Convegno internazionale LO SPAZIO DELLA DIFFERENZA 2021

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Convegno internazionale LO SPAZIO DELLA DIFFERENZA 2021
Convegno internazionale
LO SPAZIO DELLA DIFFERENZA
20­21 ottobre 2010
Università di Milano­Bicocca
Esclusione sociale e pratiche di resistenza dei vegetariani
Agnese Pignataro
Introduzione
Il vegetarismo è un comportamento alimentare individuale che si realizza in diverse forme e viene giustificato in differenti modi (salute, spiritualità, ecologia, rispetto degli animali...) Sul piano materiale, però, tutte le «diete» vegetariane riposano su un punto comune fondamentale: il rifiuto di cibarsi delle carni di animali 1. Qualunque siano le ragioni della singola persona per essere vegetariana, all'atto pratico il non mangiar carne comporta la non uccisione di un animale e rinvia sempre, univocamente, alle relazioni ­ di potere, economiche, simboliche ­ che la comunità umana intrattiene con gli animali non umani, mettendole in questione, spezzandole, creandone di nuove. Un/a vegetariano/a quindi non passa mai inosservato/a.
Nelle società occidentali attuali il mangiar carne, lungi dall'essere un comportamento alimentare tra tanti, è considerato il comportamento­norma. Chi non vi si attiene è ritenuto bizzaro, sentimentale, o ancora «estremista», e le occasioni per rimarcare la sua stranezza, la sua estraneità, non saranno mai abbastanza numerose; nello spazio pubblico, gli/le succederà spesso di essere discriminato/a, per esempio non avendo accesso a pasti equilibrati o ad informazioni nutrizionali corrette ed imparziali; nel privato, si troverà ad affrontare l'ostilità familiare, la derisione degli amici, l'emarginazione dei colleghi.
Questo insieme di fenomeni ­ che per analogia con l'omofobia è stato definito vegefobia ­ si verifica in tutti i Paesi occidentali, nei quali l'opzione vegetariana è minoritaria, ma assume in Francia dei tratti particolarmente marcati. L'esposizione della situazione francese fornirà i materiali per un abozzo di analisi del ruolo simbolico dei vegetariani nella società e dei diversi modi in cui si declina la loro espulsione figurata dalla collettività umana. Infine verrà presentata una manifestazione politica nella quale i vegetariani si riappropriano dello spazio pubblico esibendo la propria disobbedienza alla norma carnivora: il Veggie Pride. Come vedremo, l'identificazione dei vegetariani con gli animali stessi gioca un ruolo impotante tanto nelle logiche della loro esclusione che nelle loro pratiche di resistenza.
1 N. Fiddes, Meat. A natural symbol, Routledge 1991, p. 4.
1. La vegefobia in Francia tra istituzioni e sfera privata
Alcuni dibattiti recenti illustrano molto bene il ruolo normalizzante della carne in Francia: presentata come elemento fondamentale e necessario nello spazio pubblico, essa diviene simbolo di coesione sociale, di laicità, addirittura della Repubblica. Uno di questi dibattiti risale al febbraio scorso ed è stato scatenato dalla decisione di un fast­food Quick di proporre esclusivamente hamburger fatti di carne hallal (cioè proveniente da animali uccisi con macellazione rituale). Tra i diversi argomenti invocati contro la linea del fast­food, quello avanzato in particolare dal ministro dell'agricoltura e dal portavoce del governo accusava Quick di cedere ad un «particolarismo» (communautarisme) e di conseguenza di non rispettare i valori della Repubblica, della società e della cultura francesi, che rifiutano i particolarismi. Un altro dibattito significativo riguarda l'eventuale introduzione di menù alternativi senza carne nelle mense degli istituti scolastici in diverse città. L'argomento più usato contro questa iniziativa è quello della laicità della scuola pubblica. In questo contesto, gli avversari della differenza alimentare la interpretano come fattore di «separazione»: «differenziando le scelte alimentari dei bambini, si crea una sorta di separazione religiosa»; «nel favorire l'apartheid alimentare, la città di Lione non organizza forse la frammentazione dello spazio comune?»; «se un tale progetto dovesse realizzarsi, l'unico suo risultato sarebbe di produrre un po' più di esclusione».
Nel campo dell'informazione medica, lo Stato francese promuove in modo massiccio una politica dietetica istituzionale attraverso il «Programma Nazionale di Nutrizione e Salute» (PNNS). Malgrado il PNNS affermi che «la scelta alimentare individuale è un atto libero, nel contesto culturale e sociale proprio a ciascuno», i suoi materiali divulgativi non esprimono nessuna neutralità nei confronti delle diete vegetariane, accusate di provocare gravi danni alla salute su adolescenti, adulti e donne incinte. Queste ultime, secondo il PNNS, se vegane devono «assolutamente consultare il [loro] medico»: ma poiché, di fatto, i medici francesi non sono quasi mai preparati a consigliare pazienti vegani, sembra proprio che questa raccomandazione miri in realtà a far sì che le donne si facciano convincere dal medico a ricominciare a mangiare prodotti animali. Per valutare la faziosità di questi messaggi basta paragonarli ai documenti informativi sull'alimentazione del Ministero della Salute italiano, obiettivi, neutri e basati su fonti scientifiche non solamente nazionali ma anche internazionali (queste ultime, ignorate dalle autorità francesi).
Un ulteriore attacco contro il vegetarismo da parte delle istituzioni francesi si svolge sul fronte della cosiddetta lotta contro le derive settarie: le diete vegetariane sono infatti menzionate nell'ultimo rapporto della Miviludes (Mission interministérielle de vigilance et de lutte contre les dérives sectaires). È importante precisare che la campagna anti­settaria della Francia ha carattere massiccio e problematico (pubblicazione di liste di organizzazioni giudicate settarie, adozione di una legge speciale) e suscita perplessità e preoccupazione a livello europeo e mondiale per potenziali lesioni della libertà di opinione. All'interno di una sezione globale su «Nutrizione e rischi settari» del rapporto 2009 della Miviludes sono elencati i regimi alimentari alternativi; si parla quindi «del vegetalismo, del veganismo che estende questo divieto [dei prodotti di origine animale] ai vestiti per rispetto e protezione militante del mondo animale, del frugivorismo o fruttarismo etc. […] Sbilanciati, sono difficili da equilibrare e pericolosi, particolarmente per i bambini». Al di là delle asserzioni dietetiche contestabili, il legame tra queste pratiche e il mondo delle sètte è costantemente suggerito ma mai realmente dimostrato ed argomentato; persino la militanza animalista è nominata en passant, senza che il suo presunto carattere settario venga spiegato.
Per quanto riguarda le difficoltà che i vegetariani francesi incontrano nella sfera privata, basta una semplice ricerca su Internet con le parole chiave «végétarien» e «famille» per imbattersi in una quantità di testimonianze significative. Seguono esempi tratti da un forum. Sulle relazioni con la famiglia: «quando ho annunciato alla mia famiglia che ero diventata vegetariana, mi sono sentita dire 'sei scema', 'morirai entro la fine dell'anno', 'si sapeva che hai problemi mentali ma non fino a questo punto' […] La prima volta che ho mangiato con la mia famiglia, mi hanno detto che c'era un piatto speciale solo per me, guardo nel mio piatto: erba e margherite. Mi sono messa a piangere, e tutti hanno riso». Sulla percezione dello sguardo degli altri: «Perché la gente ci guarda come se annunciassimo di avere l'AIDS quando diciamo che non mangiamo la carne?»; «troppa gente non capisce o ci vede come una setta»; «per quanto mi riguarda, mi prendono per pazza». Tutto ciò incoraggia il vegetariano a smettere di comunicare, a chiudersi in se stesso: «in attesa che le cose si aggiustino un po', non ho più voglia di parlarne; la gente, soprattutto gli intimi, mi ha molto deluso»; «non ho sempre voglia di parlarne, soprattutto se mi trovo di fronte a persone piene di pregiudizi».
2. L'espulsione simbolica dei vegetariani dalla società
In ambito antropologico, molto è stato scritto a proposito del ruolo simbolico della carne, ma cosa possiamo dire del ruolo simbolico dei vegetariani nella società? È verosimile pensare che questo sia la controparte rovesciata di quello e che quanto più è alto il valore della carne come connettore culturale, tanto più aumentino per riflesso la deprecazione dei vegetariani nell'immaginario collettivo e la loro conseguente esclusione sociale.
In primo luogo, il mangiar carne è spesso considerato uno dei caratteri distintivi dell'uscita della specie umana dallo «stato di natura»: un esempio recente e significativo è offerto dalla paleontologa francese Marylène Patou­Matis, secondo la quale il passaggio degli ominidi all'alimentazione carnivora avrebbe «innescato il processo di ominizzazione» e «determinato la separazione della nostra stirpe da quella dei nostri cugini, le grandi scimmie»2. Posizioni di questo tipo escludono – in modo implicito, ma evidente ­ i vegetariani dall'idea di «umanità»: il rifiuto della carne marca il loro scarto tanto dall'ascendenza storica che dall'appartenenza sociale e li relega quindi in una condizione a­
sociale e non propriamente umana. D'altra parte, e in modo contraddittorio rispetto all'idea appena descritta, l'alimentazione carnea è molto spesso vista come un comportamento che segnerebbe l'adesione degli umani alla «catena alimentare», analoga alla classica «catena dell'essere» e, come quella, interpretata come un imperativo morale: da questo punto di vista, quindi, il vegetariano incarna un'esistenza contraria alla «natura», deviante, sovversiva non solo delle consuetudini umane ma delle leggi cosmiche.
Un'altra, interessante pista di riflessione riguarda una possibile identificazione dei vegetariani con gli animali stessi. Anche qui siamo di fronte ad un'attribuzione simbolica ambivalente. Da una parte, infatti, l'immaginaria acquisizione da parte dell'individuo mangiante delle proprietà dell'oggetto mangiato gioca nell'attribuzione ai vegetariani di caratteri negativi propri ai vegetali, in opposizione ai caratteri «animali» ­ ovviamente positivi ­ incorporati dai carnivori: i vegetariani sarebbero lenti, laddove i carnivori sarebbero dinamici; i vegetariani sarebbero pallidi laddove i carnivori avrebbero un bel colorito intenso, legato alla presenza del sangue nelle carni da loro ingerite, etc. Dall'altra, bisogna ricordare che in generale tutti gli individui o gruppi outcast vengono accostati agli 2 M. Patou­Matis, Mangeurs de viande, Perrin 2009, p. 8.
animali in modo peggiorativo. Questo è ancora più vero nel caso dei vegetariani, la cui metamorfosi «animalesca» si compie anche in virtù di due elementi particolari propri agli animali utilizzati nell'alimentazione umana occidentale, quegli animali che loro rifiutano di mangiare. Il primo è quello di essere erbivori, il che traslato sui vegetariani si traduce nell'immagine di tristi mangiatori d'erba. Il secondo, particolarmente interessante dal punto di vista politico, è quello di essere sessualmente inattivi o passivi (gli animali abbattuti per essere mangiati sono inevitabilmente giovani, oppure, se adulti, maschi castrati o femmine), il che nei vegetariani diviene l'essere femminei, ipersensibili, non virili, impossibilitati o incapaci di ricoprire ruoli «attivi», di potere: un'ulteriore via per negare al vegetariano la sua piena personalità sociale, a causa questa volta della sua non conformità al paradigma umano maschile e dominatore.
3. La (ri)conquista dello spazio politico: il Veggie Pride
Se la maggior parte dei vegetariani in Francia (così come in tutti gli altri Paesi occidentali) si mostra noncurante di questo stato di cose e punta più alla promozione del proprio «stile di vita» di cui esalta il carattere positivo e gioioso, che all'analisi dei suoi significati politici, una parte del movimento animalista francese ha fatto della denuncia della vegefobia e dell'identificazione tra vegetariani ed animali il cardine di un evento unico nel suo genere: il Veggie Pride. Si tratta di un corteo annuale in cui vegetariani e vegani per gli animali manifestano pubblicamente la loro esistenza, l'esistenza nella società di persone che vivono rifiutando di uccidere, rivendicando i propri diritti di cittadini e, correlativamente, i diritti degli animali, di cui si fanno portavoce: «Agli animali allevati e uccisi non si riconosce alcun diritto; ma a noi che siamo solidali con loro ne vengono riconosciuti, almeno teoricamente. Intendiamo esercitare pienamente i nostri diritti, perché sono i nostri, e perché sono i loro: sono gli unici diritti che essi oggi, indirettamente, posseggano» 3. L'obiettivo di tale evento non è fare proselitismo attraverso comportamenti festosi ed accattivanti, ma al contrario mettere in primo piano le discriminazioni che colpiscono i vegetariani come problema riguardante la sfera pubblica per arrivare, attraverso tale denuncia, alla questione dell'uccisione degli animali a scopo alimentare. Si compie così un ulteriore scambio di identità tra vegetariani ed animali, ma questa volta adottato e voluto consapevolmente dai manifestanti in quanto strumento di comunicazione politica.
Nel Veggie Pride, infatti, i vegetariani proiettano sugli animali non umani, che nella società umana hanno un'identità nulla, vacua, l'essere del quale essi invece godono in quanto umani e in quanto cittadini. Mentre agli umani viene in generale riconosciuto il diritto a non essere negati, né fisicamente, né simbolicamente, i vegetariani vivono un occultamento, una estraneazione, per via del loro gesto di disobbedienza contro la norma carnivora, e subiscono simbolicamente sul piano sociale quell'annientamento che gli animali non umani subiscono fisicamente sul piano materiale. Con il Veggie Pride, si svolge il rifiuto tanto della negazione simbolica, attraverso l'espressione della fierezza del gesto di disobbedienza, che della negazione fisica degli animali non umani, attraverso la denuncia del loro massacro. Recuperando così pienamente il loro essere sociale, i partecipanti al Veggie Pride contribuiscono a colmare il vuoto a cui la società condanna i non umani sfruttati, estendendo a loro, per quanto possibile, la «personalità» che essi stessi riconquistano come cittadini.
3 Manifesto del Veggie Pride.
Colloque international
L'ESPACE DE LA DIFFÉRENCE
20­21 octobre 2010
Université Milano­Bicocca
Exclusion sociale et pratiques de résistance des végétariens
Agnese Pignataro
Introduction
Le végétarisme est un comportement alimentaire individuel que l'on réalise et justifie de différentes façons (santé, spiritualité, écologie, respect pour les animaux...). Mais sur le plan matériel, tous les «régimes» végétariens reposent sur un point commun fondamental : le refus de se nourrir de la chair des animaux 4. Quelles que soient les raisons individuelles pour être végétarien­ne, dans la pratique le fait de ne pas manger la viande implique de ne pas tuer un animal et renvoie toujours et sans ambiguïté aux relations ­ de pouvoir, économiques, symboliques ­ que la communauté humaine entretient avec les animaux non humains, en les mettant en question, en les brisant, en en créant de nouvelles. Un­e végétarien­ne ne passe donc jamais inaperçu­e.
Dans les sociétés occidentales actuelles, l'alimentation carnée, loin d'être un comportement alimentaire parmi d'autres, est considérée comme la norme. La personne qui ne s'y conforme pas est tenue pour bizarre, sentimentale, ou encore « extrémiste », et les occasions pour souligner son extravagance et son étrangeté ne seront jamais assez nombreuses ; dans l'espace public, il lui arrivera souvent d'être discriminée, par exemple par l'impossibilité d'avoir accès à des repas équilibrés ou à des informations nutritionnelles correctes ; dans le privé, il/elle devra faire face à l'hostilité de la famille, aux moqueries des amis, à la mise en marge des collègues.
Cet ensemble de phénomènes ­ qui a été appelé «végéphobie» par analogie avec l'homophobie ­ se produit dans tous les pays occidentaux, dans lesquels l'option végétarienne est minoritaire, mais prend en France des traits particulièrement marqués. L'exposé de la situation française servira de base pour une esquisse d'analyse du rôle symbolique des végétariens dans la société et des différentes façons dont se décline leur expulsion figurée de la collectivité humaine. Enfin, nous présenterons une manifestation politique dans laquelle les végétariens reconquièrent l'espace public en affichant leur désobéissance à la norme carnivore : la Veggie Pride. Comme nous allons le voir, l'identification des végétariens avec les animaux eux­mêmes joue un rôle important tant dans les mécanismes de leur exclusion que dans leurs pratiques de résistance.
4 N. Fiddes, Meat. A natural symbol, Routledge 1991, p. 4.
1/ La végéphobie en France entre les institutions et la sphère privée
Le rôle normalisateur de la viande en France est bien apparu dans des débats récents : présentée comme un élément fondamental et nécessaire de l'espace public, elle devient un symbole de la cohésion sociale, de la laïcité, de la République elle­même. Un de ces débats remonte à février dernier et a été soulevé à l'occasion de la décision d'un fast food Quick de proposer exclusivement des hamburger faits de viande hallal. Parmi les différents arguments invoqués contre la politique de ce fast­food, celui qui était avancé notamment par le ministre de l'agriculture et par le porte­parole du gouvernement accusait Quick de céder à un communautarisme et de ne pas respecter par conséquent les valeurs de la République, de la société et de la culture française. Un autre débat significatif concerne l'introduction éventuelle de menus alternatifs sans viande dans les cantines des établissements scolaires en différentes villes. L'argument le plus utilisé contre cette initiative est celui de la laïcité de l'école publique. Dans ce contexte, les adversaires de la différence alimentaire l'interprètent comme un facteur de « séparation » : « en différenciant les enfants dans leur choix alimentaire, on crée une sorte de séparation religieuse » ; « en favorisant “l'apartheid” alimentaire, la ville de Lyon, avec la bénédiction des autorités religieuses, n'organise­t­elle pas la fragmentation de l'espace commun ? » ; « si un tel projet devait voir le jour, il n'aurait pour résultat que de produire un peu plus d'exclusion ».
Dans le cadre de l'information médicale, l'État français fait une promotion massive d'une politique nutritionnelle institutionnelle par le biais du « Programme National Nutrition et Santé » (PNNS). Bien que le PNNS affirme que « le choix alimentaire individuel est un acte libre, dans le contexte culturel et social propre à chacun », le matériel diffusé est loin d'être neutre vis­à­vis des régimes végétariens, qui feraient courir des risques pour la santé des adultes, des adolescents et des femmes enceintes. Ces dernières, selon le PNNS, « doivent absolument consulter [leur] professionnel de santé » si elles sont végétaliennes ; les médecins français n'ayant quasiment pas de connaissances au sujet du végétalisme, il semble que cette exhortation vise moins à donner aux femmes enceintes la possibilité d'être suivies correctement qu'à les convaincre de revenir aux produits d'origine animale. Pour évaluer la partialité de ces messages, il suffit de les comparer avec les documents d'information sur la nutrition du Ministère de la Santé italien, qui sont objectifs, neutres et se basent non seulement sur des sources scientifiques nationales mais aussi internationales (ces dernières, ignorées par les autorités françaises).
Une autre attaque contre le végétarisme de la part des institutions françaises se déroule sur le front de la prétendue lutte contre les dérives sectaires : en effet les régimes végétariens sont mentionnés dans le dernier rapport de la Miviludes (Mission interministérielle de vigilance et de lutte contre les dérives sectaires). Il est important de rappeler le caractère massif et problématique de la campagne anti­sectaire de la France (publication de listes d'organisations jugées sectaires, adoption d'une loi spéciale), qui suscite la perplexité et l'inquiétude de l'Europe et des Nations Unies pour son risque potentiel de violation de la liberté d'opinion. Dans une section globale intitulée « Nutrition et risque sectaire » du rapport 2009 de la Miviludes sont énumérés les régimes alimentaires alternatifs ; l'on parle donc « du végétalisme, du véganisme qui étend cette interdiction [des produits d'origine animale] aux vêtements par respect et protection militante du monde animal, du frugivorisme ou fruitarisme etc. [...] Carencés, ils sont difficiles à équilibrer et dangereux notamment pour les enfants ». Indépendamment du caractère contestable de ces assertions nutritionnelles, le lien entre ces pratiques et le monde des sectes est constamment suggéré mais jamais réellement démontré et argumenté ; même le militantisme animaliste est évoqué, sans que son prétendu caractère sectaire soit expliqué.
En ce qui concerne les difficultés que les végétariens français recontrent dans la sphère privée, il suffit d'une simple recherche sur Internet avec les mots­clé « végétarien » et « famille » pour tomber sur de nombreux témoignages significatifs. Voici des exemples tirés d'un forum. Concernant les relations avec la famille : « Quand j'ai annoncé à ma famille que je devenais végé, j'ai eu droit à “T'es nouille”, “Tu vas mourir dans l'année”, “On savait que tu avais des problèmes neurologiques mais pas à ce point” [...] le premier repas avec de la famille on m'a dit qu'un plat spécial n'attendais que moi, je regarde mon assiette : de l'herbe et des pâquerettes. J'ai pleuré et tout le monde à ri. » Concernant la perception du regard des autres : « pourquoi les gens nous regardent comme si on leur annonçait qu'on avait le sida lorsqu'on leur dit qu'on ne mange pas de viande ? » ; « trop de monde ne comprend pas ou nous perçoivent comme une secte » ; « moi on me prend pour une folle ». Tout cela pousse le végétarien à arrêter de communiquer, à se renfermer sur lui­même : « en attendant que les choses se tassent un peu, je n'ai plus envie d'en parler, les gens, et surtout les plus proches, m'ont beaucoup déçu » ; « je n'ai pas toujours envie d'en parler, surtout si j'ai en face de moi des personnes pleines de préjugés ».
2/ L'expulsion symbolique des végétariens de la société
Le rôle symbolique de la viande a été beaucoup étudié par les anthropologues. Qu'en est­il du rôle symbolique des végétariens dans la société ? Il est vraisemblable que le deuxième soit le revers du premier, et que plus la valeur de connecteur culturel de la viande est élevée, plus augmentent la dépréciation des végétariens dans l'imaginaire collectif et, par conséquent, leur exclusion sociale.
En premier lieu, l'alimentation carnée est souvent considérée comme un des caractères distinctifs de la sortie de l'espèce humaine de l'« état de nature » : un exemple récent et significatif est offert par la paléontologue française Marylène Patou­Matis, selon laquelle l'adoption de l'alimentation par les hominidés aurait « déclenché le processus d'hominisation » et « entraîné la séparation de notre lignée de celle de nos cousins, les grands singes »5. Des positions de ce type excluent de façon implicite mais évidente les végétariens de la catégorie d'« humanité » : le refus de la viande marque leur écart tant de l'ascendance historique que de l'appartenance sociale et les relègue donc dans une condition a­sociale et non proprement humaine. D'autre part ­ et en contradiction avec l'idée précédente ­ l'alimentation carnée est très souvent vue comme un comportement marquant l'adhésion des humains à la « chaîne alimentaire » (analogue de la « chaîne de l'être » classique) à laquelle on donne (comme à cette dernière) la valeur d'impératif moral : ainsi le végétarien incarne­t­il de ce point de vue une existence contraire à la « nature », déviante, qui trouble non seulement les traditions humaines mais aussi les lois cosmiques.
Une autre piste de réflexion intéressante concerne la possibilité d'identifier les végétariens avec les animaux eux­mêmes. Dans ce cas aussi, on peut constater une attribution symbolique ambivalente. En effet, d'une part l'acquisition imaginaire par le mangeur des propriétés de l'objet mangé incite à attribuer aux végétariens des caractères négatifs propres aux végétaux, en opposition aux caractères « animaux » ­ positifs, évidemment ­ 5 M. Patou­Matis, Mangeurs de viande, Perrin 2009, p. 8.
incorporés par les mangeurs de viande : les végétariens seraient lents alors que les carnivores seraient dynamiques ; les végétariens seraient pâles alors que les carnivores auraient un beau teint coloré, lié à la présence du sang dans les chairs qu'ils mangent, etc. D'autre part, il ne faut pas oublier que tous les individus ou groupes outcast sont en général rapprochés des animaux de façon péjorative. Ceci est d'autant plus vrai dans le cas des végétariens, qui subissent une métamorphose « bestiale » en vertu aussi de deux éléments spécifiques propres aux animaux utilisés dans l'alimentation humaine occidentale, ces animaux qu'ils refusent de manger. Le premier est le fait d'être herbivores, qui dans la transposition aux végétariens se traduit en l'image des tristes mangeurs d'herbe. Le deuxième, particulièrement intéressant du point de vue politique, est le fait d'être inactifs ou passifs du point de vue sexuel (les animaux abattus pour être mangés sont inévitablement jeunes ou, s'ils sont adultes, castrés ou femelles), ce qui correspond à l'idée des végétariens comme des êtres efféminés, hypersensibles, non virils, incapables de revêtir des rôles « actifs », de pouvoir : encore une image qui dénie à l'individu végétarien sa pleine personnalité sociale, cette fois à cause de sa non­conformité au paradigme humain masculin et dominateur.
3/ La (re)conquête de l'espace public : la Veggie Pride
Si la plupart des végétariens en France (come dans tous les autres pays occidentaux) se montre insouciant vis­à­vis de cet état de choses, et vise plus à la promotion de son « mode de vie », dont il exalte le caractère positif et joyeux, qu'à l'analyse de ses signifiés politiques, une partie du mouvement animaliste français a fait de la dénonciation de la végéphobie, et de l'identification entre végétariens et animaux, le fondement d'un événement unique dans son genre : la Veggie Pride. Il s'agit d'un défilé annuel dans lequel les végétariens et végétaliens pour les animaux manifestent publiquement leur existence, l'existence dans la société de personnes qui vivent tout en refusant de tuer, et revendiquent tant leur droits de citoyens que ceux des animaux, dont ils deviennent les porte­parole : « Aux animaux élevés et tués on n'accorde aucun droit; mais à nous qui sommes solidaires d'eux on en reconnaît, en principe. Nous entendons exercer pleinement nos droits, parce que ce sont les nôtres, et parce que ce sont les leurs, les seuls qu'ils puissent aujourd'hui, indirectement, posséder »6. Le but de cet événement n'est pas de faire du prosélytisme par un comportement joyeux et séduisant, mais au contraire de mettre en premier plan les discriminations végéphobes en tant que problème qui concerne la sphère publique, pour arriver, par le biais de cette dénonciation, à la question du massacre des animaux pour l'alimentation. Un nouvel échange d'identité entre végétariens et animaux s'accomplit ainsi, mais cette fois adopté et voulu consciemment par les manifestants en tant qu'instrument de communication politique.
Dans la Veggie Pride, en effet, les végétariens projettent sur les animaux non humains, dont l'identité sociale parmi les humains est nulle, vide, l'existence dont ils jouissent en tant qu'humains et en tant que citoyens. Si en général on reconnaît aux humains le droit à ne pas être niés, ni physiquement ni symboliquement, les végétariens vivent une mise à l'écart, une aliénation, à cause de leur geste de désobéissance contre la norme carnivore, et subissent symboliquement sur le plan social cet anéantissement que les animaux non humains subissent physiquement sur le plan matériel. Avec la Veggie Pride se déroule tant le refus de cette négation symbolique, par le biais de l'expression de la fierté de son geste de désobéissance, que celui de la négation physique des animaux non humains, par le biais 6 Manifeste de la Veggie Pride.
de la dénonciation de leur massacre. En récupérant ainsi pleinement leur existence sociale, les participants à la Veggie Pride contribuent à combler le vide auquel la société condamne les non humains exploités, en étendant à ceux­ci, dans la mesure du possible, la « personnalité » qu'ils regagnent en tant que citoyens.