les
archéologues en ont fait le temple d’Esculape, s’appuyant surtout sur cette raison,
que Dioclétien, dans son état de langueur maladive, devait naturellement être
porté à invoquer le secours du dieu de la santé. A voir ce massif édifice, ses
murailles épaisses, sa sombre enceinte, il serait plus aisé d’admettre que ce fut,
non pas un temple, mais un sépulcre, le sépulcre de celui-là même qui vint
s’enfermer dans ce palais comme dans un (cioltre ?), qui y mourut après avoir
longtemps pensé à la mort. On a découvert récemment su une des faces
extérieures de ce bâtiment une couronne impériale. Ne serait-ce point le signe de
possession d’une impériale sépulture ? Ce qui est plus caractéristique, c’est la
sarcophage en pierre sculpté qui se trouve à l’entrée de ce même édifice. Il
représente sur ses quatre côtés quatre scènes qui semblent être une image des
différentes phases de la vie de Dioclétien. Sur le premier de ces côtés, est un jeune
homme courbé sous un fardeau, pauvre par conséquent et laborieux, comme la fut
Dioclétien ; sur le second, un jeune homme plus vigoureux avec un cheval qu’il
tient par la bride; sur le troisième, un chasseur perçant de son dard un sanglier
(l’Aper, l’objet de la prophétie druidique); sur la quatrième, un homme couvert
d’un manteau, un chien qu’il caresse de la main. Ne serait-ce pas encore
Dioclétien ayant tué l’Aper, ayant accompli la prédiction, et rêvant à sa grandeur
future ?
175
Si Dioclétien a voulu que ses restes mortels fussent ensevelis dans l’enceinte du
palais où il ensevelissait sa puissance impériale, il a pu, comme un autre Chéops,
se glorifier de la magnificence de son tombeau. Ce palais, de forme
quadrangulaire, occupait un espace de neuf acres ; et pouvait contenir, avec la
suite de l’empereur, toute une légion de prétoriens. Par quatre portes, il s’ouvrait
vers les quatre points cardinaux, sur la mer et sur la campagne, et deux rues
coupées à angle droit le traversaient dans sa longueur et sa largeur.
A quatrième siècle, il fut encore habité par un souverain, par Julius Népos, qui,
après un an de règne, en ce temps de désordres où les empereurs régnaient si peu,
s’enfuit devant un général barbare, se retira dans la demeure de son glorieux
prédécesseur et y fut assassiné.
Au septième siècle l’édifice de Dioclétien devint une ville, une vraie ville, qui, de
ce nom de Palatium, a fait, par un légère altération, son nom de Spalato. La cité
de Salone, qui s’élevait à environ une lieue de là, ayant été prise par les Avares,
une partie des habitants se retira dans les iles voisines ; d’autres, connaissant la
solidité des murailles impériales […]
[…] Vers le milieu du siècle dernier, un de ces Anglais qui, lorsqu’ils s’attachent
à une entreprise, la poursuivent avec une rare persévérance, vint s’instaler à
Spalato, et prit à taché de reconstituer par son crayon la forme primitive de la
demeure de Dioclétien, sous les dêgàts qu’elle a subis par le temps et par les
révolutions, sous les superfétations de petits logis d’ouvriers ou de bourgeois qui
en dénaturent de tous côtés la face grandiose. M. Adams publia à Londres, en
1763, un ouvrage qui restera comme une belle œuvre d’art, quoiqu’elle soit sur
plusieurs points visiblement exagérée on notoirement fautive. Plus tard, M. Cassas
a publié, à Paris, un autre ouvrage, qui, en réalité, mérite une plus grande estime.
176
Les deux artistes n’ont pu cependant parvenir à nous donner que des fragments
d’architecture ; et comment faire pour recomposer, à quinze siècles de distance, le
palais tout entier, dans le labyrinthe de rues, de ruelles, de carrefours qui en
remplit l’étendue, après ce que tant de générations ont successivement creusé,
brisé, renversé dans ces murs ! La place de la cathédrale a seule été protégée; et
encore, après l’avoir bien étudiée, est-on sûr qu’on se fasse une juste idée de ce
qu’elle fut jadis ? A l’un de ses angles est la demeure d’un apothicaire; à un autre
celle d’un cordonnier ; au milieu, un pàtissîer.
O vanité des prétentions et des espêrances humaines ! Dioclétien employa douze
années à construire cet édifice ; il en fit tailler les colonnes, les chapitaux par les
meilleurs sculpteurs de son temps ; il épuisa, pour élever ces longues façade, les
carrières d’une pierre qui a la dureté du marbre ; et ces colonnes servent
aujourd’hui d’appui à de misérables échoppes ; et sous les arceaux de son
magnifique péristyle, les oisifs de la ville se réunissent pour lire la Gazette de la
Dalmatie en prenant une mauvaise tasse de café !
Sur la fin de son règne, il ordonna une nouvelle persécution contre les chrétiens, et
sa dernière retraite a servi de refuge aux chrétiens. Sous ses murailles épaisses, ils
se sont abrités comme en un temps d’orage on s’abrite, sous un manteau, et les
temples que l’empereur consacrait à ses idoles sont devenus de temples chrétiens ;
et sa tombe même, n’est point restée sous la voûte où il pensait qu’elle reposerait
éternellement. Une fois le palais rempli, la population toujours croissante de
Spalato se jeta hors de son enceinte, bâtit une autre ville, et s’entoura d’un autre
rempart. Mais ni la nouvelle, ni l’ancienne ville ne présentent un coup d’œil riant.
Leurs rues sont également étroites, sombres, bordées pour la plupart de maisons
de chétive apparence. Dans ce chef-lieu d’un département dalmate, l’étranger ne
trouve pas même une auberge où il puisse décemment loger, et l’amateur de livres
177
pas une bonne librairie. Cependant, il y a là un musée d’antiquités, organisé par
des archéologues instruits […]
Près de là est Salone, jadis capitale de la contrée, maintenant humble petit village,
qui a vu s’en aller ses édifices avec ses habitants ; car les pierres de se remparts
ont servi à l’agrandissement de Spalato, et le clocher de l’église de saint Doimi a
été presque entièrement construit avec les débris de l’antique cité.
EPIDAURO
A quelques lieus de la pointe de terre où s’élèvent les remparts de Raguse,
une colonie grecque fonda en l’an 689 avant Jésus-Christ une ville à laquelle elle
donna le nom d’Epidaure, et qui fut comme celle du Péloponèse consacrée à
Esculape. Elle avait un temple qui acquit une certaine célébrité e un port qui était
passablement fréquenté. Les Romains s’en emparèrent sans peine au temps où ils
s’emparaient de tant de vastes régions. Pendant la guerre de Pompée et de César,
Epidaure ayant pris parti pour César fut assiégée par Octave et délivrée par
Vatinius […]
178
NOME DELL’AUTORE: MUSSET, PAUL DE (1804-1880)
TITOLO DELL’OPERA:VOYAGE PITTORESQUE EN ITALIE, PARTIE
SEPTENTRIONALE
RIMINI
En 1845, nous étions trois personnes ensemble au bord du Rubicon à
chercher le point où, à notre gré, César avait dû lancer son cheval, quand un
paysan, qui venait de la montagne, s’arrêta pour nous regarder d’un air ironique ;
et comme il murmurait entre ses dents, nous lui demandâmes ce qu’il avait :
- Voilà déjà deux fois, nous dit-il, que je trouve des seigneurs étrangers en
contemplation devant cette rivierette. D’où vient cela, Excellences ?
-
C’est, répondis-je, que cette rivierette port un nom célèbre.
-
Excusez mon ignorance, reprit le paysan, je ne savais pas que le Pisciatello fût
un ruisseau fameux.
- Comment appelles-tu le Rubicon ?
- Pisciatello, Excellence.
Et le cocher du voiturin nous apprit, en effet, que le Rubicon de la république a été
baptisé de ce nom grotesque depuis l’ère chrétienne.
Après cinq lieues de route dans un pays accidenté, nous arrivons à Rimini, la ville
des Malatesta.
179
[…] Les habitans de l’antique Ariminum étaient aimés du sénat romain pour avoir
fourni des subsides à la république pendant la guerre contre Annibal. On voit
encore à la porte Romana un arc de triomphe élevé en l’honneur d’Auguste.
Derrière l’église des capucins sont les restes peu distincts d’une espèce
d’amphitéâtre. Quant à cette prétendue tribune qu’on montre sur la place du
marché, et du haut de laquelle César aurait harangué ses troupes après le passage
du Rubicon, il est impossible de ne point la reconnaître pour un simple piédestal
d’obélisque ou de colonne, sur lequel un orateur ne trouverait que bien juste la
place nécessaire pour se tenir debout. C’est se moquer des gens que d’appeler cela
une tribune, comme l’ont fait les autres de l’inscription qu’on y a mise.
[…] Cependant la population de Rimini se livre à la pèche et fait un grand
commerce de poissons. Près de la porte Saint-Julien, la voie Emilia se réunit à la
voie Flaminia. Le point de jonction de ces deux routes est un beau pont construit
du temps de Tibère.
ANCONA
Nous n’avons plus qu’un village à passer, une rivière à traverser, et nous
arrivons à Ancône la Dorique, comme l’appelle Juvénal. Les chercheurs d’origine
attribuent sa fondation à une émigration de Siciliens, et je penfcherais volontiers
pour cette opinion, à cause du beau sand des habitants et particulièrement des
femmes. Les profils de médaille et le type syracusain se rencontrent à chaque pas.
Outre la citadelle, deux promontoires garnis de travaux de défense protégent
Ancône à droite et à gauche. A l’entrée du môle se trouve l’arc de triomphe de
Trajan, le monument romain le plus parfait de cette partie de l’Italie. Les
sculptures, les colonnes cannelées, les chapiteaux et les volutes sont dans un
180
meilleur état que ceux de l’arc de Rimini, et l’inscription dédicatorie existe
encore. Le port, construit par l’ordre de Trajan, a peu souffert des ensablements et
les bateaux de Trieste y font un service réguilier.
NOME DELL’AUTORE : ABBE’ DE BINOS [1730-1804]
TITOLO DELL’OPERA : VOYAGE PAR L'ITALIE, EN EGYPTE, AU
MONT-LIBAN ET EN PALESTINE OU TERRE-SAINTE
Compì i suoi studi in seminario, diventando, nel 1756, canonico della chiesa
di St. Bertrand de Comminges. La sua opera Voyage par l'Italie, en Egypte, au
Mont-Liban et en Palestine ou Terre Sainte (Paris, Boudet, 1787), ripercorre il
viaggio compiuto dall'abate in Oriente, passando per l'Italia, nel 1776. Il libro,
dedicato a Madame Elisabeth di Francia, sorella di Luigi XVI, si rivela
un'interessante relazione composta in stile epistolare, con molteplici descrizioni
dei monumenti e degli usi e costumi delle città visitate. Binos intraprese un
secondo viaggio in Oriente nel 1789, ma di questo non abbiamo nessuna
testimonianza, essendo incerto anche l'itinerario compiuto. Nel 1802 divenne
parroco della città di St. Bertrand, dove morì pochi anni dopo.
ANCONA
[…] Sur ce mole sont deux arcs de triomphe: le premier, bâti en marbre
blanc, est dédie à Trajan. On lit au-dessus une inscription latine qui rappelle le
souvenir des bienfaits que cet Empereur répandit sur le pays. Le second, aussi en
181
marbre blanc, a été bâti à l’honneur des souverains Pontifes qui ont fait travallier à
la construction du port […] L’intérieur de la ville est orné de belles églises & de
belles palces ; les rues sont étroites. La Cathédrale, dont S.Cyrice est le Patron, se
fait remarquer par un portique gardé par deux lions, soutenant chacun sur leur dos
une colonne de marbre de la hauteur de dix-huit pieds, & tenant dans leurs griffes
un gros serpent […]
182
NOME DELL’AUTORE : YRIARTE, CHARLES [1833-1898]
TITOLO DELL’OPERA : LES BORDS DE L’ADRIATIQUE ET LE
MONTENEGRO
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