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Annale 2014 BraDypUS.net COMMUNICATING CULTURAL HERITAGE BraDypUS Editore Abbonamenti È possibile attivare abbonamenti con l’editore della durata minima di tre anni. Ai volumi venduti in abbonamento viene applicato uno sconto del 25% del prezzo di copertina. Per maggiori informazioni si prega di contattare l’editore: BraDypUS. Communicating Cultural Heritage indirizzo: via A. Fioravanti 72. 40129 Bologna, Italia web: http://bradypus.net email: [email protected] tel: +39 339 1452161 ISSN: ISBN: DOI: 22826033 9788898392209 10.12977/stor Quest’opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/ licenses/by-nc-nd/4.0. 2015 BraDypUS Editore via Aristotile Fioravanti, 72 40129 Bologna CF e P.IVA 02864631201 http://bradypus.net http://books.bradypus.net [email protected] Finito di stampare nel luglio 2015 presso Atena.net Srl, Grisignano di Zocco (VI). annale 2014 BraDypUS.net COMMUNICATING CULTURAL HERITAGE Bologna 2015 Direzione Marica Tolomelli Co-Direzione Tiziana Lazzari Coordinatore di redazione Vittorio Caporrella ([email protected]) Redazione Alice Bencivenni, Claudio Bisoni, Paolo Capuzzo, Maria Pia Casalena, Davide Domenici, Mirco Dondi, Cristiana Facchini, Maria Teresa Magnani, Clizia Magoni, Gaetano Mangiameli, Karin Pallaver, Matteo Pasetti, Paola Rudan Gian Paolo Brizzi (Università di Bologna), Alberto De Bernardi (Università di Bologna), Massimo Donattini (Università di Bologna), Marcello Flores (Università degli Studi di Siena), John Foot (University College, Londra), Giovanni Geraci (Università di Bologna), Massimo Montanari (Università di Bologna), Mauro Pesce (Università di Bologna), Lourenzo Prieto (Università di Santiago di Compostela), Paolo Prodi (Università di Bologna), Dominic Rathbone (King’s College, Londra), Maria Salvati (Università di Bologna), Assistente di redazione Francesca Stanzani Redazione web Julian Bogdani, Erika Vecchietti (BraDypUS Editore) Peer review double-blind peer review da parte di due esperti esterni. Per ulteriori informazioni: http://www.storicamente.org/peer_review_it.htm. all’indirizzo: http://www.storicamente.org/list_reviewers.pdf. Contatti e proposte Storicamente, Dipartimento di Storia Culture Civiltà, Università di Bologna, Piazza San Giovanni in Monte 2, Bologna I-40124, Italy. Indirizzo e-mail: [email protected] Questo volume è l’edizione annuale a stampa dei saggi apparsi sull’e-journal Storicamente, realizzato con il contributo del Dipartimento di Storia Culture Civiltà - Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Gian Paolo Brizzi Autorizzazione Tribunale di Bologna n. 7593 del 9 novembre 2005. annale 2014 indice DOSSIER La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta, a cura di Marie-Anne Matard-Bonucci, Patrizia Dogliani La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta. Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 11 Grégoire Le Quang Les années de plomb en Italie: la peur, miroir de la violence politique . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 15 La violence des ultrà au tournant des années 1970: une violence politique? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 47 Romain Legendre Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence . . . . . . . . . . . . p. 71 Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie . . . . . . p. 99 Un “printemps romain?”: il «movimento ‘77» visto dalla stampa francese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 123 STUDI E RICERCHE Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 155 La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 191 FONTI E DOCUMENTI Ottavio D’Addea Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona. La Prima relazione del commissario liquidatore p. 221 Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World: Discourses and Political Languages, a cura di Angela De Benedictis Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World: Discourses and Political Languages. An Introduction . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 267 Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 283 Insurrections, Bank and Private Contracts: How Society shaped the Constitutional Order during the American Revolution . . . . . p. 307 Nova Totius Terrarum Orbis: Modern theory of sovereignty and the neutralization of Atlantic Disobedience . . . . . . . . . . . . . . p. 323 Bolívar’s Discurso de Angostura and the constitution of the people . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 337 COMUNICARE STORIA Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 351 Cesarina Casanova La pena di morte e il riscatto delle anime in età moderna. A proposito di Delitto e perdono di Adriano Prosperi . . . . . . . . . p. 381 Fabio Bego La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 395 DIBATTITI Le nuove generazioni nella crisi italiana: alcuni contributi sociologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 425 dossier La vioLenza poLitica neLL’itaLia degLi anni Settanta La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta. Presentazione Patrizia Dogliani Univ. di Bologna, Dipartimento di Storia Culture Civiltà Marie-anne MatarD-Bonucci Univ. Paris 8, Département d’Histoire, France violenza riemerge in ricerche recenti, soprattutto dall’interesse suscitato scono la società e la politica dell’Italia in epoca contemporanea. Parte integrante di un’Europa novecentesca messa alla prova della brutalità sa”, di cui gestisce a lungo il monopolio. Da almeno un quindicennio, numerose ricerche hanno permesso di analizzare queste manifestazioni. di violenza coloniale; altre hanno esplorato la questione della criminalità organizzata e più recentemente il periodo etichettato come “Anni di piombo”. Il programma di ricerca tiene conto della pluralità delle espressioni della violenza, cercando di coglierne ragioni e origini storiche, contestualizzandole in realtà politiche, sociali ed anche locali, che implicano attori 12 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta progetto di ricerca triennale in corso presso l’École Française de Rome, in collaborazione con le università francesi di Grenoble edi ParisVIII e l’Università di Bologna, è quello di uno studio dell’impatto di queste violenze sui processi democratici e sui processi di democratizzazione attraversati dall’Italia nel corso del XX secolo. Agli storici e alle storiche che stanno partecipando a questo progetto in incontri periodici (il primo tenutosi a Parigi presso l’Université de Paris VIII a Saint-Denis nell’aprile 2013; il prossimo a Roma presso l’EFR nel novembre 2014) in cui si discutono i risultati di ricerche in corso o di studi recenti, sono state poste alcune domande di fondo. E’ stato loro chiesto di analizzare come le forze politiche e le istituzioni democratiche si sono confrontate con la violenza politica e sociale nell’Italia liberale e poi repubblicana. meno stretto) dei valori democratici. E ancora: in quale misura pratiche è stato loro suggerito di interrogarsi su come settori della società si sono mobilitati contro alcune forme di violenza politica e criminale per difendere con tale azione anche principi democratici di base. leggi d’emergenza e rispetto del diritto, tra repressione e mantenimento delle libertà fondamentali, in una prospettiva che non fosse solo d’ec- politiche che l’hanno creata e la molteplicità delle tradizioni intellettuali e civili che l’hanno ispirata. Dunque questi primi studi, e altri che qui seguiranno, aiutano a confrontare fenomeni violenti di natura diversa, e il funzionamento dell’impianto democratico basato su attitudini e funzionamenti, a volte ricorrenti, a volte divergenti perché derivati da un cumulo di esperienze PATRIZIA DOGLIANI, MARIE-ANNE MATARD-BONUCCI La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta. Presentazione 13 cresciute in seno alla società civile: dall’antifascismo alla mobilitazione nella lotta contro il terrorismo sono stati in parte riutilizzati contro la pentito, organizzazione di processi collettivi, ecc.). Anche nella memoria pubblica, è da segnalare questa comunanza, sancita nel 2007 dalla terrorismo”. Il progetto intende inoltre aiutare a comprendere varianti ed intensità delle diverse culture politiche che hanno generato violenze minate per gli anni Settanta. Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique grégoire le Quang Univ. Paris 8, UFR Textes et société, EA1571 Centre de recherches historiques, Saint-Denis, France Gli anni Settanta in Italia sono associati ad un clima di paura, evidente nelle note espressioni quali “Gli anni di piombo”, “terrorismo” e “strategia della tensione”. Ma come intensità e tempi? Tali paure devono sia essere contestualizzate all’interno della vasta violenza politica nell’Italia degli anni Settanta: alcuni gruppi, ricorrendo a approcci di paura. - the Cold War, but the political violences in the 1970’s in Italy are also particular: some 16 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta introduction ce, volontiers représenté de manière romanesque ou romantique (parmi , sorti en 2009), parfois saisi dans toute son horreur («Le viol», monologue de Franca Rame racontant en 1975 son agression [Fo, pas moins de 13 000 attentats en 13 ans (de 1969 à 1982) sont recensés, pour un total de 362 victimes1 [Della Porta, Rossi 1984], une vague de violences sans équivalent dans le monde occidental contemporain, tant par son intensité que par sa durée. Ce phénomène est d’autant plus incontournable que les acteurs ont produit, consciemment ou à leur corps défendant, des images marquantes qui ont traversé les décennies: photographies de manifestations à l’allure insurrectionnelle, cadavre d’Aldo Moro dans une 4L, wagons éventrés et corps enveloppés de draps blancs alignés sur des quais de gare [Almeida (d’) 2010, 209-231]. La référence à la peur est du reste explicite dans une série de dénominations largement employées: «terrorisme», «stratégie de la tension», «années de plomb» voire «années de l’inquiétude2» [Colarizi 2010, 127-131]. Aul’Italie des années 1970, mais qui ne permettent pas d’entrer dans les détails de cette peur, considérée comme une évidence. ont généré des peurs diverses, et plus globalement des réactions de la société civile comprise de la manière la plus large possible, confrontée aux «terrorismes», n’a pas encore été entreprise3. C’est que la peur, cet 1 néofascistes. 2 3 stragi, les massacres perpétrés par les bombes GRÉGOIRE LE QUANG Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique 17 élément central dans la compréhension des années 1970 en Italie, reste démonter? D’une illusion rétrospective, comme semble le dire Éric Vial: «s’il n’y avait pas eu de morts, manifestants ou policiers, on parlerait de folklore, plus pris au sérieux en France que sur place» [Vial 1999, 377]? tion du «climat» de ces années: c’est celui d’«années de plomb», de plus en plus couramment utilisé jusque dans des travaux historiques [Lettieri von Trotta, Die bleierne Zeit, sorti en 1981, et est donc rétrospectif, renvoyant à l’origine seulement à la deuxième partie de la décennie. Cette expression concourt donc à réduire une décennie de luttes sous toutes ses formes à l’image d’une société uniformément victime des violences politiques, des «extrémismes», dont on a tendance à ne retenir que les éléments les plus saillants. Le fait que la violence politique ait été de prime abord étudiée sous l’angle des acteurs des violences, ou des causes qui ont permis l’irruption phénomène des violences politiques a touché précisément l’Italie plutôt qu’un autre pays, explique aussi la relégation au second plan de la question de la peur. Celle-ci est souvent englobée dans l’étude du «terrorisme» et le «terrorisme» lui-même est le plus souvent réduit à un usage tique de son environnement social, pointe une violence «pathologique», assimilée à une dégénérescence du militantisme. C’est une lecture qui externalise les questions de la violence politique. Étudier le problème des violences politiques «au miroir de la peur», c’est au contraire chercher à valoriser une approche globale du phénomène des violences politiques et de sa réception, du contexte qui a permis l’émergence du «terrori- Marie-Anne Matard-Bonucci à l’Université de Paris 8 et d’Angelo Ventrone à l’Université de Macerata. 18 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta sme» en tant que phénomène social complexe. Il s’agit en particulier de comprendre comment la société italienne dans son ensemble a vécu au compagne la prise de conscience d’un danger réel ou imaginé, d’une menace». Ce qui prime donc, quand on parle de peur, c’est la sensation de menace, et non la qualité, réelle ou imaginaire, petite ou grande, du danger. On pourrait même dire qu’il y a, avant même la peur, un imagiquand le danger a été «imaginé», mis en image. On a peur de ce qui a été construit socialement comme une menace: la peur a donc ontologiquement une dimension collective. Aristote, dans l’Éthique à Nicomaque [De Courcelles 2006], donne une core on voit le rôle de l’imaginaire, et l’aspect un peu irrationnel de la peur, qui, si elle n’est pas contenue, devient envahissante: on peut s’attendre à un malheur, de quelque nature qu’il soit, à chaque instant. Le problème posé par la peur est donc lié aussi à la faculté de se rassurer et/ou d’être rassuré; tivités, confrontées à la nécessité de rassurer [Febvre 1956]. Ce qui pose, (ce qui ne va pas de soi, en Italie, pour nombre d’intellectuels). GRÉGOIRE LE QUANG Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique 19 Le contexte des années 1970, particulièrement en Italie, est propice à une prolifération d’imaginaires de peur de natures variées. Ce contexte idéologique, lié en particulier à un climat de Guerre froide qui se prête à la diabolisation de l’ennemi, aux suspicions de complots4, permet de comprendre que ces peurs dominantes dans les années 1970 sont en partie conditionnées par des représentations héritées. Certains événements, notamment l’attentat du 12 décembre 1969 à Piazza Fontana à Milan, est lu par les uns, dans un premier temps, comme la concrétisation du danger anarchiste, et par les autres comme la manifestation d’un dangereux doppio Stato aux mains des activistes néofascistes, et comme la première manifestation de la «stratégie de la tension5». Du côté de l’opinion conservatrice, la matrice principale des peurs politiques est l’anticommunisme, sur lequel se construit une bonne partie de la rhétorique de la DC et de la droite de la DC. Sa première cible est le Parti communiste italien, soupçonné en permanence de «double jeu», c’est-à-dire d’être, malgré son apparent soutien aux institutions de Moscou, œuvrant en sous-main pour soutenir une subversion antidémocratique. On peut d’ailleurs se demander jusqu’à quel point ce n’est pas en partie ce soupçon qui pousse le PCI à surenchérir dans son attitude légaliste dans les années 1970. Les peurs générées par la for(souvent appelés cinesi, «chinois», par la presse), sont aussi liées à cet anticommunisme. , notamment les communications de Vanessa Codaccioni: Travailler sur la criminalisation d’une organisation partisane: le cas des “complots” communistes, et de Pascal Girard: . 4 5 glais «The Observer» le 14 décembre 1969, puis largement repris ou critiqué en Italie. 20 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta Mais il existe en parallèle un soupçon spéculaire présent dans les milieux de gauche: le soupçon de collusion entre la DC, le «parti américain», et la CIA, qui, par anticommunisme, soutiendrait des tentatives de coup d’État antidémocratiques sur le modèle de celui des colonels d’avril 1967 en Grèce. Cela donne lieu à une véritable «paranoïa du coup d’État» [Della Porta 2010], qui pèse sur les espoirs de la gauche d’arriver au pouvoir légalement et démocratiquement. Une nouvelle fois, cette peur est un héritage, au moins de la deuxième moitié des années 1960, avec les trois tentatives de coup d’État en 1964 (Piano Solo, révélé au public en 1967), en 1970 ( ) et en 1974 (Golpe bianco). À chaque fois, ces actions sont plus conçues comme des actes d’intimidation que comme de véritables tentatives de coups d’État [Guerrieri 2008], provoquant de larges campagnes de presse qui tentent d’éclaircir le mystère inquiétant qui les entoure. Le but de ces actions semble bien être de répandre l’idée que des réseaux anticommunistes puissants sont prêts à (ré)agir en cas de victoire de la gauche ou de forts mouvements sociaux, donc dans un but d’intimidation. Les travaux de Guido Panvini [2009] montrent que le climat de peur existe avant le début de la «stratégie de la tension», que l’on date généralement de l’attentat de Piazza Fontana le 12 décembre 1969. Dans cette optique, «la peur d’un coup d’État a été un élément important dans la 6 ». Ce climat de peur est toutefois loin d’être homogène: Guido Panvini cite ainsi des témoignages qui relativisent cette crainte du coup d’État, comme cet article du journal trotskiste datant du 15 mars 1969: «En ce qui nous concerne, nous ne croyons pas que la situation rende possible la version la plus sombre d’une répression généralisée, et encore moins croyons-nous que l’Italie soit à la veille d’un coup d’État7». 6 - fuso clima di tensione»: Panvini 2009, 61. 7 di una repressione generalizzata e ancor meno crediamo che l’Italia sia alla vigilia di un GRÉGOIRE LE QUANG Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique 21 - violent. La volonté de faire peur s’inscrit dans ce dessein, dans le cadre tion d’extrême-droite, , en témoigne. Un de ses mots d’ordre, scandé au cours des manifestations, après l’accentuation de la répression en Turquie en mars 1971, est: «Ankara, Athènes, et maintenant au tour de Rome!»8. Dans ce cas, la référence au contexte géopolitique mondial est interprétée comme une menace exhibée ou combattue, de la même manière que les militants de la gauche radicale brandissent la menace des guerres révolutionnaires, au Vietnam comme en Amérique du Sud. La radicalisation politique entraîne une volonté de faire peur et de menacer l’ennemi d’élimination. la peur, un objet pour les sciences sociales Travailler une émotion comme la peur ne va pas de soi: Raymond Aron historiciser. On aurait là un objet mobile et sans consistance, qui échapperait presque à l’empire des mots. Pourtant, la peur n’est pas un objet colpo di Stato»: Panvini 2009, 64. 8 22 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta d’histoire neuf, et l’histoire des représentations a cherché à inscrire la compréhension des mécanismes des émotions et des sentiments, dont la peur, dans l’évolution des sociétés et des rapports politiques. Lucien Febvre [1956], a joué le rôle de précurseur, en tentant de cerner l’articulation des peurs matérielles et eschatologiques au Moyen-âge. Histoire sociale mais aussi politique, donc, tant il est vrai que la gestion de la polis l’origine, à l’organisation du besoin de sécurité, dans ce que Jean Delulement les individus pris isolément, mais aussi les collectivités et les civilisations elles-mêmes sont engagées dans un dialogue permanent avec la peur» [Delumeau 1978]. Depuis cet ouvrage fondamental de Delumeau, de nombreuses études ont insisté sur le rôle des représentations religieuses9 ou populaires10. Ces travaux montrent que la peur, loin d’être seulement une réaction, est un acteur majeur de l’Histoire. La peur est également un objet d’étude en plein renouveau pour les sciences sociales, en particulier les sciences politiques, autour de la question des «émotions collectives». Dans un article récent, Isabelle Sommier [2010] souligne que les théoriciens de l’action collective (en particulier Charles Tilly et, pour la situation italienne, Sidney Tarrow [1990]) ont eu tendance, en cherchant à comprendre les raisons qui poussent certains groupes à se rebeller, à organiser des contestations, à rejeter le secteur des émotions. L’accent a donc été mis sur les logiques rationnelles, supposant de la part des acteurs un calcul en fonction de la situation politique et institutionnelle. Cette perspective avait le mérite de tenter d’expliquer 9 10 [1990]. GRÉGOIRE LE QUANG Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique 23 pourquoi, dans des situations vécues comme injustes, certains groupes avaient la volonté d’organiser des révoltes et d’autres non, rompant aussi avec une explication des luttes ou des violences en terme de «frustration». Or les émotions sont aussi un fort facteur de radicalisation, de mobilisation. Les groupes militants s’organisent ainsi non seulement quand la situation de crise ne semble pas permettre d’amélioration dans le cadre d’un fonctionnement institutionnel et politique habituel, mais bien aussi positive. La peur elle-même peut engendrer dans un premier temps une pensation» [Sommier 2010, 195], facteur de violence, de radicalisation. Les travaux de Joanna Bourke [2003; 2006], dans une perspective histoet cultures de peurs collectives. L’étude concerne à la fois les représentations liées à des menaces sociales comme l’apparition de maladies inconnues ou la peur des extraterrestres, que l’«hystérie» anti-communiste aux États-Unis, les ravages liés aux violences de guerre, et le terrorisme. Une nouvelle fois, la peur apparaît déconnectée de la dangerosité de la menace: la construction sociale d’un danger, et la peur qui en résulte, sont le résultat d’évolutions culturelles complexes. La manière dont se cristallisent les émotions semble donc bien une piste d’étude pour comprendre les violences politiques, à la fois dans le contexte du micro, des dynamiques culturelles individuelles façonnées en partie par des logiques de groupe, et dans des interactions avec la société, en terme de débat public. Tracer plus précisément les contours de ces émotions collectives implique pour l’historien de tenter de multiplier les angles d’approche. La peur reste un objet fragmenté, qui ne laisse pas forcément beaucoup de 24 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta souvenirs de cette peur. Les sources institutionnelles peuvent permettre de cerner la manière dont les appareils de l’État réagissent à des épisodes de violence politique. À ce titre, les rapports des préfets, envoyés au cabinet du ministre de l’Intérieur, sont une source privilégiée pour étudier la manière dont ces hauts fonctionnaires mettent en forme la réalité, dans une vision qui notamment la bourgeoisie conservatrice11. Les sources émanant des archives des partis politiques et les archives parlementaires conservent les de la peur, mais aussi, peut-être, de l’instrumentaliser. La presse est aussi peur: les médias constituent une source incontournable par leur capacité à développer une lecture des événements qui contribue à mettre en forpubliés ou oraux sont un complément irremplaçable, même s’ils por1998, 25]. qui ne renvoient pas aux mêmes objets de peur, qui ont des connotations diverses et parfois contradictoires en fonction, notamment, des pas statiques et évoluent au cours de la décennie; en particulier, elles accompagnent la succession d’actes de violence qui ont pour but de 11 GRÉGOIRE LE QUANG Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique 25 : une nouvelle stratégie de peur spec- 12 taculaire Les années 1970 voient la naissance de nouveaux acteurs qui se donnent comme objectif explicite d’utiliser la peur comme arme politique. Il y a peu de textes programmatiques, mais ces stratégies connaissent des La première forme de violence politique qui se manifeste a pour matrice la droite radicale. Elle agit par anticommunisme d’abord, mais vise aussi, au-delà, une transformation de la société dans un sens autoritaire et l’établissement d’un pouvoir fort. Une note, trouvée par un journali13 en 1974 dans les papiers de l’Aginter ste de l’hebdomadaire Press à Lisbonne, fausse agence de presse qui est en réalité un groupe informel lié au régime de Salazar et aux centrales terroristes néofascistes, notamment en Italie à Ordine Nuovo ou Avanguardia Nazionale, permet d’éclairer l’arrière-plan idéologique de la mise en place de cette violence extrême. Signé par un ancien de l’OAS, ce document, rédigé en français, s’intitule «Notre action politique». On y lit notamment: Nous pensons que la première partie de notre action politique doit être de favoriser l’installation du chaos dans toutes les structures du régime. […] Cela apporte une situation de forte tension politique, de peur dans le monde industriel, d’antipathie envers le gouvernement et tous les partis […]. À partir de cet état de fait nous devrons rentrer en action dans le publique et d’indiquer une solution et de montrer la carence et l’incapacité de l’appareil légal constitué. 12 13 , «L’Europeo», 11, 2009. 26 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta Ce document objective les fondements de ce qui a été appelé dès 1969 la «stratégie de la tension». Son objectif est de créer une situation de désorganisation, provoquant l’impression que l’État est incapable de protéger. Cette désorganisation devrait amener l’opinion publique à demander des mesures fortes de limitation des libertés publiques. Dans ce cas, la peur tire son origine moins de la menace d’être atteint dans son intégrité physique, personnelle, que de la perspective d’une destruction d’un document non daté qui ne peut nullement être considéré comme un programme d’action, ce document porte la trace de la matrice idéologique de la méthode du «stragismo14» appliquée en Italie, de manière discontinue et par des groupes pas nécessairement coordonnés, de 1969 à 1980, et des répercussions politiques recherchées. climat de peur par de nouvelles techniques de guerre non-conventionde droite nationaliste et anticommuniste. Celle-ci dispose de relais dans les services secrets et l’armée, dont une manifestation bien connue est le colloque organisé par l’Istituto Alberto Pollio en mai 1965 à Rome, au cours duquel des anciens membres de l’OAS viennent détailler de nouvelles techniques de «guerre révolutionnaire» impliquant le meurtre de civils innocents au cours d’attaques terroristes massives. Le groupe Ordine Nuovo, fondé par Pino Rauti en 1954, joue un rôle important dans la théorisation et la mise en pratique de ces stratégies. On peut lire ainsi dans les Quaderni di Ordine Nuovo sous la plume de Clemente Graziani, un des leaders d’Ordine Nuovo, que le combat contre le communisme «implique la possibilité de tuer, des vieux, des femmes, des enfants. Ces formes d’intimidation terroriste sont, aujourd’hui, non seulement considérées comme valables, mais, parfois, absolument nécessai- 14 GRÉGOIRE LE QUANG Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique 27 res pour la réalisation d’un objectif précis15». Un autre groupe, celui de la revue similaires la pratique des attentats, la comparant aux bombardements de certaines villes pendant la Seconde Guerre mondiale dans le but de démoraliser l’ennemi [Guzzo 2008, 50]. entre guerre et paix, civils et militaires, et entraîne véritablement une «brutalisation» de toute la société, considérée comme un vaste champ de bataille. Vincenzo Vinciguerra, poseur de bombes néofasciste condamné pour le massacre de Peteano16, dans un entretien avec le journaliste Sergio Zavoli [1992], revendique d’ailleurs cette «guerre contre l’État» selon des méthodes «non-orthodoxes», qui a «pour objectif les cerveaux, les consciences, les cœurs et les âmes des hommes, et non les territoires17». Il s’agit bien de techniques d’«intimidation terroriste», dont le but est de faire peser une menace, de prendre en otage la société tout entière, Le moyen pour atteindre cet objectif passe par la mise en œuvre d’attentats frappant à l’aveugle, provoquant des massacres non revendiqués qui ont pu être imputés aux organisations d’extrême-gauche. Le recours à l’homicide s’inscrit alors dans une volonté de choquer par des actions spectaculaires. Dans la pratique, cela a fonctionné à la perfection pour les bombes du 12 décembre 1969 à Milan et à Rome, mais, très vite, notamment grâce à la mise en place d’une - midazione terroristica sono, oggi, non solo ritenute valide, ma, a volte, assolutamente necessarie per il conseguimento di un determinato obiettivo»: Panvini 2009, 23. 15 biniers qui étaient venus pour inspecter le véhicule. Vincenzo Vinciguerra s’est rendu à la justice spontanément en 1979 et a assumé la responsabilité de l’attentat. 16 17 uomini, non i territori»: Zavoli 1992, 190. 28 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta te18, l’origine réelle des bombes devient manifeste. Le massacre de Piazza della Loggia, à Brescia le 28 mai 1974, est du reste revendiqué par Orstragista après 1974, qui frappe pourtant encore une fois en août 1980 à la Gare de Bologne. L’objectif de cette «stratégie de la tension», qui consiste paradoxalement à «déstabiliser pour stabiliser» [Rayner 2010, 41], a fonctionné partieljeures qu’apporte Enrico Berlinguer à la démarche de rapprochement du Parti communiste avec la Démocratie chrétienne, passé à la postérité sous le nom de «compromis historique», dans une série d’articles parus dans le mensuel communiste en septembre et octobre 1973 Berlinguer explique que la stratégie de rapprochement avec les grandes forces démocratiques du pays, socialistes comme démocrates-chrétiens, est la seule manière de mener une politique progressiste, la virulence des forces conservatrices en Italie excluant l’arrivée au pouvoir de la gauche. Ce mouvement en direction du parti au pouvoir porte la trace des conséquences psychologiques du coup d’État au Chili contre Allende en 1973, mais aussi de la «stratégie de la tension» menée depuis plusieurs années dans la péninsule. On pourrait toutefois nuancer cet argument, ge politique entamé, qui s’inscrit dans le cadre d’une stratégie de long terme. Toutefois, le fait que cet argument soit reçu, qu’il ait un certain poids, montre qu’une peur d’une réponse radicale contre-révolutionnaire en cas d’une arrivée au pouvoir du PCI par les voies légales reste très présente. De manière contemporaine à la «stratégie de la tension», se mettent [1970], publié anonymement, est important. Il a connu un grand succès et a popularisé l’expression «stratégie de la tension», en pointant la responsabilité de certains secteurs des appareils d’État – d’où son titre provocateur. 18 29 GRÉGOIRE LE QUANG Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique . Il s’agit notamment des Gruppi d’Azione Partigiana (GAP) de Feltrinelli, qui se forment en 1970, puis des Brigades Rouges (BR), qui naissent aussi au cours de l’année 1970. Cette lutte armée révolutionnaire se met en place plus progressivement et de manière ciblée, nominative et revendiquée, pensée comme la vitrine publicitaire d’un combat dans le but d’obtenir un écho médiatique. L’origine de la lutte armée mise en place par la gauche radicale permet d’en comprendre la nature: les rapports de force au sein de l’usine en sont la matrice. Les BR, par exemple, naissent comme réponse à une situation vécue comme une domination exercée par le chef, le cadre sur l’ouvrier, avec l’idée de dépasser les cadres traditionnels de la lutte syndicale. C’est particulièrement vrai pour la première phase d’activité des BR, avant la début de la phase dite «insurrectionnelle» (1974-75). Le témoignage de Prospero Gallinari [Levi Boucault 2011], membre de la première heure du groupe armé, présente les premières actions des BR comme la tentative de peser dans l’alternative suivante: «c’est l’ouvrier qui doit craindre le contre-maître ou c’est le contre-maître qui doit craindre l’action des BR?», dans une sorte de système d’intimidation réciproque, la peur devant changer de camp. Qu’est-ce qui est à l’origine de cette peur à l’usine? Une analyse de Robert Linhart [1978, 67-68] décrit la peur comme faisant «partie de l’usine»: 19 duellement, chez l’un ou l’autre. […] Mais, avec le temps, je sens que je me heurte à quelque chose de plus vaste. La peur fait partie de l’usine, elle en est un rouage vital. Pour commencer, elle a le visage de tout cet appareil d’autorité, de surveillance et de répression qui nous entoure: gardiens, chefs d’équipe, contremaîtres, agent de secteur. […] Pourtant, 19 dirigé par Simone Neri Serneri [2012]. 30 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta la peur, c’est plus encore que cela: vous pouvez très bien passer la journée entière sans apercevoir le moindre chef […], et malgré cela vous sentez l’angoisse toujours présente, dans l’air, dans la façon d’être de ceux qui vous entourent, en vous même. C’est donc un ensemble de mesures de contrôle, de sanctions allant jusqu’au licenciement, de mesures de rétorsion prises contre les ouvriers pèse sur les ouvriers et pour les plus politisés, peut motiver un passage à une lutte violente contre le système de l’usine. Les premières actions des BR se situent dans cette volonté de renverser le rapport de force psychologique dans l’environnement de travail, qui se traduit par des actions de sabotage dans les usines, ou des attaques matérielles (contre les voitures des cadres) ou physiques (agressions). Dans tous les cas, ces attaques sont revendiquées par des tracts. La peur a alors un visage pédagogique: lors du premier enlèvement organisé par les BR, qui concerne un dirigeant d’une unité de production de Siepancarte autour du cou, qui porte l’inscription: «Rien ne restera impuni! En frapper un pour en éduquer cent!» [Matard-Bonucci 2010, 20]. La BR. Cette tactique se situe toujours dans un usage ciblé de la peur, et non d’une peur aléatoire. En ce qui concerne Macchiarini, par exemple, la cible est choisie avec soin parmi les cadres les plus intransigeants; il est aussi suspecté de sympathies avec le MSI. L’objectif est donc de soumet- La volonté de revendiquer l’acte avec le maximum d’écho conduit à développer une sorte de stratégie publicitaire, caractérisée par une phraséologie, un langage stéréotypé qui forment les fameux «communiqués» des BR et qui participent d’un «marketing» de la peur. Plusieurs GRÉGOIRE LE QUANG Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique 31 études signalent le caractère répétitif des textes produits par les acteurs des groupes armés pratiquant la violence dans un but «révolutionnaire» et le succès de leur stratégie de communication, depuis l’essai précurseur d’Alessandro Silj [1978] jusqu’à l’ouvrage récent d’Angelo Ventrone [2012]. Un numéro de la revue Storia e problemi contemporanei, codirigé par A. Martellini, A. Tonelli [2010] souligne, lui aussi, la nécessité qui est en soi un enjeu de pouvoir essentiel. La revendication des actes de violence devient un rituel, passant souvent par un tract laissé dans une cabine téléphonique indiquée par appel anonyme à la rédaction d’un ou les personnes, au nom d’une légitimité supérieure et contraire à celle représentée par l’État. L’impression de peur n’est donc pas donnée par une menace qui frappe au hasard, mais au contraire par l’usage d’une violence qui se donne comme rétablissant une justice authentique. Les slogans ou logos (comme l’étoile à cinq branches) concourent à donner une visibilité médiatique, ainsi que l’attention des BR à la mise trouvailles les plus fortes est le lieu où le cadavre d’Aldo Moro a été retrouvé, Via Caetani à Rome, à mi-chemin entre les sièges des partis communiste et démocrate-chrétien, phrase répétée en boucle dans les médias puis dans les livres d’histoire, mais géographiquement totalement inexacte! La maîtrise de la communicade photographies qui ampliple de la photographie du juge Le juge Mario Sossi, «Il Messaggero», 24 avril 1974. 32 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta reprise par les journaux, comme le quotidien romain Il Messaggero, en témoigne. Cette photographie, en une du quotidien romain, est emblématique de la stratégie du quotidien, qui porte une attention particulièrement grande aux événements et à la chronique des «années de plomb» et tend à théâtraliser les faits de violence20. Elle représente le juge Sossi assis bras ballants, mal rasé, dans une attitude résignée, un drapeau des BR avec son étoile distinctive en arrière-plan. L’hématome présenté par Mario Sossi renforce le statut de victime, même s’il a été reçu accidentellement au moment de l’enlèvement. À propos de cette photographie, Mario Moretti, le chef du groupe, a ce commentaire: «l’objectif est de faire la photo, pour le montrer à un moment où il n’est plus le maître» [Levi Boucault 2011]. L’objectif donc est moins l’enlèvement en soi que le de pouvoir inversé. Cette démarche ne s’inscrit déjà plus dans un rapport de peur qui est personnel (faire peur à Sossi, et au-delà aux autres juges) mais démontre la volonté d’envoyer un message plus général, en se constituant symboliquement comme une force concurrente à celle de l’État «bourgeois» (logique renforcée par les «procès» intentés aux captifs). Donc de faire peur à une autre échelle. Cette peur, qui est pensée comme pédagogique, implique une utilisation calculée de la violence, qui ne doit pas entraîner de condamnation massive de la part de la population, et doit donc être mesurée. Prospero Gallinari, par exemple, raconte [Levi Boucault 2011] de quelle façon de la fusillade. Le terme utilisé par Gallinari en italien est strage, référence limpide aux massacres perpétrés par les néofascistes. On peut y lire ments de l’époque, se reporter à l’ouvrage de Vittorio Emiliani [2013], ancien journaliste puis directeur du quotidien. 20 GRÉGOIRE LE QUANG Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique 33 une claire volonté de prendre de la distance par rapport à une stratégie précisément à l’angle où a eu lieu l’embuscade – et qu’un brigadiste est allé, dans la nuit, crever ses pneus pour éviter le risque d’ajouter à la liste une victime considérée comme innocente. Cette économie de la violence ne renvoie toutefois pas à un scrupule moral, mais seulement à une volonté de contrôler le message véhiculé ment aurait pu avoir lieu lors de la promenade matinale quotidienne de Moro accompagné d’un seul garde du corps, mais que les modalités de l’attaque de Via Fani ont été déterminées en fonction de la volonté de mais pas d’un massacre de n’importe qui. La stratégie de la peur est bien peur ciblée. La stratégie de la peur est donc une stratégie de communication qui manipule les émotions, dont le but est moins d’atteindre physiquement que psychologiquement. La «stratégie de la tension» et la violence diffusée par la lutte armée pratiquée par la gauche radicale renvoient à tion du système (le chaos), de l’autre une peur ciblée qui vise à contraindre, sinon à «convertir» personnellement. Dans les deux cas, l’arme de la peur se présente comme un recours, une solution «non conventionnelle», une transgression. Mais cette arme n’existe pas en l’absence de relai médiatique. 34 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta Diffuser la peur dans l’«opinion publique»: la peur, objet coconstruit La question de la réception dans les médias est d’autant plus importante que la violence «terroriste» est une «forme de violence spectacu- peur, dans la société? Comment juger de l’état de l’«opinion publique»? Comment évaluer le rôle des médias, qui apparaissent à la fois comme «faire l’opinion»? Il faut préciser que ce concept d’«opinion publique» pose problème: il semble renvoyer à une catégorie rigide dans les sources, en tant qu’«opinion» à laquelle il faut s’adresser. C’est particulièrement vrai dans l’optique des préfets, dont une des tâches traditionnelles est de faire remonter la température d’une «opinion publique» assez homogène. Dans un des comptes rendus mensuels du préfet de Pescara adressé au Ministère de l’Intérieur le 18 juillet 197021, par exemple, l’auteur note inquiétante et désordonnée de la vie nationale et sociale, et s’adresse à la conscience de tous pour rétablir la discipline et l’ordre». Le préfet se fait ici porte-parole des préoccupations d’une «opinion publique» qui renvoie probablement plutôt à la frange de l’électorat en demande d’ordre. L’«opinion publique» ainsi entendue est donc liée à une vision en termes d’ordre public qui explique que les préfets se préoccupent beaucoup des «émotions» populaires. Archivio Centrale dello Stato, Ministro dell’Interno, Gabinetto del ministro, 19671970, Busta n. 426, Fascicolo n. 16995/94, Relazioni mensili delle prefetture: «L’opinione pubblica, in uno, è ormai sgomenta per l’andamento inquieto e disordinato della vita nazionale e sociale, e reclama alla consapevolezza di tutti disciplina e ordine». 21 GRÉGOIRE LE QUANG Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique 35 Pierre Bourdieu, que «l’opinion publique n’existe pas» [Bourdieu 1984], c’est-à-dire qu’elle n’existe pas en tant qu’objet d’étude homogène qu’on «décrit» par des sondages, mais qu’on la construit de cette manière. En réalité, il n’y a pas d’«opinion publique» monolithique, mais plutôt une sphère publique (fragmentée). Il ne s’agit donc pas de partir à la recherche de l’«opinion publique» à travers la presse, mais de chercher à comprendre comment celle-ci contribue à la mettre en forme. En quoi mais en même temps à fournir des cadres d’analyse qui permettront de rassurer, de décrypter la réalité? La question de la «perception sociale du terrorisme» est abordée par Marica Tolomelli [2006] dans son étude comparée des terrorismes allemand et italien, et plus précisément «les modalités, les attitudes et les sentiments par lesquels les sociétés, respectivement italienne et allemanl’État». L’auteure étudie les modalités complexes de construction d’un problème dans la «sphère publique» qui font que certains dysfonctionnements sont perçus comme des problèmes et d’autres non (pauvreté, exclusion des minorités, chômage). «Réception» sociale est donc synonyme de construction d’une problématique dans la «sphère publique», entendue comme un ensemble d’éléments de médiation, intermédiaires, entre les citoyens et le pouvoir politique. Les acteurs de cette sphère publique sont d’une grande variété: partis politiques, lobbies, mouvements collectifs, jusqu’aux individus. Dans ce cadre, la sphère médiatique est essentielle dans sa contribution à «faire» l’opinion. Dans la perspective d’une «opinion publique» construite dans une tension (politique) pour «faire l’opinion», les médias occupent une position 36 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta centrale. Les études qui ont abordé ce point22 se concentrent pour des raisons de commodité sur les éléments les plus saillants, et notamment sur l’enlèvement d’Aldo Moro, feuilleton de cinquante-cinq jours qui a concentré l’attention de tous les médias italiens. Il convient pourtant de chercher à examiner les dynamiques de la violence politique depuis leur apparition dans la «sphère publique» italienne, en distinguant la manière dont sont perçus les actes imputables à la violence néofasciste ou au «terrorisme rouge». L’attentat qui a frappé la Banca dell’Agricultura de la Pizza Fontana à Milan, le 12 décembre 1969, est l’événement inaugural d’une suite de viola presse dès décembre 1969, de «stratégie de la tension». Cette stratégie de la violence indiscriminée mûrit pourtant dans les milieux d’extrêmeattribuable aux groupe néofascistes très actifs (Panvini 2009) marque également ces années. L’attentat de décembre 1969 ne peut donc pas être considéré comme un événement sans précédents. Pourtant, son caractère spectaculaire et extrêmement meurtrier tranche avec les épisodes de violences connus auparavant et s’impose comme le point de départ d’une «stratégie», et d’une saison de peur d’intensité inédite. Un exemple de précédent peut être donné avec le double attentat à la bombe le 25 avril 1969 à la Foire internationale de Milan et à la gare des dégâts matériels. Encore une fois, rien de commun avec la violence meurtrière qui se déchaîne au moment de l’attentat de Piazza Fontana qui, bien que n’étant pas un coup de tonnerre dans un ciel serein, est perçue comme un acte inaugural, dont le caractère spectaculaire s’impose d’emblée, ce dont se fait écho la sphère médiatique nationale. Les pour «L’Unità», un article d’un cinquième de page avec une petite pho- 22 GRÉGOIRE LE QUANG Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique 37 tographie en une du journal. Dès le lendemain, on ne trouve plus trace de l’événement dans le journal. Le traitement de l’événement est très factuel et mesuré, ne comprenant ni attaque contre les auteurs présumés, ni appels à la répression étatique, comme si la violence contre les personnes était le fait d’une catastrophe naturelle. La tonalité est purement descriptive. En revanche, les bombes du 12 décembre 1969 ont un impact extrême«Corriere della Sera» du 13 décembre, le lendemain de l’attentat, titre: «Réaction émue de tout le pays. Énorme impression dans la capitale. Le gouvernement réuni d’urgence». Il poursuit: chœur de pressions, en provenance de tous les milieux politiques, pour la chaîne des crimes qui se succèdent depuis maintenant trop longtemps. les attentats perpétrés à Rome est préoccupante. La violence ne peut pas rester impunie, si on ne veut pas que le tissu démocratique du pays se dissolve». Cet article, première réaction au lendemain du drame, met bien l’accent sur sa dimension énorme, hors-norme. Tout concourt à laisser penser que l’acte est exceptionnel, malgré l’inscription dans une «chaîne des violences»: la focale est d’emblée placée à l’échelle nationale. Contrairement aux bombes de la Foire internationale de Milan, qui étaient décrites en termes d’abord locaux, on a ici la «réaction» de «tout le pays», de la «capitale», du «gouvernement», avec une précision croissante vers les lieux cruciaux du pouvoir. En somme, l’idée que tout le pays est touché, contrairement aux attentats d’avril, donne l’idée de destruction imminente de l’État, des institutions, bien plus que d’une peur personnelle, individuelle. de l’«opinion publique» bien plus vaste. Les journaux parlent de l’événement et de ses conséquences pendant des semaines. Cette déstabilisation 38 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta majeure est donc due là encore à la transgression de la violence homicide, mais c’est la reformulation médiatique qui donne son potentiel destructeur à la propagande par la peur. Le rôle des photographies a souvent été souligné [Almeida (d’) 2010], présentant notamment les scènes d’attentat comme des théâtres de guerre. En revanche, un autre outil rarement mentionné mais concourant à la dramatisation de la reformulation médiatique est le dessin, comme celuici, publié lui aussi le lendemain de la bombe de Piazza Fontana à Milan. Représentation de l’explosion de la bombe à la Banca Nazionale dell’Agricoltura sur la Piazza Fontana, Milan, «Il Corriere della Sera», 13 décembre 1969. perspective redouble l’idée du piège infernal, les détails comme les corps plicative explicite, est un moyen de montrer ce que la photographie ne GRÉGOIRE LE QUANG Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique 39 peut représenter, dans l’optique de produire un choc émotionnel. Contrairement à la violence fasciste, qui avance masquée mais in medias res, la violence issue de l’extrême-gauche émerge en douceur, et frappe par grands coups d’éclat seulement à sa période de maturité. Il n’y a pas de choc inaugural, et les grilles d’analyse se construisent progressivement. La généralisation du terme «terrorisme» est liée à l’émergence des actions des groupes armés d’extrême-gauche dans le discours médiatique, très progressive. On peut tenter de mener une étude quantitative autour de deux quotidiens dont les archives ont été numérisées et sont accessibles en ligne: «L’Unità»23 et «La Stampa»24. Le graphique ci-dessous modélise le nombre d’articles qui comprennent à la fois le terme «paura» et celui de «terrorismo», par année. Nombre d’articles contenant les mots «paura» + «terrorismo» dans les quotidiens «L’Unità» et «La Stampa» de 1966 à 1984. 23 24 40 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta associé à l’expression de son corollaire: la peur. Malgré l’attentat de Piazdépart d’un recours à ce terme. En revanche l’explosion constatée à partir de 1978 met en évidence que le «terrorisme» est associé à la lutte armée de la gauche radicale avant tout. C’est la généralisation des actes de violence, la multiplication des agressions physiques qui conduit à les journaux de manière de plus en plus massive, à mesure que se produit une escalade de la violence symbolique à la violence directe (gambizzazione) puis de la violence directe à l’homicide, qui assure une visibilité médiatique sans précédent, mais en proportion de la notoriété de la victime. Une escalade peut-être rendue nécessaire par la nécessité de se rendre visible médiatiquement, et donc de frapper plus directement la communauté par la peur. On passe de 4 articles comprenant ces deux termes en 1969 à 193 en 1979 pour «La Stampa», de 1 en 1970 à 561 en 1979 pour «L’Unità». Il faut signaler toutefois que certains articles peuvent éventuellement être relatifs à des phénomènes de «terrorisme» et de «peur» dans des contextes étrangers, mais le nombre d’articles dans l’absolu reste en soi témoin de la «peur» en général médiatisée par les grands quotidiens. D’autre part, la date clé de 1978 semble bien correspondre à la conjoncture italienne. Malgré le fait qu’on ne puisse pas interpréter dans le détail ces articles en l’absence d’un dépouillement systématique, le constat d’une utilisation comparable du terme «terrorisme» s’impose à partir de 1974, et plus encore à partir de 1978, avant de connaître une décrue lente mais bien repérable. Partant de l’hypothèse classique qui veut que plus un terme est répété, plus il est considéré comme important, il faut constater un intense travail de l’«opinion publique» dans le sens d’une formulation de la peur, d’une mise en mots et en images, en musique pourrait-on dire, en dans ce que le linguiste Patrick Charaudeau [2006] appelle un «procédé GRÉGOIRE LE QUANG Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique 41 de focalisation, qui consiste à amener un événement sur le devant de médiatique, le sujet qui informe étant légitimé par avance (contrat de communication), le propos véhiculé prend encore plus d’importance au point de faire oublier d’autres nouvelles possibles. Il impose une ‘’thématisation’’ du monde». La mise en scène médiatique du phénomène du «terrorisme» concourt donc à la mise en forme de l’espace public, à la pourrait ainsi formuler deux hypothèses contradictoires: d’un côté, la prolifération d’articles, de grands titres, de photographies, de dessins, d’émissions radiophoniques et télévisuelles conduit probablement à une surexposition de ce qui est présenté comme le danger majeur pour la société italienne; d’un autre côté, cette reformulation médiatique peut contribuer à cerner, à poser des mots sur une menace, et donc à forger des expressions qui peuvent permettre de combattre la peur de l’inconnu avant le caractère non légitime de leur violence; y répondent des réafde reprendre en main la sécurité des citoyens, d’où la mise en place de - commun fédérateur. La question d’un épuisement de la logique terroriste peut donc se poser au début des années 1980. Le concept de «terrorisme» s’impose donc en tant que catégorie d’analyse, construction qui ne cadre pas tout à fait avec la périodisation des violences elles-mêmes, en décalé et plus sensible à la violence émanant de la lutte armée de gauche. Les médias, de leur côté, apparaissent comme une composante nécessaire de cette spectacularisation. 42 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta conclusion La peur renvoie à l’étude d’un imaginaire social et politique, autant qu’à un mode opératoire, une modalité (violente, antidémocratique) de peser dans le débat public, et c’est cette recherche de mise en place d’un climat de peur maîtrisé qui fait la caractéristique des violences politiques pendant les «années de plomb». D’où leur caractère spectaculaire, et donc de violence médiatique, de violence exposée, dont la face cachée est une peur multiforme. Les années 1970 ont été des années de transition, entre l’apparition d’une forme de pression politique par la violence spectaculaire d’un côté et la mise en place d’outils qui ont permis de faire décroître la peur de l’autre, et policier), un langage, une capacité à rassurer, à combattre justement la peur sur son propre terrain. C’est ce qui arrive, principalement à partir de 1978, notamment après l’événement clé de l’enlèvement et de l’assassinat d’Aldo Moro, puis après l’assassinat du syndicaliste Guido Rossa en janvier 1979. Le discours des syndicats, l’unanimité des partis et des médias (jusqu’à ) dans la condamnation de la lutte armée amène une décrue nette. La notion d’«opinion publique» prend une importance majeure au seuil «terrorisme», toile de fond sans laquelle, à l’image de l’écran de cinéma support de projection, il ne se passe rien. Si, comme le dit Stendhal, «un roman est un miroir qui se promène sur une grande route»25, une étude sur la peur est un miroir qu’on promène sur la grande route des violences politiques, permettant de préciser leurs contours souvent laissés dans l’ombre. 25 à vos yeux l’azur des cieux, tantôt la fange des bourbiers de la route. Et l’homme qui porte le miroir dans sa hotte sera par vous accusé‚ d’être immoral! Son miroir montre la fange, et vous accusez le miroir! Accusez bien plutôt le grand chemin où est le bourbier, et plus encore l’inspecteur des routes qui laisse l’eau croupir et le bourbier se former»: Stendhal 1927, 232. 43 GRÉGOIRE LE QUANG Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique reference list Almeida (d’) F. 2010, Photographier l’illusion terroriste, in Lazar M., Matard-Bonucci M.-A. (eds.) 2010, 209-231. Aron R. 1967, , Paris: Gallimard. Barthélémy D. 2009, gnes, M. (ed.) 2009, , in Vie, Paris: Imago. 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Vial É. 1999, Zavoli S. 1992, , in Bled J.-P. 1999, , Paris: Sedes. , Roma: Mondadori. 45 La violence des ultrà au FaBien archenBault Maître de conférences en histoire contemporaine Université de Limoges Faculté des Lettres et Sciences humaines Between the late 1960s and early 1980s, football-related acts of violence tended to multiply impressively in Italy. These crimes were perpetrated by new groups of tifosi, the self-styled ‘ultras’, who claimed this verbal and physical violence, and made it a key part of their identity. These groups sometimes even considered violence as the counterpart or the continuation, within the stadium and on account of the game, of the social and political violence that was expanding in Italy during the « Lead Years » decade. Was this violence truly political? This is the question this paper attempts to answer. introduction Le 28 octobre 1979, Vincenzo Paparelli, tifoso de la Lazio, est touché par un fumigène tiré par les tifosi de la Roma massés dans la Curva Sud du Stade olympique de Rome, alors qu’il mange paisiblement un panino en attendant le début du derby entre les deux équipes capitolines. Atteint en entre groupes de supporters antagonistes. Il convient de prime abord de rapprocher cet événement dramatique 48 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta Striscione del gruppo ultrà Autonomia Bianconera della Fossa dei Campioni (Juventus). Da : Daniele Segre, Ragazzi di stadio, Milano : Mazzotta editore, 1979, p. 44. de faits advenus ailleurs sur le continent au même moment, et d’en rendre compte en l’inscrivant dans un phénomène transnational, celui du développement du hooliganisme. Sur ce terrain, les recherches disponibles sont principalement le fait de sociologues qui, depuis le milieu des années 1980, ont cherché à répondre à une demande sociale liée à une violence croissante dans les stades. Ce sont des chercheurs britanniques qui se penchent les premiers sur la question, en s’attachant à expliquer de la Coupe d’Europe des clubs champions – la rencontre, opposant le FC Liverpool à la Juventus de Turin, se solde par 39 morts. Les raisons se, en voie de déstructuration politique et syndicale dans le cadre de la FABIEN ARCHENBAULT La violence des ultrà 49 Si des épisodes de violence ont également cours en Italie, ils obéissent années 1960, c’est-à-dire plus précocement qu’ailleurs en Europe, à de nombreux incidents qui émaillent les rencontres des séries A et B (heurts porters, dans les stades puis en dehors, aux abords de ces derniers mais aussi lors des déplacements, dans les gares et les trains). Tous ces actes de violence sont perpétrés par des groupes de tifosi d’un genre nouveau, les ultrà, dont l’émergence est concomitante. On commence à parler d’ultrà à Gênes en 1971, lorsque qu’un noyau de tifosi de la Sampdoria expose Siamo gli ultrà La presse popularise ensuite ce qui se voulait une allusion explicite à comme les gardiens d’un héritage, le club, et n’hésitent pas à en contester le président s’ils estiment que celui-ci n’est pas à la hauteur de sa charge ou lorsque leurs espérances de victoires sont déçues. En ce sens, défenseurs de l’honneur de l’équipe. Les ultrà italiens ne se pensent donc pas comme les homologues des hooligans anglais, dont le seul but est la casse – leur nom renvoie au Hooley’s Gang, une bande de voyous d’orie siècle. À l’origine, le terme a donc pour les acteurs sociaux liés au monde du football, qu’ils soient supporters ou journalistes, une acception proprement politique, dimension qui s’est progressivement estompée depuis. Ainsi, les études menées par des groupes de sociologues dirigées par An- de cette violence des tifosi dans le contexte occidental, en Angleterre bien sûr, mais également en Allemagne de l’Ouest, aux Pays-Bas, en Belgique, en Espagne et en France. Ces chercheurs étaient avant tout à la recherche des caractères communs à toutes ces réalités nationales, qui 50 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta voire de coercition, menée au niveau européen par la collaboration entre les forces de maintien de l’ordre et l’échange de leurs expériences. On peut en ce sens parler d’une autonomie de la sphère sportive qui, dans le cas du football, culture de masse puissante à l’échelle du continent, aurait engendré une forme de violence qui lui serait propre. Retraçant la genèse des phénomènes étudiés, ces mêmes sociologues fondir leur propos, que cette violence semblait alors entretenir un lien Antonio Roversi établit ainsi un parallèle entre les actes de violence sociale et politique et l’augmentation des actes de violence liés aux matchs de football. Il établit par exemple une courbe restituant l’augmentation quantitative de la violence footballistique dans les années 1970 et la compare à celle des épisodes de terrorisme noir puis rouge et noir mise brusquement en 1982. Cette coïncidence ne constituant pas son objet d’étude, Roversi la délaisse et lègue aux historiens du temps présent une hypothèse de travail [Roversi 1990]. Loin d’être autonome, comme le veut la doxa de la sociologie du sport, le monde du football n’aurait pas été, en Italie, coupé du mouvement social. Autrement dit, la violence liée au calcio que entre violence footballistique et politique au tournant des années 1970, en mettant l’accent sur trois points. Quelle est, tout d’abord, la sont composés à la fois d’ouvriers spécialisés, c’est-à-dire des soutiers du FABIEN ARCHENBAULT La violence des ultrà 51 miracle économique massés dans les centres urbains industrialisés du Nord et du Centre, et d’étudiants. Tous en outre sont des jeunes, à savoir les enfants de la croissance démographique de l’immédiat après-guerre, ce qui invite à s’interroger sur la pertinence d’une lecture en termes de processus de dénonciation et de légitimation. Il s’agira de questionner l’idée que la violence multiforme liée au football serait la transposition dans la sphère du supportérisme des modalités années 1970. Comment passe-t-on d’une violence spontanée, que l’on jeu, propre aux deux premières décennies de l’après-guerre, à une violence organisée et politisée, celle des groupes d’ultras, contemporaine tifo, et à une violence légitimée, qui En Italie, la fede calcistica qui s’exprime chaque dimanche, à travers le sfogo, langage propre à un rituel du tifo l’identité urbaine. Il faut toutefois se garder de toute illusion rétrospecd’une puissante culture partagée. Ainsi, dans l’immédiat après-guerre, même en ville, la plupart des tifosi ne se rendent que rarement au stade, car le prix des billets était trop élevé et le niveau de vie trop médiocre. Dans la décennie 1950, les meilleures journées de championnat ne ras- 52 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta enceintes de Milan, Turin et Rome [Papa, Panico 2000, 43]. Lorsqu’on désire tout de même aller au stade, on s’adresse aux propriétaires des bars. Ceux-ci remplissent la fonction dévolue aux responsables du Dopolavoro de la période fasciste, celle de revendre les billets, à laquelle s’ajoute désormais celle d’organiser les déplacements en voiture, en bus ou en train lorsque l’équipe locale joue à l’extérieur. Les tifosi se regroupent autour office de capo tifosi de la zone, et ils s’acheminent vers le stade sous sa diceux des quartiers ou des paroisses de la ville. Le nom de ces derniers est écrit sur les bannières, parfois suivi d’une formule d’encouragement, aux couleurs du club, en dehors de circonstances exceptionnelles, à l’exemple de la tribune des tifosi du Torino lors du derby contre la Juventus, en décembre 1951, présentée dans La Gazzetta dello Sport comme un mare di bandiere un épisode décrit comme extraordinaire, dans la mesure où il s’agit sans doute, après la période de deuil consécutive à l’accident de Superga, de manifester la pérennité du club [Dietschy 2004]. Ce sont donc plutôt groupes de tifosi une profusion de chants, le public reste plutôt silencieux. Il se contente Alè, alè libre cours au sfogo, ce cri qui libère, à l’exemple du tifoso de la Roma qu’interprète Vittorio Gassman dans I Mostri de Dino Risi en 1963. Ces supporters défendent leurs couleurs avec acharnement et leur passion n’exclut pas des débordements violents. Les incidents, limités au stade ou à ses alentours, sont généralement provoqués par le refus de décisions arbitrales sur le terrain. En 1947 par exemple, un groupe de tifosi Fedelissimi dei Grigi FABIEN ARCHENBAULT La violence des ultrà 53 dans un bar du quartier des Orti, pourchasse à la fin d’un match l’arbitre qui est sauvé in extremis grâce à l’intervention de l’armée [Dericci 1973, 301]. Les associations de tifosi de la police, qui n’hésite pas à les dissoudre. C’est par exemple le sort de l’association du quartier romain de San Lorenzo en 1959, en raison d’une accusation de complicité avec l’un de ses membres, le charpentier Quinto Fioravanti, qui était rentré sur le terrain pour asséner un coup de poing à l’arbitre du match Roma-Alessandria [Impiglia 1998, 49]. Les de tifosi c’est-à-dire reconnue par les clubs, ne prend le relais des groupes informels qui se rassemblaient à l’échelon des quartiers ou des paroisses et qui exportaient au stade les divisions territoriales de la ville. À Rome, classes moyennes et de la petite bourgeoisie, artisans, commerçants et employés [Impiglia 1998, 48]. tifo 1950. Avec la hausse du niveau de vie, consécutive au décollage économique qui a essentiellement lieu entre 1958 et 1963, la fréquentation des stades devient plus accessible. Entre 1953 et 1963, le nombre de spec1 . Dans les années 1960, environ sept chaque année, pour un total de douze-treize millions de spectateurs, tifosi font une percée spectaculaire. C’est à l’initiative d’Angelo Moratti qu’est créé en 1960 un groupe de tifosi sous la dépendance directe du conseil d’administration de l’Inter, l’Inter Club Moschettieri [Papa, Panico 2000, 87]. La même année apparaissait le Gruppo Simpatizzanti Juventus 1 Voir Almanacco illustrato del calcio 1963-1964, 12. 54 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta di Torino, dont le siège social se trouvait alors, pour peu de temps, au bar multiplient rapidement et sont fédérées sous l’égide des clubs. Ces derniers les reconnaissent comme des interlocuteurs et des intermédiaires pour tout ce qui a trait à l’organisation des matchs (déplacements, vente des billets, des produits dérivés...). Elles se transforment ensuite en structures autonomes, qui disposent de leurs locaux propres et quittent progressivement les bars tout en gardant un ancrage géographique dans le territoire urbain2 centaines de milliers de tifosi et sont rapidement confrontées à la rivalité de nouvelles formes d’agrégation, les groupes d’ultras. tifosi car ce sont des structures autonomes, détachées du corps urbain et ne revendiquant aucun ancrage territorial. Elles sont majoritairement composées d’hommes jeunes, âgés de 15 à 35 ans. Les premières, les Boys de l’Inter et la Fossa dei Leoni du Milan AC, sont fondées en 1968. Suivent, faisant parfois explicitement référence aux formations politiques d’extrême gauche, les Comandos Rossoblu à Bologne en 1969, puis les Ultrà de la Sampdoria de Gênes en 1970 et en 1974 les Brigate Rossonere et Settembre Rossonero au Milan AC, les CUCS (Commando Unitario Curva Sud), les Tupamaros et les Fedayn à la Roma, etc. [Pozzoni 2005, 119-209]. Le groupe des Brigate Rossonere, dont le nom évoque l’organisation terroriste, a été fondé par des militants d’extrême gauche qui considèrent leur tifo pour le Milan AC comme une forme de militantisme prolongeant leur engagement politique. Ceux de Settembre rossonero à Milan et des Fedayn à Rome se réfèrent, quant à eux, à la lutte des Palestiniens. Stricto sensu, le premier de ces groupes autonomes, celui des Fedelissimi, 2 suel Inter Club 1963 Hurrà Juventus, Forza Milan! et Biancazzurri naissent Alè Torino et, au mois de septembre, Forza Bologna Alè Verona. - FABIEN ARCHENBAULT La violence des ultrà 55 fut créé à Turin en 1956, alors que se précisait la possibilité de fusionner ment du drame de Superga). Mais il ne s’agissait pas d’un groupe d’ultras à proprement parler, car si son recrutement subsumait les appartenances territoriales et si sa fondation résultait d’une initiative de la base des tifosi et non de l’intervention du club (au contraire, puisque les Fedelissimi s’opposaient aux projets de la direction de fusion avec la Juventus – d’où leur nom), sa composition en revanche, intergénérationnelle, était comparable à celle d’une association de supporters classique du début des années 1960. Certaines mouvances au sein des Fedelissimi connaissent ensuite, au cours des années 1960, une évolution assimilable à la naissance du mouvement ultra (autonomie radicale vis-à-vis du club et très fort rajeunissement des membres) alors que la majorité se «reterritorialise». Il reste que cette structure hybride fut la première à élaborer les nouvelles formes d’expression du tifo, appelées à se généraliser une décennie plus tard. Mais ces nouvelles formes restèrent exceptionnelles et isolées, et ne furent pas reprises par les tifosi de l’autre club de la ville (certes bien moins nombreux à se déplacer au Stade communal). En ce sens, dans l’immédiat après-guerre, Turin semble constituer une exception dans la culture du tifo en Italie. À l’avant-garde du processus d’industrialisation des références et des comportements culturels. Les groupes d’ultras ne sont pas à proprement parler des structures politiques, bien que leur politisation soit avérée. Ainsi, les Boys de l’Inter sont nés de la scission provoquée par des militants du Fronte della gioventù, organisation de jeunesse du MSI, au sein des associations de tifosi de l’Inter, elles-mêmes organisées par l’un des dirigeants du club, par ailleurs député néo-fasciste, Francesco Servello. Certains membres des Fedelissimi tionnent à l’occasion des banderoles au contenu politique et font parfois le coup de poing avec les participants aux réunions publiques du MSI, par exemple à Bergame en 1964 [Calligarich G. 1965]. Sont ainsi jetées, 56 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta entre 1968 et 1975, les bases d’une carte géopolitique du tifo ultrà. La nature de cette politisation fait débat. D’aucuns soulignent son caractère traordinaire machine à fabriquer des oppositions, une propension à penser le monde sur un mode binaire [qui] viennent consolider les frontières littérature de type journalistique, de son côté, avance en général l’idée que l’opposition entre clubs de gauche et de droite a pu fonctionner à 3 . On pourrait formuler l’hypothèse qu’il s’agit là en fait d’une construction culturelle comparable à la rivalité entre Gino Bartali et Fausto Coppi, dont Stefano Pivato a montré le caractère imaginaire. Dès 1946 commencèrent à apparaître sur les murs et les routes du Giro d’Italie des Viva Coppi comunista, abbasso Bartali democristiano Viva il Fronte popolare, viva Fausto Coppi » [Pivato 1985, 46]. Fausto Coppi n’était pourtant pas communiste, puisque, pour attribue la transposition en termes politiques de la rivalité sportive entre campionissimo va a Bartali come l’ideale umiliazione di uno dei simboli più popolari dell’Italia cattolica e democristiana […] in un periodo in cui [la ] si avviava a divenire egemonic[a] e ad emarginare le sinistre dalla vita politica e sociale del paese [Pivato 1985, 48]. De leur côté, les sociologues qui s’intéressent au mouvement ultra comme Giorgio Triani, Alessandro Dal Lago ou Roberto Moscati émettent un doute sur la réalité de 3 Moscati 1992, 43; Triani 1990, 147]. FABIEN ARCHENBAULT La violence des ultrà 57 d’un imaginaire culturel lui aussi structuré par de fortes oppositions politiques. La nouvelle culture de masse portée par le tifo est devenue assez puissante pour être le support de représentations qui la dépassent, susceptibles d’être acceptées et relayées par l’ensemble de la société. L’antagonisme politique entre deux équipes d’une même ville, qui s’exprime à l’occasion de chaque derby, devient dès lors un topos que l’on cherche à valider en permanence, notamment à Milan, Turin et Rome. Dans ce dernier cas, l’opposition en termes politiques s’appuie sur la superposition partielle de l’identité territoriale et des orientations électoque celle de Rome, les bastions de la tifoseria de la Roma, Garbatella et Cela permet par exemple au capo tifosi de la Garbatella, Sergio Terenzi, service militaire terminé, Terenzi s’inscrit au PCI au début des années Diventai un militante comunista, oltre che romanista. Le due militanze si associavano bene ». Il ajoute qu’il travaillait à l’usine, à l’Ottica di Negli anni ’50 un operaio laziale non l’ho conosciuto » [Impiglia 1998, 196]. Or, on dispose du témoignage d’un autre ouvrier de la même usine, Bruno Roscani. Lui aussi communiste, mais tifoso Sì, io so’ laziale e comunista engagements sur le même plan, puisqu’il explique le fait d’encourager la Lazio par la volonté de se distinguer du secrétaire local de la fédération Contrariaramente a quello che ci hanno sempre raccontato, il quartiere [di Ponte Milvio] era laziale. Riflettendoci bene, è che Pallotta era il romanista. Era romanista e federale del Fascio. Per cui, il quartiere, secondo me, era laziale per reazione antifascista footballistiques à partir des années 1970. Pour les générations d’avantguerre, la politisation du tifo le cas pour Palmiro Togliatti, qui meurt en 1964, sereinement juventino, 58 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta ou pour Maurizio Ferrara, né en 1921, tifoso de la Lazio. Pour sa part, Luca Pavolini, né en 1922, rédacteur en chef de l’Unità de 1946 à 1962 puis de Rinascita de 1966 à 1970, sépare nettement les sphères politique et footballistique, point sur lequel il rejoint Giulio Andreotti : Interrogato se non temesse che la dichiarata fede romanista potesse alienargli la simpatia e il voto dei romani e dei ciociari di parte biancoazurra, Giulio Andreotti rispose senza esitare: «In queste cose non si transige». Perfetto, onorevole. Saluto con rispetto un avversario che (in queste cose) sa essere rigoroso [Pavolini 1982]. Luciano Lama, le secrétaire général de la CGIL, explique quant à lui l’origine de son supportérisme par les rivalités entre Bologne et la Romagne : Sono romagnolo. Sono juventino, da sempre, per tradizione e passione lora come oggi intercorreva tra le due componenti regionali dell’Emiliatifare Juventus [Lama 1982]. Il mio amore romagnolo per la Juventus, che persiste in maniera vistosa ancora oggi, e la scelta di questa squadra «del cuore» non vennero mai intaccati neanche dai possibili simbolismi che nella squadra bianconera si potevano rintracciare, come ad esempio quello d’essere la rappresentativa, in campo sportivo, di proprietà della più grande industria italiana, pur sempre [Lama 1982]. La pertinence de l’oxymore «militant du PCI-tifoso de la Juventus» établie par Gianfranco Calligarich en 1965 n’est donc pas validée par tous4. 4 la squadra del padrone ! » [Calligarich G. 1965]. Perché, alla fine, non si può tifare FABIEN ARCHENBAULT La violence des ultrà 59 méridionaux à Turin montre que le choix entre les deux clubs du Torino et de la Juventus traduit plutôt la place occupée dans la hiérarchie deux générations et tifosi du Torino, de l’autre, des ouvriers spécialisés récemment immigrés et juventini syndiqués et leur vote va au PCI, tandis que les autres n’adhèrent dans un Squarotti 1992]. Par ailleurs, Paul Dietschy indique que les autorités fascistes, pourtant très attentives à la symbolique politique, n’exigèrent jamais que le maillot grenat du Torino fût changé, le podestà et le préfet n’ayant pas été, semble-t-il, perturbés que l’on agitât le drapeau rouge du club sous leur nez [Dietschy 1993]5. Identités urbaines, sociales et politiques se superposent donc, dans un entrelacs de représentations contradictoires et antagonistes. Toujours est-il que l’imaginaire participe à la construction de la réalité. Ainsi, le deuxième élément important dans la constitution de la culture de masse du tifo, la parole, est introduit par le politique. En 1969, à Turin, le chœur des Fedelissimi chante pour la première fois une scie antijuventina dans une veine anti-patronale promise à un bel avenir dans les / al servizio del padrone / O Juve nera, lava i piedi / Di tutti quelli même année, les Comandos Rossoblu scandent le premier slogan jamais entendu dans le stade communal, rebaptisé Stadio Dall’Ara, à l’occasion Boys, carogne, tornate nelle fogne 1997, 42]. Il est directement transposé du répertoire politique et de l’antienne qu’on peut entendre lors des manifestations de l’extrême gauche Fascisti, carogne, tornate nelle fogne ». De la même façon, 5 Dans le fond, la couleur rouge ne constitue pas un problème pour le fascisme. Les régime. 60 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta l’hymne des Brigate Rossonere entonné à partir de 1975 reprend l’air de la chanson qu’avait composée Fausto Amodei en 1960, Per i morti di Reggio Emilia Tifosi rossoneri, / tifosi milanisti, / teniamoci per mano / in questi giorni tristi. / Di nuovo giù a Marassi / di nuovo al Comunale, / tifosi rossoneri abbiamo prese, ma non siamo vinti. / È ora di rifarsi, / è ora di lottare, / rassi, / spariamo al Comunale, / e adesso siete voi che andate all’ospedale. / Spariamo negli stadi / dell’Italia intera / siamo della Brigata Rossonera [Giuntini 2006, 129]. Le sfogo initial, celui qui libère le tifoso de la Roma dans I Mostri de Dino Risi en 1963, est canalisé et domestiqué. Le stade devient un des lieux et se trouve plus sur le terrain mais dans les tribunes, où des tifoserie s’opposent politiquement, rivalisent de chants, de banderoles et de drapeaux. du tifo de confrontation. Mais en se l’appropriant, les tifosi l’ont profondément transformé. L’exemple de Bologne suggère que les chants supplantant des années 1960. Pourquoi les tifosi n’ont-ils pas eu besoin plus tôt de ces où la ville intervenait et organisait le stade, où n’apparaissaient que les - - politique. Cela concerne surtout la génération née après la guerre, qui investit le football de ses aspirations et de ses attentes, se crée des héros et ne craint pas de faire le coup de poing pour les défendre. 61 FABIEN ARCHENBAULT La violence des ultrà calcistica Cette hypothèse d’un lien intime entre cultures et militantismes politique et footballistique, entraînant le déploiement d’une violence qui ne se réduit pas à un simple teppismo, n’a pas encore donné lieu à une recherche exhaustive. Celle-ci serait possible à partir de la masse des sources imprimées produites par les groupes d’ultras (tracts, brochures, revues, littérature secondaire), sources éclatées géographiquement, d’un travail imposant de repérage et de collecte. La constitution d’un corpus d’archives orales à partir des témoignages des anciens membres de groupes d’ultras, pour la plupart forcément encore en vie, serait quant à elle essentielle. Les études d’une nouvelle génération de sociologues et d’essayistes divers, publiées au cours de la dernière décennie [Ferreri mais elles mériteraient d’être systématisées dans l’optique de réaliser une prosopographie, une biographie collective des ultras de gauche comme de droite actifs dans les années 1970. Dans l’état actuel des connaissances, l’historien ne dispose que de traces ténues et éparses permettant de rendre compte de l’apparition du phénomène puis de ses métamorphoses et de ses contradictions. Trois exemples, situés respectivement qu’ils soient un ancien étudiant milanais, un journaliste de la gauche extra-parlementaire ou bien des ultras du Torino et de la Juventus. Dans son autobiographie Ricordi di fonderia, Walter Mandelli, le responsable fédéral de la squadra azzurra, se souvient ainsi des incidents au Sull’aereo che ci riportava a casa ci dissero che a Fiumicino c’era una folla enorme, che continuava a crescere e a farsi minacciosa, tanto che si 62 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta pensò anche di far atterrare l’aereo in un altro aeroporto. Poi però non se ne fece nulla, salvo fermare l’aereo in fondo alle piste. I pullman erano invase da gente che urlava e cercava di «prenderci». Vidi un fantoccio che si prese un pugno in testa. E anche dopo, attorno all’albergo, bruciarono delli 1997, 80-81] Mais Mandelli se demande aussitôt si cette colère ne s’explique pas par l’activisme, pour lui insolite, d’étudiants qui « sfoggiavano il distintivo con l’effigie di Mao Tse Tung », parmi les manifestants les plus déchaînés. La présence de militants maoïstes ne doit pas étonner si l’on suit, par exemple, Nando Dalla Chiesa qui, dans l’un de ses ouvrages, décrit le mouvement social et les prouesses sportives des joueurs de l’équipe nac’est le jeu d’attaque pratiqué par la squadra azzurra lors des prolonsous la chape de plomb du catenaccio si era rivoluzionata [...] era diventata un’altra cosa ». Une fois abandonnée la défense à outrance, l’ethos democristiano del rinvio e della furbizia tartufesca era uscito distrutto, quella notte, nell’inconscio dei spettatori Il gioco era stato straordinariamente in sintonia con lo spirito della generazione che dava l’assalto al cielo. [...] Perché sul campo si era giocato con lo spirito del Sessantotto. O, più precisamente, come la generazione del Sessantotto avrebbe voluto giocare e vincere la sua epica partita sociale e politica. [...] Continuando a liberarsi di ogni retaggio piccolo-borghese, cambiando se stessa nella lotta, battendo il nemico anzitutto «dentro di sé». E certo si può dire che essa in quell’occasione, sia pure da tifosa, fece ciò che aveva sempre sognato e che avrebbe sognato ancora per un po’ FABIEN ARCHENBAULT La violence des ultrà 63 On voit bien ici comment les étudiants, qui ont le sentiment de former une génération homogène, fondée sur des idéaux d’égalité et de solidarité, se reconnaissent collectivement dans un épisode sportif. Dès lors, ils ne peuvent pardonner à l’encadrement de la squadra azzurra la tactique quel quattro-a-tre in cui », toujours sesi fusero giovinezza, amicizie [...] speranze nuove e la prima, meravigliosa constatazione che con il coraggio, nella vita, si può anche vincere à proclamer sa foi catholique – il sera d’ailleurs élu député démocrate chrétien en 1987 –, il devient pour certains un symbole de la contestation sociale. Loin de rejeter le tifo dans la sphère de l’aliénation, comme c’est le cas par exemple en France à la même époque6, les gauchistes italiens semblent publiés dans leur presse sont ainsi contaminés par le politique. En témoigne par exemple un article de Gianni Riotta publié dans Il Manifesto en 1976. Rendant compte du match Juventus-Catanzaro, il occulte tout détail technique et se concentre sur la description des acteurs. Catansquadretta di provincia » qui défie sans illusion la Juventus, la vecchia signora del calcio italiano, squadra nobile e titolata groupes de tifosi cable, qui acceptent la défaite de leur équipe, et les tifosi de la Juventus, Voir par exemple le groupe montpelliérain de la revue Quel corps ?, animée par Jean-Marie Brohm. 6 64 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta sont identifiés comme le groupe des dominants dont on dénonce les gli Agnelli, che comprano i giocatori meridionali per farli applaudire dalla folla dei «terroni» che si stringe nei posti popolari ». Pendant le match, un tifoso de Catanzaro pénètre sur le terrain, après que des joueurs de la Juventus ont agressé un des adverragazzino di circa quattordici anni. [...] È magro ed esile, al collo una lunga sciarpa gialla e rossa, i colori della sua squadra che non ha mai vinto nulla. Entra in campo correndo goffo e sbilenco, come Con calma, sette o otto agenti gli si fanno addosso e cominciano a bastonarlo con i manganelli e i calci dei mitra, mentre è sul prato, immobile ». Les autres tifosi de Catanzaro se révoltent l’ordre, selon un schéma classique de provocation/solidarité/répression. Au passage, Gianni Riotta lance une pique contre l’Unità che trova il modo di scherzare sui candelotti sparati dritti verso gli occhi della gente dirigeants de la Juventus assument quant à eux la figure emblématique de l’oppresseur, assimilé au fascisme, et Gianni Agnelli prend les traits Il ragazzino viene trascinato via, per i piedi, fin sotto la tribuna centrale, dove sta la poltrona dell’Avvocato [...]. La gente grida «fascisti, fascisti». [...] Parte un lungo e caloroso applauso verso i poliziotti, si grida «avete fatto bene» répression policière envahit le stade, désormais protagoniste des luttes sociales et politiques. Cela justifie qu’il faille désormais choisir son camp La Juventus è adesso in testa al campionato con otto punti, e forse vincerà lo scudetto. Magari il Catanzaro tornerà in serie B e per i signori della tribuna torinese non ci saranno più spettacoli di pestaggio da applaudire. Dicevamo che ognuno può tifare per chi vuole, per l’Inter, il domenica 31 ottobre, quarta di campionato, bisognava gridare «forza FABIEN ARCHENBAULT La violence des ultrà 65 ou de tifosi anonymes, victimes de la violence arbitraire du pouvoir. La place importante occupée par le football dans la formation du paysage symbolique de la société italienne est telle que les violences liées au calcio sont interprétées à l’aune d’une violence sociale et politique plus large dont elles deviennent la métaphore. d’entretiens réalisés par le photographe et documentariste Daniele Segre avec des ultras du Torino et de la Juventus entre 1977 et 1979. À l’origine du projet se trouvent la municipalité de Turin, redevenue communiste assessore au sport, à la jeunesse et au temps libre. Il s’agissait en premier lieu de réaliser une exposition photographique sur le mal-être de la jeunesse turinoise, appréhendé par le biais de portraits d’ultras des deux clubs de la capitale piémontaise. Daniele Segre, qui avait réalisé en 1976 un premier documentaire sur la question de la drogue (Perché droga) et un autre en 1978 sur les ultras juventini (Il potere dev’essere bianconero), accompagne les clichés de transcriptions de ses discussions avec la vingtaine de jeunes qu’il a photographiés au Stadio comunale. L’ensemble est publié en 1979 dans un ouvrage, Ragazzi di stadio [Segre 1979] qui constitue une source fondamentale pour les chercheurs, sociologues ou historiens, voulant étudier le mouvement ultrà italien. En ce qui concerne la perspective adoptée ici, la politisation du tifo est revendiquée avec force dans plusieurs témoignages recueillis entre 1977 et 1979. Ainsi, que l’on soit du Toro ou de la Juve, la gauche, voire l’extrême gauche, semblent majoritaires dans les deux curve la situazione attuale vede una maggioranza sinistroide, un po’ confusa perché c’è gente del PCI, di Lotta Continua, dell’Autonomia ., il fatto che ci accomuna è di essere tutti quanti di sinistra ., 30]. Pour certains ultras, la continuité entre les deux formes de militantisme, politique et footballistique, 66 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta relève de l’évidence. Par exemple, aux yeux de Gianni (Juventus, Fossa il fatto che gridiamo allo stadio alcuni slogan che possono ricordare, diciamo pure, manifestazioni politiche di sinistra, è una cosa abbastanza naturale, che viene abbastanza spontanea, sia perché sono slogan orecchiabili che si possono gridare in tanti, e poi perché è una cosa naturale, no ? Viene naturale gridare le stesse cose che possiamo gridare per esempio in piazza . s’il devait choisir entre participer à une manifestation ou aller au stade, il résoudrait le dilemme en optant sans aucune hésitation pour la première solution [Ibid., 38]. De ce point de vue, l’étude des formes et des motivations du supportérisme footballistique contribuerait à enrichir la connaissance des évolutions à l’œuvre dans le champ strictement politique qui débouchent sur le movimento de 1977. Par exemple, toujours una volta noi, almeno una parte di noi, era simpatizzante di Lotta Continua, diciamo pure fino all’anno scorso [1976]. Ultimamente invece, secondo me, c’è stata una evoluzione, una maturazione che è venuta fuori dalla discussione tra di noi. […] Noi, sí, siamo simpatizzanti per l’Autonomia Operaia, Ibid., 36]. Plus loin, Gianni décrit un processus de radicalisation l’amenant à légitimer une discutibilissima comune »7. Dans le même temps cependant, ces militants d’extrême gauche tiennent à préserver l’autonomie de la sphère footballistique. Si le calcio est poliquando si entra nello stadio si dimentica totalmente 7 Da qualche tempo è in atto una precisa azione revisionistica, a tutti i livelli, sia di centro che di sinistra, definiamola sinistra che però secondo me non è neppure sinistra. A questa riforma non si sono sottratti neppure quei gruppi che fino a qualche anno fa si definivano rivoluzionari, tipo il PDUP o anche Lotta Continua, Avanguardia Operaia e compagnia bella. E noi, come altra gente, ce ne siamo resi conto e quindi ci siamo adeguati : cioè non potevamo accettare quella linea […]. Quindi abbiamo trovato giusto credere in qualcosa di più radicale, e questo si è espresso dapprima in modo abbastanza confuso, non sapevamo neanche noi che cosa volevamo, e poi invece, via via il movimento operaio si è sviluppato, con varie forme di lotta […]. Il fatto di rispondere alla polizia che spara, sparando, è una cosa abbastanza normale, io la trovo giusta, una forma di lotta giusta senz’altro al cento per cento, in quanto viviamo in uno Stato di polizia FABIEN ARCHENBAULT La violence des ultrà 67 il fattore politica e la politica effettiva diventa il gioco dei giocatori in campo » [Ibid., 28] –, la violence qui se déploie au stade relève uniquement de loultras noi non abbiamo mai detto : picchiamo questo perché è di destra o quello perché è di sinistra » [Ibid., 21]. De son côté, Anna (Torino, Ultras Granata, 17 ans, lycéenne) souQuello che succede fuori dallo stadio non c’entra affatto. Se io voglio fare casino perché non mi va la situazione politica, mi stanno sul culo i fascisti, vado al corteo e picchio i fascisti. Ma allo stadio non è che dica : «Mannaggia, non ho picchiato i fascisti al corteo, picchio allo stadio» Ibid., 28]. Ces chez des militants patentés, la violence proprement calcistica ne semble parfois alimentée que par des mécanismes de défense du groupe face à ses ennemis, qu’ils soient de Turin ou d’ailleurs. En ce sens, les analyses de Desmond Morris sur le fonctionnement avant tout tribal des groupes de supporters anglais [Morris 1981], celles de Christian Bromberger concernant le déroulement de la partita dans les années 1980 à Turin et la bataille à Milan, se trouvent confortées. D’autres témoignages suscités par Daniele Segre s’inscrivent dans ce schéma. Ainsi, Cosimo (Juventus, Fossa dei Campioni, 17 ans, charpentier) explique qu’il n’est plus un tifoso mais un teppista ans vivant de menus larcins au jour le jour, illustre son soutien à la Juventus par un slogan fasciste, tout en précisant qu’il aurait tout aussi bien Autonomia Juventina […], lotta armata per la rivoluzione Ibid., 126]. On pourrait en conclure que la politisation du tifo ultra n’aurait en 1979 et il indique que jusqu’en 1977, on faisait bien de la politique dans la curva Adesso uno saluta con il saluto romano, l’altro con la P38, basta ! Abbiamo escluso la politica perché serve solo a mandarci uno contro 68 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta l’altro, mentre è meglio stare tutti uniti. Abbiamo escluso il discorso politico [Ibid. décennie 1970 est du reste concomitant de l’épuisement du mouvement social dans la société italienne et s’accompagnera très vite d’une baisse drastique des actes de violence liés au football. Ce serait l’indice que le teppismo - Au tournant des années 1970, le tifo est devenu en Italie une culture puissante et transversale, dont la génération de l’après-guerre s’est emparée et qu’elle a contribué à modeler. L’émergence de structures d’encadrement échappant aux catholiques et aux communistes, les groupes extrémistes composés d’ultras, en ont transformé les modalités d’expresà la métaphore politique, tandis que l’appartenance aux équipes et l’admiration portée aux héros de ce sport ont été remises en cause et redéconceptions coexistent, se superposent parfois, se contredisent souvent. Tout tifoso se sent néanmoins dans l’obligation de se positionner vis-àvis du nouveau discours développé autour du football pour l’accepter ou le rejeter. Alors que l’autonomisation de la culture est généralement des références et des comportements de la culture du tifo se développe ainsi en Italie en reprenant les catégories du politique. À ce titre, le football éclaire l’articulation singulière et déterminante qui s’instaure dans ce pays entre culture de masse, culture populaire et culture politique Il resterait à mener une enquête systématique pour explorer tous les arcanes de cette politisation du tifo des ultras et de la revendication de 69 FABIEN ARCHENBAULT La violence des ultrà l’usage de la violence qui en découlait. Violence verbale essentiellement, mais aussi physique de plus en plus souvent au cours de la décennie 1970, dirigée contre les autres groupes d’ultras, considérés comme des adversaires politiques, et contre les forces de l’ordre, perçues comme instruments d’oppression. Les exemples développés ici valident en partie l’hypothèse formulée par Antonio Roversi, celle d’une violence footbaltuelle du pays, l’apaisement de cette dernière entraînant le déclin de l’autre. En témoignerait rétrospectivement l’évolution de la situation itatique perdure, elle perd en grande partie sa dimension politique et tend à se conformer à ce qui advient dans le reste de l’Europe occidentale, où les processus de politisation sont demeurés extrêmement rares. Bromberger C. 1995, Le Match de football. Ethnologie d’une passion partisane à Marseille, Naples et Turin, Paris: Éditions de la Maison des sciences de l’homme. Calligarich G. 1965, Fedelissimi fino alla tromba, «Vie Nuove», 15 avril. La partita del secolo. Storia di Italia-Germania 4-3, Milano: Riz- zoli. Descrizione di una battaglia. I rituali del calcio Milano: Bompiani. Regalateci un sogno. Miti e realtà del tifo calcistico in Italia, Il tifo in Casalino L. (ed.), Juvecentus. La mostra del centenario, Torino: Paravia, 79-89. Il tifo: Juve e Toro, in Castronovo V. (ed.) 1992, Storia Illustrata di Torino, vol. 10, Milano: Elio Sellino Editore, 2901-2920. Politica e tifo calcistico, Università di Bologna. 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In ogni caso, il loro discorso obbedisce a codici interni all’organizzazione, basati in particolare su un’etica della violenza, oltre che legittimati dalla convergenza di interessi tra Cosa Nostra e una parte di membri delle istituzioni. “Repenters”, better called “collaborators of justice” contributed effectively to the fight against the sicilian mafia. However, their speech obeys internal codes to the organisation, based in particular on an ethics of the violence, besides legitimized by the convergence of interests between Cosa nostra and a part of the istitutions’ members. introduction Le repentir (pentitismo), la collaboration avec la justice1, dans une acdes années 1970 pour les anciens membres des groupes terroristes. Elle 1 (thèse de doctorat en cotutelle franco-italienne). - 72 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta sure d’exception adoptée principalement dans le cadre de la lutte contre d’application judiciaire dans le but de la normaliser. La thématique se par souci de clarté on s’attachera ici aux collaborateurs de justice issus de l’organisation sicilienne. La notion même de discours devra être entendu au sens foucaldien. Dans cette acception sont favorisées les structures de sens implicite, indirectes, autoréférentielles, procédurales, qui ont donc tendance à se présenter comme «objectives», «partagées», «nécessaires» et «indiscutables» [Foucault 1969; 1975]. par la suite employé. Le terme de «repentir» qui sous-entend la volonté de racheter une faute morale n’apparaît nullement dans le code pénal noncé à la lutte armée, reconnaissant au passage un activisme contrepût faire preuve d’une quelconque repentance. De fait, un collaborane pas être un repenti, attribuant au terme une connotation péjorative [Dino 2006b]. Certains, comme Pietro Aglieri et Gaspare Spatuzza ont cependant fait montre d’une volonté de reconversion spirituelle. Nous reviendrons plus avant sur les termes de la loi encadrant la collaboration avec la justice. vantage à un massacre à sens unique, les Corleonais ont pris le contrôle de l’organisation. Il faut entendre par là tous les clans ralliés à Totò Riina et Bernardo Provenzano, et pas seulement la Famille (terme qui désigne ROMAIN LEGENDRE Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence 73 prit l’ascendant sur l’organisation et se présenta en quelque sorte comme dans l’Histoire de l’Italie. Il convient toutefois de nuancer son importance tant «l’opinion publique, les politiques et les journalistes et, parfois, même les enquêteurs adorent imaginer un chef tout puissant (capo dei capi Santino, 1991], ce déchaînement de violence est en tous les cas à l’origine des premières défections, à partir de 1984. Il faut cependant rappeler permirent la tenue de procès [Lupo 1993]. De la même manière, Paolo plus ancien qu’on ne le dit, puisqu’au cours des années 70 du siècle confessions de membres d’associations criminelles» [Pezzino 1991, 424]. Les travaux d’Umberto Santino en font également état. Au nombreux confident, source régulièrement invoquée par la police et qui fut popularisée par le roman de Leonardo Sciascia, Le jour de la chouette (1961). Le rapport «161» (13 rapports étroits avec l’organisation ou de simples soldats de Cosa nostra. Il permit de reconstituer en partie les dynamiques internes à l’organiprogressivement, ce qui n’empêcha pas les nombreuses polémiques sur leur instrumentalisation réelle ou prétendue. Contorno, vinrent ensuite renforcer l’acte d’accusation du premier Maxiprocès intenté à Cosa nostra reconnue dès lors comme une organisation criminelle structurée de manière pyramidale (février 1986-décembre 74 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta en janvier 1992. Salvatore Lupo précise à ce sujet que «si cela a été la fut semblable avant et qu’elle l’est encore aujourd’hui […] dans la londécentralisation se sont cycliquement alternées […]» [Lupo 2010, 12]. stratégie d’attaque frontale envers l’Etat italien, le contraignant de fait à réagir. Pour autant cette réaction n’exclut pas l’existence de convergence tants de l’État. Il ne faut pas non plus éluder les assassinats de certains de ces représentants ayant eu lieu auparavant et avec l’assentiment de toutes les Familles. Notons par ailleurs que «la stratégie des Corleonais visait probablement à faire coïncider la réalité de l’organisation avec sa légende: une super-organisation avec un chef tout puissant» [121]. Dans le (selon l’expression d’Umberto Santino), un «ensemble d’organisation territoriales» indépendantes les unes des autres mais ayant en commun au de relations ad hoc [Lupo 2010]. Raimondo Catanzaro note quant relations sociales renforce l’impossibilité de créer des structures organices profondément ancré socialement et disposant de liens étroits avec le système de pouvoir politique» [Catanzaro 1988, 57]. La prise de contrôle des Corleonais provoqua donc une rupture qui se manifesta par un déchaînement de violence. Une nouvelle vague de collaboration vit le jour en 1992 suite à une nouvelle escalade terroriste et plus particulièrement après les attentats contre les juges Falcone (23 mai 1992) et Borsellino (19 juillet 1992) et à la réponse étatique qui s’ensuivit. Avant même ces attentats et suite aux - ROMAIN LEGENDRE Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence 75 nisation choisirent également de se ranger du côté de l’État: Francesco de Catane Antonino Calderone (1988). Selon Salvatore Lupo, du fait de l’escalade de la violence durant les «années de Plomb», «il fut facile […] de comprendre que la violence créé un consensus, qu’elle permet d’exercer le pouvoir et de traiter avec, en somme que la violence paye» et c’est durant le passage entre les stration beaucoup plus vaste, comme une contagion entre deux sphères, la violence politique [des «organisations armées de la gauche révolutionnaire» et de la droite néo-fasciste] et la violence criminelle; comme un échange de modèles, de valeurs […] entre les deux: un phénomène complexe et tortueux […]. Tel fut le contexte culturel et politique dans notamment de Cosa nostra, qui fut «le signal le plus dramatique» de ce renforcement. Reste que cette «hybridation de la violence» avait des présentèrent comme des intermédiaires entre l’État italien et ces orgavisage ambivalent d’une organisation conservatrice venant à se comporter comme une organisation révolutionnaire, par la méthode et non par - répressifs élaborés durant les «années de Plomb» furent réutilisés contre procès) tandis que certains membres des institutions participèrent à la Carlo Caselli et le général Carlo Alberto Dalla Chiesa par exemple). À travers cette présentation on s’attachera à expliquer de quelle manière - 76 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta si aux stratégies discursives mises en place par ces criminels à travers leur collaboration avec l’État. Leur discours à usage interne devenant dès lors un discours public entrant dans une caisse de résonance médiatique, remis en forme selon des critères subjectifs qui tiennent beaucoup «système cohérent, dynamique, de représentations du monde social, une chaque société à des moments donnés de son histoire» [Khalifa 2013, fondées sur l’exaltation de la violence s’adressent à de nouveaux interlocuteurs. Ce phénomène de collaboration a notamment donné naissanla question de l’inévitable contamination des discours. On peut légitices, la parole des collaborateurs ayant fondé ce genre éditorial ne s’est Ce phénomène de circularité apparaît éclairant mais son analyse reste néanmoins complexe. Après avoir présenté le contexte de production de ces discours, on évoen se demandant dans quelle mesure elles participent d’un processus de légitimation a posteriori de dresser une typologie des argumentaires et de dégager d’éventuelles drée par l’État, soit une violence institutionnalisée qui se pose comme laborateurs de justice, bien souvent victimes des vengeances transverphénomènes de violence, qui a un impact sur la société civile. ROMAIN LEGENDRE Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence 77 le contexte de production d’un discours sur la violence n’aident pas à comprendre le phénomène du repentir», Lupo 1993, 296. Notons tout d’abord que la loi sur les collaborateurs de justice fait totalement abstraction de la notion de repentir. Il s’agit d’un terme journalistique, repris par la suite par nombre d’acteurs judiciaires. L’État italien n’a jamais posé la repentance comme condition préalable à la collaboration. L’usage même du terme est le produit d’une confusion sémantique2. La loi n. 82 du 15 mars 1991 est le résultat d’une longue maturation, elle vit le jour malgré de nombreuses polémiques, dans une atmosphère les faits, elle reprit en grande partie les normes établies par la loi Cossiga de janvier 1980, entrée en vigueur pour permettre l’abandon de la lutte armée de la part des membres d’organisations révolutionnaires (les Brigades Rouges en tête). Entre-temps, la loi du 15 novembre 1988 avait attribué au Haut Commissaire pour la coordination de la lutte contre la gnage contre les organisations criminelles» [Gruppo Abele 2005, 112] (collaborateurs et témoins de justice donc, les premiers étant d’anciens un crime perpétré par un ou plusieurs membres d’une organisation criminelle). Un programme de protection inspiré du modèle américain fut vit également le jour, sous la tutelle du ministère de l’Intérieur. Outre la protection du collaborateur et de ses proches, la loi prévoyait en substance des réductions de peine (une condamnation à perpétuité étant par exemple commuée en peine de 12 à 20 ans de prison) en contrepartie de pentitismo et pentimento, voir Dino 2006. Pour une approche analytique similaire au sujet des «années de Plomb», voir Sommier 2000. 2 78 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta du 13 février 2001 (n. 45). Entre autres changements, le collaborateur dispose désormais de 180 jours pour transmettre toutes les informations en sa possession3. A travers la collaboration, l’État entend briser un cercle de violence en substituant à la vendetta traditionnelle la justice, ce qui est fondamental car, selon le collaborateur Antonino Calderone4, «un homme d’honneur ne demande justice à personne, surtout pas à l’État, il doit être capable de se faire justice lui-même» [Arlacchi 1992, 189]. Dans un tribunal où la phase de débat doit permettre la constitution de la preuve, les collaborateurs sont en mesure de révéler tout ce qu’ils savent. Ils se posent également comme des victimes d’une violence qu’ils ont par ailleurs s’agit en quelque sorte d’un second rite de passage après celui de l’afjustice s’inscrit aussi et surtout «dans une logique pragmatique de résultats répressifs notables» [Dino 2006b, XVI]. leur vie ils choisirent de se ranger du côté des institutions. La stratégie d’attaque frontale envers l’État participa d’un déchaînement de violence qui parut incontrôlé. Surtout, elle rendit l’organisation plus visible et fait de donner la preuve de son existence en recourant aux attentats à la bombe, on peut donc parler d’une nouvelle stratégie de communication. L’organisation, qui peut être décrite comme «relativement» secrète, 3 - 2005. 4 le sud de la France, où il s’était réfugié suite à l’assassinat en 1979 de son frère, Giuseppe mort d’Enrico Mattéi, président de l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI). ROMAIN LEGENDRE Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence 79 c’est-à-dire dont le caractère secret est relatif [Simmel 1996], décidait de se donner à voir de manière éclatante. A ce sujet, Salvatore Lupo a rappelé que «la société secrète joue toujours sur deux tableaux […] si elle s’organise en secret, elle sait par ailleurs qu’elle pourra jouir d’une certaine impunité en obtenant un consensus dans l’opinion publique. Pour cela elle reste attentive à ce que son langage interne se maintienne en apparaissant notamment comme une forme de légitimation. Suite aux conclusions du premier Maxi-procès et avant les attentats conl’avons dit de collaborer, permettant la tenue de nouveaux procès malgré de drogue, faisaient eux partie des clans vainqueurs. Gagnés par le doute et craignant pour leurs vies ils décidèrent néanmoins de collaborer. C’est me qui permit ces défections. La troisième vague de collaboration, après les attentats de 1992, regroustra ne pouvait plus assurer leur protection mais au contraire décider de Tels furent tout du moins les arguments invoqués. Il convient évidemment d’en déceler la forte dimension instrumentale. Ils purent également prendre en considération les conditions de la collaboration suite au pas franchi par leur prédécesseurs, conditions peu restrictives du point de vue du contenu des discours. Ils connaissaient par ailleurs ces discours «hyper-puissance» de la part des collaborateurs de justice, perception qu’ils transmettent «essayant de nous faire raisonner avec leurs instru- 80 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta ments interprétatifs de boss et soldats» de l’organisation [Lupo 2010, 153]. Des stratégies discursives basées sur une éthique de la violence? cacement la violence, plus il se hisse en haut de l’échelle de l’honneur cier d’une réputation sociale, il [doit] être considéré comme un homme de respect; et cette considération sociale vient d’une habilité démontrée l’enrichissement illicite une raison d’institutionnalisation» [Catanzaro pouvoir et la conquête de richesses, en somme la mobilité sociale [Catanzaro 1988; Matard-Bonucci 1994]. Il convient donc d’appréhender cette violence dans le temps long de l’Histoire puisque, loin d’être un processus de formation de l’État national italien et les caractéristiques de la modernité étatique» [Matard-Bonucci 1994]. Lors de la première vague de collaboration, Buscetta et Contorno afl’avènement des Corleonais. Leurs discours faisant grand usage du terme une éthique de la violence. Comme l’ont démontré de nombreux cherfaitrice, pratiquant une violence légitime, en opposition à une nouvelle ROMAIN LEGENDRE Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence 81 couramment relayée par la presse, se basant elle-même sur des enquêtes parlementaires et judiciaires, et ce bien avant leur collaboration. Il conles années 1950 et que Buscetta fut très actif dans ce secteur. Il est par Antonino Calderone distinguait tout d’abord les homicides communs tion: «s’il faut éliminer un homme sur le territoire d’une famille pour punir une erreur normale, d’ordinaire administration, comme une consbirritudine], le représentant décide, le chef de dizaine fait suivre, et cet homme n’est plus» [Arlacchi 1992, 27]. L’important étant selon lui de savoir qui était tué, pour quelle raison et par quelle «Si on ne sait pas qui a tué quelqu’un ou si on le sait d’une manière erronée alors plus personne n’est sûr de rien, pas même de sa propre vie. Et c’est ce jeu qu’ont pratiqué ces diaboliques, ces malhonnêtes Corleonais. toutes ces déclarations dans le cadre d’un ouvrage-entretien. Tommaso Buscetta5 reste le collaborateur de justice le plus important Commission réunissant les principales Familles et prenant des décisions 5 entre l’Amérique du Sud et les États-Unis. Arrêté au Brésil le 22 octobre 1983, il fut extradé vers l’Italie l’année suivante et se décida à collaborer avec la justice. Il fut d’un point de vue judiciaire le premier du genre et ses révélations contribuèrent grandement à la tenue du premier Maxi-procès de Palerme en 1986. Il dévoila notamment la structure organisationnelle de Cosa nostra. On parla à ce sujet de «théorème Buscetta». Il de la protection des services fédéraux américains. Il est mort aux Etats-Unis le 2 avril 2000. 82 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta impliquant tout l’organisation. La presse parla de Cupola et ce terme fut par la suite repris par certains collaborateurs. Buscetta fut aussi le plus médiatique, devenant le collaborateur «par antonomase» [Dino 2006b], consacrés, dont trois prenant la forme d’entretiens écrits en grande partie à la première personne (en 1986, 1994 et 1999). Le premier, écrit par Enzo Biagi, est à l’origine du genre éditorial déjà évoqué. Buscetta, personnage charismatique selon ses propres dires mais aussi ceux de ses divers interlocuteurs, apparaît par ailleurs intéressant car ses mait ainsi que de nombreuses idées de Cosa nostra étaient défendables mais que les Corleonais les avaient perverties et par là même détruites. Les valeurs originelles auraient été trahies, provoquant selon lui «la violence gratuite, la traîtrise, le double jeu, les trahisons et les assassinats les valeurs de l’amitié, de la famille, du respect de la parole donnée, de la solidarité et de l’omertà, en un mot le sens de l’honneur […]. La violence gratuite et sournoise, la tromperie, le double jeu sont venus après […] dans les années 70 et 80 […] avec la trahison des anciennes valeurs […]» d’écrire avec son emphase habituelle: «la justice de Buscetta n’est pas la nôtre»6. Dans les faits, le collaborateur de justice produisit des discours puisque la capacité à se conformer à des standards de violence ou bien plus encore à les surpasser, permet de «faire carrière» dans l’organisation, tandis que ceux qui se montrent incapables d’une telle audace sont plus généralement en retrait ou bien demeurent tout simplement victimes de leurs concurrents. La violence est imposée comme une «norme de 6 Tre notti con il boss, «Panorama», 19 ottobre 1986. ROMAIN LEGENDRE Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence 83 régulation de la compétition de marché» [Catanzaro 1988, 260]. Elle nomique et politique, elle est d’abord présentée comme une menace, avant d’être exercée si nécessaire. L’historien Eric Hobsbawm l’a donc théorisée comme «extorsion contrôlée». Salvatore Cucuzza7, qui collabora à partir de 1992, reprit une partie des éclairante car en ne situant pas précisément cet «alors», le collaborateur renvoie de fait à un temps non-historique et révèle par là même le caractère instrumental de ce discours, l’invention d’une tradition. Chaque tradition est «inventée», c’est-à-dire qu’elle dérive d’une réélaboration [Hobsbawm, Ranger 1983]. Ici en l’occurrence cette «invention» sert à Salvatore Contorno8, qui collabora concomitamment avec Buscetta, partageant la même cellule à Rome lors des premiers mois, résuma la situation de la manière suivante lors du premier Maxi-procès: «Cosa nostra est devenue Cosa nostra personnelle». Manière d’expliquer que l’organisation ne défendait plus les intérêts communs selon lui. Tout en prenant avec beaucoup de distance ces considérations, il faut rappeler que les Corleonais s’en prirent aux familles de leurs ennemis en général 7 révélations sur le meurtre de Pio La Torre et sur la «strage della circovallazione» durant 8 tain. Réfugié à Rome pour échapper à la mort il fut arrêté et entreprit alors de collaborer. Il permit aux enquêteurs de reconstituer certaines dynamiques de la seconde guerre par la suite d’autres séjours en prison pour des délits mineurs. 84 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta et à celles des collaborateurs de justice en particulier. Buscetta perdit ainsi douze membres de sa famille, Contorno plus d’une vingtaine. Ces vengeances transversales participèrent d’un déchaînement de violence révélant davantage que par le passé la plasticité des valeurs de l’organisation. Ce déchaînement rendit sceptiques de nombreux observateurs quant à l’existence réelle d’une structure dotée d’un organe décisionnaire. La violation permanente des règles apparaissant clairement dans les révélations des collaborateurs, il fallait en conclure, selon certains contradicteurs, que celles-ci n’existaient pas. Pourtant «le manque de la violation de la loi ne nous amène pas à conclure que la loi n’existe pas […] leurs règles sont orales […] vaguement énoncées» [Lupo 2008, 239-240] et donc d’autant plus faciles à piétiner. Toujours pour parler de puissance criminelle» [Santino 2006, 70]. Giovanbattista Ferrante9, issu de la troisième vague de collaboration, expliqua lui que la violence était appréhendée de manière pragmatique lui aurait déclaré «ne vous inquiétez pas parce que ce n’est pas beau à voir mais on s’y habitue» [Gruppo Abele 2005, 299]. Il ajoutait «Le discours a toujours été très doux, toujours graduel». manière de parvenir Cancemi10 tint un discours similaire en évoquant le crime commis en 9 implication dans les attentats de Capaci et Via d’Amelio, tout en faisant des déclarations très importantes concernant les assassinats de Salvo Lima, Rocco Chinicci, Antonio Cassarà et Roberto Antiochia. 10 - de premier ordre. Il fut également précieux dans le cadre des procès sur les attentats de Capaci et Via d’Amelio. ROMAIN LEGENDRE Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence 85 homicide comme s’il s’agissait d’un acte commun. Vittorio Mangano, membre de la Famille Porta Nuova, lui aurait déclaré «moi et quelques autres souhaitons que tu y ailles [...] la chose m’a été présentée ainsi, de manière très légère» [260]. ne plus partager «les aspects les plus criminels gratuits» [280]. C’est uniquement à partir du recours systématique au terrorisme qu’il opère cette distinction. Son discours semble avant tout démontrer que cette escalade rendre vulnérable. Il ajoutait «quelqu’un qui tue un bébé ne peut pas parler de sens de l’honneur». Faisant en cela référence à Giovanni Brusca. De fait, la troisième vague de collaboration permet de démontrer la fuite en avant de Cosa nostra et le recours à une violence accrue. Brusca11, qui réalisa un ouvrage-entretien avec le journaliste Saverio Lodato Santino Di Matteo12 sujet de l’attentat de Capaci. Il répondit par voie de presse aux déclarations de Cucuzza en contestant la nature de son crime, déclarant au sujet nommé «l’étrangleur de chrétiens». Au cours de l’ouvrage-entretien avec le journaliste Saverio Lodato, il avoua quelques 150 meurtres, il fut notamment celui qui déclencha l’explosion lors de l’attentat de Capaci, dans lequel moururent Giovanni Falcone, sa femme Francesca Morvillo et trois membres de leur escorte. Arrêté en 1996, il entreprit aussitôt une collaboration qui se révéla instrumentale, ce qui lui valut d’être inculpé pour calomnie. Il fut néanmoins réintégré au programme de collaboration et obtint des contreparties comme la liberté conditionnelle en échange de certaines informations. Il a récemment été interrogé dans le cadre du procès actuellement en cours à Palerme, concernant des complicités entre Cosa nostra et des membres des institutions. Sa collaboration est certainement la plus polémique étant donné l’ampleur des crimes commis et les modalités de ses prises de parole successives. 11 12 à ce sujet. 86 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta de l’enfant: «Je n’ai pas tué un bébé. Allez voir la date de naissance»13. se transformer, à opérer des mutations dans la continuité. La distinction que la tactique des Corleonais créa un sentiment d’insécurité dépassant furent gagnés par la crainte qu’ils avaient auparavant inspiré, redoutant l’exécution par un clan adverse ou l’arrestation. Gaspare Mutolo14, qui collabora à partir de 1992, avoua ainsi «j’avais peur […] peur d’être assassiné, même en prison […] j’avais peur pour ma famille»15. Dans tous les cas une certaine éthique de la violence se fait jour, qui évolue instrumental apparaît avec évidence dans la mesure où les discours évoluent en fonction des évènements. Il ne faut cependant pas exclure un me «forme culturelle, historiquement conditionnée, d’agissement po- sur la nature de l’ordre social et l’existence humaine, en se réappropriant des valeurs communes qui font sens» [Santoro 2007, 27] et permettent par là même l’obtention d’un consensus social [Santino 2006]. Comme l’a rappelé la sociologue Alessandra Dino, «le choix d’un symbole de la part d’un sujet est lié à une volonté précise d’insérer ses 13 14 récemment témoigné dans le cadre du procès qui se tient actuellement à Palerme. 15 teur», 14 octobre 2011. Mafia italienne. Le crépuscule des repentis, «Le Nouvel Observa- ROMAIN LEGENDRE Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence 87 utilisés et mis en commun des répertoires d’action bien précis» [Dino 2010, 240]. C’est notamment dans cette optique qu’il faut analyser les fondements religieux d’une éthique sur la violence, qui tend à élever le cer une forme de violence divine lorsqu’ils commettent des homicides [35]16. Ils se dotent par ailleurs d’une nouvelle identité qui s’accompagne de la création de liens de fraternité rituelle [Paoli 2000; Dino 2010]. Cette radicalité constituerait à la fois la force et la faiblesse de Cosa nostra. Lorsqu’ils cessent de croire en ces valeurs, pour diverses raisons, les se tourner vers l’État [Dino 2006b]. Ainsi Francesco Marino Mannoia17 xion car je suis fatigué d’une appartenance à Cosa nostra qui m’a causé un grave trouble intérieur et une profonde crise de conscience»18. quèrent pour la plupart une erreur stratégique à travers le recours au Nostra a débuté avec la mort des deux magistrats, Falcone et Borsel- 16 - 17 De nouveau arrêté en 1985, il décida de collaborer en 1989 suite à l’assassinat de son frère Agostino. Sa prise de parole lui valut de perdre sa mère, sa sœur et sa tante. Il fut le premier collaborateur issu des clans vainqueurs. Parmi ses révélations, il faut surtout évoquer celle relative aux rencontres entre son boss, Stefano Bontate et le sénateur Giu- 18 La “cantata” di Mannoia, «L’Ora», 6 décembre 1989. 88 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta lino. Là s’est terminée Cosa nostra, parce que le consensus populaire qu’elle avait avant était très fort, après cela a été terminé, complètement» [Gruppo Abele 2005, 279]. Au sujet de l’attentat contre Giovanni Falcone, Giuseppe Marchese19 déclara «quelle chose ignoble ils ont fait, ils ont fait sauter la moitié de l’autoroute, il y aurait pu y avoir d’autres morts» [314]. Ce n’est donc pas tant l’assassinat du juge qui le dérangeait, que le mode opératoire employé. Giovanni Drago20 collabora lui aussi après avoir remis en doute cette stratégie. Au sujet des crimes passés il évoqua une logique interne à Cosa nostra: «j’ai toujours tué parce qu’ils étaient mes adversaires. Si je ne l’avais pas fait moi, ils s’en seraient chargés. Je les voyais comme mes adversaires» [293]. Cucuzza et Mutolo tinrent également ce discours. Ce dernier déclara notamment «Je n’avais pas le choix. J’appartenais à une organisation où la principale vertu est l’obéissance et où les ordres doivent être exécutés. Je me sentais autorisé, légitimé même, à commettre des crimes. Mon État, c’était Cosa Nostra»21. Là encore, une logique interne à l’organisation fut presque unanimement ne semblent à aucun moment prises en considération dans leurs déclarations comme s’il était uniquement question de Cosa nostra, de «leur chose» (cosa loro) et qu’elle se présentait comme un anti-état. Au sujet de la dénomination, on peut également noter que «dans le le groupe et son identité tend à devenir collective», d’où le nom «notre chose» [Dino 2010, 71]. Il faut cependant rappeler que l’organisation so dei Mille alliée aux Corleonais. Il a notamment dénoncé les meurtriers de l’homme politique Salvo Lima et admis sa responsabilité dans le meurtre du policier Giuseppe Montana. 19 20 la condamnation de tout son clan et a également témoigné contre Giulio Andreotti et lors du procès sur l’assassinat de Salvo Lima. 21 teur», 14 octobre 2011. Mafia italienne. Le crépuscule des repentis, «Le Nouvel Observa- ROMAIN LEGENDRE Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence 89 sur son ennemi permit avant tout aux autorités américaines de le quad’un ouvrage très vendu, Valachi Papers, écrit par le journaliste Peter Maas (1971). Pour en revenir à la notion d’anti-état, le lien semble en réalité inextridonc pas un anti-état mais plutôt «l’expression du politique dans la subalternité» [Santoro 2007]. Un manque de légitimité a notamment conle but de réduire des oppositions politiques, aboutissant par là même à la remise en cause du monopole de la violence légitime qu’il était censé détenir [Weber 1971]. Ce n’est pas tant son absence qui est en cause dans le développement de l’organisation en Sicile, mais bien les modalités de sa formation et de son fonctionnement [Catanzaro 1988; Lupo 1993; Matard-Bonucci 1994]. Bien souvent il n’y a donc pas de repentance car le sentiment de légititoujours le résultat d’une stratégie obéissant à de vastes raisons utilitanégligent consciemment ou inconsciemment l’interdépendance historique entre l’organisation et l’État italien ? Reste que, d’une manière générale, on condamne un excès de violence, pas son usage comme Bien que cette appréciation de l’excès de violence varie sensiblement struction d’un certain discours qui tend à s’uniformiser, à se lisser. Au à un moment donné. Ils produisent une parole sur un marché linguisti- 90 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta des discours, une nomenclature dont les contours auraient été également délimités par la couverture médiatique. Des pratiques «nouvelles» considérées comme une perversion des idéaux de l’organisation seraient connu les institutions, les collaborateurs ne se contentent pas de décrire ment. De cette manière, l’interférence consensuelle avec l’État se situe également au niveau des discours. un discours de contre-violence encadré par l’état? Le discours, les mots, restent la seule arme à disposition des collaborateurs de justice. Leur savoir sur l’organisation, énoncé clairement devant un juge, détient un potentiel de destruction. Plusieurs phénomènes de violence s’imbriquent car à travers leurs révélations ils décrivent la vio- de peine tandis que ceux qui ont préféré garder le silence subissent des peines exemplaires, notamment le régime 41bis, l’incarcération à l’isoplus à révéler, ils sont en théorie favorisés dans le cadre des contreparties prévues pour leur collaboration, au détriment des simples soldats de l’organisation. Ces dispositions légales ont provoqué de nombreux débats sur l’égalité de la peine, et démontrent un autre aspect d’une médiation informelle sans cesse à l’œuvre entre les organisations criminelles et l’État. A travers la collaboration se pose la question du contrôle du discours. potentialités symboliques du dialecte» [Di Piazza 2010, 39], langage par partie liée avec l’État. À ce titre, le dialecte apparaît comme un langage ROMAIN LEGENDRE Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence 91 illégitime du point de vue juridique et judiciaire. Le code pénal, surnommé code Rocco, (en vigueur de 1930 à 1988, remplacé par la suite par le code Vassalli) stipulait de fait que les dépositions au cours d’interposait dès lors la question de l’authenticité. Le cas se présenta de manière concrète lors du témoignage de Salvatore Contorno au cours du premier comptes avec ses anciens coreligionnaires. «J’ai été contraint de devenir un traître comme ils m’appellent. Mais ce sont eux les traîtres. Ce n’est abandonna cette stratégie lors des procès suivants, s’exprimant dès lors pas le maîtriser. La justice peut donc être tentée de laisser une certaine la preuve mais ce faisant elle s’expose à la manipulation. Pour en revenir aux déclarations de Contorno, il faut noter qu’il existe impossible de la refuser: «parce que celui-là ensuite ils doivent le tuer, ils ne peuvent pas le laisser en vie parce qu’il sait cette chose et il ne fait pas partie de Cosa nostra» [Gruppo Abele 2005, 260]. Il peut donc y à plusieurs personnes se voit confronté à une violence psychologique qui donc être contraint. Les révélations de Melchiorre Allegra22, collaborateur de justice de la période fasciste, abondent en ce sens: «A ce moment 22 en juillet 1937. Il révéla alors l’existence et le fonctionnement de l’organisation appelée ont parlé, tel Salvatore D’Amico. Pour toutes ces observations: Lupo 1993. 92 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta compris que j’avais déjà été mis au courant de trop de secrets, y compris ceux concernant l’activité criminelle, et que je ne pouvais pas ne pas accepter si je voulais sortir vivant de cette réunion» [50]. Leonardo Vitale23, qui reste à ce jour considéré comme le premier repenti stricto sensu ordonna d’accomplir un homicide, il se senti obligé d’obéir. Il déclara que généralisation. Vitale comme Allegra décidèrent en tous les cas de briser le silence alors se de parole constitua aussi une échappatoire. Reste qu’ils prirent cette décision à des moments où le phénomène de collaboration n’était délimité ni juridiquement ni médiatiquement. Quel que soit le contexte, la démarche peut constituer une libération et s’apparenter à une forme de contre-violence, dans le sens de réponse à la violence de l’autre. Du reste, diée en ce sens dans la philosophie sartrienne. 23 - mentalement, il fut condamné et enfermé dans un asile psychiatrique à l’issue d’un procès au cours duquel toutes les personnes qu’il avait accusé furent acquittées pour nisation. Ce dernier fut d’ailleurs assassiné en représailles. Surnommé le «Valachi des dans une embuscade alors qu’il sortait de la messe, il mourut des suites de ses blessures Tommaso Buscetta et Salvatore Contorno. ROMAIN LEGENDRE Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence 93 - pour accumuler des capitaux de manière illégale, le collaborateur, de par Il est néanmoins bien souvent question de contre-violence ou de contreles Corleonais (responsables de l’assassinat de nombre de ses proches) tout en épargnant dans une certaine mesure Gaetano Badalamenti, boss nombreux rapports de police à ce sujet. Les juges lui concédèrent ce point pour des raisons pratiques. Il «révéla des choses tellement importantes, tellement innovantes […] qu’elles incitèrent les enquêteurs à ne pas insister sur l’invraisemblance de certaines de ses interprétations, en particulier celles rattachant la dégénération de Cosa Nostra à la férocité et au sadisme de Riina» [Lupo 2010, 5]. Suite à l’augmentation du phénomène, cette contre-violence fut encadrée avec peine par les structures étatiques puisque certains collaborateurs admis au programme de protection retournèrent en Sicile pour vengeances transversales envers d’autres membres de l’organisation (ainsi Balduccio di Maggio ou encore Giuseppe Ferone). À travers leurs révélations les collaborateurs cherchaient donc à empêcher diverses formes de violence à leur encontre tout en l’exerçant sur les par souci d’authenticité, laissa une certaine liberté dans le contenu des tandis que ses limites structurelles ne parvinrent à empêcher la récidive et les entorses au programme de collaboration. Les discours furent retranscrits, mis en forme, par la magistrature puis par la presse, créant 94 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta bien souvent, une partie du sens nous échappe. conclusion Les collaborateurs de justice ont permis d’acquérir une connaissance inédite de Cosa nostra, de son organisation, de ses rituels, nous donnant à voir «une violence [devenue] d’une manière programmatique instrud’organisation adéquates à ses buts criminels» [Pezzino 1991, 425]. Mais à travers leurs révélations ils ne se départent pas d’un langage interne et autour d’une violence tolérable/tolérée [Dino 2006a]. Le détachement manence d’un attachement aux valeurs morales de l’organisation, qui participe de processus d’acculturations, de nombreux criminels de droit société civile. En somme, bien que considérés comme des «infâmes», les collaborateurs ne trahissent pas totalement l’organisation. Leur prise de parole, faite de déclarations brutes et parfois brutales, gage apparent d’authenticité, tend également à se conformer à un discours gique d’appartenance et tend à s’adapter à un marché linguistique. Il tieux à travers une collaboration stratégique, comme Giovanni Brusca ou Giuseppe Ferone, tandis que d’autres ont été instrumentalisés par la magistrature et les forces de police, comme ce fut le cas pour Vincenzo Scarantino. Plus globalement, le changement de stratégie de l’organisation, associé ROMAIN LEGENDRE Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence 95 dix. Cette nouvelle stratégie s’est caractérisée par une plus grande compréhension à l’égard des collaborateurs, les incitant parfois à se rétracter, le tout dans un contexte de normalisation commode pour Cosa Nostra comme pour l’État. La politique d’enfouissement engagée par Bernardo Provenzano (1995-2006) a pu faire croire à un retour aux valeurs prétendument originelles, prises comme existantes puisque défendues par nombre de collaborateurs. Ces derniers eurent par ailleurs beaucoup moins à révéler et ce qui restait à dire concernait surtout les liens entre plus forte précisément lorsque les révélations atteignirent ce point critipolitique fustigeant la propension des magistrats à s’immiscer dans ses dans une logique d’opposition binaire, ceci bien que la magistrature soit une partie organique de l’État. L’usage considéré, à tort ou à raison, comme instrumental des collaborateurs de justice, a pu alimenter les perceptions complotistes (dietrologie) de la réalité, une perception nourrie par la couverture médiatique et les discours politiques. Toutes les collaborateurs de justice. Quoi qu’il en soit, même lorsque la parole vers la collaboration. Il ne s’agissait cependant pas d’un contrôle objectif que et aléatoire. elle a pu être considérée à tort comme un hypersystème, soit un système plus important qu’un premier considéré, ici en l’occurrence l’État italien, notamment parce qu’elle créait les conditions de l’insécurité pour se présenter ensuite comme protectrice. Le recours aux attentats a provoqué une réaction étatique s’inscrivant dans une logique de l’urgence 96 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta et il a notamment été question d’un état de guerre. Or, «l’état de guerre entités d’états homogènes, bien qu’en opposition et présuppose justeconsidérer» [Pezzino 1991, 419-437]. En somme, les catégories interprétatives de la classe politique et de la presse ont alimenté une ambiguïté parfois destinée à éluder certaines compromissions. Sources Arlacchi P. 1992, Gli uomini del disonore. La mafia siciliana nella vita del grande pentito Nino Calderone, Milano: Mondadori. 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La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta introduction valent en Europe, elle s’organise principalement, et ce jusqu’au début des années 1980, autour du Movimento sociale italiano (MSI) [Ignazi 1998; Tarchi 1995; Parlato 2006]. Créé en décembre 1946, le MSI rassemble une multitude de groupes, mouvements, partis, fronts créés au sortir de la guerre et se réclamant de manière plus ou moins explicite du régime fasciste. S’il ne participe à aucun gouvernement dans l’après-guerre, le MSI est toutefois loin d’être une force négligeable dans le paysage politique italien. De 1953 à 1968, il recueille, lors des élections législatives, une moyenne de 5,5% des voix à l’échelle nationale, tandis qu’en 1972, l’implantation du MSI et plus généralement de l’extrême droite dans la péninsule. Les deux principaux groupes extraparlementaires italiens, Ordine nuovo et Avanguardia nazionale1, véritables pôles d’attraction pour plusieurs générations de militants qui ne se reconnaissent pas dans la politique du MSI, sont, comme ce dernier, essentiellement implantés dans le Latium, dans le Sud de la péninsule, en Sicile. Ils possèdent également quelques bastions en Vénétie – Padoue par exemple – et dans les grandes villes du Nord telles que Milan. L’extrême droite est marquée, des années 1950 au début des années 1980, par le recours à l’action violente comme mode d’action polititutélaires dont elle se réclame ainsi qu’à son positionnement anti-intel- 1 Avanguardia Nazionale est créé en 1959 par Stefano Delle Chiaie. Il gouvernement italien en 1976. Le centro studi Ordine Nuovo est fondé en 1954 par Pino Rauti. En 1968, il est rebaptisé Centro politico Ordine Nuovo. PAULINE PICCO Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie 101 ment de rue contre les gauchistes ou les forces de l’ordre (essentiellement durant la deuxième moitié des années 1970), au terrorisme des stragi, qui nourrissent, dans les représentations et mentalités collectives, l’image d’une extrême droite par nature, violente [Rao 2006; 2008]. Or, en matière de militantisme et d’engagement politique, les comportements sont eux alimentés par les discours. Étudier les théories de la violence politique à l’extrême droite, implique de s’intéresser aux pratiques langagières, à l’idéologie, aux référents historiques, culturels et symboliques qui, aux yeux des militants, légitiment, au moins au sein ne et la conduit à former une communauté ghettoïsée au sein d’un système dont elle réfute la légitimité, est fondamental pour comprendre les dynamiques violentes qui l’animent [Germinario 2005]. Conformément à l’approche de Philippe Braud reprise par François Audigier et Pascal Girard, nous intégrerons à notre étude sur ces théories de la violence politique à l’extrême droite, non seulement les violences «physiques», «tangibles» (celles des coups portés et reçus) et «matérielles» mais également, «la violence des discours, des mots, des images, des po- discours est agissant» [Audigier, Girard 2011, 10]. Le discours, comme l’action violente ne peuvent toutefois pas être dissociés du contexte dans lequel ils ont été produits et c’est dans une perspective diachronique que nous nous attacherons à historiciser le phénomène: un contexte de guerre froide et d’émancipation des peuples colonisés qui nourrit un imaginaire, des représentations fantasmées et un discours d’extrême droite sur l’Autre, au sein d’une société italienne fortement clivée politiquement et idéologiquement [Jesi 1993]. Outre le contexte international et national, il conviendra également de rappeler les phénomènes d’héritages et de recompositions – idéologiques, politiques, militantes 102 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta de jeunes militants entrer en politique. Marqués par le mouvement de 77, ils se placent en rupture avec le MSI et avec certains héritages traditionnels de l’extrême droite d’après-guerre. Ils témoignent également de ques violentes d’une frange de l’extrême droite [Guerrieri 2005]. Si l’on considère, avec Michel Foucault, que la politique est l’exercice de la guerre par d’autres moyens, on se trouve alors, lorsque l’on traite de la violence politique, au cœur du patrimoine culturel, idéologique et politique de l’extrême droite [Catanzaro 1990]. Les formations politiques parlementaires et extraparlementaires qui la composent développent en la transformant en pratique militante à part entière» [Audigier, Girard 2011, 17]. Le discours porté par ces groupes s’articule autour de grands thèmes qui témoignent de la prégnance d’une violence symbolique et verbale recours régulier à la violence physique. La défense d’un anticommunisme viscéral, la dénonciation du système démocratique capitaliste et bourgeois et le rejet de la République résistancialiste italienne, la défense de l’Occident, portée par un discours raciste et antisémite, constituent l’armature idéologique du discours violent partagé par l’ensemble de l’extrême droite d’après-guerre. C’est sur le décalage entre le discours et ses pratiques que nous porterons notre attention. Dans un premier temps, il s’agira d’étudier les théories et modèles d’extrême droite porteurs d’une violence verbale et symbolique. Ensuite, nous nous pencherons sur les vecteurs et supports de ces théorisations: timations théoriques des pratiques politiques: la construction d’un martyrologe. PAULINE PICCO Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie 103 théories et modèles d’extrême droite: violence verbale et symbolique Le «mythe» fasciste constitue, pour les extrêmes droites italiennes nées de la défaite de 1945, un ressort puissant d’explication du réel et de moportées par l’action violente du fascisme, de ses acteurs, de ses combats, de ses récits façonnent profondément les représentations militantes de l’extrême droite italienne et sa façon d’appréhender et de dire la violence. L’imaginaire politique de plusieurs générations de militants appartenant aux extrêmes droites parlementaires et extra-parlementaires est pétri, au moins jusqu’au milieu des années 1970, de références au personnelle de certains membres du MSI et d’Ordine Nuovo au sein des institutions du régime fasciste ou de la République de Salò, la prégnance d’une éducation reçue sous le marquent profondément cette première génération qui forme les instances dirigeantes et représentatives des extrêmes droites italiennes dans l’après-guerre. une construction identitaire marquée par l’héritage combattant des luttes fascistes Comme le soulignait Franco Ferraresi, la «source principale de matériel mythique» pour l’extrême droite des années 1950 aux années 1970 est celle du «fascisme historique, mais de façon sélective» [Ferraresi 1995, 70]. Pour Philippe Braud, «le travail de mémoire […], nécessairement sélectif (…) crée en creux la catégorie de ce qui est oubliable parce l’extrême droite italienne «a toujours préféré la pulsion révolutionnaire du fascisme à sa dimension restauratrice et ordinatrice, cette dernière étant considérée comme le signe que le fascisme s’était rendu aux intérêts constitués» [Ferraresi 1995, 64]. 104 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta scisme républicain, les militants d’extrême droite entretiennent une relation sentimentale structurante à l’égard des combats «héroïques» des combattants de Salò, de la Xa Mas du Prince Borghese, de la légion Charlemagne, de ceux qu’ils considèrent comme leurs frères d’armes et dont ils se doivent de poursuivre le combat pour une Europe unie. légionnaire», à cet «ordre de combattants et de croyants», ne peut que demeurer constitutive d’un imaginaire violent, caractéristique d’une identité en tension. C’est un fascisme combattant qui est exalté: le squadrisme de 1919- est celle du militant révolutionnaire2, le promoteur du squadrisme du début des années 1920, le conquérant de la corne de l’Afrique, et le chef de la RSI. «Il Secolo» exalte d’ailleurs bien davantage3 vement restreinte dans ses numéros. Dans le quotidien du MSI, c’est un Mussolini «protecteur des juifs»4 qui est célébré durant le procès d’Adolf 2 Per una grande battaglia, «Ordine Nuovo», V (3-4), mars-avril 1959, 129-132. 3 dépouillés systématiquement (de janvier 1961 à décembre 1968 puis juillet-décembre 1969; janvier-mars 1970; octobre-mars 1972; janvier-avril 1973). 4 molte migliaia di ebrei, «Il Secolo d’Italia», 19 avril 1961; Salvati dall’Italia gli ebrei in Croazia, «Il Secolo d’Italia», 10 mai 1961, 8; questione ebraica, 12 mai 1961, 5; zione contro gli ebrei”, 4 juillet 1961, 5; , «Il Secolo d’Italia», 5 juin 1962. PAULINE PICCO Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie 105 Eichmann à Jérusalem5, alimentant ainsi le «mythe du bon italien»6 [Bidussa 1993] créé dans l’après-guerre et unanimement partagé, à droirévolutionnaire, de la chemise noire, du Mussolini fondateur des italiani di combattimento7 et instigateur de la «Marche sur Rome»8 est portée aux nues. Il est présenté, grâce au rappel du thème de la «victoire mutilée», comme le défenseur de l’honneur de la patrie italienne9. C’est également le «martyr» de «l’Idée» qui est célébré et dont la mort est tran10 . les combattants de Salò. Cette mystique du combat perdu et héroïque de la RSI est réinvestie et réactualisée tout au long des années 1960, notamment grâce au combat OAS [Rossi 2010, 21-39]. Étonnamment, le passé fasciste italien, guerrier, colonial, se dit davantage dans les colonnes du Secolo que dans celles de revues émanant de groupes plus radicaux. Ce décalage s’explique sans doute par la volonté du MSI de se rattacher symboliquement au passé fasciste. Il trouve également un élément d’exOrdine Nuovo, davantage enclin à se les réapproprier, les référents mythiques du national-socialisme. Les ordres chevaleresques des chevaliers teutoniques, le 5 solde par la condamnation à mort de l’accusé. 6 exempts de toute responsabilité dans la persécution antisémite du fait de leur prétendu humanisme naturel. Mis en place dès la Libération, ce mythe n’a été véritablement , «Il Secolo d’Italia», 23 mars 1968, 3. Les faisceaux italiens de combat sont fondés à Milan le 23 mars 1919 par Mussolini. 7 8 , «Il Secolo d’Italia», 27 octobre 1963, 3. , «Il Secolo d’I- 9 talia», 22 octobre 1964. 10 Il giorno del Suo martirio, «Il Secolo d’Italia», 28 avril 1966, 3. 106 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta Saint Empire romain germanique, le code traditionnel saxon, la division Charlemagne participent de l’exaltation de l’Europe d’Hitler qui aurait glaises et la menace russe»11. En outre, Ordine Nuovo se réapproprie et daté mais datable du milieu des années 1960, publié par les sections padouanes des groupes extraparlementaires Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo et le groupe d’Ar12 se réclame ouvertement de cet héritage et Le 8 mai 1945, les soldats du Grand Reich national socialiste cessaient de combattre. Nous, qui, avec orgueil, considérons les héritiers de la Répucamerati allemands en publiant le dernier bulletin de guerre du Commandement suprême allemand: mus non par un sentiment – absurde que les hommes de l’Axe cherchèrent, il y a vingt ans, à réaliser au sein du NOUVEL ORDRE européen. […]. Nous adhérons DE FAÇON INCONDITIONNELLE aux termes ideologiques de la lutte au sein de laquelle périrent le Régime fasciste et le IIIe Reich. Les vainqueurs ne doivent pas se bercer d’illusions, pour nous avoir écraser sur le plan de la force militaire et politique. Vingt ans après, nous avec tous ceux qui ont été divisés par les démocraties bourgeoises et bolchéviques: NOUS RESTONS DEBOUT13. stituent un panthéon étranger et alternatif pour l’extrême droite italienne, telles que Corneliu Codreanu (garde de fer roumaine), Léon 11 , «Ordine Nuovo», I (2), 1970, 49-54. 12 13 Freda, nella sede delle Edizioni di Ar di Freda, nella dimora di Freda, nella libreria EzAr-Ordine Nuovo-Giovane Europa. PAULINE PICCO Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie 107 Degrelle (rexisme belge), Jose Antonio Primo de Riveira, Otto Skorzeny, tous étroitement liés aux expériences fascistes européennes font l’objet d’une profonde admiration et contribuent à nourrir le discours role donnée, la totalité de l’engagement, la foi en l’Idée sont célébrées et elles contribuent à constituer un modèle de «soldat politique» conçue En vertu d’un idéal aristocratique assumé, le soldat politique d’extrême droite est présenté, en défenseur héroïque de la camaraderie, d’une FUAN, organisation universitaire du MSI publie des extraits de textes fondateurs du fascisme14. Les vertus régénératrices de la guerre sont rappelées et la référence à un idéal viril systématiquement invoqué tandis que dans une perspective sorélienne, la violence est perçue comme un processus créateur. L’action est parée, tout au long de notre période, de 15 tandis qu’un sens supérieur est conféré à la mort célébré que lorsqu’il est perdu d’avance. En 1955, Pino Rauti écrit ainsi à ce propos: «un bon combattant n’est pas celui qui lutte sachant qu’il va gagner, mais celui qui sait rester à sa place, même quand la bataille est perdue»16. tent un rôle mobilisateur fondamental pour toutes les générations qui se succèdent au sein de cette extrême droite minoritaire et ghettoïsée, 14 Freda, nella sede delle Edizioni di Ar di Freda, nella dimora di Freda, nella libreria Ezzelino di Padova, Busta 27, Incarto ciclostilato del gruppo universitario S. Marco «La dottrina del fascismo», Padova, Anno accademico 60/61. L’opuscule rassemble des extraits de , de et des . 15 entre prisonniers 16 . Tradizione, reazione e Stato, «Ordine Nuovo», I (2), mai 1955. 108 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta des années 1950 au début des années 1980. Outre ces référents idéoloviolent d’extrême droite, la violence politique est également pensée par les principaux théoriciens, idéologues de l’extrême droite d’après guerre: Evola et Freda. evola et Freda: la violence du discours des idéologues L’itinéraire politique d’Evola illustre l’intensité de la violence du propos élaboré par ce philosophe, né en 1898, antimoderne et traditionaliste, tisémitisme fasciste [Germinario 2001]. Théoricien d’un antisémitisme «spirituel», il est le fervent défenseur d’une supposée «aryanité» des Italiens durant les années 1930 et participe aux principales publications racistes fascistes. Il rédige notamment l’introduction à l’édition de 1937 des Protocoles des Sages de Sion17 du régime. Il publie en 1950 son ouvrage Orientamenti [Evola 1950] destiné aux jeunes «qui ne s’étaient pas laissés entraîner par l’écroulement général» puis, en 1953, un essai intitulé Gli uomini e le rovine [Evola 1953] dans lequel il prône la mise en place d’un État organique au sein duquel le politique primerait sur l’économique. Il défend une conception antibourgeoise, héroïque et guerrière de la vie qu’il expose notamment dans son ouvrage publié en 1961, Cavalcare la tigre [Evola 1961], sumé pour le peuple au nom d’un antiégalitarisme qui nourrit son refus «mystique union d’hommes supérieurs» [Ferraresi 1984, 25]. Disciple d’Evola, Freda contribue, à partir de 1963, à donner un ca- 17 I protocolli dei Savi anziani di Sion, Rome, La vita italiana, 1937. PAULINE PICCO Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie 109 dre théorique à la violence physique militante qui constitue un référent fondamental pour l’extrême droite extraparlementaire, durant les années contribuant notamment à la vulgarisation de la pensée d’Evola. Mais il s’oppose fermement à une interprétation défaitiste du concept d’apolitia développé par Evola [Evola 1961], c’est à dire le refus de s’insérer dans le système politique de l’époque: il comprend l’engagement politique comme une «forme de vie héroïque», de «guerre sainte». On trouve en germe, dans la critique de Freda de Chevaucher le tigre, la tisystème, exprimée clairement dans , dont l’apport théorico-doctrinal est fondamental pour l’extrême droite en ce qu’il participe de son «décloisonnement idéologique» [Lebourg 2010, 45]. Un bref rappel chronologique est ici nécessaire pour comprendre dans quel contexte s’inscrit la parution de l’ouvrage majeur de Freda [Freda 1969]. L’année 1969 est marquée en Italie par la poursuite des contestations estudiantines et ouvrières de «l’automne chaud» et par la recomposition politique et idéologique de l’extrême droite. L’élaboration doctrinale de Freda, son discours antibourgeois, sont progressivement complétés par un discours anticapitaliste nourri d’un antisémitisme féroce qui, constitue un passage fondamental dans son itinéraire, comme le souligne Franco Ferraresi [Ferraresi 1995, 102]. À trême gauche devient net» [Panvini 2009, 41], Freda devient le prin- révolutionnaire de gauche et envisage d’en faire une synthèse avec la pensée révolutionnaire de droite, dans une stratégie de lutte contre le système. L’Europe serait, selon ses propos, «esclave des Etats-Unis et de l’URSS» [Freda 1969, 10]. Il propose non seulement un discours antibourgeois mais également anticapitaliste, et il formule l’hypothèse 110 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta d’une solidarité théorique avec l’extrême gauche, en lutte contre le «système». Guido Panvini souligne, à propos de cette stratégie qu’il n’est pas évident de tracer une «ligne de démarcation nette entre une réelle stratégie révolutionnaire et la mise en scène d’une provocation» [Panvini 2009, 100]. Freda inscrit son action au sein d’une logique subversive et appelle à la destruction du système par la lutte violente. Dans la deuxième moitié des années 1970, il a ainsi indéniablement contribué à l’accentuation des tensions politiques en donnant à une génération de jeunes militants d’extrême droite une réponse – l’appel révolutionnaire à la subversion du système – à des aspirations violentes que le MSI, parti parlementaire, ne pouvait et ne réussissait plus à contenir. Freda est l’un des seuls «leaders génération d’activistes qui, entrée en politique très jeune – souvent dès 14 ou 15 ans, passe à la lutte armée dans les années 1977-1978. L’approche générationnelle est ici particulièrement pertinente. Ces militants ture avec la génération précédente, tout en se réappropriant une partie du discours d’extrême gauche, celui du «spontanéisme armé» [Ferraresi 1995, 283] porté notamment par les Nuclei armati rivoluzionari dont les activistes ont été formés politiquement au sein du FUAN de via Siena à Rome18 [Ferraresi 1995, 306; Bianconi 2005; Cingolani, 1996]. L’extrême droite italienne se réapproprie, dans l’après-guerre, des mythologies fascistes qui contribuent à la formation d’une culture politique qui droite italienne d’après guerre est indissociable des formes les plus radicritiquant la pensée évolienne, Freda propose, dans les années 1970, aux jeunes militants des franges les plus radicales de l’extrême droite italienne 18 PAULINE PICCO Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie 111 un modèle violent de subversion du système: son ouvrage constitue un jalon théorique fondamental pour la génération qui fait, à l’extrême droite, le choix du passage à la lutte armée dans la deuxième moitié des années 1970. revues, maisons d’édition, tracts et bulletins internes et violence politique: diffuser un discours violent assurée par ces théoriciens d’extrême droite, elle l’est également par les revues et maisons d’édition étroitement liés aux groupes extraparlementaires de droite, principaux supports de la théorisation de la violence politique, auxquels s’ajoutent l’apport des bulletins internes de certaines organisations, ou encore les tracts revendiquant des attentats, essentielledu discours, le recours à l’action violente. groupe Ordine Nuovo19 aux articles traitant de la race, du racisme et de l’antisémitisme, elles se distinguent en cela de celles du MSI, qui, loin d’assumer l’héritage idéologique antisémite fasciste, défendent le «mythe du bon italien». Le 20 stico-sémite et le monde indo-germanique» , conceptions qui relèvent 19 Ordine Nuovo entre 1955 et 1971: «Ordine Nuovo» et «Noi europa». Nous avons eu accès à la collection complète des numéros de «Noi europa» et avons pu consulter quarante-cinq numéros d’«Ordine Nuovo, mensile di politica rivoluzionaria». Sur la base d’informations recueillies auprès de témoins et à la lecture de la revue, nous avons toutes les raisons de supposer que notre recherche s’est fondée sur l’étude des trois quarts environ des numéros parus. 20 paginé. Il “mito” razzista del nazismo, «Ordine Nuovo», I (1), 1955, non 112 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta e siècle, fondée sur l’antithèse entre sémites et aryens» tous les stéréotypes antisémites pour dénoncer la prétendue subversion juive. Le révolutionnaire, le banquier, le capitaliste juif, «l’internationale judéo-maçonnique» sont par la suite remplacés, à la faveur des indépendances nationales africaines et asiatiques, par une haine raciste qui se structure davantage autour de la dénonciation du spectre afro-asiatique. À partir de 1960, les articles sur la «menace» afro-asiatique, sur le «racisme nègre»21 l’impérialisme, sur le soutien aux luttes européennes en Afrique ainsi que sur le combat pour la défense de l’Occident occupent une place centrale au sein de la revue. Par un déplacement rhétorique habile qui voit «l’Algérie française» transformée en «Algérie européenne», Ordine Nuovo se réapproprie le combat OAS, et contribue à alimenter, en Italie, le mythe du légionnaire, le mythe du «para». Le mythe OAS, doublé de celui des «paras» de la Légion étrangère, perdure dans les années 1960 et sa postérité s’étend jusque dans les années 1970 où il réapparaît d’extrême droite. La culture du refus qui imprègne les mentalités des parlementaires de ce milieu explique en partie l’adhésion au mythe et l’écho qu’il trouve dans ses périodiques. La notion de résistance, qui se manifeste plus particulièrement à l’égard du «système», est ainsi au cœur de la construction politique et culturelle des individus qui gravitent au sein de l’extrême droite [Picco 2013, 152-201]. Ordine Nuovo se réapproprie également la notion d’Eurafrique, l’Afrique 21 , «Ordine Nuovo», VI (2), mai 1960, 68-72; Aryas, Colonialismo e imperialismo nella polemica con il PCI, «Ordine Nuovo», VII, février-mars 1961, 6-10; Graziani Clemente, dia e crisi della civiltà contemporanea, «Ordine Nuovo», VIII (1), mars 1962, 23-30. PAULINE PICCO Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie 113 étant considérée comme «l’espace vital»22 de l’Europe. Le groupe reprend à son compte le «problème africain»23 et refuse «d’abandonner» l’Afrique aux populations indigènes. Dans une perspective décadentiste évidente, ON développe un discours raciste qui vise à «défendre l’homme blanc» contre «un nouveau Poitiers»24 partheid d’Afrique du Sud et de Rhodésie dont ils réfutent le caractère intrinsèquement violent et discriminatoire25. C’est donc à une «communauté de combat» du peuple blanc contre le spectre fantasmé de l’invasion afro-asiatique qu’ON se rattache. discours centré sur la violence. Les éditions d’Ar de Freda, dès le milieu des années 1960 puis, au début des années 1970, les éditions Europa de idéologique violent. Les Éditions d’Ar réservèrent une place particulière à la traduction d’ouvrages antisémites et négationnistes: Freda joue un minario 2001b; Goldstaub 1996] tandis qu’il s’attache à republier les Protocoles des sages de Sion ou le Diario dal carcere de Codreanu [Codreanu 1970]26. Codreanu occupe d’ailleurs une place centrale au sein Contributo alla battaglia per l’Ordine Nuovo europeo, «Ordine Nuovo», VIII (1), mars 1962, 57-60. 22 23 , «Ordine Nuovo», VI (2), mai 1960. 24 , «Ordine Nuovo», X (5-6), juin-juillet 1964, 8. , «Ordine Nuovo», VI (2), mai 1960; Rauti Pino, , «Ordine Nuovo», X (5-6), juin-juillet 1964; , «Ordine Nuovo», X (5-6), juin-juillet 1964, 73; Il mondo indoeuropeo, «Ordine Nuovo», I (3), décembre 1970, 63. 25 Protocoles des Sages de Sion publiée après la Seconde Guerre mondiale en Italie. Protocolli dei savi anziani di Sion, Padova: Edizioni di Ar, 1971. 26 114 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta du panthéon militant de la jeune génération militante qui fait de l’action violente un mode d’action politique à part entière à partir de 1978. vendication et , le bulletin de liaison entre prisonniers politiques de modèles théoriques pour une frange militante qui a fait le choix, à la racistes, antisémites, qui témoignent de la violence de l’idéologie de cette frange radicale de l’extrême droite. Ces groupes sont toutefois loin d’assumer les pratiques politiques violentes qui accompagnent les «mots» qu’ils emploient et l’idéologie à laquelle ils se réfèrent. Pour le MSI comme pour les groupes extraparlementaires, les légitimations théoriques des pratiques de violence politique s’articulent, après 1969, autour de la construction d’un martyrologe d’extrême droite. légitimations théoriques des pratiques politiques: la construction d’un martyrologe (1969-début des années 1980) L’attentat de Piazza Fontana, le 12 décembre 1969, constitue indéniablement un tournant dans l’histoire de l’Italie d’après-guerre mais également dans l’histoire de l’extrême droite italienne. Dès lors, et jusqu’au début des années 1980, l’extrême droite parlementaire et extraparlementaire légitime le recours à l’action violente par une stratégie de victimisation systématique: condamnée au ghetto politique, l’extrême droite italienne ne s’adonnerait à la violence physique qu’en réponse aux attaques gauchistes et à la répression exercée par un système «pourri», «corrompu et corrupteur». Parallèlement, le MSI connaît, au début des années 1970, une mutation majeure de son message politique, des symboles qu’il véhicule et PAULINE PICCO Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie 115 mémoires qu’il invoque. La prise de fonction d’Almirante à la tête du parti, suite à la mort de Michelini au printemps 1969, entraîne la tranun «parti militant qui mise tout sur la mobilisation constante et sur sa capacité à contrôler la rue» [Ignazi, 1998, 145]. Le parti entretient, à l’égard du système politique, comme de l’usage politique de la violence, native au système» tandis qu’il participe aux consultations électorales et le; il exalte ses militants au courage et insiste sur la nécessité de contester la domination de la rue par les forces de gauches mais se défend d’exalter le recours à la violence. C’est en réalité le tiraillement d’un parti entre insertion dans un système parlementaire et une aspiration révolutionnaire toujours invoquée, jamais abandonnée et qui implique l’usage de la violence qui est ainsi mise à nue. Les discours de Giorgio Almirante, ve d’une identité écartelée. Lors du cours de formation des jeunesses du parti organisé par le MSI à Cascia en 1970, Almirante aurait, lors de son discours d’ouverture adopté «un ton explicitement révolutionnaire, justement pour donner la preuve à certaines forces économiques du Nord que le MSI est prêt à se battre dans les rues»27, contre les forces de gauche. sme, il n[e serait] plus possible de s’en remettre au consensus électoral, qui demeure désormais stationnaire, mais il [serait] nécessaire de passer à l’action directe avant que d’autres ne le fassent»28. Il ajoute qu’une telle action devrait «conduire à une véritable “révolution” qui fasse jaillir 27 di perizia del consulente Aldo Giannuli del 12 marzo 1997, Allegato 299, APP-mi, teriale su Brendao Eugenio, Santos Alberto, Munoz Alvarez», Nota segreta del SISMI, 15 settembre 1970 (Ga71). 28 116 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta des résultats analogues à ceux acquis en Grèce, Espagne et Portugal»29. siennes les aspirations des groupes les plus fervents de l’extrême droite, jusqu’ici désunis, au moins en apparence»30. Almirante, dont la teneur et adoucit ses propos quelques jours plus tard, «suscitant des doutes sur terme qui ne désignerait pas «un soulèvement violent de masse ou des expériences de type “squadriste”». Il envisagerait la révolution «dans le sens plus strictement politique et organisationnel du terme, c’est à dire un renouveau moral» pour le pays et sa jeunesse31. L’auteur de la note du (SISMI) souligne le «changement de langage du parlementaire et ses précisions plus modérées» qui ont «donné l’impression qu’il a été frappé par les réactions négatives suscitées dans l’opinion publique et dans les milieux politiques 32 . C’est toute l’ambigüité du rapport du MSI à la violence, invoquée en privé, réfutée en public, qui apparaît ici. L’ambiguïté fondamentale du parti à l’égard de l’usage de la violence ne l’empêche pas de se doter, dès 1963, d’une structure militante paramimanifestations et autorisée à faire usage de la violence. L’existence des volontari nazionali est symptomatique de la double ambivalence du MSI à l’égard de l’action violente et à de ses franges extraparlementaires33. Di29 30 teriale su Brendao Eugenio, Santos Alberto, Munoz Alvarez», Nota segreta del SISMI, 23 settembre 1970 (Ga71). 31 32 33 PAULINE PICCO Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie 117 rigée par Alberto Rossi, cité en première partie, la nouvelle organisation «naquit sur l’impulsion explicite du secrétaire national Michelini avec de “garde prétorienne” directement à ses ordres, service d’ordre lors des congrès»34. La vacance du pouvoir suscitée par la maladie de Michelini permet aux volontari nazionali de s’adonner à l’envi à l’usage de la violence, avant la reprise en mains opérée par Almirante dès son accession de contrôle, à les renforcer et il donne, pour ce faire, «la charge au prof. Signorelli, [personnalité subversive s’il en est au sein de l’extrême droite italienne] d’organiser des équipes spéciales et secrètes, avec pour mission 35 . C’est donc bien une structure meut Almirante. Sans prétendre faire du MSI une centrale du terrorisme noir, il n’est pas exclu qu’une partie des militants d’extrême droite qui tion violente des volontari nazionali. Almirante se défend des accusations qui portent sur l’extrême droite et son usage de la violence en faisant des distinctions de vocabulaire qui paraissent peu convaincantes. Aux «guerriers» de gauche, il oppose les «combattants» de droite qui se réclament de la tradition de «l’arditismo», en opposition avec le «vandalisme et le terrorisme». Selon lui, «l’arditismo [serait] volontaire non mercenaire, […] ouvert non clandestin, cho- di perizia del consulente Aldo Giannuli del 12 marzo 1997, Allegato 167, APP-mi, fascicolo «MSI», Nota da fonte Aristo del 7 novembre 1963. zione di perizia del consulente Aldo Giannuli del 12 marzo 1997 (incarico del 21 01 1996), 186. 34 35 zione di perizia del consulente Aldo Giannuli, 12 marzo 1997, Allegato 182, APP-mi, bilmente del febbraio 1971), non protocollato. 118 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta généreux et courageux, il ne se dédie[rait] ni à la méthode de la violence systématique, ni à l’embuscade, au vandalisme, au terrorisme». Si Almirante constate qu’une «véritable guerre civile» est en cours dans le pays, il défend ses jeunes militants d’en être responsables par un subterfuge rhétorique plus que douteux36. L’état de «guerre civile» supposé violentes perpétrées quotidiennement à Milan ou Rome par ses militants les plus actifs. En outre, la violence, est systématiquement théorisée comme défensive tout en en appelant à l’exaltation d’un idéal viril constitutif de la construction identitaire d’extrême droite. Imputer la violence au système participe d’un processus de victimisation prégnant dans la rhétorique et cieraient des protections judiciaires ou étatiques. En décembre 1969, un bulletin interne d’Ordine Nuovo de droite» destinée à pallier les carences de la défense mise en place par l’État contre l’extrême gauche. Le texte ajoute «par rapport à d’autres, dans le milieu de la criminalité politique et sociale, nous sommes des débutants, timides et ingénus qui ont encore beaucoup, mais beaucoup à apprendre!»37. Le texte n’est pas dénué d’une certaine ironie lorsque l’on sait que ce sont de véritables arsenaux qui furent saisis en 1966-1967 par la police italienne dans le Nord de l’Italie auprès de militants d’Ordine Nuovo38 et que le groupe fut directement impliqué dans la strage de 36 ROS Roma, Discorso ai giovani del segretario nazionale Almirante. 37 Freda, nella sede delle Edizioni di Ar di Freda, nella dimora di Freda, nella libreria Ezzelino di Padova, busta 26, , Bollettino interno del centro studi «Ordine Nuovo» del MSI, I (7), dicembre 1969. 38 DCPP, Archivio di Gabinetto, Lettera «riservata personale doppia busta» del ministero PAULINE PICCO Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie 119 Piazza Fontana en 1969. L’arrestation de Freda puis de Rauti sont ensuite au prix d’un renversement rhétorique et symbolique particulièrement ignoble que l’extrême droite tente de se disculper des accusations qui pèsent, à juste titre, sur elle. En réponse à cette persécution d’un «antifascisme militant» et à la ghettoïsation dont ils s’estiment les victimes, l’extrême droite construit progressivement, tout au long des années 1970, un véritable martyrologe qui viserait à rappeler, face aux silences du système, les victimes oubliées du système et du gauchisme. C’est un panthéon militant qui se constitue detta è sacra», l’un des ressorts fondamentaux de l’action violente39. Les tracts de revendication d’homicides perpétrés par les Nar de 1978 à 1982 témoignent de l’importance de la vengeance et des relations personnelnat du magistrat Mario Amato est sur ce point, tout à fait explicite. Ses mum qu’[ils] puiss[ent] faire est de venger les camerati tués ou en prison […] parce que la vengeance est sacrée»40. La nature des actions violentes celles des générations précédentes. L’extrême droite, parlementaire et extraparlementaire est marquée, des années 1950 au début des années 1980, par la prégnance de discours et de pratiques violentes, qui sont fondamentalement constitutifs de son identité. Tandis qu’elle se réapproprie un héritage fasciste particulièrement violent, elle se réfère également, sur le plan organisationnel, aux dell’Interno, DGPS, div. AA. RR, Sezione Terza ai signori questori della Repubblica, 17 maggio 1966, (Ga95). 39 point, particulièrement explicites. 40 120 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta modèles de l’OAS ou, plus tard, à celui du Cuib de Codreanu41. Si le discours et l’action violentes sont relativement assumés par les militants de ses franges extraparlementaires, comme en témoigne l’exemple d’Avanguardia Nazionale ou d’Ordine Nuovo, dans son soutien aux luttes des peuples de «race blanche», il n’en va pas de même au sein du MSI, qui s’attache progressivement à se détacher de l’héritage fasciste et se pose en parti de l’ordre. Cette stratégie électorale est toutefois mise à mal par l’ambiguïté fondamentale que le parti entretient avec la violence, systématiquement théorisée dans sa version défensive. Malgré ces les prouesses rhétoriques d’Almirante, le parti voit ses franges les plus radicales lui échapper et faire de la lutte armée, la principale expression de sa violence politique. reference list Audigier F., Girard P. (eds.) 2011, , Paris: Riveneuve éditions. Bianconi G. 2005, scista quasi per caso, Milano: Baldoni Castoldi Dalai, (3° ed.). Bidussa D. 1993, Il mito del bravo italiano, Milano: Il Saggiatore. 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La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta , il «movimento ’77» visto dalla stampa francese Margherita Morini Univ. Bologna, Dipartimento di Storia Culture Civiltà L’articolo analizza le percezioni e le rappresentazioni della stampa francese rispetto al «movimento ’77» in Italia. Si indagherà secondo quali immagini e attraverso quale lessico il fenomeno contestatario italiano è stato recepito nella sfera pubblica oltralpe. Con l’emergere di alcune tematiche, su tutte quella relativa alla violenza politica, metteremo in evidenza il sovrapporsi della sensibilità e delle culture del contesto che le recepisce. Gli avvenimenti europei contemporanei agli eventi, diventeranno quindi termini fondamentali con i quali confrontare la nostra analisi. The paper investigates how the French press represents the Italian «movement of ’77». Firstly, it focuses on the images and the vocabulary used to describe this phenomenon. Second, the article demonstrates the overlapping between some specific topics, in particular political violence, and the French social context which assimilates them. Then the contemporary European events will become the basic terms to compare our analysis. 124 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta introduzione Paris mars 1977. La France s’ennuie, les travailleurs travaillent, les étudiants étudient. Paris est aussi triste que les temps gris gris1 L’Italie, qui n’a jamais été aussi politisée, bouillonne de passions2 di febbraio Luciano Lama, il segretario della più grande organizzazione sindacale italiana (CGIL), è stato espulso dall’università di Roma. Gli Indiani metropolitani invadono le strade con il viso dipinto, l’esperienza delle radio libere è nel pieno della propria espansione, un diverso linguaggio rompe i codici linguistici tradizionali, destruttura l’abituale sti, sui muri. L’11 marzo a Bologna, nel corso di alcuni scontri tra manifestati e forze dell’ordine vicino all’università, lo studente Francesco Lorusso, militante di Lotta Continua, viene ucciso. In Italia aveva preso forma un movimento di giovani eterogeneo e ambiguo. In Francia, [Sirinelli, Vandebussche, Vavasseur-Desperriers 2003]. Al centro di questa ricerca è stato messo l’interesse della stampa francese per la particolarità del contesto italiano e le percezioni che oltralpe si ebbero di quello «strano movimento di strani studenti»3. La ricerca si basa sullo spoglio giornaliero di alcuni dei principali organi d’informazione francesi. Inizialmente si è proceduto attraverso l’analisi di Le Figaro e di Le Monde, rifacendosi al criterio della maggior tiratura e 1 2 L’exemple italien, «Libération», 3 Mars 1977, 2. «Eppur, si muove...», «Le Monde», 6/7 Mars 1977, 3. 3 condizione della precarietà il connotato fondamentale della massa giovanile che animava le contestazioni [Lerner, Manconi, Sinibaldi 1978]. MARGHERITA MORINI Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese 125 della maggior vendita dei quotidiani su scala nazionale [Eveno 2010]. Successivamente si è scelto di ampliare l’orizzonte d’analisi alla presse périodique. Non si può infatti dimenticare il grande successo di vendita e l’importante spinta al rinnovamento del sistema d’informazione francese, di cui gli hebdomadaires furono protagonisti. Mentre i quotidiani erano fortemente in crisi, ispirandosi al modello dell’americano Times, i settimanali d’approfondimento vissero un momento di forte espansione e dinamicità sia a livello di rinnovamento della propria produzione, sia a livello di allargamento del proprio pubblico. Secondo i criteri della magsono analizzati L’Express, Le Nouvel Observateur e Le Point. I giornali e i periodici citati si contraddistinsero per una linea editoriale indipendente, al di fuori della stretta connotazione ideologica, che invece caratterizzava la presse militante e quella d’opinion nel trattare il tema scelto [Blandin 2007; Daniel 1988; Devreux, Mezzasalma 2004; Jeanneney 2001; SaintVincent 2006; Thibau 1978]. Come contraltare al puro carattere inforvisione anche de L’Humanitè, di Libération, di Rouge e de L’Humanite Rouge. Questi quotidiani esprimevano posizioni profondamente diverse in merito a quello che stava succedendo Oltralpe. Ognuno secondo la propria inclinazione, rappresentavano le sensibilità del mondo partitico e movimentista orientato a sinistra, maggiormente toccato dall’esperienza italiana del ’77 [Samuelson 1979]. , anche quella oltralpe ricerca dalle prime contestazioni studentesche un paragone con i fatti avvenuti nel maggio 4 dell’ordine e manifestanti avvenuti nel marzo, il confronto con il maggio si pone come paradigma interpretativo della contestazione italia- 4 [2006, 22]. 126 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta na. Le numerose testimonianze degli animatori stessi del «movimento» rimarcano la radicale alterità rispetto alla mobilitazione di nove anni prima. La netta consapevolezza di trovarsi davanti a un contesto sociascontro frontale di alcune sue componenti. L’immagine della presunta continuità tra la contestazione del ’68 e il fenomeno del ’77 ricercata oltralpe, viene decisamente meno con l’assassinio di Francesco Lorusso. Se dunque si ha l’impressione che «con le giornate di marzo il fossato [tra movimento e altri soggetti sociali] scavatosi nel febbraio viene riempito, non solo metaforicamente, da una insormontabile barricata» [Grispigni 2006, 38], la percezione che se ne ha in Francia è la medesima. Fino all’uccisione del giovane militante di Lotta Continua, lo spazio d’analisi è occupato dall’esplosione della contestazione in tutte le sue sfaccettature: gli studenti, les indiens con il volto dipinto e le componenti più vicine all’Autonomia organizzata. Mentre il contesto italiano si de, «le vieux fond anarchiste remonte sous toutes les formes, pittoresques ou violentes, de la dérision et de l’agitation à la base»6. 5 del mondo contestatario. Quelle anti-autoritarie, creative e desideranti, criticano attraverso il linguaggio e il comportamento le categorie stesse della politica. Quelle più orientate dall’ortodossia marxista avevano rie7 . Con il corso del tempo questa compresenza scompare. L’immagine dei «cousins italiens de Mai 68», che dall’inizio di febbraio «animent la De graves incidents à Rome ont mis aux prises forces de l’ordre et extrémistes de gauche et de droite, «Le Monde», 4 Février 1977, 3. 5 6 «Eppur, si muove...», «Le Monde», 6/7 Mars 1977, 3. 7 Nouvel Observateur», 12 Mars 1977, 49. Révolte à l’Italienne, «Le MARGHERITA MORINI Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese 127 révolte des universités comme une commedia dell’arte8», viene progressivamente oscurata. Prendono sempre maggior spazio le cronache della contrapposizione frontale con il Pci, con le forze di polizia, con l’estrelizzo della violenza. La consapevolezza che quello che stava accadendo oltralpe non era l’espressione di un «printemps romain», ma piuttosto di un «automne dans toute l’Italie9», si accompagna alla descrizione della composizione sociale del «movimento» e delle pratiche messe in atto per la sua espressione. Nel corso del seguente articolo vedremo come, lungo tutto il 1977, sempre con maggiore attenzione e crescente interesse [Argenio, 2014], una serie di immagini e di percezioni sono utilizzate nella sfera pubblica francese per cogliere il fenomeno italiano nella sua particolarità [Som’77 non possa essere ridotta ad un semplice fenomeno preliminare alla radicalizzazione della violenza politica sviluppatasi in Italia nell’ultimo triennio degli anni Settanta10. Allo stesso tempo però, per la sua composia dal punto di vista concreto, dei protagonisti che vi presero parte, sia dal punto di vista teorico, rispetto alle rivendicazioni e alle istanze di cui si faceva portatore. É all’interno di questa complicata rete, composta da punti di contatto e vicinanza tra idee, militanti e pratiche, ma anche da dell’illegalità di massa e della violenza [Falciola 2013]. Questi fattori, soprattutto in rapporto ai media [Dondi 2008], tendono ad egemonizzare e oscurare le ragioni e le istanze «altre» di quello «strano movimento». È proprioin relazione ad alcune tematiche, quali la violenza politica e la 8 9 1 e 8. 10 Les Cousins italiens de Mai 68, «L’Express», 14 Mars 1977, 100. L’Italie des travailleurs et celle des «exclus», «Le Monde», 13/14 Mars 1977, 128 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta risposta dello Stato, che risultano evidenti il gioco di specchi, l’intreccio e il sovrapporsi della sensibilità e delle culture del contesto che le recepisce [Della Porta 1995; Tarrow 1995]. L’esperienza e lo scenario non solo francese, ma anche europeo contemporaneo agli eventi, diventano dunque termini fondamentali con i quali confrontare l’analisi della percezione francese [Lazar, Matard-Bonucci 2010]. Sfera pubblica Per lo svolgimento di questa ricerca si sono rivelate particolarmente utili le osservazioni che preliminarmente analizzano la sfera pubblica in quanto spazio fondamentale per i processi di formazione dell’opinione. Se pensiamo alla sfera pubblica come a un «sistema di intermediazione tra cittadini e sistema politico» [Tolomelli trollo nel rapporto tra Stato e Società», risulta importante focalizzare l’attenzione sugli aspetti che ne caratterizzano il funzionamento e l’organizzazione in una moderna società democratica [Anania 2008, Habermas 2011, Tolomelli 2006]. Considerando quindi l’opinione come un fenomeno socialmente costruito [Braud 2000, Laborie 1988], collettivo e dinamico, che si caratterizza come un aggregato di sentimenti e di attitudini davanti a un evento [Delporte, Mollier, Sirinelli 2010, 584-588], la nostra attenzione si indirizza naturalmente verso i sistemi di rappresentazione e di comunicazione attraverso i quali i fatti sono costruiti, trasmessi e ricevuti. Per questo motivo si è scelto, nella ricerca, di dare importanzaall’analisi del discorso pubblico costruito sui media, utilizzando come fonte di primaria importanza l’analisi della stampa. Pci e «movimento»: lo scontro frontale A partire dalla seconda metà del marzo 1977 appare in primo piano la questione della violenza. Centrale diviene la descrizione del tentativo d’isolamento dell’Autonomia operaia e di riassorbimento della contestazione da parte della sinistra istituzionale e dell’estrema sinistra. Il «movimento» non sembra però essere disposto a pagare il prezzo dell’abbandono della sua autonomia ideologica, politica e di lotta, seppur conservando forti contraddizioni. L’innalzamento del livello dello scontro può essere considerato uno dei MARGHERITA MORINI Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese 129 fattori che contribuisce a creare fratture sempre maggiori all’interno del fenomeno contestatario e al progressivo allontanamento della partecipazione al variegato milieu dell’autonomia sociale. In maniera direttamente proporzionale, le azioni dell’Autonomia organizzata, nelle sue varianti romana, padovana e milanese, si impongono e oscurano altre manifestazioni [Grispigni 2006, 42-43]. L’attenzione francese infatti si focalizza anime del «movimento». Questo è ridotto a strumento e contenitore di un’aspra opposizione nei confronti del Pci; mentre sembra opportuno sottolineare che, per la novità della sua composizione sociale, di fatto si proponeva praticamente e teoricamente come «altro» rispetto ai modelli classici d’azione politica. Se possiamo condividere l’idea che il ’77 in Italia fu caratterizzato da una contrapposizione esplicita e frontale tra il Pci e un movimento sociale [Grispigni 2006, 23], la ricezione di questo aspetto sembra essere la chiave interpretativa prediletta dalla stampa francese. Già a partire dal febbraio, a seguito della «cacciata» di Lama dall’unicaratteristiche di primo piano. Nelle settimane seguenti la contrapposizione al «compromesso storico» e alla torre eburnea della politica delle – e nelle – istituzioni, la cronaca delle giornate dell’11 marzo a Bologna «movimento». L’aspetto dell’analisi sociale ed economica degli «esclusi», componente femminista, le voci che si levano «pour réclamer moins de discours, moins d’idéologie, “une nouvelle façon de faire de la politi11 vengono progressivamente adombrati per focalizzare l’attenzione sulla radicalità delle posizioni delle parti coinvolte. 11 8. L’Italie des travailleurs et celle des «exclus», «Le Monde», 13/14 Mars 1977, 130 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta L’attenzione per la violenza degli scontri ci restituisce l’idea di due fazioni opposte: da un lato la compattezza dei partiti politici nella denuncia degli atti violenti e, dall’altro, le immagini delle «barricate» del «movimento» e del gesto a indicare la P38, che si alzano entrambe contro la repressione dello Stato. Il lessico usato dalla stampa francese tende ad enfatizzare e a sottolineare la radicalità di questa contrapposizione: rimanda alla sfera semantica della battaglia, le città sono sotto assedio, il «movimento» si avvale di pratiche di guerriglia, le manifestazioni si traducono in battaglie frontali12. Les visages masqués delle cronache non sono più quelli degli indiani, ma quelli dell’Autonomia operaia. Il dibattito interno al Pci riportato da inizio febbraio, sulle necessità di autocritica rispetto alla posizione nei confronti del movimento studentesco13, scompare di fronte alla necessità di condannare le violenze e di fronteggiare quella «menace de désordre» che già il corrispondente di Le Figaro sottolineava con evidente condanna a inizio marzo14. Quello che dunque traspare dalle analisi è soprattutto un’incomprensione di fondo tra due mondi e una sostanziale incomunicabilità. In modo particolare, la polarizzazione viene veicolata dalle notizie riportate da quei quotidiani o settimanali più vicini al Pci e al «movimento». All’interno delle innumerevoli espressioni utilizzate per descrivere i fatti legati al contesto italiano, spicca un reiterato ricorso all’immagine cui quest’espressione è entrata in circolazione in Italia, oltralpe essa non indica solamente una nuova ondata di violenza politica destabilizzante 12 La bataille de Rome, «Libération», 14 Mars 1977, 1, 8-9; Padovani M., Le temps des enragés, «Le Nouvel Observateur», 22 mars 1977, 35; Solé R., «Vive le sacrifice!», «Le Monde», 25 Mars 1977, 5 e Lancontre R., Italie: situation pré-révolutionnaire, «Le Figaro», 16 mars 1977, 13. La direction du P.C.I. Fait l’autocritique de sa politique étudiante, «Le Monde», 22 Février 1977, 5. 13 14 1 Mars 1977, 13. Italie: la contestation étudiante inquiète le parti communiste, «Le Figaro», MARGHERITA MORINI Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese 131 allo scopo di favorire l’instaurazione di un regime di tipo autoritario. «Strategia della tensione» è declinata in «stratégie de la terreur», con riferimento a tutte le azioni di stampo violento eindica l’accusa principale che il Pci muove nei confronti del «movimento»15. Se osserviamo gli ambienti che potremmo ricondurre alla sinistra del Pcf, la percezione dell’incomunicabilità e dell’incomprensione tra Pci e «movimento» si esplicita nella narrazione degli scontri contro i poliziotti, contro l’austerità e il compromesso storico16. Se osserviamo invece le pagine dell’Humanité, do movimentista» italiano, si riporta la condanna da parte del partito di democratica contro i lavoratori, contro i sindacati e contro i comunisti, celata sotto il malcontento e le inquietudini legittime degli studenti17. La litico tra le due parti, viene trasmessa attraverso il dualismo democrazia/ resistenza. Si nota ad esempio come lo shock legato ai disordini di Bologna, vetrina del comunismo emiliano, sia interpretato dalla sinistra tradizionale nei termini di un attacco diretto alle istituzioni: il compito del Pci è quello di presidiarle e vigilare sull’ordine democratico. Il 16 marzo, giorno nel quale nel capoluogo emiliano si tiene una manifestazione indetta da Pci e sindacati, e a cui partecipano unitariamente tutti i partiti dell’arco costituzionale, al «movimento» viene negato l’accesso in piazza. Antoine Acquaviva, corrispondente in Italia per l’Humanité, introduce la giornata collocando idealmente da un lato «des P38 et un projet inavouable»18, dall’altro «des hommes, des femmes, de tous âges, de toutes confessions, 15 Le temps des enragés, 27 Mars 1977, «Le Nouvel Observateur», 35. L’absence du PCI, «Libération», 14 Mars 1977, 8-9; Id., Le Pci en appelle au maintien de l’ordre, «Libération», 16 Mars 1977, 9. 16 17 18 La révolte des étudiants, «l’Humanité», 14 Mars 1977, 11. Italie: les P.38 et les hommes, «l’Humanité», 16 Mars 1977, 9. 132 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta d’opinions diverses, invités à se dresser dans un même élan contre un retour éventuel à un passé, lequel, malgré le prénom du “Duce” qui l’incarnait (Benito Mussolini), n’avait rien de bénir et ne fut nullement une bénédiction pour les Italiens». Contro la «violence subversive» e le azioni 19 », per sottolineare lo sforzo di riassorbire il «movimento» in una prospettiva comune ad operai e lavoratori. L’analisi è incentrata sul saldo ruolo del Pci, schierato a difesa di un’idea di democrazia opposta, senza alcuna esitazione, a quella della violenza scandita dai cortei del «movimento» e praticata dal «partito della P38». Al contrario, negli ambienti gauchisti, assumono una certa rilevanza la problematica e il ruolo delle radio libere, sulle quali si concentra spesso l’attenzione della stampa francese. Mezzi d’espressione trasversali del «movimento» nelle diverse città, Radio Città Futura e Radio Alice sono i simboli della resistenza contro cui si scaglia la manovra di controllo del ministero dell’interno, intento a varare nuovi pacchetti legge «liberticidi» volti al ripristino dell’ordine20. Al centro della critica è esplicitamente il ruolo del Pci e il compromesso storico. La rivolta studentesca infatti rimette in causa tutta la politica dei partiti. In modo particolare si scaglia contro il governo «Berlingotti»21 19 1977, 8. Italie: la puissance pacifique des travailleurs, «l’Humanité», 19 Mars L’épreuve de force le pouvoir et les radios libres, 16 Mars 1977, 9 e Calvi F., Italie: le gouvernement envisage de nouvelles mesures répressives, 19 Mars 1977, 10 entrambi «Libération». 20 21 Andreotti. All’indomani delle elezioni del 20 giugno 1976, la Democrazia Cristiana, confermandosi nuovamente come primo partito, si poneva alla guida di un governo parte dell’esecutivo monocolore democristiano, si impegnavano a non provocarne la caduta, a patto di essere consultati rispetto alle politiche governative. Da questo accordo, nelle manifestazioni, i cortei della contestazione inneggiavano al nome di Berlinguer a quello di Andreotti attraverso lo slogan «Berlingotti». MARGHERITA MORINI Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese 133 economico e sociale di cui i comunisti vengono ritenuti sostenitori. Rispetto alla questione delle violenza, Libération sottolinea come potrebbe essere il carattere militare e politico di alcune azioni dell’area dell’Autonomia organizzata a spaccare il «movimento». Le cronache delle assemblee generali riportano questa frattura interna, anche se la noranza. La questione della violenza divide. Le divisioni non fanno altro che procrastinare le decisioni e lasciare spazio all’azione autonoma. Si esprime dunque, sulle pagine del giornale più vicino al ’68 francese, come la rottura della vetrina del compromesso storico mostri il modo in cui i sindacati siano concentrati solamente nella difesa di quelli che 22 , e mostri inoltre, l’inadeguatezza del Pci, «partagé entre le souci de garder le contact avec le “mouvement des exclus” et sa volonté de faire respecter” l’ordre démocratique et républicain”»23. La stessa condanna politica e strategica alle scelte del Pci viene lanciata dalla presse militante trotzkista e maoista. Nella visione radicale dell’Humanité Rouge [Bourseiller 2003], la «juste violence révolutionnaire» è l’unica scelta da compiere per contrapporsi al revisionismo e al socialfascismo del Pci e delle organizzazioni sindacali24. Nelle pagine di Rouge, non – di dare risposte soddisfacenti alle nuove problematiche del lavoro e dell’occupazione25. L’analisi è ancora una volta ridotta alla portata politica e allo scontro con il Pci. La grande attenzione posta al richia- 22 Rome: nouveau face à face, «Libération», 24 Mars 1977, 11. 23 Le Pci en appelle au maintien de l’ordre, «Libération», 16 Mars 1977, 9. L’Italie est proche, 17 Mars 1977, 2 e Le PCI avec les Flics, «l’Humanité Rouge» 18 Mars 1977, 2. 24 25 Quels liens avec le mouvement ouvrier?, «Rouge», 8 Mars 1977, 3. 134 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta mo della necessaria unità tra studenti e lavoratori [Salles 2005] sembra non far cogliere la radicale alterità professata dal «movimento» stesso. In modo simile a quanto osservato per l’Humanité, la violenza viene vista, anche in questo caso, come una variante, messa in atto da parte di alcune componenti deviate dello Stato, della «strategia della tensione»26 e come ostacolo principale all’unitarietà della componente operaia e studentesca. Il pericolo per il condizionamento delle azioni minoritarie e avventuriere è molto elevato27. ordine pubblico, violenza politica e paradosso italiano «La France n’est pas l’Italie, et les révoltes continuent à jouer un rôle marginal dans la vie sociale française»28. La particolarità italiana, descritta con una certa frequenza, non poteva essere paragonata con il contesto francese, dove, non solo la discontinuità con il ’68 era evidente, ma l’esercizio della violenza politica era relegato a atti individuali e isolati dell’ultra-gauche. La sua teorizzazione inoltre non aveva nulla a che fare con l’ambiente politico e culturale dell’autonomia [Artières, ZancariniFournel 2008; Zancarini-Fournel 2008]. L’importante copertura mediatica data al «movimento» da tutte le fonti maggio. Il carattere di accresciuta violenza che connota queste giornate, lità praticata da alcune frange dell’autonomia fa cambiare segno alla Les obsèques de Francesco Lorusso se sont déroulées dans Bologne en grève, «Rouge», 15 Mars 1977, 3. 26 27 e 3. 28 Le samedi de révolte des étudiants italiens, «Rouge», 14 Mars 1977, 1 La France n’est pas l’Italie, «Libération», 7 Juin 1977, 4. MARGHERITA MORINI Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese 135 descrizione della révolte à l’italienne. In primo luogo si riduce lo spazio concesso ai protagonisti stessi del «movimento», mentre rimane costante la tendenza ad enfatizzare la quotidianità di una violenza praticata, che crea uno scenario di guerriglia urbana. Nonostante l’analisi della violenza proveniente dal «movimento» e dall’Autonomia organizzata venga sempre tenuta distinta rispetto a quella praticata dai gruppi armati, si sovrappone la percezione simultanea dei diversi fenomeni. Si parla infatti di «trois formes de violence (criminelle, terroriste et contestataire)»29. Caratteristiche costanti sono: la ricorrenza della formula «stratégie de la tension» e l’emblema della foto del giovane autonomo mascherato che spara durante gli scontri del 14 le, sia rispetto alle posizioni dei partiti, del ministro degli Interni e del governo, impegnati nel preservarlo e tutelarlo, sia rispetto alle tematiche interne al «movimento», che lo declinano in chiave di risposta repressiva [Della Porta 1995; Della Porta D., Reiter H. 1998; Falciola 2013]. In azioni e delle istanze dell’area più vasta dell’autonomia: l’innalzamento del livello di scontro le oscura e tende a far eclissare le rivendicazioni e la soggettività di un intero movimento. In secondo luogo, eccezione fatta per la stampa più vicina alla sensibilità comunista, osserviamo la critica e le perplessità condivise, con toni più verno, alla costante dialettica e al rapporto tra Pci e Dc, al ruolo dell’opposizione che viene eclissata o giudicata essere stata lasciata in mano ai movimenti estremisti30. Al centro dunque la consapevolezza di una violenza politica crescente in 29 La démocratie chrétienne déçoit ses partenaires, «Le Monde», 1 Juin 1977, 4. Les formations politiques sont impuissantes face à la montée des désordres, «Le Monde», 18 Mai 1977, 2. 30 136 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta Italia, la sua normalizzazione nella descrizione di un clima di tensione, ma anche la contrapposizione sempre più marcata tra due Italie: una di palazzo e una di strada. La violenza sembra essere, oltre che manifestazione politica di una parte, anche un fattore esistenziale, naturale e connotato di una certa mancanza di progettualità, indagato e recepito come non indiscriminatamente legato, o in continuità, con i fenomeni della lotta armata. A tal proposito, ci sembra opportuno sottolineare che dalle pagine di Le Monde emergono alcune perplessità rispetto alla lenza. Secondo il corrispondente estero infatti, non è semplice cogliere la paradossalità della situazione italiana, nella quale i problemi di ordine pubblico e la crisi economica convivono con uno stile di vita tranquillo e normale di milioni di italiani. La descrizione apocalittica di alcune solamente nell’analisi di una delle facce di un paese profondamente contraddittorio31. Il paradosso, le continue contraddizioni e la distanza evidente tra contesto italiano e contesto francese non fanno diminuire l’interesse per la penisola. Questa sembra essere considerata dagli osservatori oltralpe come un laboratorio politico e sociale verso cui guardare per comprendere anche l’evoluzione possibile – o meno – della società francese. In questo un’immagine dell’Italia mediata rispetto ad un contesto «altro». L’ipotesi che spesso i giornali oltralpe «abbiano spiegato l’Italia con la Francia e la Francia con l’Italia» [Margotti 2003, 451-478], risulta ancora più evidente a partire dall’estate del 1977, quando alcuni settori delle sfere pubbliche dei due paesi si intersecano attraverso polemiche e dibattiti proprio sulla questione italiana. 31 MARGHERITA MORINI Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese 137 l’appello degli intellettuali francesi e la repressione in italia Le “socialisme à visage humain” à ces derniers mois, révélé brutalement une classe ouvrière et un prolétariat jeunes refusant de payer le prix de la crise d’un côté, projet de partage de l’État avec la démocratie chrétienne (la banque et l’armée à la D.C., la police, le contrôle social et territorial au P.C.I.) au moyen d’un véritable parti “unique”: c’est contre cet état de fait que se sont révoltés ces derniers mois les jeunes prolétaires et les dissidents intellectuels en Italie32. Il 29 giugno 1977, a pochi giorni dall’accordo per un programma limitato di governo tra i sei partiti dell’arco costituzionale, compare su Le Monde e indirizzata alla conferenza di Belgrado, per sensibilizzare l’opinione a proposito della repressione che si sarebbe esercitata in Italia «contre les militants ouvriers et la dissidence intellectuelle en lutte contre le compromis historique33». Gli intellettuali francesi attaccano frontalmente la scelta politica del compromesso storico, in quanto simbolo della nuova strategia europea del «socialismo dal volto umano»: da un lato il controllo repressivo delle spinte rivoluzionarie di giovani e operai e dall’altro la spartizione dello Stato con il partito reazionario di maggioranza [Dosse F. 2010]. La repressione e la criminalizzazione del dissenso diventano i temi principali attraverso i quali si sviluppa il discorso pubblico francese sull’Italia. Nella primavera precedente avevano già destato delle perplessità alcuni provvedimenti presi dal ministro degli Interni e dai prefetti in merito Une pétition sur la répression da Yvon Bourdet, Christian Bourgois, François Châtelet, Geneviève Clancy, Pierre Clementi, David Cooper, Gilles Deleuze, Michel Foucault, Gerard Fromanger, Philippe Gavi, Roger Gentis, Félix Guattari, Daniel Guérin, Georges Lapassade, Jérôme Lindon, Olivier Reault d’Allonnes, Denis Roche, Jean-Paul Sartre, Philippe Sollers, Jean-Marie Vincent. 32 33 138 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta ai divieti di manifestare imposti a Roma e a Bologna, all’azione contro alcune radio libere, alla risposta dello Stato e alla repressione poliziesca. Si erano incominciate a sovrapporre alcune immagini di una possibile somiglianza tra le pratiche della Germania Federale e quelle dell’Italia [Terhoeven 2012] 34. Inoltre, i temi della repressione e delle misure contro il terrorismo, inseriti nello scenario internazionale della Guerra Fredda, connessi alle problematiche del vicino Portogallo, della Germania Federale e della costruzione di una solida collaborazione tra i paesi dell’Europa occidentale, erano argomenti dibattuti anche all’interno di altri stati e inseriti all’ordine del giorno degli incontri interstatali europei35. Franco Berardi (Bifo) Insieme ad altri leader del movimento bolognese e animatori di Radio Alice, il 14 marzo ’77 Bifo veniva colpito da un mandato di cattura internazionale per istigazione a delinquere e partecipazione ad associazione sovversiva. Francesco Berardi, spostatosi prima a Roma e poi a Milano, si recò a Parigi dove, grazie ad una rete Moulier-Boutang e l’ambiente autonomo francese del gruppo Camarades, conobbe Felix Guattari. Il 7 luglio il magistrato bolognese Bruno Catalanotti, grazie anticipando la domanda d’estradizione da parte delle autorità italiane, grazie al ricorso dell’avvocato Georges Kiejman, la Chambre d’accusation parigina gli concesse la libertà provvisoria [Dosse 2010, 289-303]. A distanza di alcuni mesi, quando l’attenzione per il «movimento» e il contesto italiano sembrano in parte diminuire, l’intervento diretto degli Morte accidentale di tre anarchici? Reazioni della sinistra italiana alla «notte della morte di Stammhein», in Cornelißen C., Mantelli B., Terhoeven P. (eds.) 2012, Il decennio rosso. Contestazione sociale e conflitto politico in Germania e in Italia negli anni Sessanta e Settanta, Bologna, il Mulino, 295-327. 34 Aucun pays d’Europe ne peut se désintéresser de notre lutte contre la criminalité, «Le Monde», 13 Mai 1977, 7. 35 MARGHERITA MORINI Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese 139 intellettuali e la notizia dell’arresto a Parigi di Franco Berardi (Bifo), animatore di Radio Alice, fanno da volano per una serie di articoli, interventi e interviste sulla situazione italiana, che si prolungano per tutta l’estate del 197736. L’attenzione francese non si concentra più sulle cariche della polizia o sugli agenti in borghese durante le manifestazioni, ma sulle indagini delle procure italiane. In merito a tali argomenti, ad animare e a promuovere la discussione pubblica sono soprattutto lo stesso Bifo e Feun’Italia, dove forte era la repressione contro il dissenso politico, si sviluppa a partire dalle interconnessioni tra i due e dall’alto grado di esposizione e spazio mediatico che essi trovano. Guattari, punto di riferimento avvia a Parigi la formazione del Cinel: Collettivo di Iniziativa per Nuovi nella sensibilizzazione anche sui casi italiani. L’esperienza della radio liportante diviene il coinvolgimento francese nell’affaire Berardi. All’Italia un nuovo tipo di comunicazione nata dal, e nel, «movimento» contro . 37 di Bifo stesso38, l’analisi della situazione politica da parte dei commen- 36 ad alcuni giornali. In modo particolare sono Le Monde, Libération, Rouge e Le Nouvel Observateur 37 Radio Alice, c’est le diable!, «Libération», 5 Juillet 1977, 15. Le Monde: Boggio P., Sortir du rêve de la libération par le P.C.I, «Le Monde» 13 Juillet 1977, 2; cfr. la lunga intervista riportata su Rouge: Freiman D., C’est un “complot” contre la démocratie!, «Rouge», 26 Juillet 1977, 8 38 140 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta tatori esteri evidenzia, come uno dei problemi principali dell’Italia, la mancanza di alternanza parlamentare e di soluzioni che permettano un ricambio politico39. D’altro lato, a difesa dell’establishment italiano, ma soprattutto delle decisioni prese dal Pci, si levano, tra le altre, le voci di Renato Zangeri, sindaco di Bologna, città che, per la sua lunga storia ma come simbolo del compromesso e della risposta alla contestazione40 ed Ugo la Malfa, presidente del partito Repubblicano41. Tutti unanimemente invitano gli intellettuali francesi in Italia, per mostrare la «veri42 del senso comune. Inoltre a prendere parola sarà il ministro Cossiga che durante il mese di luglio renderà noto il numero di detenuti per violenza politica43. un lato le istanze del «movimento», fatto coincidere con l’ala trasversale e creativa dell’autonomia, dall’altro la risposta giudicata repressiva – o meno, a seconda del punto di vista adottato – dello Stato e del Pci, tradotta in concreto attraverso le indagini giudiziarie. L’attenzione per la questione della violenza dell’Autonomia operaia organizzata, i limiti e le divisioni che questa comportava all’interno del «movimento», sembrano scomparire dall’orizzonte interpretativo. Da luglio possiamo notare come la contestazione prodotta dal «movi- e Radio-Alice c’est le diable, «Rouge», 27 Juillet 1977, 8. 39 2. La Chambre discute l’accord des six partis, «Le Monde», 13 Juillet 1977, Que les intellectuels français viennent voir l’état de siège à Bologne» déclare au «Monde» le marie de la Ville, «Le Monde», 13 Juillet 1977, 2. 40 En prônant la rupture entre la DC et le PCI les intellectuels français veulentils la guerre civile dans l’Italie? Demande M. La Malfa, «Le Monde», 15 Juillet 1977, 2. 41 Un “comité démocratique et antifasciste” invite à Bologne les intellectuels français, «Le Monde», 16 Juillet 1977, 20. 42 43 Le ministre italien de l’intérieur publie le compte des détenus pour violence politiques, «Le Monde», 19 Juillet 1977, 26. MARGHERITA MORINI Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese 141 mento» venga, senza soluzione di continuità, rappresentata con le dichiarazioni rilasciate dagli attori coinvolti attorno all’appello degli intellettuali e al fermo di Bifo a Parigi, e presentata quindi come dissidenza al compromesso. Se nei mesi passati la dinamica della contestazione era descritta in termini di contrapposizione tra esclusi e garantiti dal mondo del lavoro, ora la prospettiva sembra in parte mutata. Non si parla più di esclusi, ma di dissidenti, contro un sistema che perseguita per motivazioni politiche e reati d’opinione44. Possiamo notare inoltre come la rappresentazione e l’analisi del rapporto sul programma comune tra PS, PCF e le dinamiche di politica interna alla Francia45. Le problematiche sollevate in estate sembrano contribuire a dare una rilevanza extra-nazionale alle tematiche italiane. L’episodio tizie relative alla situazione italiana però verranno oscurate dagli affaires Astudillo e Croissant46 che occuperanno, durante tutto l’autunno, il discorso pubblico francese. 44 Juillet 1977, 9. Un des animateurs de radio alice arrêté à Paris, «Libération», 9/10 Le compromis historique italien face à son opposition, «Libération», 22 Juillet 1977, 10-11. E ancora Freiman D., Euro-répression par l’Euro-communisme?, «Rouge», 16/17 Juillet 1977, 2 e Moravia: «Un appel schématique et provocateur», «Le Nouvel Observateur», 1 Août 1977, 37. 45 46 particolare di Andreas Baader, nell’estate del 1977 diviene protagonista di un caso giudiziario che coinvolge la Francia e la Germania Federale. Accusato dalle autorità tedesche di essere complice delle attività dei suoi clienti, colpito da alcune sanzioni professionali, Croissant sceglie nel luglio 1977 di lasciare il suo paese per recarsi in da parte delle autorità tedesche. La domanda, che sarà soddisfatta nel novembre dello stesso anno, suscita oltralpe una vasta mobilitazione a favore dell’avvocato e una grande attenzione da parte dei giornali. 142 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta il convegno di Bologna e l’autunno ’77 La polemica estiva sulla repressione in Italia, suscitata da alcuni intellettuali francesi, non si ferma sulle pagine dei principali giornali. L’ipotesi, ventilata durante l’estate, di una grande manifestazione dove darsi appuntamento per discutere le tematiche sollevate, prende forma concreta nel grande convegno nazionale sulla repressione organizzato a Bologna tra il 23 e il 25 settembre. In questi giorni, il capoluogo emiliano è invaso da tutto il composito universo del «movimento ’77», che aveva caratterizzato l’ondata contestataria ai suoi esordi: dall’Autonomia organizzata e dalla sinistra extraparlamentare, alla componente femminista, a ogni impulso autoritario, agli Indiani Metropolitani, agli omosessuali. Il «movimento» sembra essere tornato a manifestarsi nella sua magmaticità anche nella percezione francese. La vigilia della manifestazione è segnata dalle polemiche franco-italiane in merito al ruolo e l’atteggiamento del Pci e dell’amministrazione della città47. Felix Guattari psicanalista, militante politico d’estrema sinistra, riferimento teorico insieme a Gilles Deluze per il «movimento» e Maria-Antonietta Macciocchi, ex esponente del Pci, trasferitasi a Parigi dopo essere stata esclusa dalle liste elettorali per le politiche del 1972, professoressa di psicologia a Paris VIII, prendono nuovamente parola sulle pagine di Le Monde, ritornando sui temi dell’appello48. La «democrazia autoritaria» diviene centrale nell’analisi dei due. Il ragionamento è allargato a livello europeo. Si invitano non solo i marginali e i gauchisti, ma in primo luogo le diverse componenti - Bologne: la Mecque du terrorisme, «Le Figaro», 13 Septembre 1977; Solé R., La rentré s’annonce difficile pour les communistes et les démocrates chrétiens, «Le Monde», 14 Septembre 1977, 6; Étrange rendez-vous à Bologne, «l’Humanité», 23 Septembre 1977, 1 e 8 e Solé R., La municipalité de Bologne a demandé que les forces de l’ordre soient discrètes, «Le Monde», 24 Septembre 1977, 4. 47 48 Septembre 1977, 7. Au-delà du «compromis historique», «Le Monde», 21 MARGHERITA MORINI Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese 143 dro squisitamente nazionale, per coinvolgere «l’ensemble des militants socialistes et communistes de bonne foi». Gli interrogativi in merito alla politica d’alleanza con la borghesia, intrapresa da un certo numero di constituerait-il la forme la plus-achevée de l’intégration capitaliste?49». alla denuncia del luglio non sia sottesa un’analisi indistinta dei diversi di esercitare repressione50. Al contrario delle aspettative e dei timori della vigilia, il trascorrere delle logna en état de siège di marzo, in un palcoscenico per quello che viene descritto da un lato come un grande happening51, dall’altro come una lezione di democrazia e di dialogo impartita dal Pci, dal sindaco Zangheri e da tutta la città52. torna nelle pagine analizzate, anche la questione della violenza si rid’analisi. Di fronte all’accoglienza della città, il tema della repressione, motivo fondante del ritrovo di Bologna, sembra passare in secondo piano rispetto alla questione delle fratture interne che la scelta dell’esercizio della violenza provoca. L’isolamento e la presa di distanza dai sostenitori delle «camarades p38» non solo vengono auspicate, ma si pongono come 49 Un nouvel appel d’intellectuels français, «Le Monde», 24 Septembre 1977, 4; Solé R., M. Jean-Paul Sartre exprime sa solidarité aux manifestants, «Le Monde», 24 Septembre 1977, 4; Revel J.-F., Les parrains de la violence, «L’Express», 18 Septembre 1977, 93 e Sciascia L., Y-a-t-il une répression en Italie?, «Libération», 22 Septembre 1977, 10-11. 50 Le P.C.I. S’efforce de maintenir un climat de dialogue avec les contestataires, «Le Monde», 25/26 Septembre 1977, 5; Bouguereau J.-M., La Bologne du P.C.I est devenue la capitale des exclus, «Libération», 24/25 Septembre 1977, 8. 51 52 Leçon de démocratie à Bologne, «l’Humanité», 26 Septembre 1977, 10. 144 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta quesiti fondamentali per la prosecuzione del percorso movimentista53. Ci blematiche, diverse aspettative per una svolta politica del «movimento»: «L’impression générale est que l’avenir de l’extrême gauche italienne se joue pendant ces trois jours à Bologne. Réussira-t-elle à atténuer ses divisions pour constituer une grande force révolutionnaire à la gauche du P.C.I.?54». E ancora, «les journée de Bologne devraient être pour ce mou55 ». Il bilancio conclusivo del colloque è dunque, agli occhi della stampa francese, alquanto incerto. Al coro unanime che si leva rispetto all’atteggiamento di dialogo e di ospitalità dimostrato dall’amministrazione tuali, più centrali nella denuncia della repressione nella fase preparatoria. La conclusione della tre giorni inoltre, lascia invariata la frattura e la divisione di un fenomeno contestatario che si conferma non avere la forza di durare che lo spazio di una primavera56. Bologna è solo un fulmineo e intenso lampo [Grispigni 2006, 54; Ginsborg 1989, 516], simile nella sua rappresentazione al febbraio e al marzo 1977. A partire da ottobre, con il ritorno degli scontri di piazza, la trêve delle diverse anime del «movimento» si interrompe. Anche a livello di ricezione mediatica, le giornate di settembre sembrano essere le tappe conclusive di un percorso e di un tentativo di espressione delle forze di «tous ceux qui refusent la société actuelle, ne se reconnaissent pas dans le parti communiste et L’extrême gauche entre le P38 et la non violence, «Le Monde», 23 Septembre 1977, 1 e 6; Bouguereau J.-M., La Bologne du P.C.I. est devenue la capitale des exclus, «Libération», 24/25 Septembre 1977, 8. 53 Le P.C.I. S’efforce de maintenir un climat de dialogue avec les contestataires, 25/26 Septembre 1977, «Le Monde», 5 54 La Bologne du P.C.I. est devenue la capitale des exclus, «Libération», 24/25 Septembre 1977, 8. 55 56 MARGHERITA MORINI Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese 145 s’assimilent à des marginaux57», iniziato nel febbraio precedente. L’attesa per la nascita di una nuova opposizione viene spezzata, senza una prospettiva politica non sembra esserci altra alternativa che il ritorno alle armi58. La manifestazione di piazza coinciderà sempre più spesso con lo del giovane autonomo che spara negli scontri del maggio milanese. La violenza armata è messa al primo posto come problematica che riguarda l’Italia. Questa, espressa dagli opposti estremi, torna ad essere unica protagonista nella rappresentazione di un paese esasperato da quella più spazio d’espressione le istanze creative, le diverse forze e sensibilità, anche in contrapposizione tra loro, che avevano dato al «movimento» stesso un’ampiezza straordinaria. conclusioni Il «trinomio» violenza, repressione e ordine pubblico ha giocato un mento». Quando parliamo di violenza politica, non possiamo però non considerare quanto sia stata importante l’evoluzione del contesto italiano ed europeo. L’autunno 1977 è segnato oltralpe dal clamore suscitato da alcuni avvenimenti tedeschi: dal rapimento Schleyer al suicidio nel penitenziario di Stuttgart-Stammheim dei principali animatori della Raf (Rote Armee Fraktion). In Francia diviene centrale il discorso sull’affaire Croissant59, avvocato tedesco rifugiatosi oltralpe e successivamente estradato, molto 57 58 1977, 57. 59 Les quarante mille de Bologne, «Le Nouvel Observateur», 10 Octobre 146 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta discusso per il ruolo di difensore di Andreas Baader. Già nel 1977 possiamo notare come la pratica dell’estradizione, le sue implicazioni politiche e sul discorso pubblico assumono un’importanza particolare in relazione ai soggetti e alle azioni che riguardano il terrorismo e la violenza del 197960. Nell’autunno del 1977 l’attenzione è ancora incentrata sulle nuove azioni dei gruppi che praticano la lotta armata, a partire ad esempio dall’uccisione di Carlo Casalegno. Ad estendere il discorso pubblico sulla repressione e il terrorismo al più ampio livello europeo sono prima di tutto gli stessi intellettuali mobilitatisi per la questione italiana. Guattari, prendendo parola su Libération, volontà di coinvolgimento diretto dell’«opinione pubblica» francese in merito al caso Croissant61. Di fronte al «phénomène Baader» e al possibile emergere del fenomeno terroristico, secondo modalità ben più eclatanti rispetto alla violenza politica osservata in seno al movimento italiano, l’attenzione per un eventuale sviluppo europeo di questi fenomeni è alta. Assistiamo da un lato alla denuncia compatta ed esplicita delle pratiche del gruppo tedesco, dall’altro ad una altrettanto importante attenSchleyer e dall’affaire Croissantpotrebbero comportare. In questo quadro si inserisce la proposta, lanciata nel dicembre dello stesso anno, da parte del presidente della Repubblica Giscard d’Estaing per la costruzione di uno spazio giudiziario europeo62. affaire Croissant vedi, Israël L. 2012. Per un approfondimento del tema in contesto italiano si veda Malatesta M. 2012. 60 61 1977, 9. Felix Guattari écrit à Bernartd Henry Levy, «Libération», 8/9 Octobre 62 da quello che viene considerato un restringimento del diritto d’asilo, fondamentale per la storia politica della Francia Repubblicana. La sola posizione a difesa delle MARGHERITA MORINI Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese 147 Paragonato al caso tedesco, che diventa il modello del sistema repressivo per eccellenza63, il caso italiano64 quasi scompare nell’analisi oltralpe, mentre la Francia viene evidenziata nella sua particolarità, ovvero nel mancato passaggio ad una violenza politica quantitativamente e numericamente eclatante. Rispetto a questa tematica, sono soprattutto i del – e sul – mondo gauchista, al centro dell’attenzione per le divisioni rispetto alle posizioni sul caso Baader-Schleyer65. L’idea che più ricorre, seguendo le testimonianze dei protagonisti francesi di quel mondo che si ricollega sempre all’esperienza del Mai ’68, può essere ben riassunta dalle parole di Michel Le Bris, vecchio direttore della Cause du peuple: «Nous avons tout exploré, nous sommes allés jusqu’au bout et nous avons croisé des trajectoires aussi folles que celles de Badeer. Mais nous avons chaque fois choisi l’autre chemin66». Per quanto riguarda la percezione che oltralpe si ha del proprio rapporto con la violenza politica post ’68, a nove anni di distanza, si nota una netta conferma della consape- proposte del presidente e dell’eventuale collaborazione europea, che faciliterebbe il processo d’estradizione tra paesi membri della CEE, è da «Le Figaro». Cfr. ad esempio: Lecerf J., Daussy J., Il faut créer l’Europe judiciaire pour lutter contre le terrorisme, «Le Figaro», 6 Décembre 1977, 1 e 9; Bouguereau J.-B., La course à l’anti-terrorisme, «Libération», 6 Décembre 1977, 9; Un “espace judiciaire européen” bafouant le droit français, «L’Humanité», 6 Décembre 1977, 7; Giscard plaide pour une répression accrue, «L’Humanité rouge», 7 Décembre 1977, 1. 63 1977, 6. Le pire moyen de faire l’Europe, «Le Monde», 2 Novembre 64 discutable (mais qu’il fut très vite impossible de discuter sur un plan rationnel) de moyens d’information et de nos leaders politiques, une vague de violence armée la plus meurtrière de son histoire récente, pourtant déjà très chargée dans ce domaine», Revel J.-F., Le principe de Pifano, «L’Express», 28 Novembre 1977, 120. Rouge nei confronti delle azioni della Raf, Brossat A., Tout ce qui nous sépare de R.A.F., «Rouge», 17 Octobre 1977, 6-7. 65 66 Les gauchistes se démarquent, «L’Express», 31 Octobre 1977, 91. 148 Storicamente 10 - 2014 Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta volezza di una sorta di eccezionalità francese [Dreyfus-Armand, Frank, Levy, Zancarini-Fournel 2000; Sommier 2003]. in questo contesto di denuncia e discussione su pratiche legate al tervicino al «movimento ’77», che pur esercitava una certa pratica vio- parte integrante del «movimento», che ne esprime la profondità67, trova le sue radici nella violenza sociale espressa dai lavoratori precari, dagli d’espressione delle contraddizioni dell’universo degli esclusi. Successi- degli elementi che sembra destare particolare attenzione è il possibile legame tra «diversi gruppi terroristi»68. Ritorna l’utilizzo dell’espressione «strategia della tensione», per indicare l’aumento e la ripresa ciclica della Movimento e terrorismo Emblematica in questo senso è la ricostruzione, a seguito della morte di Carlo donc avoir trouvé une terre d’élection en Italie», ricostruisce l’organizzazione secondo tre livelli. All’apice troviamo le «parti en armes», mentre le diverse componenti studentesche, marginali, disoccupate e proletarie, riconducibili all’«universo ‘77» vengono in parte incluse ad un livello intermedio, formato da «militants non clandestins souvent armes, et qui se rassemblent autour de l’Autonomie», e in parte al gruppo di Lotta Continua, non risolute nel condannare le azioni terroriste, ma neanche necessariamente attive in quel senso. Padovani M., Morale et violences des Brigades rouges, «Le Nouvel Observateur», 31 Décembre 1977, 42. 67 13. L’emargination politique, «Libération», 26 Septembre 1977, 12- Le Figaro a veicolare per primo questa lettura, Bollaert R., L’Italie face à la violence armée, «Le Figaro», 23 Septembre 1977, 2. 68 MARGHERITA MORINI Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese 149 violenza politica in Italia, indipendentemente dalla sua natura e dai suoi attori, sia nell’analisi di Le Figaro, sia nell’analisi dell’Humanité. A partire dall’autunno le immagini della P38 e dell’Autonomia organizzata si confondono sempre più, a volte sovrapponendosi, con le analisi sul terrorismo. Per tutto l’inverno successivo la sovrapposizione di questi temi, delle analisi e dei dibattiti sulla lotta armata, sul coinvolgimento delle masse e sulla clandestinità, diventano dominanti. Per quello che riguarda il «movimento», al centro del discorso pubblico francese rimarrà solo l’Autonomia organizzata, tendente a esprimersi sempre più solamente in termini di scontro politico con lo Stato. Questo processo si accelererà a seguito del rapimento Moro. Nonostante il tentativo di elaborazione sintetizzabile nel celebre slogan di Lotta Continua «né con lo Stato né con le Br», la cronaca delle giornate della prigionia del presidente della Dc chiuderà ogni possibile spazio d’azione, ma soprattutto ogni spazio mediatico, rimasto alle istanze «altre» di quel magmatico universo. Anania F. 2008, I mass media tra storia e memoria, Roma: Rai-Enri. Argenio A. 2014, «L’Italie a fait faillite et les italiens ne le savent pas». Uno sguardo francese sull’italia del ’77, «Mondo Contemporaneo», (1): 147-163, doi: 10.3280/ MON2014-001010. Armani B. 2005, Italia anni settanta. Movimenti, violenza politica e lotta armata tra memoria e rappresentazione storiografica, «Storica», 11 (32): 41-82. Artières P., Zancarini-Fournel M. (eds.) 2008, 68. Une histoire collective [1962-1981], Paris: La Découverte. Blandin C. 2007, «Le Figaro». Deux siècles d’histoire, Paris: Armand Colin. 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In terzo luogo, mi limiterò a descrivere come nei postumi dei conflitti i programmi di recupero non sono adeguati, escludendo molti sopravvissuti, che sono emarginati, stigmatizzati, messi sotto silenzio, e quindi sottoposti a nuove violenze. This article studies sexual violence in the 1990s conflicts in Bosnia and Rwanda. First I will show how the ethnic definition is misleading, since it hides what is really the construction of nationalism, implemented through the use of the female body as a symbol of the nation. Second, I will examine how this violence interconnects nationalism, gender, gendered-body and sexuality with the aim of affecting the future of the enemy group. Thirdly, I will describe how, in the conflicts’ aftermaths, recovery programmes are not adequate and exclude many survivors, who are marginalized, stigmatized and silenced and thus subjected to new violence. 156 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche introduzione Questo articolo si occupa della violenza sessuale, incluso lo stupro di 1 e in Ruanda, e della 2 situazione postbellica. I due case studies sono interessanti per la strumentalizzazione del corpo femminile allo scopo di annientare il nemico, in una competizione politica di movimenti nazionalisti i quali prendono piede attraverso la sessualizzazione dei cittadini: uomini combattenti per la patria versus donne silenziose, complici o nemiche da annientare [Richter 2003, 35]. ne che sarà qui discussa contestualizzando la preparazione di entrambe in relazione alla violenza sessuale e al suo rapporto con il nazionalismo; descrivendo le conseguenze della violenza nel dopoguerra di entrambi i paesi. La comparazione tra i due case studies nasce da diverse considerazioni: entrambi sono stati genericamente inclusi tra le “nuove guerre” degli anni Novanta (un’altra etichetta che sarà analizzata in questa sede) in di massa e il loro uso come arma bellica, senza comprenderne però appieno la portata in termini di intenzionalità a colpire non solo il gruppo na”. Gli accordi di Dayton del 1995, a seguito della guerra di dissoluzione della Jugoslavia, hanno previsto la divisione di questo Stato, ex Repubblica Federale Socialista Jugoslava di Bosnia e Herzegovina, in due entità dall’ampia autonomia ma ancora prive di personalità giuridica internazionale e vincolate dal veto parlamentare dell’Alto Commissariato ONU, la Federazione Bosnia e Herzegovina (abitata soprattutto da musulmani di Bosnia e croati) e la Republika Srpska (abitata prevalentemente da ser- 1 internazionale, unica eccezione a Dayton). 2 genocidio rwandese Sibomana 1998, Gourevitch 2000, Dallaire 2003, Grill 2005 e Scaglione 2010. 157 SARA VALENTINA DI PALMA Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra nemico ma anche il suo possibile recupero postbellico e il nuovo uso del corpo delle donne in questa strategia bellica. In entrambi i casi, inoltre, sono stati istituiti due tribunali internazionali ad hoc che hanno comdi stupro di guerra e nel tentativo di tutelarne i bersagli [Gaeta 2006], anche se ambedue i tribunali hanno incontrato poi grandi problemi in locali. Entrambi i case studies mostrano poi la discrepanza tra una giurisprudenza innovativa a livello internazionale e l’incapacità delle Nazioni - causa del parziale riconoscimento delle vittime o del loro sfruttamento nel nuovo modello nazionalista. In primo luogo, si discuteranno le locuzioni di “nuove guerre” e di “confuorviante, in quanto essa occulta la costruzione di un nazionalismo basato sull’uso del corpo femminile come simbolo della nazione. Secondariamente si esaminerà come, sia in Bosnia sia in Ruanda, la violenza incentrò non solo sui corpi delle donne, ma collegò nazionalismo, genere, corpo sessuato e sessualità allo scopo di compromettere il futuro del gruppo nemico nel dopoguerra. La ricerca si occupa di questi due case studies per mostrare come il nazionalismo fu sessualizzato in entrambi i paesi, e come «collegare l’etnicità al genere e all’eterosessualità ren- esclusero molti sopravvissuti alla violenza sessuale, i quali furono marspesso fu limitato loro l’accesso alle cure mediche e psicologiche, mentre 158 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche vecchi e nuovi perpetratori li sottoposero a ulteriori vessazioni. Questo lavoro fa propria la messa in discussione dell’attenzione di una parte del post-femminismo alla sola interiorità femminile e alla psicologia delle vittime di stupro cristallizzata in un paradigma interpretativo statico, e sposa invece la tesi femminista che vede la violenza sessuale come un fenomeno in cui la donna non è soltanto una vittima passiva. Secondo un certo post-femminismo, infatti, la prospettiva e la narrativa femminile appaiono immutabili nel tempo e lo stupro è visto solo come legato alla violazione dell’integrità della donna [Marcus 1992; Brown 1995], senza considerarlo anche una violazione dell’onore della famiglia e della comunità. Si ritiene qui inoltre che la parola “vittima” debba essere riconsiderata in relazione all’esperienza della donna non solo durante lo stupro ma anche dopo, tenendo presenti gli aspetti politici, sociali e psicologici della violenza, della sopravvivenza e del recupero [Mardorossian 2002, 747-48, 754]. Le donne possono infatti trovare proprie strategie di reazione, e considerare l’esperienza della violenza sessuale che hanno vissuto non solo secondo le categorie di “vittima” e di “sopravvissuta”. Tale discorso si lega direttamente alla questione dello sfruttamento delle storie di violenza sessuale all’interno della nuova me- etnicità e nazionalismo, identità e memoria nel dopoguerra, analizzando le memorie di donne sopravvissute allo stupro di massa e ad altre violenze sessuali e poi di nuovo vittimizzate dalle società postbelliche. Queste donne, intervistate da altre donne e da associazioni femminili e femministe consapevoli dell’uso nazionalistico delle donne prima, durante e dopo la guerra, raccontano una storia di violenza ma anche di reazione. politico contro l’imposizione al silenzio o contro la manipolazione della 159 SARA VALENTINA DI PALMA Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra vicenda nel nuovo nazionalismo del dopoguerra. zione di stupro in guerra e sui diritti umani delle donne [Vitucci 2007; dalla giurisprudenza internazionale con il processo Akayesu presso il Tribunale Penale Internazionale di Arusha (International Criminal Tribunal for Ruanda, ICTR) nel 1998 allo scopo di evitare l’ambiguità delle diverse interpretazioni legali e culturali, mutevoli nel tempo e nelle società che le utilizzano [Bourke 2007, 405-409; Green 2004, 102]3. Viene qui dunque sposata la tesi secondo cui il Tribunale considera lo stupro come forma di aggressione, i cui elementi centrali non possono essere ridotti alla descrizione meccanica di oggetti usati e di parti del corpo. […] La violenza sessuale non si limita estorsioni e altre forme di attacco che provochino paura o disperazione la violenza sessuale nelle “nuove guerre” e Nel corso del XX secolo, la popolazione civile è stata sempre più coinvolta a colpire le società nemiche. Attaccare le donne, in particolare, ternazionale a Roma il 17 luglio 1998 (Rome Statute of the ICC, 4). Solo nel 2008 3 stupro in guerra, inteso come «a tactic of war to humiliate, dominate, instil fear in, disperse and/or forcibly relocate civilian members of a community or ethnic group». [United Nations Securi 160 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche è divenuto sempre più comune allo scopo di umiliare il nemico attra- Laustsen 2005]. Il Novecento ha vissuto paradossalmente, accanto a una crescente sensibilità per i diritti delle donne [Bartoloni 2002; Rossi-Doria 2004; Salvatici 2007] di cui la IV Conferenza Mondiale delle Donne di Pechino nel 1995 è solo un esempio, la loro negazione de facto: le donne continuano ad essere anzi sempre più spesso «trofei e target di guerra» [Agosín 2001, 2] e la divisione tra sfera pubblica e privata mina usate come mezzo di genocidio contro minoranze, di snazionalizzazione e in politiche di estirpazione di popoli e di deportazione, come mostrano diverse ricerche recenti sul genocidio armeno condotto nel corso cui l’umiliazione sessuale fu usata prima per intimidire e poi per assimilare donne armene come mezzo di genocidio [Derderian 2005, 8]. Di nuovo, durante la Prima Guerra Mondiale l’esercito bulgaro stuprò donne serbe nel processo di snazionalizzazione del popolo serbo [Bianchi 2008], e anche in seguito stuprare la donna del nemico fu usata come tattica e non solo per vendetta come in Germania nel 1945 [Beevor 2007, 419-435], o per disonorare il nemico come durante la Partizione tra India e Pakistan [Menon e Bhasin 1998, 41; Menon 2004]. Lo stupro di massa divenne persino un’arma di guerra con l’occupazione dell’armata giapponese a Nanchino nel 1937 [Chang 1998, 85-98]. litari attaccano i civili e non altri soldati), lo stupro di massa in guerra è aumentato, facendo delle donne le vittime intenzionali delle guerre. Tale processo è culminato con le cosiddette “nuove guerre” [Kaldor 1999], l’instabilità mondiale degli anni Novanta fu caratterizzata da diverse 161 SARA VALENTINA DI PALMA Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra guerre locali e regionali, in cui un nazionalismo in crescita e le codi gruppi di persone in competizione per il potere e per le risorse, un incremento delle vittime civili a causa di un mutato rapporto tra civili e militari, e un nuovo ruolo degli eserciti professionali. I concetti sia di “guerre etniche” sia di “nuove guerre” sono tuttavia problematici. La teoria delle nuove guerre è stata messa in discussione su base quantitativa contestando il fatto che il numero di vittime civili sia cresciuto dopo il 1989 [Melander, Öberg e Hall 2009], e mentre potrebbe essere valida per alcune aree come i Balcani, essa non rende tuttavia conto di altri tipi di sibile alla questione di genere, in quanto non tiene in considerazione la crescente violenza contro le donne in guerra [Copelon 1995] oggetto di questo saggio. la sessualizzazione dei corpi femminili in Bosnia e in ruanda Guardando a concetti come il primitivismo e il tribalismo [Vidal 1996, oggetto in questo studio. La guerra di dissoluzione della ex Jugoslavia (1991-1995) ricevette da subito una grande attenzione per i suoi “stupri etnici”, e ugualmente diverse analisi del genocidio rwandese hanno sottolineato la questione etnica [Bruneteau 2004, 218-220] e la «trappola tribale» [Glover 2001, 123]. Si tratta in realtà di una distorsione linguistica [Macedo 2000, 21]: l’etichetta etnica, infatti, non spiega entrambi i casi, caratterizzati il primo dem 2006], e da una lotta per il potere politico ed economico attraverso politiche nazionaliste il secondo. Il terreno per il genocidio rwandese del 1994 fu preparato in precedenza dalla guerra civile (1990-1994) con una 162 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche 31-32, 136-142], mentre la dissoluzione della ex Jugoslavia dipese dal crescente nazionalismo negli anni Ottanta a causa soprattutto della crisi dell’economia e poi del collasso economico causato da contraddiziostatale, dalla crescente competizione tra le Repubbliche della Federazione, dall’accrescersi delle contrapposizioni socioeconomiche tra mondo contadino e proletario, rurale e montano da un lato e realtà borghesi urbane dall’altro [Ramet 2006, 285-323, Rumiz 2011, 102]. In entrambi i paesi, l’uso massiccio della violenza sessuale in guerra fu preparato dalla costruzione prebellica del nazionalismo attraverso poli- verso simboli e metafore aventi come oggetto il corpo della nazione versus il corpo esterno dei nemici. La violazione di un popolo passa attraverso la violazione delle proprie donne, e questo spiega perché, dopo la morte del presidente della Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia, Josip Broz Tito, nel 1980, crebbero le accuse (false) di stupri perpetrati dagli albanesi del Kosovo (una delle due provincie autonome della Repubblica di Serbia, dichiaratasi unilateralmente indipendente dalla Serbia nel 2008 senza che la Serbia a oggi la riconosca) contro donne, e persino contro uomini – lo stupro come possesso e umiliazione del corpo del Nations 1994, 56]. sta”, in altri termini la politicizzazione dello stupro, visto come parte di un complotto albanese per costringere i serbi ad andarsene dal Kosovo [Bracewell 2000, 563-565]. Il nazionalismo serbo venne presto imitato dal regime croato di Franjo Tudjman, ed entrambi si rifacevano ai movimenti nazionalisti ottocenteschi che collegavano la mascolinità e le politiche espansionistiche aggressive dell’epoca imperialista attraverso 163 SARA VALENTINA DI PALMA Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra la metafora della nazione madre e della santità e inviolabilità del corpo della patria, le cui frontiere dovevano essere protette dalla violenza altrui [Blom, Hagemann, Hall 2000; Banti 2005a; Banti 2005b]. Si trattava, in altre parole, di un nazionalismo di genere costruito dalla commistione di genere e sessualità con razza, etnicità e classe [Yuval- silenzio l’esplosione di pretese nazionaliste – non solo nella ex Jugoslatraverso un processo di «homogenizacia nacije», l’omogeneizzazione di ogni singola nazione. Questo processo mirava a nascondere, dunque, le svariate ragioni per le tensioni economiche e sociali riconducendole alla sola causa etnica e a slogan retorici [Janigro 1999, 20]. Simile fu quanto accadde nei primi anni Novanta in Ruanda, dove il nasualizzazione dei corpi delle donne. I media, in particolare, crearono una propaganda basata sull’odio per le donne del gruppo nemico: il giornale Kangura pubblicò nel dicembre del 1990 un articolo intitolato Richiamo alla coscienza degli Hutu, la cui quinta parte conteneva i tristemente noti cosiddetti Dieci comandamenti Hutu che istruivano gli Hutu a marginaTutsi in patria, con i Tutsi fuoriusciti a seguito della presa del potere nel 1973 del dittatore Hutu Juvénal Habyarimana e organizzati nel Fronte riportare la democrazia nel paese. La costruzione politica del nemico era infatti iniziata con la decolonizzazione, ed era basata su teorie razziali razziste importate dalle potenze occidentali durante l’epoca coloniale tedesca e belga, e dai missionari. Gli europei avevano infatti costruito la che tra Hutu e Tutsi, creando in questo modo e quindi cristallizzando, attraverso l’istituzione di un’identità etnica basata su carte di identità per i locali, la divisione tra i due gruppi [Vidal 1996, 336-337]. Prima della 164 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche mente socioeconomica [Mukagasana 2011, 18]. Il primo dei Dieci comandamenti attaccava le donne Tutsi viste al servizio del “nemico” (ovvero i Tutsi che combattevano la dittatura rwandese dal loro esilio all’estero, i Tutsi nel paese accusati di sostenerli, e gli Hutu moderati ritenuti troppo critici nei confronti del governo razzista rwandese), e altri quattro “comandamenti” riguardavano le donne e la strumento sessuale usato dagli uomini Tutsi per distruggere gli uomini Hutu, ammaliandoli e irretendoli [ICTR-99-52-T, 45-47]. Le donne Tutsi erano descritte con la parola Ibizungerezi, che in Kinyarwanda poi nella stampa svariati fumetti, destinati a un pubblico illetterato, i quali dipingevano le donne Tutsi come oggetto sessuale a disposizione degli uomini Hutu, i quali venivano incitati a stuprarle per far perdere loro la supposta arroganza, e per “assaggiarle”. Altri mostravano le donne Tutsi come sessualmente impegnate con il generale ONU Roméo nuda e a letto con altri politici, o con serpi che le uscivano dal seno [Chrétien 2002, 336, 368; ICTR-99-52-T, 68-69]. Tutto ciò preparò la via alla futura violenza, che non risparmiò neppure donne non Tutsi, non solo le Hutu moderate, ma più genericamente ragazze molto giovani e molto belle, senza tenere in considerazione alcuna la loro appartenenza etnica [de Brouwer 2005, 13]. La sessualizzazione tortura e di un sadismo volto a mutilare parti del corpo, come i seni quali 2004, 227, 237]. 165 SARA VALENTINA DI PALMA Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra lo stupro di massa per attaccare il futuro di un popolo In Bosnia come in Ruanda, lo stupro di massa fomentato dal nazionalismo non fu usato solo come arma diretta di guerra, ma anche con lo scopo di attaccare il futuro del gruppo nemico tentando di impedirne Ruanda. Da qui la seconda ragione della comparazione tra i due paesi: e la violenza contro le donne secondo una prospettiva qualitativamente diversa. Questo fu in parte riconosciuto dalla giurisprudenza internazionale: i due tribunali penali internazionali ad hoc, quello per la ex Jugoslavia (International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia, ICTY) e per il Ruanda (ICTR) hanno compiuto passi importanti, stabilendo che lo stupro e il genocidio erano correlati: il massacro di Srebrenica fu genocidio [ICTY IT-98-33-A, 87]; lo stupro venne usato in Bosnia per costringere la popolazione ad andarsene [U.N S/1994/674/ Add.2 1994, 10] e come crimine contro l’umanità [ICTY IT-96-23T&23/1-T, 281-283]; lo stupro fu atto di genocidio in Ruanda a Taba, dove «la violenza sessuale fu parte integrale del processo di distruzione […] del gruppo Tutsi nel suo complesso. […] distruzione dello spirito, della volontà di vivere, e della vita stessa» [ICTR-96-4-T, 176-177]. I tribunali non stabilirono tuttavia la correlazione innovativa, secondo ne e lo scopo di lasciare una ferita permanente nel dopoguerra di questi nemica, le donne furono stuprate, deliberatamente infettate con l’HIV e mantenute in vita [Sperling 2006, 645; Sharlach 2002, 117; Donovan 2002, s17]. Lo stupro di massa organizzato nei campi di stupro o nelle cosiddette “stanze delle donne” in Bosnia fu a sua volta qualcosa di nuovo; le sue origini si trovavano sia nel vecchio concetto della donna come simbolo della nazione, sia nella costruzione nuova dello stato nazione attraverso lo stupro come arma bellica incisa sui corpi delle donne. 166 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche Costringere le donne stuprate a generare bambini ha un valore simbolico potente: le donne diventano «strumento di comunicazione» un’altra religione» [Héritier 1996, 15] o bambini della «etnia del nemico» [U.N S/1994/674/Add.2 1994, 11] e fu usuale/normale/sistematico [Nahoum-Grappe 1996, 192]. Le Nazioni Unite stabilirono inoltre che donne di tutti i gruppi nazionali furono stuprate nel corso delle guerre di dissoluzione della ex Jugoslavia, ma non c’è alcuna «equivalenza morale nell’analisi» [U.N S/1994/674/Add.2 1994, 9]: lo stupro delle donne musulmane di Bosnia fu usato come strategia militare attraverso la diffamazione simbolica della cultura e della religione del nemico – con l’analogia, ad esempio, della deliberata crudeltà e umiliazione nell’uccidere le vittime tagliando loro la gola con un gancio da macellaio [Goytisolo 2001, 22], come fossero bestie da macellare. Ci fu dunque un’auto riproduzione della violenza, con una violenza patriarcale, strutturale, di base, su cui poté innestarsi una nuova vio- violenza simbolica, mostrando come nella strategia della guerra contro le donne il controllo diretto sul un controllo indiretto attraverso il corpo, una dominazione di potere ottenuta plasmando la relazione tra le donne e la loro comunità attraverso gravidanze forzate, come in Bosnia, o l’infezione di HIV e AIDS, come in Ruanda. a quando non poterono più abortire [Cacic-Kumpes 1995, 13; Rezun «cetnico» [Thomas e Ralph 1999, 204], come emerge ad esempio dalle parole di una donna detenuta nel campo di concentramento serbo di Omarska: «Mi dissero […] che dovevo generare un serbo – allora sarei stata diversa anch’io» [Helsinki Watch 1993, 164]. Questo nasce dalla 167 SARA VALENTINA DI PALMA Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra concezione patriarcale dell’appartenenza di un bambino al gruppo etcon il gruppo nazionalista cetnico deriva dalla Seconda guerra mondiale [United Nations 1994, 59], quando il nome creato per designare jugoslavi, perlopiù serbi, fedeli al monarca jugoslavo (esiliato dall’occupante nazionalsocialista) e impegnati nella lotta contro la Wehrmacht, ma anche contro i partigiani comunisti di Josip Broz Tito e contro i nazionalisti croati ùstascia, nella formazione dell’Esercito jugoslavo in patria. Come sottolinea Salzman, «il mito genetico culturale e patriarcale» è condiviso da tutti i gruppi nazionali in causa, e «la stessa pratica di stuprare e di mettere incinta le donne come forma di genocidio deriva non solo da come i perpetratori fanno proprio il mito genetico e culturale, ma anche da come le vittime, le loro famiglie e le loro comunità accetche nella cultura musulmana una donna non vergine e stuprata non è maritabile e non può essere una madre, e che anche nella sua stessa possa sposarsi, e viene nascosto anche se è accaduto ad una donna più matura, per preservare il matrimonio» [Helsinki Watch 1993, 178]. Proprio come le gravidanze forzate furono la strategia bellica contro la con HIV e AIDS furono attuate in Ruanda, dove a molte donne i perpetratori dissero che «sarebbero morte lentamente e di una morte estenuante per AIDS» [Sharlach 2000, 99]. La presenza massiccia di stupratori infetti da HIV, che contagiarono le donne intenzionalmente e non, causò una rapida crescita del numero di vittime positive all’HIV: almeno il 67 per cento delle donne Tutsi stuprate contrasse infatti il virus [Amnesty International 2004, 3]. Questo fu un altro modo di usare la violenza sia sessuale sia simbolica sulle donne, pensate come contenitori, in questo 168 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche solo di contagiare le donne ma anche di impedire la ripresa della loro e del genocidio. Neppure gli uomini furono risparmiati dalle infezioni volute, come nel caso di P. il quale fu costretto ad un rapporto sessuale con una donna ritenuta positiva all’HIV [African Rights 2004, 19]. Come conseguenza dello stupro di massa, anche in Ruanda crebbe il numero di bambini nati dallo stupro, ma qui non si trattò del risultato di una politica di gravidanze forzate [Sharlach 2000, 100]. Tuttavia, vennero chiamati in Bosnia, enfants de mauvais souvenir (bambini dei cattivi ricordi) o “bambini non voluti” in Ruanda – furono simili in entrambi i paesi: quando le donne non poterono abortire, generarono [Human Rights Watch 1996, 4], e raramente accettati dalle madri e da loro cresciuti. seguenze dell’accettazione di un bambino nato da stupro sono serie. Il bambino avrà, in un certo senso, un’identità completamente falsa e di stenza spesso solitaria delle sopravvissute a stupro, i bambini poterono anche divenire la loro unica compagnia, come nel caso di C.: «Quando restai incinta, inizialmente mi vergognavo. Ma oggi devo ammettere che questa bambina è la mia unica gioia. L’ho chiamata Umumararungu Diane, colei che cura la mia solitudine» [Mukagasana e Kazinierakis 2008, 62]. 169 SARA VALENTINA DI PALMA Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra il dopoguerra: il silenzio e nuove violenze infatti almeno quattro grossi problemi che le sopravvissute a stupro dovettero fronteggiare, tutti connessi al silenzio imposto e tutti portatori di nuove violenze su queste donne: un supporto psicologico e sanitario inadeguato per persone che, prima di tutto, avevano bisogno di parlare e di essere ascoltate e quindi curate; la mancanza di giustizia, una protezione legale carente, sia dei diritti civili delle donne sia contro violenze sopravvissute all’interno della nuova identità collettiva nazionalista postbellica. recupero, che divennero invece spesso un altro modo di mettere a tacere i sopravvissuti, negando loro comprensione della violenza che avevano zare la loro situazione, al di là della richiesta di dimenticare per contribuire al processo di pace, o dell’usarli di nuovo come simbolo della nazione violata [Mannergren Selimovic 2010, 57-61]. Si segue qui l’idea di Siri Hustvedt secondo la quale «tutti i pazienti hanloro malattia» [Hustvedt 2010, 36], e si ritiene quindi che lasciare che le donne raccontino le proprie storie sia già parte del processo di sostegno psicologico cui spesso le donne hanno un accesso limitato. L’assistenza parzialmente e minata dalla stigmatizzazione familiare e comunitaria, soprattutto si basa su una diversa e discriminante valutazione della violenza sessuale rispetto ad altri traumi di guerra. cure mediche o che vivono in aree remote sono di fatto escluse [CEC 170 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche 2008, 18; Avdibegovic et. al. 2008] e marginalizzate per quanto riguarda l’assistenza legale. Nella Republika Srpska, una sopravvissuta a violenza per accedere all’assicurazione medica e alle cure, mentre per i veterani sico [RS Law N. 25/93, n. 46/04 e 53/04 Art. 4]. Nella Federazione di Bosnia e Herzegovina, le vittime della violenza sessuale in guerra sono equiparate alle vittime civili [FBiH Law n. 39/06 Art. 5] e i civili sono discriminati rispetto ai veterani di guerra, ricevendo un rimborso massimo del 70 per cento rispetto a quanto accordato ai veterani [FBiH Law n. 39/06 Art. 9]. al. 2007] sia in Ruanda [Mukamana e Brysiewicz 2008; Human Rights AIDS durante e dopo il genocidio, non solo perché molte donne furono stuprate ed infettate, ma anche a causa delle condizioni igieniche carenti e della mancanza di infrastrutture adeguate nel dopoguerra [African Rights 2004, 30; UNAIDS/WHO 2008, 11-12]. sessuale in sé, l’infezione all’HIV è legata alla stigmatizzazione e alla marginalizzazione sociale ed economica. Molte donne non possono affrontare i costi delle cure per l’AIDS [Mukagasana e Kazinierakis 2008, 10], e nel timore del risultato di un test dell’HIV e del giudizio della comunità di appartenenza, diverse sopravvissute non vanno neppure a fare il test, come ricorda A.: «Non ho mai fatto il test; peggiorerebbe soltanto la mia situazione» [African Rights 2004, 50]. I. conferma i pregiudizi contro le donne stuprate ed infettate dall’HIV: «Non sono accettata nella mia comunità […] la gente è molto cattiva con me» [de Brouwer e Hon Chu 2009, 83], mentre G. fu persino costretta ad andarsene di casa, - 171 SARA VALENTINA DI PALMA Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra mini sono sospettosi e ritengono che le sopravvissute abbiano in qualche modo collaborato con i perpetratori allo scopo di aver salva la vita [Amstuprate o non vogliono intraprendere una relazione con una ragazza stuprata durante nel genocidio – anche a causa della stigmatizzazione dello stupro in una società in cui per tradizione la donna è sottomessa al marito e alla sua famiglia [Polidori 2009, 169], e della vedova accusata della morte del consorte [Gbikpi 2006]. Ad esempio M.O. racconta che il suo compagno ha accettato di iniziare ad uscire con lei dopo che lei gli ha giurato, mentendo, di non essere stata violentata durante il genocidio [de Brouwer e Hon Chu 2009, 39]. Questo è solo uno dei problemi, ma in entrambi i case studies ve ne psicologico e le medicine, sarei morta. […] Non posso dormire senza pillole. […] Ho bisogno di aiuto», confessa T., nella Republika Srpska, 3]. I traumi delle donne riguardano principalmente sindrome da stress post-traumatico, disagi psichici (depressione, ansia, somatizzazione, difdiovascolare, ma anche diabete, problemi alla tiroide, sindrome psico di Kigali, Dr. Emile Rwamasirabo, le vittime di stupro non cercano cure mediche perché si vergognano troppo, mentre il dottor Etienne Mubarutso, ginecologo presso l’ospedale universitario di Butare, sottolinea: «si cura la malattia diretta, ma psicologicamente non vengono guarite. Continuano a tornare lamentando crampi e dolori, ma non hanno alcun psicologico» [Human Rights Watch 1996, 72-73]. casi tacciono, sentendo che le cure ricevute sono inadeguate ad attenuare il loro dolore e che la società in cui vivono, e persino la loro stessa 172 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche [Doni e Valentini 1993, 34], o di una tredicenne curata nell’ospedale da un ginecologo, anche lui ex prigioniero del campo di concentramento Un secondo, grave problema fronteggiato dalle donne che hanno subito violenza sessuale concerne la giustizia. Le donne che hanno testimoniato, sia davanti ai due tribunali penali internazionali per la ex Jugoslavia e per il Ruanda sia presso le corti locali, sono spesso minacciate e intimidite; non vengono adeguatamente protette e la loro identità è stata spesso resa pubblica. Le donne di Bosnia si sentono abbandonate, dato economico per aver corso dei rischi andando a testimoniare [Lombezzi 2006], mentre il programma di protezione dei testimoni dell’ICTY non segue le donne al loro ritorno a casa. Alcuni criminali sono ancora liberi giustizia. In Ruanda, diversi sopravvissuti sono stati picchiati o uccisi 1997, che «il programma di protezione dei testimoni è debole e di scarsa stimonianza e mette a repentaglio la giustizia» [Amnesty International 1998, 6]. Arusha e alle corti locali dei gacaca sono ben noti a quanti hanno accusato con la loro testimonianza [de Brouwer e Hon Chu 2009, 71] e i soliberati e minacciano le donne che li hanno accusati, e per questo alcuni, 173 SARA VALENTINA DI PALMA Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra gacaca, perché le persone che ho accusato vengono rilasciate e non capisco il senso di correre il rischio di e Hon Chu 2009, 56]. P. aggiunge che «i gacaca portano più lacrime che sorrisi» [de Brouwer e Hon Chu 2009, 77]. Anche l’indennizzo ecodono della propria vittima in cambio di denaro o di beni, senza sentirsi peraltro davvero in colpa e pentiti [de Brouwer e Hon Chu 2009, 63]. I processi per crimini sessuali sono pochi rispetto alla mole dei testidi un’armata paramilitare serba, lo stupro non fu nemmeno incluso tra i capi d’accusa nonostante diverse donne avessero testimoniato di essere state stuprate da lui in persona a Višegrad [ICTY IT-98-32/1-T, 2007, 18]. L’ICTR è stato criticato invece per aver sottovalutato i testimoni, come nel processo a Sylvestre Gacumbitsi, il borgomastro (la più alta carica a livello locale) del comune di Rusumo – l’imputato fu giudicato colpevole di genocidio e di crimini contro l’umanità, ma fu assolto da tre capi d’accusa di stupro dalla Camera d’Appello, la quale ritenne vi [ICTR-2001-64-A, 34-35; Rushing et al. 2006, 38-39]. Una capacità di indagine scarsa, e una conseguente impossibilità di incriminare per violenza sessuale, portarono ad uno scandalo nel cosiddetto processo Cyangugu – in cui, nonostante le prove, non fu incluso alcun capo d’accusa per stupro. Quando al processo alcune vittime testimoniarono re in considerazione le prove per un crimine che non compariva tra le imputazioni [Nowrojee 2005, 14-17]; il processo si chiuse nel 2004 con l’assoluzione di due imputati su tre [ICTR-99-46-T, 208]. Il terzo problema fronteggiato dalle sopravvissute è la mancanza di una protezione statale legale adeguata, non solo sulla violenza di genere, ma anche nell’implementazione dei diritti delle donne. Sebbene questo sia 174 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche una questione aperta per tutte le donne in generale, le sopravvissute sono più vulnerabili, come evidenziano alcuni dati del 2005 per il Ruanda: il 31 per cento delle donne che hanno subito violenza sessuale è stata soggetta a violenza domestica dopo il genocidio, perlopiù per mano del partner, perché era troppo malata, debole o psicologicamente sottoposta 2006, 177]. Anche in Bosnia, la violenza di genere non è tenuta in grande considerazione nella complessa situazione postbellica, caratterizzata da gravi violazioni dei diritti umani, soprattutto per quanto riguarda il diritto alla proprietà e al ritorno nelle proprie case – come stabilito dalla Law property implementation del 2000 dell’Office of the High Representative (OHR), organismo istituzionale ad hoc responsabile dell’implementazione degli accordi di Dayton nella loro parte civile. Tale situazione ricade sulla discriminazione femminile nella disposizione delle proprietà, nella reintegrazione socioeconomica dopo la restituzione delle abitazioni, nell’accesso al mondo del lavoro e nella violenza domestica ta» [Refugee Women’s Resource Project and Asylum Aid 2002, 15]. C’è infatti un legame diretto tra l’incremento della violenza domestica e la guerra da poco conclusa, a causa di problemi nella reintegrazione delle famiglie, dell’accresciuta violenza tra gli uomini combattenti durante to parallelo nelle strutture sociali o giuridiche volte a proteggere dalle violazioni in questi diritti umani elementari» [Open Society Institute 2007, 11], nonostante per legge i diritti delle donne siano garantiti nella Federazione di Bosnia e Herzegovina – con una legge sull’uguaglianza tra generi nella sfera pubblica e privata e contro la discriminazione basata sul genere [O.G. 16/03] emanata dopo anni di lotte da parte di Ngo femministe, e con una legge sulla protezione dalla violenza domestica [O.G. 22/05, 51/06], mentre l’articolo 222 del Codice Penale sanziona la «violenza nella famiglia» [O.G. 6/03, 37/03, 21/04, 69/04, 18/05]. 175 SARA VALENTINA DI PALMA Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra La Republika Srpska, a sua volta, punisce la violenza domestica, come riportato nel Codice penale [O.G. 22/00] e nella legge sulla violenza domestica [art. 208, O.G. n. 118/05, 17/08], ma le donne soggette a violenza domestica non sono riconosciute come aventi diritto a misure di protezione sociale, e le Case di Accoglienza per donne che aiutano le vittime non sono riconosciute come enti di protezione sociale In maniera analoga, in Ruanda c’è un dislivello notevole tra il sistema giuridico e l’implementazione delle leggi. La Costituzione del 2003 (art. 10, 11, 16, 46 e 47) protegge tutti i cittadini dalla discriminazione [We-Actx for Hope 2007, 2-3]. Nel paese vi è stato un lungo dibattito parlamentare sulla violenza di genere [Draft Law 2006], sfociato in una legge sulla prevenzione della medesima e sull’incriminazione dei perpetratori [Legge 59/2008]. Il governo ha istituito un telefono amico 54-63]; diversi sono gli “sportelli per la violenza di genere” nelle stazioni di polizia e nell’esercito, e di recente il Ministro per la Promozione di Genere e Famiglia ha creato un Piano Nazionale Strategico per il Genere [MIGEPROF 2009]. La Legge rwandese sul Genocidio del 2004 (una delle tante Leggi sul Genocidio passate dal Parlamento dal 1996) riconosce lo stupro e la violenza sessuale come atti di genocidio, mentre la Legge sul Genocidio del 2008 assicura alle testimoni dei gacaca consulenti esperti in trauma tribunale locale, nonché l’assenza di compensazione economica, pone a rischio le condizioni di vita delle sopravvissute. La stigmatizzazione sociale nella comunità di appartenenza, la mancanza di giustizia, l’inadeguatezza delle cure sanitarie, problemi economici e una nuova vittimizzazione da parte degli ex perpetratori hanno indotto diverse donne a prostituirsi in cambio di cibo [Amnesty International 2004, 9]. stupro: lo sfruttamento delle loro storie. Per quanto riguarda la ex Ju- 176 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche goslavia, questa strategia non fu funzionale solo al mito prebellico dello [Cockburn 2001], quando ogni donna violata fu rapidamente trasformata nel simbolo della nazione violentata, nonché nell’uso nazionalista o riguardo la chiamata nazionalista ad essere madri per la patria [Bracewell 1996] secondo la credenza patriarcale per la quale la maternità è il ruolo naturale della donna [Yuval-Davis 1996]. Ora, infatti, la nuova memoria pubblica e collettiva postbellica, incentrata sugli uomini e patriarcale, usa le donne stuprate per costruire un nuovo dopoguerra da ogni gruppo nazionale a proposito delle proprie vittime di stupro, ritenute più numerose di quelle degli altri gruppi, e una crescente commiserazione vittimista, senza sottolineare invece il ruolo attivo di reazione delle donne alla violenza e la loro prospettiva anti-nazionalista non nel dopoguerra. Come scrive Andrea Petö a proposito degli stupri perpetrati dai soldati diversi sistemi di verità a seconda dell’epoca e del narratore» [Petö 2003, 131]. La narrazione postbellica sulla Bosnia sfrutta l’argomento dello stupro, ancora una volta, per incrementare il numero delle proprie vit- il dopoguerra: strategie di reazione Mantenere le donne nel silenzio, o vittimizzarle per utilizzarne la violo stesso atteggiamento paternalista attuato nei loro confronti, contro il quale una prima forma di consapevolezza consiste nella rottura del si- 177 SARA VALENTINA DI PALMA Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra lenzio per riconquistare l’autostima innanzitutto, e secondariamente per può essere «sovversivo» [Richter 2003, 42] per chi vuole manipolare la memoria [Janigro 2003]. Lo esprime bene tra gli altri E. scegliendo di raccontare ad un’altra sopravvissuta: «Abbiamo una storia simile e per Non a caso, una prima fase di narrazione ha riguardato la creazione di gruppi di ascolto per donne – l’ascolto come pratica del femminismo [Richter 2003, 53] – che hanno subito violenza, e solo in un secondo tempo l’apertura della testimonianza ad un pubblico comunque seleziodegli oppressi: «la liberazione: non un dono, non una conquista propria, ma un processo in mutuo svolgimento» [Freire 1970, 43-72]. no ancora troppo arduo parlare intervengono narrazioni giornalistiche e novelle basate su storie vere, come quella della giornalista Slavenka violenza: «Desiderava raccontare ma le risultava impossibile farlo...Non riusciva a smettere di tremare. Capii allora per la prima volta che la sua storia era proprio in quello che non riusciva a dire. E dovevo trovare un a nudo in prima persona attraverso il racconto, diverse organizzazioni e associazioni femministe hanno iniziato a raccogliere testimonianze di vittime di violenza nella guerra di dissoluzione della Jugoslavia, spesso opponendosi ai nuovi nazionalismi attraverso gruppi di donne di diverse ad esempio Donne in Nero di Belgrado il Network delle Donne della Ex Jugoslavia. La loro azione è volta da un lato a reinserire narrative marginalizzate nella memoria collettiva, dall’altro a demolire lo stereotipo della donna come vittima passiva di stupro e, nel caso delle donne di Bosnia, come vittime musulmane facili della società rurale patriarcale. 178 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche Con il loro lavoro, tali gruppi sottolineano invece come le donne abbiano vissuto esperienze che vanno oltre il loro essere corpi in guerra 96], e come a ben vedere le vittime della violenza maschile siano donne e basta, indipendentemente da qualsiasi connotazione nazionale o religiosa [Richter 2003, 23-24]. di genere in guerra ha comportato la nascita di gruppi di donne dediti al miglioramento delle condizioni di vita a livello locale e a combattere la discriminazione postbellica, da Pro-femmes Twese Hamwe, una piattaforma rwandese che raggruppa diverse associazioni, a Medica Zenica in Bosnia – già attiva nell’accoglienza delle donne stuprate e rilasciate dai campi di concentramento a gravidanza avanzata, e che si dichiara, non a caso, femminista e anti-nazionalista [Helms 2003, 117] e che opera nella delicata sovrapposizione tra passata violenza di guerra e violenza postWomen’s Resource Project and Asylum Aid 2002, 29]. Diversi sono infatti gli episodi di donne maltrattate e abusate psicoloin guerra [Amnesty International, 2009, 59], e fornire loro assistenza farne, da vittime di stupro in guerra e dopo, cittadine consapevoli dei propri diritti e contrarie alla “domesticazione” nei ruoli tradizionali di protettrici della casa e della famiglia [Rener 2003, 69]. conclusioni I diversi fattori che concorrono, in entrambi i case studies, a vittimizzare nuovamente le donne che hanno subito violenza sessuale durante i consui meccanismi di intervento che entrambe le società devono attuare 179 SARA VALENTINA DI PALMA Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra per implementare i diritti delle donne e sollevano alcune questioni sulla violenza di genere in sé, indipendentemente dal contesto bellico. sessuale in quanto tale, e quindi sulla condivisione delle tradizioni patriarcali nel rapporto tra i generi dominante anche in altre aree del mondo e in contesti di pace, vale la pena di ricordare, in breve, come la violenza sessuale sia possibile all’interno della violenza strutturale propria è concepito in relazione all’uso che gli uomini ne fanno [Corbin 1989, VII]. Il possesso del corpo permette di stabilire precise gerarchie, e non minio maschile, attraverso comportamenti stereotipati nella costruzione sociale della virilità attraverso il corpo dell’uomo. La violenza sessuale dipende dunque da come la mascolinità si rapporta al potere [Giddens della donna come proprietà maschile [Brownmiller 1993, 24] e che si [Shorter 1977]. Sulla base di tali considerazioni, si comprende come l’aggressione sessuale vada collocata in rapporto al potere attraverso l’esibizione della virilità dell’aggressore, in contesti in cui oggetto della violenza sono quanti esulano dal modello virile e omofobo dominante – principalmente le donne, ma anche uomini appartenenti a categorie discriminate quali omosessuali, travestiti, detenuti [Vigarello 1998, 248-9]. Negli ultimi decenni è cresciuta l’attenzione internazionale per la violenza sessuale come arma di guerra, a fronte di un interesse meno marcato per le forme di violenza di genere più ‘quotidiane’. Sembra che l’atdi violenza, sia la somiglianza tra la violenze contro le donne non solo in guerra ma anche dopo, come i casi del Ruanda e della Bosnia moprobabilmente un’accresciuta consapevolezza delle conseguenze sociali 180 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche di tale violenza per la società nel suo complesso, piuttosto che un timore per l’impatto della violenza sulle donne in sé e per sé. Diversi studiosi hanno applicato il concetto di “continuum della violenza” alla questione della distinzione tra guerra e pace [Cockburn 2004], chiedendosi se la violenza contro le donne sia davvero diversa dalla “normale” violenza di genere, o piuttosto un mero esacerbarsi della stessa, e se la violenza di guerra sia peggiore della “normale” violenza nel dopoguerra, per concludere che «non c’è dopoguerra per le donne. La violenza continua ad esserci perché le sue cause sottese rimangono intatte» [Pillay 2001]. Tale continuum è stato chiamato in causa, non a caso, anche durante le guerre balcaniche degli anni Novanta, sulla questione se lo stupro fosse un problema di sicurezza collettiva o individuale [Hansen 2001]. Vedere la violenza sessuale come arma di guerra è comunque utile a svelare l’uso politico e strategico della violenza stessa come tattica di dominio [Boesten 2010]: se le comunità delle vittime acquisissero tale consapevolezza, le donne potrebbero evitare di tenere in privato la colpa la violenza sessuale come tattica di dominio è saldata al contesto bellico piuttosto che allo stupro in sé, il mancato riconoscimento della natura politica della violenza ne fa il mezzo più potente per dominare le donne di posizione forte contro la violenza di genere in sé, non solo riguardo la giustizia e la protezione delle vittime ma anche nella implementazione della legislazione interna, può avviare il sovvertimento della concezione patriarcale delle donne come cittadine inferiori. 181 SARA VALENTINA DI PALMA Corpi di donne in guerra. 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At the outburst of the First World War, the mobilization of masses represented, even if for different reasons, an unavoidable goal for both the Imperial powers and national intellectual groups operating in the Tsarist Empire. Symbols and elements of national mythology were often used as cultural mobilization instruments. Lithuanian intellectuals based their mobilization work mainly on the memory of the Battle of Grünwald (1410). When the German occupation began, the Lithuanians used the category of “Teutonic bestiality” to make sense of their experience. Il presente lavoro è stato realizzato grazie al finanziamento del Consiglio Lituano delle Scienze (contratto n. LIT-6-8). La sua realizzazione è avvenuta in collaborazione con l’Istituto Lituano di Storia. 192 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche Quando, nell’estate del 1914, l’Impero zarista iniziò a mobilitare le proprie forze dopo la dichiarazione di guerra della Germania, l’avvicinarsi 1 con un misto di sconcerto e speranza. Per la gran parte della popolazione la guerra rappresentava una minaccia in grado di sconvolgere gli equilibri di un sistema economico ancora in larghissima misura legato a un’agricoltura di sussistenza. La chiamata alle armi rappresentò un elemento di destrutturazione delle comunità rurali, lasciate alla cura quasi esclusiva di donne e anziani. Con occhi diversi guardava all’avvicinarsi della guerra la giovane intellighenzia ter strappare per i territori della cosiddetta Lituania etnica uno statuto colo, l’idea di un territorio autonomo era balenata nei programmi dei moderni partiti politici lituani. Nel 1905, l’idea era stata ribadita nelle Didysis seimas), la prima grande kermesse dell’intellighenzia lituana svoltasi a Vilnius nel dicembre del 1905 [Motieka 1996]. La formulazione di richieste politiche non era stata un evento subitaneo, ma l’approdo di un percorso durato vari decenni. Nella prima metà del XIX secolo il revival lituano era stato l’oggetto di un interesse di carattere elitario. Sebbene proprio elementi della classe colta, specialmente appartenenti al clero cattolico, fossero stati i protagonisti della relativa 1 - la popolazione di lingua lituana costituival’1,8% della popolazione totale nel governaKaunas. La popolazione di lingua lituana dominava nelle aree rurali dei governatorati del totale), mentre rappresentava solo il 19,8% della popolazione nel governatorato di Vilnius dove a dominare era la popolazione bielorussa (62,9%). Si consideri, tuttavia, che ancora alla vigilia della guerra il bilinguismo e il trilinguismo risultavano estrerisultava estremamente debole e non necessariamente legata all’identità linguistica. AndreA GriffAnte La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici 193 secolo, il movimento visse il suo punto di svolta nella seconda metà del secolo. Negli anni successivi all’insurrezione polacca del 1863-64, esso trovò nella stampa periodica uno dei suoi principali luoghi di discussione e crescita. Com’è noto, la stampa svolge un ruolo di fondamentale derson 1991] e dei vari miti attorno ai quali il discorso nazionale viene tità e dell’alterità era avvenuta sottolineando l’esistenza di un territorio etnicamente unitario [Sahlins 1996, 266] e corrispondente alle terre occupate dal Granducato di Lituania di epoca medievale, di fatto rendendo la Polonia e i polacchi – storicamente e territorialmente legati al Granducato – i principali esponenti dell’alterità. A causa della mancanza di un proprio libero sistema educativo [Gellner 1997], delle limitazioni imposte delle autorità dell’Impero alla sfera pubblica e della conseguente impossibilità per i lituani di monumentalizzare la propria memoria nello stampa rimase il principale luogo di elaborazione del discorso nazionale nuovamente lo spazio di manovra dell’intellighenzia mento con cui i lettori cercarono di dotare di senso avvenimenti la cui portata non aveva pari nella memoria comunicativa [Assmann 1997]2. 2 - l’attenzione prestata al rapporto tra la memoria storica e le aree multiculturali (Viltativamente minore si è rivelato l’interesse rivolto al processo di memorializzazione - 194 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche Nonostante il processo politico che a partire dalla seconda metà del 1914 portò alla nascita dello Stato nazionale Lituano sia stato l’oggetto di vari studi3, le strategie discorsive utilizzate dagli intellettuali lituani blica tra l’estate del 1914 e l’inizio dell’occupazione tedesca nell’estate dell’anno successivo non hanno incontrato l’attenzione degli studiosi. Il presente intervento intende colmare almeno parzialmente questo vuoto. Mi focalizzerò, in particolare, su come le scelte di campo fatte dall’éli- ma come esse abbiano attualizzato alcuni luoghi della master narrative storica lituana che in quegli anni l’intellighenzia stava elaborando. Attraverso l’ausilio della stampa periodica del tempo cercherò di illustrare i suoi primi mesi divennero il paradigma utilizzato per interpretare la successiva occupazione tedesca dei territori zaristi riorganizzati nel cosiddetto Ober Ost. il presente del passato: la guerra come mito Nell’ultimo quarto del XVIII secolo, la Repubblica nobiliare polaccolituana (Rzeczpospolita dipendenza venendo smembrata e incorporata dagli Imperi asburgico, prussiano e russo. Le spartizioni del 1775, 1793 e 1795 non posero semil punto di partenza di una lotta tra i vari gruppi che ne contendevano la tradizione politica e culturale che si protrasse per tutto il XIX secolo. Da un lato, i diversi contesti politici in cui le varie parti della Repubblica 3 1959. AndreA GriffAnte La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici 195 furono inserite ne condizionarono i rispettivi sviluppi socioeconomici e politici. Dall’altro, il venir meno dei vincoli cetuali provocò il progressivo sfaldamento del tradizionale principio di cittadinanza fondato sull’esistenza di una nazione politica nobiliare nel rispetto delle appartenenze regionali e, in certa misura, linguistiche [Kiaupa et al. 2000]. Nei territori toccati all’Impero russo, i cambiamenti sociali ed economici furono se politica della Rzeczpospolita e l’apparato imperiale. Fu in particolar modo dopo le insurrezioni del 1863-64 che le misure politiche adottate dalle autorità imperiali non mirarono più solo al contenimento dell’elemento polacco (e specialmente del ceto possidente), ma misero in pratica azioni variamente indirizzate all’acculturazione dei gruppi etnici che proprio in quel periodo stavano formando una propria distinta identità so interessava il movimento nazionale lituano che in quel torno d’anni stava rielaborando la propria identità su base etnoculturale. Nonostante nella prima parte del XIX secolo il movimento nazionale lituano avesse già vissuto un primo sviluppo tra ristrette élite colte, le misure adottate dai centri del potere zarista dopo le insurrezioni del 1863-64 (in primis, l’ukaz di validità del divieto di stampa del lituano in caratteri latini (18641904)4 che il movimento nazionale lituano ampliò la propria base sociale [Hroch 1985, 86-97] entrando, a cavallo tra XIX e XX secolo, nella sua fase di elaborazione politica. Tra l’ultimo decennio del XIX secolo e lo 4 territori dell‘Impero russo, il suo utilizzo non cessò. I principali luoghi di produzione della stampa lituana in caratteri latini divennero le cittadine lituane della Prussia clandestinamente nei territori lituani dell’Impero russo grazie all’attività dei knygnešiai di validità del divieto sono state edite in Prussia orientale ben 2.687 pubblicazioni in lingua lituana e caratteri latini, delle quali 2.000 destinate ai lituani dell’Impero russo. 196 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche al proprio interno i maggiori raggruppamenti che sarebbero diventati la spina dorsale del sistema politico dello Stato lituano interbellico. Accanto alla sinistra, che già prima della guerra si diede organizzazione partitica (Partito Socialdemocratico Lituano e Partito Democratico di Lituania), crebbero in quegli anni attorno a riviste quali «Draugija», «Viltis» e «Vairas» la destra nazionalista di Antanas Smetona e il nucleo del futuro Partito Cristiano Democratico [Gaidys 1991; Miknys 1991, A partire dagli anni ’80 del XIX secolo la stampa clandestina in caratteri latini era diventata il principale luogo di elaborazione delle basi culturali e ideologiche del movimento nazionale lituano [Krapauskas 2000]. Dopo la relativa liberalizzazione delle strutture politiche dell’Impero zarista di inizio ‘900 e la legalizzazione della stampa in caratteri latini, i periodici divennero, assieme alle rappresentazioni teatrali inscenizzate con crescente frequenza specialmente in ambito rurale, uno dei principali strumenti per la nazionalizzazione delle masse contadine [Maknys lituano e polacco stava raggiungendo picchi mai toccati in precedenza [Merkys 2006], i giornali e le inscenizzazioni teatrali divennero mezzi cente delle insurrezioni del 1794 e del 1863-64 dei memorabilia capaci di ravvivare il senso di appartenenza dei vari strati sociali a una stessa comunità nazionale, i lituani ricercarono le radici storiche della propria identità in un’epoca molto precedente. La coscienza storica del movimento nazionale lituano si sviluppò infatti attorno a un centrale lieu de mémoire ducato di Lituania dei secoli XIII-XIV. Quello medievale aveva rappresentato, secondo i membri del movimento, l’unico vero periodo di gloria legami con la Polonia ne decretassero la progressiva “polonizzazione” AndreA GriffAnte La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici 197 età dell’oro, l’attenzione dell’intellighenzia colare insistenza sulla Battaglia di Grünwald (1410). La battaglia, vinta da un esercito di coalizione russo-lituano-polacco, aveva rappresentato l’apice dell’opposizione del Granducato alle incursioni dei Cavalieri teuso lituano, tuttavia, la memoria della battaglia sottolineava altri aspetti. Seguendo le logiche interne alla master narrative nazionale, la battaglia veniva letta non tanto come l’evento che grazie al quale le terre di Poloniche, quanto piuttosto come la massima vittoria riportata delle truppe lituane di Vytautas, il granduca fautore di una rinnovata autonomia del Granducato dalla Polonia di Ladislao Jagellone e in cui il nazionalismo 2002]. La vittoria riportata contro i Cavalieri teutonici veniva pertancondottiero lituano di sempre. Non minore, d’altro canto, poteva dirsi l’importanza della battaglia per la memoria storica polacca. Nel discorso polacco di inizio Novecento, tuttavia, la battaglia di Grünwald rimaneva uno dei momenti di gloria dello Stato lituano-polacco. Ad essere il vero perno di quell’avvenimento e il suo principale protagonista era stato non un condottiero, ma lo Stato che l’unione personale tra i ducati lituani e la corona di Polonia (Unione di Kreva, 1385) aveva creato e di cui l’esercito era espressione. Sebbene per buona parte del XIX secolo la costante minacciosa presenza della questione polacca aveva rappresentato uno dei fondamentali problemi cui i centri di potere dell’Impero zarista avevano spesso rispocambiamento di tattica. Nell’agosto 1914 la necessità di assicurarsi la fedeltà dei polacchi spinse il Capo di stato maggiore dell’esercito russo a emettere un comunicato con cui i polacchi venivano incitati a unirsi 198 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche alla lotta contro la Germania. In cambio, veniva promessa ai polacchi l’unione di tutte le loro terre sotto lo scettro dello zar con la garanzia e religioso. Non è certo un caso che in tale comunicato gli alti ranghi dell’esercito russo si rivolgessero ai polacchi non in termini di generica fedeltà politica, ma richiamandosi alla certezza che «[…] ancora non s’è 5 . Sebbene il riferimento non facesse mistero della reinterpretazione in chiave panslavista della battaglia del 14106, la memoria di Grünwald rappresentaavrebbe potuto rinunciare. Se il riferimento alla battaglia di Grünwald iniziò con rinnovato vigore - di potervi annettere le terre etnicamente lituane della Prussia orientale, già nell’agosto 1914 i lituani espressero la propria fedeltà all’Impero con la cosiddetta “Dichiarazione ambrata” (Gintarinė deklaracija tivamente, anche in essa non mancarono né i riferimenti alla battaglia di Grünwald, né all’unione di lituani e «slavi» contro i comuni nemici I riferimenti a Grünwald e all’alleanza con gli “slavi” presenti nella Dichiarazione erano senza dubbio più il risultato del calcolo politico che Jo Šviesybės vyriausiojo komandieriaus atsišaukimas į lenkus, «Rygos garsas», 6 (19) agosto 1914, n. 62. 5 6 avrebbe giocato per la vittoria di Grünwald un ruolo centrale. Quella di Grünwald, secondo la lettura panslavista, era stata solamente la prima difesa in ordine di tempo contro un pericolo immanente – quel Germanesimo che dopo il 1870-71 aveva cominciato a minacciare l’Europa e da cui ancora a inizio XX secolo la Russia si ergeva a difensore nei confronti del mondo slavo. AndreA GriffAnte La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici 199 Non sarebbe tuttavia corretto ridurre l’apporto del mito in un momen- infatti, i riferimenti alla battaglia di Grünwald apparvero sulla stampa periodica lituana con una certa frequenza. A livello di comunicazione master narrative luogo dell’epopea nazionale rappresentava un importante strumento per mondiale con la battaglia di Grünwald, gli intellettuali lituani cercarono di inserire negli schemi di una normalità scandita dalle tappe della teleologia nazionale un evento le cui atrocità non avevano precedenti, se non con la sola parziale eccezione della guerra russo-giapponese sonanza con la master narrative elaborata nei decenni precedenti e di fatto condivisa senza rilevanti distinzioni da tutte le parti della società 7 , i ducati lituani medievali – della cui tradizione il movimento nazionale si considerava l’esclusivo erede legittimo – vennero presentati come il modello del massimo equilibrio raggiunto tra le due entità metastoriche di oriente e occidente incarnate “teutoni”/”tedeschi” e i “russi”. 7 maggioranza, sostenitrice di un’idea di Lituania come unità etnicamente coesa e storicamente assorbita dalla Polonia dopo l’Unione di Lublino (1569), e un‘esigua minoranza, che pur riconoscendo la Lituania come un conglomerato etnico guardava ai secoli di vita comune del Granducato di Lituania con la Polonia come alla premessa per un nuovo concetto di cittadinanza su base territoriale. La corrente di maggioranza poteva dirsi la pressoché totale detentrice del monopolio della carta stampata e della comunicazione sociale nel suo complesso. Sul piano delle interpretazioni del passato storico, i sottogruppi di tale maggioranza – destra clericale, nazionalista e sinistra – 200 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche D’altro canto, se al massimo della sua potenza il Granducato di Lituania seppe resistere alle spinte di polacchi e russi grazie alla propria particolare capacità di sintesi politico-culturale, i polacchi vennero nuovamente additati come i “colpevoli” del progressivo indebolimento di dette qualità lituane, poiché dalla salita di Ladislao Jagellone al trono di Polonia diedero inizio alla “polonizzazione” dello Stato [Dovydaitis 1914b]. Nel to, a mettere in guardia dalle manovre dei vicini, possibilmente volte a impedire la concessione dell’autonomia alla Lituania etnica a guerra terminata [Kraujalis 1914b]. La sottolineatura della posizione mediana dei lituani tra oriente e occidente trasformava, invece, la linea del fronte nel campo a-storico del loro stesso secolare martirio. «Le nazioni slave e i tedeschi – scrisse nel 1914 l’intellettuale cattolico Pranas Dovydaitis – sono eterni e inconciliabili nemici. L’una non può guardare ai successi economici e di altro carattere dell’altra senza provare sentimenti d’invidia e vendetta. La crescita dell’una è legata all’annientamento dell’altra» [Dovydaitis 1914a]. In una simile situazione, l’attualizzazione di alcuni momenti centrali dell’epopea del medioevo lituano rendevano onore alle Grünwald. Quest’ultima, piuttosto, veniva presentata con accenti nuovi come un’opera lasciata incompiuta da secoli e che i lituani, contrastando i nuovi crociati tedeschi, avevano l’onorevole compito di portare a termine nel secolo XX8. Nel complesso, la nuova chiamata alle armi articolatasi sulla stampa periodica lituana si mosse tra due poli complementari. ruralismo di sapore patriarcale degli inviti a difendere la terra dei padri (come entità economica e morale) [Bakšys 1914] dall’avanzata dei deturpatori della civiltà. La partecipazione attiva dei lituani all’incipiente Guerra mondiale diventava una nuova tappa nella costruzione dell’equi- 8 AndreA GriffAnte La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici 201 un’entità autonoma lituana sarebbe stata coronamento e garanzia. La nazione stessa era poi chiamata a farsi protagonista in prima persona della nuova pagina dell’epopea nazionale non solo attraverso il ricordo del proprio passato, ma per mezzo della memorializzazione del proprio presente, annotando memorie e pensieri da inviare alle redazioni dei giornali e raccogliere in appositi archivi [Bugailiškis 1914; Landsbergis 1914; Papentis 1915]. l’attualizzazione del mito: i lituani, i tedeschi e la guerra Il processo di attivazione e attualizzazione della memoria storica dei lituani, d’altro canto, fu accompagnato da un accurato aggiornamento dell’immagine dell’alterità tedesca. Nei fatti, tale aggiornamento consistette nel tentativo di razionalizzare il legame esistente tra i Cavalieri teutonici e l’Impero tedesco entro l’ampio recinto della categoria astoriun quadro in cui la classe politica tedesca risultava essere, per matrice genetica, l’origine stessa di una tirannia di cui erano state vittime prima i tedeschi, poi l’Europa9. cazione tedesco fu illustrato come la prima tappa del nuovo percorso che aveva portato al disvelamento della violenza prussiano-teutonica. In consonanza con un habitus iscritto nel loro plurisecolare patrimonio politico, gli Hohenzollern «[...] ottennero la guida della Germania non perché la loro cultura o la loro civiltà superasse in qualche misura quella loro spada, in una parola sola, delle loro guerresche attitudini» [Noreika 1914]. La forza bruta iscritta nel patrimonio politico dei prussiani si era dunque riversata prima di tutto sui loro stessi connazionali. Tuttavia, 9 Kaip atsirado Vokietija, «Šaltinis», 8 settembre (26 agosto) 1914. 202 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche a trasformarla in un pericolo reale per tutta l’Europa non era bastata la siani. La nascita del pangermanesimo, l’ideologia che aveva fatto dei tedeschi un nuovo «popolo eletto» [Vailokaitis 1915b], appariva piuttosto come l’escrescenza della grandiosa crescita industriale del paese [Abraitis 1914]. In presenza di una secolare cultura politica improntata alla violenza, la nascita di una grande potenza industriale, che del genio prussiano appariva come l’indubbio frutto, non poteva, secondo gli osservatori lituani, che condurre a una rinnovata corsa agli armamenti e a un nuovo ciclo espansivo all’insegna dell’empietà [Markauskas 1914b]. Seppur legata a un passato che ne tratteneva già in nuce tutti i caratteri salienti, la Germania appariva, tuttavia, come lo specchio di una nuova era e, ancor più, di una nuova Europa tesa tra il pauroso clamore della tecnologia e l’invidiato sviluppo dello stato-nazione. Grazie alla tecnologia, le dimensioni della distruzione causata dalla macchina bellica si erano dilatate in una misura precedentemente inimmaginabile. Se la tecnologia, tuttavia, risultava caratterizzata da una fondamentale neutralità morale che la rendeva uno strumento che l’uomo poteva utilizzare per il proprio sviluppo socioeconomico, ad essere incriminata La guerra meccanizzata che l’Impero tedesco aveva scatenato incarnava pertanto l’escrescenza della malvagità teutonica indirizzata alla narcisistica realizzazione di un sé collettivo10 a detrimento delle nazioni vicine. Se la guerra mondiale era dunque nuova in quanto a mezzi impiegati, ma non in relazione alla volontà di chi la guerra l’aveva causata, mutati erano, invece, i soggetti che ai nuovi Cavalieri teutonici si potevano e volevano opporre. Per la prima volta nell’era moderna, infatti, lato, nonostante alcune nazioni (prima tra tutte quella tedesca) avessero già ben dimostrato nel corso del secolo precedente di essere coese, la 10 Kur artimo meilė? «Aušra», 29 ottobre 1914. AndreA GriffAnte La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici 203 guerra era parsa un particolare stimolo alla sintesi per tutte le nazioni europee [Markauskas 1914a]. In svariate occasioni i colonnisti feceesercitò nei confronti delle diverse anime politiche degli stati coinvolti. in Russia, Francia, Inghilterra e Germania, riferiva un commentatore, mondiale un’autentica guerra delle nazioni («tautų karas») [Vailokaitis confermava implicitamente le aspettative riposte in una veloce vittoria russa. Come i tentativi di coordinare le varie correnti politiche lituane nell’autunno 1914 dimostrano, l’intellighenzia lituana – specialmente conservatori e clericali – vedeva nell’unità sovrapartitica il prerequisito di qualsiasi possibile successo politico dei lituani. Accanto a tali auspici di unità politica, che conseguirono un parziale successo solo dopo l’invasione tedesca dell’estate 1915, la novità di una guerra tra nazioni si presentava come l’inevitabile epilogo delle dispute iniziate in tutta Europa (e fuori di essa) nel corso del XIX secolo. Una guerra di nazioni rappresentava – anche concettualmente – l’ultimo atto della vita di quegli stessi stati multinazionali che della guerra erano i protagonisti. Al di là della sua matrice tecnologica, pertanto, la guerra era nuova in quanto vero epilogo dell’ancien régime e prologo di un nuovo ordine mondiale dominato da soggettività nazionali. L’idea fu ben espressa nel febbraio 1915 di Juozas Vailokaitis. In un intervento pubblicato settimanale Šaltinis come anche gli imperi che godettero della massima fama e del massimo rispetto tra i propri cittadini inevitabilmente perirono per mano dei segnava la raggiunta vecchiaia di alcuni stati e la prima giovinezza di quelle forze che nel corso del XIX secolo erano cresciute e che, durante 204 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche ambrata la barbarie tedesca [Vailokaitis 1915a]. Nella fattispecie, con come l’atto dovuto dei sudditi nei confronti del loro zar, ma come il contributo volontario dei membri di un’individualità nazionale interessata e attivamente impegnata alla difesa dei propri interessi comunitari [Paparnis 1914]. Gli interessi nazionali, appunto. Per quanto non esplicitamente dichiarato, nel concetto di interesse nazionale presente sulla stampa riecheggiò chiaramente una critica del rapporto tra centro imperiale, nazioni presenti nel territorio dell’Impero e i loro diritti positivi. Non può certo meravigliare che le critiche fossero rivolte alle potenze nemiche di Germania e Austria-Ungheria, mentre la Russia rimaneva al di fuori della discussione grazie alle misure di autocensura adottate dalle testate stesse. La critica passava, invece, attraverso la citazione di casi in cui il rapporto tra centro e periferia pareva essere esemplare: «[Il colonialismo inglese] non ha introdotto limitazioni alla religione, alla lingua e nemmeno alla possibilità di governare il proprio paese, ma ha solamente preteso che venissero acquistati i prodotti inglesi e che all’Inghilterra venisse venduto quanto eventualmente prodotto» [Kraujalis 1914a]. Se, tra le righe, è possibile leggere una critica alle opposte tendenze tenute dalle autorità zariste nei confronti dei lituani dopo la rivolta del 1863-64, essa non toccava l’Impero come forma di stato, ma i rapporti tra il centro e le sue componenti nazionali intese come soggettività politico-culturali. Essa cioè evidenziava il nocciolo di un nuovo possibile patto politico tra l’apparato burocratico imperiale e le nazioni quali depositarie del potere di rappresentanza degli individui, sottolineando ancora una volta come la concessione dell’autonomia alle nazioni dell’impero costituisse l’unica via per un rinnovato patto tra lo stato e i suoi cittadini. Implicitamente, tale riequilibrio tracciava il nuovo limite tra potenze europee: da un lato, gli imperi multinazionali in cui la forza dello Stato si accorda alla cooperazione economica tra i suoi cittadini e al rispetto dei diritti positivi delle nazioni; dall’altro, le potenze accentratrici – l’Impero tedesco in AndreA GriffAnte La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici 205 primis – in cui la potenza economica rappresenta il risultato di un’omologazione forzata e una spinta all’espansionismo imperialistico. to dei rapporti sociali esterni e interni allo Stato. Se la guerra era stata il risultato dell’azione di «[...] industriali, possidenti terrieri e, in generale, classi dominanti [...] totalmente incuranti dei bisogni delle classi inferiori» [Markauskas 1914c] e delle masse di contadini tedeschi senza mutamento di quella struttura sociale che la Germania aveva ereditato dalla Prussia e di cui il paese era la massima espressione storica. Al suo sulla convinzione che il fondamentale apporto alla vittoria della Russia zarista sarebbe arrivato proprio dalle giovani nazioni presenti nell’imai polacchi rendevano oramai evidente, non sarebbe più stato rinviabile [Markauskas 1914d]. Dal mito alla realtà: l’esperienza dell’occupazione tedesca Fino alla nuova avanzata tedesca sul fronte orientale nella primavera-estate del 1915, il mito e la sua attualizzazione rappresentarono un utile strumento per rendere relativamente familiare alle Cittadina lituana in fiamme durante l’avanzata tedesca, 1915 (fonte: Lietuvos dailės muziejus: http://www.epaveldas.lt/vbspi/ biRecord.do?biRecordId=9267) 206 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche masse contadine un evento senza precedenti. Ma se attraverso l’utilizzo del mito e della sua attualizzazione la classe intellettuale lituana avedella Germania, il mutamento della situazione e l’inizio dell’occupazione tedesca scombinò irrimediabilmente gli scenari prospettati. Per circa 500.000 abitanti di quelli che erano stati i Territori del Nord-ovest dell’Impero russo, l’estate del 1915 coincise con l’emigrazione verso le regioni centrali della Russia11. Per questi ampi strati di popolazione – tra cui circa 250.000 lituani – si trattò dell’inizio di un periodo di “esilio” che rese tuttavia possibile lo sviluppo di un reticolo di strutture educative, assistenziali e burocratiche di dimensioni mai viste prima. Seppur tra restrizioni notevolmente maggiori, il periodo dell’occupazione tedesca del cosiddetto Ober Ost rappresentò un’analoga occasione per la popolazione rimasta in loco. Va però notato che mentre per i lituani dislocati in Russia il periodo dell’occupazione tedesca fu principalmente un’occasione di formazione civica e politica, per chi rimase nell’Ober Ost il quotidiano rapporto con l’amministrazione militare e civile tedesca degli occupanti. Su questo ultimo punto concentrerò la mia attenzione. Se nell’estate del 1914 la guerra aveva rappresentato un evento concreto e palpabile solo per le popolazioni residenti a ridosso della linea del fronte, l’inizio dell’occupazione e l’insediamento delle nuove strutture amministrative tedesche tra la tarda primavera e l’autunno del 1915 resero concretamente chiara a tutti la natura degli avvenimenti che stavano interessando il resto dell’Europa e del mondo. Nonostante, come abbiamo visto, le ragioni della guerra venissero principalmente rinvenute nell’imperialismo tedesco e nel suo sviluppo tecnologico-industriale, la Ober Ost) trasferitisi nelle regioni centrali della Russia, solo 350.000 circa poterono far ritorno nel neonato Stato indipendente lituano tra il 1918 e il 1923. Molti rifugiati videro il loro ritorno reso 11 pericolosamente gli equilibri etnici dello Stato: Balkelis 2004. AndreA GriffAnte La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici 207 fascinazione per uno Stato che nel giro alcuni decenni era riuscito a crearsi e a salire ai vertici economici e politici d’Europa poteva essere sazionale se confrontata al grado di arretratezza della Russia zarista e ai suoi crescenti problemi sociali. L’avanzata dell’esercito tedesco, tuttavia, fu decisiva per cancellare ogni residua fede nei buoni frutti della “civiltà tedesca” e ravvivare l’immagine del nemico come l’epigono dei Cavalieri teutonici e dei loro rudi modi. Il sacerdote Kazimieras Pakalniškis [1940, 105] espresse nel suo diario il contrasto tra le residue speranze e l’esperienza diretta dell’occupazione nei termini di un amaro disincanto trare in precedenza: Prima della guerra avevo letto sulla stampa lituana e polacca del grande timor di Dio dei tedeschi, di tutte le loro associazioni e organizzazioni deputate all’innalzamento dello spirito e delle condizioni materiali della gente, delle loro vivaci e solenni assemblee annuali. Ero convinto che quei cattolici tedeschi dovessero essere, nella loro vita di ogni giorno, delle persone eccezionali, un vero esempio per i cattolici di tutte le nazioni. È passato più di un anno da quando vivo nel “territorio di occupazione tedesca” (Im besetzen Gebiete). Mi è capitato di vivere per più tempo tra i soldati tedeschi. Tra di loro v’erano sia cattolici che prote[...] Quando c’era da derubare la nostra gente, da violentare donne e vano dai loro colleghi protestanti. I cattolici bavaresi erano i più violenti e crudeli di tutti i soldati, gli stessi tedeschi li chiamavano i “cosacchi di Germania”. Nella diaristica e nella memorialistica delle classi popolari (e, a dire il vero, non solo delle classi popolari) l’accostamento tra nuovi occupanti e Cavalieri teutonici venne declinato in termini ancora meno mediati. nel 1937 argomentava l’occupazione tedesca nei termini di una vendetta anni dell’occupazione, i soldati dell’esercito tedesco apparvero simili a 208 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche “belve” (žvėrys) che «depredarono la nostra terra e [...] nel peggiore dei introdussero «nei confronti degli abitanti l’ordine della crudeltà tedesca e i modi del governo teutonico [...]» basato sulla «[...] rapina e l’uccisione principali ragioni. In primo luogo, nell’Ober Ost le forze di occupazione tutta l’economia di guerra tedesca. Le requisizioni del bestiame e dei assunsero ben presto un carattere massiccio – avevano esattamente il doppio obiettivo di soddisfare, almeno in parte, i bisogni dell’esercito requisizioni vere e proprie e alla miriade di balzelli introdotti col passare propria totale discrezione e spesso non lesinando atti di gratuita violenza vo oggetto dell’interesse tedesco. Durante gli anni dell’occupazione, le foreste divennero l’oggetto di uno sfruttamento sistematico senza precedenti che defraudò parte del territorio di una delle sue principali fonti economiche. Tuttavia, ad essere oggetto e strumento dello sfruttamento furono soprattutto gli abitanti locali utilizzati vieppiù come forza lavoro gratuita. La tendenza all’utilizzo forzato dei civili nelle attività ecoCorvée a cadenze più o meno regolari nei manieri fatti propri dalle forze militari tedesche divennero una consuetudine cui 2012]. Il volume della popolazione impegnata per periodi consecutivi in AndreA GriffAnte La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici 209 servizi di lavoro – di fatto, veri e propri lavori forzati – nell’Ober Ost o in Germania aumentò considerevolmente tra il 1916 e il 1917. Obbligati a prestar servizio in campi di lavoro sguarniti di qualsiasi più elementare norma igienica per mesi o addirittura anni, ammassati in locali malsani, malnutriti e spesso malati, migliaia di abitanti dell’Ober Ost esperirono dell’universo morale lituano. Non tenendo conto delle festività religiose che caratterizzavano il calendario di una società agraria come quella lituana, i vari servizi di lavoro obbligatorio scardinarono la distinzione tra tempo sacro e tempo profano. Similmente, lo spazio sacro si ritrovò ad essere materialmente violato dalla presenza tedesca12. La popolazione fu inoltre oggetto di un controllo che superò di gran lunga le restrizioni conosciute durante il periodo zarista. Enormi limitazioni furono imposte alla libera circolazione delle persone sul territorio, vincolando i movimenti alle nuove entità amministrative (Bezirke) o al nullaosta delle autorità. In un periodo caratterizzato da requisizioni, razionamento dei generi alimentari e da una progressiva mancanza di beni di prima necessità, le limitazioni alla mobilità resero gli approvviprovigionamento diminuirono la razione media degli abitanti di Vilnius a sole 805 calorie giornaliere e a un aumento della mortalità dal 2,2% 12 con mio grande stupore che la nostra chiesetta era stata trasformata in una scuderia. Puzzava di urina di cavallo e le pareti erano state tutte rosicchiate dai cavalli. Anche se il locale era stato ripulito dallo sterco, l’odore di sterco era molto intenso». Situazioni smili erano molto comuni in tutto il territorio di occupazione. 210 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche del 1915 al 8,13% del novembre 191713. Nel complesso, tale situazione trasformò gli anni dell’occupazione tedesca dei territori dell’Ober Ost in «[...] una dei peggiori e più tristi periodi della nostra storia» durante il vicini d’occidente che si consideravano i portatori di cultura per l’orien- conclusioni Le brevi considerazioni presentate in queste pagine sono probabilmente le l’immagine dei tedeschi come dei nuovi Cavalieri teutonici sia stata tunno del 1914 l’immagine era stata utilizzata con il malcelato obiettivo di mobilitare la popolazione nella convinzione di una veloce vittoria russa, in seguito all’avanzata dell’esercito tedesco e alla successiva occupazione essa divenne un paradigma in grado di spiegare e render ragione della durezza delle misure adottate dagli occupanti. Va tuttavia detto che per quanto l’esperienza del periodo 1915-1918 e lo stereotipo violento del tedesco rimase chiaramente impressa nella memoria degli abitanti che subirono sulla propria pelle le conseguenze dell’occupazione, essa divenne nel corso del dopoguerra la vittima di nostri giorni. Le ragioni possono essere ricondotte a tre ordini di fattori. In primo luogo, l’esperienza dell’occupazione tedesca riguardò solo una parte dei futuri cittadini della Repubblica di Lituania nata nel 1918 e fu pertanto patrimonio della memoria comunicativa di una sola parte della nuova nazione politica. Per le decine di migliaia di persone rimpatriate 13 ne alla Lietuvos Taryba del novembre 1917. - AndreA GriffAnte La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici 211 rimase associata all’evacuazione nelle regioni interne dell’Impero zarista nelle proprie abitazioni. Fino allo scoppio rivoluzionario, le comunità emigrate in Russia poterono condurre una vita nei limiti del possibile normale e con una libertà d’azione – ad esempio in campo educativo e In secondo luogo, la disputa lituano-polacca relativa alla regione di Vilnius e la sua presenza nell’agenda internazionale per tutti gli anni ’20 e ’30 rese il ruolo dell’occupazione tedesca meno centrale per la memoria collettiva rispetto a quanto non lo fossero la Polonia (la Rzeczpospolita) e i polacchi. Proprio in questi ultimi la master narrative storica lituana aveva individuato i principali nemici della nazione, storicamente impegnati In terzo luogo, nel corso del dopoguerra la memoria della dolorosa occupazione tedesca e l’immagine dei tedeschi come nuovi Cavalieri luogo della memoria dello Stato lituano indipendente: la battaglia di Grünwald. Ad essa, nella sua accezione di vittoria dei lituani (e non di un esercito plurinazionale) sui tedeschi e al loro principale condottiero, Vytautas, fu dedicato il massimo risalto nello spazio pubblico lituano per tutto il periodo interbellico. Se le impellenze dell’agenda politica dello Stato nazione lituano spiegano le ragioni dell’oblio di questa pagina di storia del Baltico orientale, esse non ne possono più rappresentare una ne di un piccolo tassello di una problematica complessa che solo ora, a cent’anni di distanza gli storici professionisti hanno iniziato a studiare. 212 Storicamente 10 - 2014 Studi e Ricerche Fonti Abraitis J. 1914, Karui prasidėjus Bakšys J. 1914, Lietuvi, mylėk savo žemelę, «Aušra», 1 ottobre. Lietuvių deklaracija, «Rygos garsas», 27 agosto (9 settembre). Bugailiškis P. 1914, Rinkime karo meto medžiagą! (1 ottobre). Dovydaitis P. 1914a, Lietuva ir karas, «Viltis», 13 (26) ottobre. Dovydaitis P. 1914b, Tarp kūjo ir priekalo, «Viltis», 3 (16) settembre. 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Nella “Prima relazione”, qui pubblicata e analizzata, il liquidatore Giorgio Ambrosoli ricostruisce le cause e le responsabilità di Sindona nel crack bancario che porteranno ai processi per bancarotta in Italia e negli Stati Uniti. At the end of the Sixties the banker Michele Sindona introduces in italian economy new tools to hide a comprehensive system based on the control of financial companies in tax havens in Europe. In 1972 he merged in Italy Banca Unione with Banca Privata Finanziaria in Banca Privata Italiana. In 1974, following Franklin National Bank failure too, also fails both the attempt of refinancing Finambro and Banca Privata Italiana. The liquidator of Banca Privata Italiana Giorgio Ambrosoli reconstructs the causes of failure reacting to crack bank to process for bankruptcy against Sindona in Italy and in the States. 222 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti Dall’impero di Sindona ai castelli di carta: il contesto della Prima relazione Il 24 settembre 1974, il presidente della Camera Sandro Pertini denuncia in apertura di seduta che il Parlamento è stato tenuto all’oscuro dell’affare Sindona e che il governo ha steso un velo pietoso sulla questione. Lo stesso giorno, al pomeriggio, nelle stanze della Banca d’Italia, viene decisa la liquidazione coatta della Banca privata italiana. La sera del 24, un funzionario di Bankitalia convoca per l’indomani Giorgio Ambrosoli ad una riunione con il governatore Guido Carli, il suo nome è stato segnalato in via Nazionale dall’avvocato Storoni e dal professor Tancredi Bianchi che presiede il collegio dei sindaci del Banco di Roma [Ambrosoli 2009, 76]. L’avvocato Ambrosoli, esperto in procedure fallimentari, spera di poter lavorare assieme ad altri componenti del gruppo di tecnici ormai collaudati che si sono occupati della liquidazione della Società liana dal dopoguerra – ma nel corso della riunione apprende di dover svolgere la funzione di “unico commissario liquidatore”. Prima di insediarsi nella sede milanese della banca in via Arrigo Boito 10, Ambrosoli chiede l’aiuto di Pino Gusmaroli, esperto di mercato borsistico e degli avvocati Tino e Pollini (cfr. Prima Relazione del Commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, II. 2.d.5). Accettare l’incarico di liquidare un istituto bancario con una vocazione liano sulla politica e sulla collettività. La stesura della Prima relazione affaire Sindona, il primo atto pubblico di una vicenda che è stata gestita in gran parte a dei rumors Sindona, per abbagliare o confondere tanto gli operatori di borsa quanto OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 223 gli ignari risparmiatori. La liquidazione coatta della banca di Sindona coinvolge la rete di rapporti internazionali che il banchiere di Patti ha pazientemente costruito con i banchieri londinesi Hambro e la Continental Illinois Bank and Trust Company, guidata da David Kennedy segretario del Tesoro nell’amministrazione Nixon. La storia professionale di Sindona era nata come attività di esportazione di capitali all’estero e si era potenziata con l’acquisto dei pacchetti di controllo della Banca unione e della Banca re – poi banchiere di grido – ha come costante l’attività internazionale. L’attività bancaria di Sindona si sposta verso l’estero per la fondazione di società di controllo del gruppo ma anche per rapporti con istituti banIl successo repentino del sistema Sindona suscita invidie e sospetti sull’origine dei capitali che hanno contribuito a formare questo impero inacquisto in Italia nel ’71, Guido Carli, governatore della Banca d’Italia, vedrebbe un ingresso massiccio di capitali stranieri, assegnando a Sindona una posizione dominante: Il grande disegno fu concepito nel 1971. Sindona mirò all’acquisizione del controllo della Centrale e della Bastogi e alla loro fusione, all’acquisizione del controllo della Banca nazionale dell’agricoltura. [...] Se il programma fosse stato realizzato si sarebbe costituita una delle maggiori, una concentrazione di potere esorbitante la capacità di controllo di un sistema formato dall’intreccio di disposizioni vetuste, concepite agli albori del capitalismo italiano [Carli 1995, 236]. Ed ancora: combinando acquisti privati e acquisti sul mercato, il più delle volte acquisire il controllo della Italcementi, quindi dell’Immobiliare, quindi 224 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti della Riunione adriatica di sicurtà, dell’Assicurazione italiana, della Banca provinciale lombarda, del Credito commerciale, dell’Istituto bancario italiano [Carli, Cantoni 1979, VII-XXIII]. Accettando il suo incarico di commissario liquidatore Ambrosoli entra nel pieno dello scontro che si consuma tra capitale nazionale e spinte scista e brasseur d’affaires come Sindona [Panerai, De Luca 1975, 65]. Le operazioni che Ambrosoli si appresta a ricostruire seguono un corso ra dell’istituto di Sindona: tempi frenetici nei cambi di divisa proiettati su scala internazionale – se non globale, alla velocità delle borse e delle per la mancanza di organi di controllo alla stregua della Security Exchange Commission (Sec) statunitense le cui mansioni sono svolte dalla Banca d’Italia e successivamente dalla Consob (che vede la nascita in seguito al crack delle banche sindoniane). La dislocazione del gruppo rende difitaliana non possiede strumenti per inseguire patrimoni all’estero sotto forma di aziende o scatole che contengono società che fungono da mera merce di scambio1 sindoniano delle aziende, negli incroci azionari che il banchiere costruisce alle spalle di ignari risparmiatori. to dei suoi istituti bancari e per alcune operazioni non autorizzate che il settembre dello stesso anno il governatore Carli dà l’avvio ad un’ispezione che denuncia gravi irregolarità nella contabilità di Banca unione e Banca privata italiana: gli ispettori della Banca centrale propongono 1 OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 225 il commissariamento dell’istituto secondo quanto previsto dall’articolo 57 della legge bancaria. Nonostante molte voci di critica – compresa quella dello Ior che vedrebbe toccati i propri interessi, Carli decide di segnalare alla magistratura le irregolarità che costituiscono degli illeciti penali, ma non avvia il commissariamento delle banche sulla scorta della suo modus operandi. gi2, Sindona aveva iniziato a concentrare la sua attività nel mercato statunitense dove poteva giovarsi dell’appoggio dei circoli massonici italo americani legati a Cosa Nostra [Lupo 2008, 249] e della “sponda” antimiliardi che gravitano tra Banca privata, Banca unione e Privat Kredit Bank, Fasco e Amicor (società riconducibili a Sindona), viene acquistato nel ’72 il pacchetto di controllo della Franklin New York Corporation [Spero 1980], proprietaria della Franklin National Bank (II.1.c.2). Anche se il banchiere si concentra sui mercati esteri lavora attivamente per riorganizzare le partecipazioni italiane: la Edilcentro-Sviluppo, la Banca di Messina, la Generale immobiliare e le banche milanesi. Sindona progetta di rilanciare il suo gruppo attraverso un aumento di 2 nella scalata dell’Italcementi, della Banca nazionale dell’agricoltura e in quella della Bastogi. Il comportamento di Carli è contraddittorio: se da un lato ostacola e blocca to straordinario quali l’applicazione dell’articolo 57 della legge bancaria che avrebbe portato al commissariamento degli istituti bancari del banchiere di Patti. Carli agisce in tutti e tre i casi su un terreno diverso da quello istituzionale con l’uso di strumenti abnormi. Per l’Italcementi fa sapere che gli è gradita la continuità del gruppo di controllo. Per la Banca nazionale dell’agricoltura interviene con una lettera che diviene di fa conoscere il suo dissenso all’entrata di capitale straniero agli Hambro e, favorendo il progetto di fusione proposto da Cuccia, fa valere il possesso di azioni della Banca d’Italia. Con questi espedienti il governatore si sforza di garantire lo status quo: cfr. Commissione Sindona, Relazione di minoranza, 32-33. 226 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti capitale della Finambro (II.1.g.5; II.1.i.1; II.1.i.2)3, da un milione di lire (capitale minimo per la quotazione di un’azienda) a 160 miliardi, ma l’aumento deve essere approvato dal Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (Cicr). Con il ricavato della vendita di società non strategiche – di cui il gruppo possiede la maggioranza – e dalla cessione di quote eccedenti il 51% di alcune altre, vorrebbe dar vita a una holding di respiro europeo, ma la caduta del governo Andreotti nel forti pressioni politiche, Ugo La Malfa, ministro del Tesoro del nuovo esecutivo presieduto da Mariano Rumor, non accorda l’autorizzazione all’aumento di capitale che dovrebbe passare dal Cicr. La Procura della Repubblica di Roma aveva informato il 21 settembre in via riservata il ministro del Tesoro e il governatore che era stata presentata una denuncia dalla quale risultava che la Finambro aveva negoziato titoli in Borsa prima dell’autorizzazione. Bankitalia precisò che la richiesta di aumento di capitale della Finambro escludeva anche per il futuro contrattazioni 3 milione di lire sottoscritto per il 50% da Maria Sebastiani e per la restante quota da Cosimo Viscuso. La società non gravitava all’atto della sua costituzione nell’orbita di Sindona anche se Viscuso era compreso nel circuito di interessi del gruppo. Solo in un secondo tempo Sindona se ne interessò direttamente perché gli serviva uno strumento rante l’assemblea straordinaria della società viene approvato un aumento di capitale da un milione a 500 milioni di lire; essendo stato accertato che il capitale era stato depositato nelle casse sociali nel corso della stessa assemblea si dispone un ulteriore aumento da 500 milioni a 20 miliardi, tale aumento sarebbe stato attuato dopo le autorizzazioni previste dalla legge. L’assemblea straordinaria del 3 agosto del ’73 deliberò l’aumento da 20 a 160 miliardi operazioni della società ed in particolare l’acquisto del pacchetti di maggioranza dell Società Generale Immobiliare Spa e della Moneyrex Euro Market Brokers. Il diniego del ministro del Tesoro del 15 luglio 1973 esclude il rilascio di autorizzazioluglio del ’74 il tribunale di Milano revoca l’omologazione della deliberazione d’assemblea straordinaria del 3 agosto ’73 perché «irragionevole e contraria a norme di ordine dell’omologazione: Commissione Sindona, Relazione di minoranza, 108. OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 227 . Nel marzo del 1974 la Franklin dà le prime avvisaglie di crisi. Il banchiere corre ai ripari chiedendo al Tesoro un altro aumento di capitale questa volta per la Banca unione che vuole fondere con la Banca privata. La partita sembra volgersi a suo favore con la nomina di Barone (vicino alla corrente di Giulio Andreotti) ad amministratore delegato del Banco di Roma. Sindona chiede al Banco la concessione di un prestito di 100 milioni di dollari per la Generale Banking Corporation, garantendolo con il 51% delle azioni della Banca unione e da titoli della Generale immobiliare5. L’operazione va in porto, Sindona convince i vertici del Banco, Ventriglia e Guidi, che il 20 giugno autorizzano il versamento della una prima tranche (rivelatasi illegittima per mancanza di autorizzazione e perché transitata attraverso il Banco di Roma Nassau). Voci sempre più insistenti denunciato perdite ingenti nelle società di Sindona a causa di irregolarità nelle procedure contabili, il Banco di Roma concede la seconda tranche del prestito, si scatena un dibattito politico che vede un’interrogazione parlamentare (D’Alema-Peggio, 5 luglio). L’unica alternativa al fallimento secondo il governatore sarebbe un’acquisizione da parte del Banco di Roma d’altra parte già impegnato con il prestito. Nel luglio dello stesso anno uno stuolo di dirigenti del Banco di Roma si insediano nella Banca unione ma la Banca privata resta in mano a Sindona che ne ha fatto la parte operativa del suo sistema. L’intervento dei funzionari del Banco di Roma non consente di appurare con tempestività la situazione che viene documentata dai rapporti degli ispettori 4 4 Relazione di minoranza, 102. 5 che ha prodotto secondo le stime del commissario uno sbilancio tra attivo e passivo di 168 miliardi (IV.1.c) (che rivalutati superano ampiamente il miliardo di euro). Solo la procedura di liquidazione permette di contenere i costi. La gestione ordinaria si sarebbe trovata esposta a passività per 472 miliardi e mezzo con uno sbilancio di più di 191 miliardi. Alla stima di 168 miliardi Ambrosoli aggiunge il rischio di forti multe valutarie ma anche la presenza di ingenti masse di capitali depositati in banche estere che applicano tassi di interesse pari o superiori a quelli interbancari. 228 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti di Bankitalia. Quando i vertici del Banco di Roma comunicano a Carli la gravità della situazione e l’irreversibilità del danno chiedono nel contempo un indennizzo di 35-40 miliardi per il servizio reso alla stabilità del sistema. A seguito dell’autorizzazione ministeriale, la Banca d’Italia Banco di Roma e il governatore si fanno più pressanti perché emerge in tutta la sua gravità la situazione in cui versa l’istituto. Il 28 agosto il Banco di Roma comunica che la Banca privata italiana cinquecento intestatari i cui nomi sono registrati nel misterioso “tabulato dei 500”. Il governatore dispone che tali depositi siano restituiti per salvare la credibilità del sistema su cui incombe lo scandalo delle banche 3 settembre Ventriglia comunica a Carli che il disavanzo dell’istituto di Sindona ammonta a 168,4 miliardi di lire. I vertici di Bankitalia propongono a Sindona di vendere la Banca privata italiana al prezzo simbolico di una lira ottenendone un secco ridi interesse nazionale6 che coinvolgerebbe il Banco di Roma, la Banca commerciale, il Credito italiano e l’Istituto mobiliare italiano per dare 6 struzione industriale (Iri) nel ’33 come risposta alla grave crisi economica dei primi anni Trenta in Italia. Le banche di interesse nazionale erano i tre maggiori istituti di credito in Italia: Banca commerciale italiana (conosciuta come Comit), il Credito itapali imprese coinvolte nello sforzo bellico, costruendo inoltre delle holdings e acquistando le loro stesse azioni in borsa. Si veniva a creare -secondo la nota formula emersa con la politica monetaria di Mussolini e la conseguente crisi di borsa del ’29. da la soluzione del problema che si era creato attorno al rapporto tra imprese e banche, risolto con la creazione dell’Iri. L’istituto ottenne dalla Banca d’Italia i capitali necessateresse nazionale»), controllando nel contempo le imprese possedute da queste banche. OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 229 vita alla Banca d’Oltremare. Il progetto naufraga per l’opposizione del presidente dell’IRI Petrilli7 che non vi intravede carattere di utilità in settembre si rende necessaria la dichiarazione di fallimento dell’Istituto. La Relazione del commissario liquidatore è un documento di sintesi che nasce dai «diari tenuti dal commissario e dal consulente della procedura» e racchiude il lavoro svolto nei primi sei mesi di incarico (I.1; II.1.d.1). Dalla sua lettura emergono problematiche che ne fanno un documento da leggere storicamente a più livelli. L’istituto bancario di cui si occupa Ambrosoli ha una storia singolare quanto lo sono le modalità con cui ne entra in possesso Michele Sindona. La Banca privata italiana è il frutto della fusione di Banca privata e annovera al suo interno una clientela più selezionata della seconda (dove il direttore Ugo De Luca può sperimentare nuove tecniche nell’ampliamento del portafoglio). Le due banche registrano una crescita vertiginosa dopo pochi semestri della nuova amministrazione. I canali principali di l’attività della sua banca anche fra i dipendenti delle sue aziende. Una coraggiosa e moderna politica di compartecipazione dei dipendenti unita ad un’alfabetizzazione sugli strumenti bancari (condotta a volte dentro gli stabilimenti delle proprie aziende) permettono a Sindona di mostrare le potenzialità del sistema bancario con tassi di interesse maggiori che nei più tradizionali libretti di risparmio postale. In questo modo i due istituti si garantiscono introiti freschi e continui dai propri dipendenti, avendo a disposizione una massa critica di capitali da far fruttare in 7 230 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti li della Milano del dopoguerra, questa quota del portafoglio clienti la Sindona sferra il suo attacco in direzione della Banca unione controllata dalla Bastogi, dai Feltrinelli e dallo Ior [Simula 1974, 80]. Il controllo del piccolo istituto bancario lo lega agli azionisti storici come lo Ior che ne controllano il capitale e che apprezzano l’anticomunismo militante del banchiere di Patti. La famiglia Feltrinelli gli cede le sue quote nell’Unione per la prossimità tra i pacchi azionari dello Ior che erano motivo di disagio per la parentela con l’editore Giangiacomo Feltrinelli. L’ultima prestigiosa tipologia di clienti è costituita dagli enti pubblici che possono giovarsi di tassi di credito agevolati. Non tutti ricevono lo stesso trattamento. Altro canale è dato dalle partecipazioni azionarie con l’Istituto per le opere di religione che gli cede una parte del pacco azionario ma 8 . di re Mida che concede dividendi mai visti e che trasforma in oro tutto quello che tocca. Vi sono due Sindona, quello pubblico – che ha costruito sapientemente il suo impero dal nulla, oggetto del chiacchiericcio un po’ risentito dei colleghi banchieri, della stampa specializzata e degli operatori di Borsa, e il secondo che viene smascherato a partire dal lavoro che lo porta al tracollo. Accertare il passivo della Banca privata italiavuote, quale sia il disavanzo reale, confrontare la realtà contabile – appurando le posizioni di credito di soggetti giuridici e non – salvando nel 8 1971. I soldi me li dà il fattorino, «L’Espresso», 22, 30 maggio OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 231 contempo la credibilità del sistema citata nel testo in quattro occasioni (II.1.b; II.1.c.1). Il commissario liquidatore spiega nell’introduzione: il fallimento di una banca agente con l’estero è fatto ben diverso dal fallimento di una azienda industriale per importante che sia. La sola interruzione del lavoro il distacco dei contatti elettrici denunziano e costifallimento mentre, per contro, non basta il decreto di messa in liquidazione a fermare la vita di una azienda di credito i cui rapporti con i terzi sono in tale continua mobilità anche dopo sei mesi dall’accertamento del dissesto da far sentire ancor vivo l’organismo a chi in esso opera anche se per liquidarlo (I.1). L’impero di Sindona nel marzo del 1974; adattamento da «Corriere della Sera», 9 ottobre 1974. La vita di un istituto bancario è simile a quella di un organismo vistituenti arrivando agli organi e ai tessuti. Anzitutto le risorse umane 232 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti che permettono alla macchina-organismo di funzionare. La procedura di liquidazione non si limita ad accertare lo stato di passivo e a “far di conto” per rendere quanto dovuto ai creditori, ma si pone nell’ottica di una continuazione delle attività in essere. All’atto del suo insediamento la banca possiede un organico di 587 (II.1.d.1) dipendenti distribuiti su quattro sportelli, a dimostrazione della strategia di Sindona che tendeva ad accentrare le attività del gruppo [La Ferla 1976]. La dimensione delle Ambrosoli trova una posizione irregolare e confusa nella contabilità dell’istituto. Grazie all’aiuto delle banche di interesse nazionale – che dichiarano da subito la disponibilità ad assumere i dipendenti della Banca privata italiana accollandosi un contingente di 230 impiegati (II.1.d.3), decide di non procedere a licenziamenti per fruire di una maggiore collaborazione del personale (IV.1.c). Al contrario vengono licenziati 14 dirigenti che avevano a carico degli avvisi di reato emessi dal pubblico ministero. La dislocazione degli istituti in soli quattro sportelli, a fronte del volume di capitali gestiti, indica uno spostamento del baricentro delle attività del gruppo in altri sistemi societari complessi. Il commissario parla di «mobilità del sistema», non solo perché il lavoro della banca è basato sulla movimentazione di capitali, ma per la rete che intrattiene al di fuori - controllare il maggior numero di società sfruttando il meccanismo della maggioranza dei pacchi azionari. Il controllo non è mai diretto ma passa per molteplici passaggi. La relazione di Ambrosoli rende conto di questo meccanismo elusivo. Liquidare in maniera tradizionale la banca equivarrebbe ad eliminare la vitalità di un organismo che fa parte del tessuto economico del paese. La procedura dovrebbe restituire quanto dovuto ai creditori ma la banca in OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 233 questione è un organo che dà lavoro e che è in comunicazione costante con altri sistemi. Da qui la lunghezza del rapporto che si occupa prima di ricostruire questa comunità di intenti, poi di procedere alla liquidazione. La complessità della contabilità delle due banche non permette di fornire dei calcoli attendibili. Il ragionier Fignon dopo sei mesi di inteso lavoro non può che fornire delle stime (anche per il fatto che durante la liquidazione le società legate alla banca e la Fasco AG sono ancora in attività). Ambrosoli dirama un comunicato per tranquillizzare il ceto creditorio ed evitare turbative di mercato (II.1.a.1). Risolve il problema della liquidazione di borsa che in Italia aveva cadenza mensile rassicurando il Comitato degli agenti di cambio. Il commissario cerca la collaborazione delle banche di interesse nazionale temendo che il prolungarsi della formazione dello stato passivo richiederebbe tempi assai lontani rispetto ai sei mesi previsti dalla normativa, con il rischio che le banche debbano surrogare i crediti che poi la liquidazione sarebbe costretta a contestare. Nel fare questo assicura alle banche che i crediti nei quali si fossero surrogate sarebbero stati iscritti nello stato passivo. Ambrosoli chiede inoltre di essere autorizzato ad eseguire i contratti di cambio in essere presso la banca. Vengono compensati tutti i contratti ritenuti validi per assicurare la credibilità del sistema anche in deroga alla convenienza nelle procedure di liquidazione (II.1.c.1). Già dopo due mesi la mole e i ritmi di lavoro sostenuti gli consentono di liquidare i primi creditori dell’istituto (II.1.b.2). Vengono esclusi dalla surroga del credito coloro che sono ritenuti responsabili del dissesto o ancora coloro che avessero legami con il precedente gruppo di controllo della Banca privata italiana (II.1.b.3). Nel corso delle procedure Ambrosoli appura come siano stati concessi interessi particolari ad alcuni clienti dell’istituto. Sembrando «iniquo e pericoloso» applicare gli interessi al tasso legale, li uniforma al tasso impostato dal Calcolatore del Centro contabile della banca. Questa scelta richiede uno sforzo da parte delle banche del consorzio che si accollano 234 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti settembre e la data della surroga (II.1.b.4). Le banche di interesse prendono in surroga anche i crediti degli agenti di cambio che si sono esposti per via della particolare organizzazione del mercato italiano (II.1.a.1). Non si dà esecuzione a contratti con banche estere, come per la Franklin Bank di New York nonostante la fama dell’istituto (II.1.c.2), o come nel caso della Bank of Nova Scotia (II.1.c.3) o dello Ior che viene escluso dallo stato passivo della banca. moniano la presenza di ben 4.674 titolari per 7.019 rubriche (II.1.e.1), a questi si aggiunge un notevole numero di titoli di possesso di residenti in Italia (II.1.e.5). Nei caveaux dell’istituto sono custoditi materialmente molti titoli di società appartenenti al gruppo Sindona o ritenute tali. Ambrosoli decide consegna alle società in posizione di debito nei confronti dell’istituto. La gestione delle posizioni della Mediolanum Management Co. (II.1.f.1) e della Finabank (Banque de Finacement di Ginevra) (II.1.f.2) risulta di za della società di gestione del fondo (la restante parte è posseduta da Italswiss e da Finabank). Temendo che le autorità lussemburghesi potessero revocare le autorizzazioni al fondo la cui gestione era acefala, Ambrosoli convoca l’assemblea per la ricostituzione del Consiglio – banche i crediti nella gestione Mediolanum. La Banca privata italiana possiede il 37,51% del capitale di Finabank (parte residua è posseduta dallo Ior, dalla Fasco – sempre posseduta da Sindona – e dall’EdicentroSviluppo). Complicandosi la procedura per pendenze legali con il tribunale di Milano e per l’interesse a subentrare di alcuni istituti, decide di liquidare compensando debiti e crediti con l’istituto elvetico. La Banca d’Italia aveva diramato un comunicato stampa per il consorzio OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 235 delle banche di Interesse nazionale per la surroga a depositanti e creditori, che consentiva di frenare turbative nel mercato azionario nazionanazionale» (II.2.b). Una parte importante della Relazione si occupa del recupero crediti di aziende legate alla Banca privata italiana in quanto società appartenenti al gruppo Sindona. Ambrosoli, «stante la crisi economica e il blocco nei crediti ancora in atto nell’ottobre ’74», decide di non sciogliere i rapporti con aziende e società per non decretare il loro fallimento. Nel rapporto sono citati i casi più eclatanti di indebitamento societario che coinvolge un numero di operai e dipendenti che tocca le grande quantità di aziende acquistate e poi fuse per creare delle corporate. La gran parte di queste aziende (alcune delle quali quotate) versavano in pessime condizioni, come risulta dal loro indebitamento con gli istituti di sua proprietà. Accelerando l’indebitamento di aziende produttive si contribuiva ad impoverire il tessuto industriale in varie zone d’Italia. I legami tra le aziende del gruppo e gli istituti bancari avevano il comsottoscrizioni di capitale della Finambro. In questo modo era possibile spostare agevolmente grandi masse di capitali attraverso i corridoi societari che partivano dalle banche, passavano per l’acquisto delle società, del gruppo. Questo approccio viene seguito da Sindona anche nel caso di società in accomandita come la Mabusi o la Gadena (II.1.g.5). Le società erano trattate come merce di scambio ma con maggior spregiudicatezza era trattato l’indebitamento societario a discapito delle riforme o delle ristrutturazioni nei sistemi produttivi. Sindona acquista società rubrica «credito verso l’estero»)(II.1.h) che portano al crack del sistema e che assumono un peso sempre maggiore nel suo lavoro di liquidatore sopravanzando la semplice procedura amministrativa. 236 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti Una ricostruzione del funzionamento del sistema Sindona. Le banche fuse nella Banca privata italiana (II.1.h): Le banche estere, come semplici intermediarie, non erano tenute a ri- A complicare la ricostruzione vengono inserite nel circuito societario ne dei movimenti. Alla luce delle scoperta del meccanismo dei depositi dallo stato passivo della Amincor Bank legata tramite questo meccanismo allo Ior vaticano9. 9 OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 237 rappresentano le trame più nere della storia di Sindona. Si prestano ad 11 , attività illegali, da provvigioni e tangenti ai partiti10 nella strategia della tensione in quel più vasto arco cronologico che è la - dum sul divorzio del 1974. L’ultima e più spericolata impresa di Sindona che risulta dalla Relazione è l’operazione di aumento di capitale della Finambro che è costretta a rimborsare i sottoscrittori quando appare chiaro che non sarebbe arrivata l’autorizzazione dal Cicr. La credibilità del sistema che sta tanto a cuore di Ambrosoli è salvata dalla trasparenza e dalla coscienza che emerge nella stesura della relazione, che inizia a delineare un quadro destinato a cambiare, che non permetterà al «gruppo che aveva il controllo dell’azienda di scaricare su terzi le conseguenze del dissesto» (VI.1). aveva depositati a sua volta in divisa straniera (dollari e marchi) presso la Banca unione sulla base di un contratto stipulato in Italia tra Banca unione e Ior che esigeva il risarcimento dalla liquidazione perché l’operazione in questione era solo una modalità esecutiva. In questa sezione Ambrosoli spiega che l’Amincor è legata a livello azionario alla Banca privata, quindi di proprietà di Sindona. Secondo il comunicato di Bankitalia erano esclusi tutti gli attori corresponsabili del dissesto, comprese le banche conniventi al sistema Sindona; da qui il diniego di Ambrosoli che riconosce una posizione creditoria ad Amincor Bank negandola allo IOR: Novembre S. 1995. Commissione Sindona, audizione di Edoardo Ruggiero del 1° ottobre 1981, doc. XIII N.2 septies/4, 746 ss. La testimonianza di Ruggiero è incentrata sui fondi neri derivanti dagli interessi non dichiarati ad enti pubblici come la Gescal. 10 International Criminal Police Organization di Washington alla Criminalpol di Roma. cit. in Lombard, Soldi truccati, I segreti del sistema Sindona, Milano, Feltrinelli 1980, pp.15-16. 11 238 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti Fonti Relazione del Commissario liquidatore della Banca privata italiana, 1975, Archivio Banca Privata Italiana, 1335, presso Archivio della Camera di Commercio di Milano. Documentazione allegata alla relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche ed amministrative ad esso eventualmente connesse (Leggi 22 maggio 1980, n. 204, e 23 giugno 1981, n. 315) trasmessa alle Presidenze delle Camere il 27 ottobre 1982: resoconti stenografici delle sedute della Commissione Ambrosoli U. 2009, Qualunque cosa succeda, Milano: Sironi. Carli G. 1995, Pensieri di un ex governatore, Edizioni Studio Tesi: Pordenone. Carli G., Cantoni 1979, 1973-74, Il terremoto monetario, Etas libri: Milano. Commissione Parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche e amministrative a esso eventualmente connesse, Relazione di minoranza 1982 del Senato, ora disponibile in Dossier Sindona, Milano: Kaos, 2005, 30 ss. De Luca U. 1971, I soldi me li dà il fattorino, «L’Espresso», 30 maggio 1971. Flamigni S. 2005, Trame atlantiche. Storia della loggia massonica segreta P2, Milano: Kaos. Garruccio R. (ed.) 2004, Le grida: memoria, epica, narrazione della Borsa di Milano, 1945-1995, Soveria Mannelli: Rubettino. La Ferla M. 1976, A Sindona lascio una foto ricordo, ‹«L’Espresso», 26 gennaio 1976. Lupo S. 2008, Quando la mafia trovò l’America, Storia di un intreccio internazionale, 1888-2008, Torino: Einaudi. Novembre S. 1995, La fatica della legalità, «Micromega», (1): 142-154; ripubblicata in Robiglio C. (ed.) 1997, Ambrosoli: Nel rispetto di quei valori, Novara: Interlinea Edizioni, 79-96. Panerai P., De Luca M. 1975, Il crack, Sindona la Dc, il Vaticano e gli altri amici, Milano: Mondadori. Simula G. 1974, L’Impero Sindona: ascesa e crollo, «Politica ed economia», 1974, (5): 79-88. Stajano C. 2010, Un eroe borghese, Torino: Einaudi. Spero E. 1980, The failure of the Franklin National Bank. Challenge to the International Banking System, New York: Columbia University Press; trad. it, Spero E. 1982, Il crollo della Franklin National Bank. Una sfida al sistema bancario internazionale, Bologna: Il Mulino. OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 239 Documento. testo commentato della Prima relazione del commissario liquidatore della Banca privata italiana (1975) di giorgio ambrosoli - Indice Le sezioni indicate con i punti di sospensione entro parentesi quadrate [...] non sono presenti in questo testo Parte I 1. PREMESSA 2. CONSEGNE: a) Nomina b) Consegne c) Situazione patrimoniale di consegna d) Primi provvedimenti Parte II 1. ATTIVITÀ DELLA LIQUIDAZIONE a) Liquidazione di Borsa 1) Risoluzione riporti settembre e ottobre. 2) Contratti a termine [...] 3) Compravendite per contanti [...] 5) Premi [...] 7) Titoli Banca Unione [...] 8) Conclusioni b) Consorzio per le surroghe nei crediti di depositanti 1) Trattative 2) Comunicato 3) Creditori esclusi 4) Gli interessi 5) Depositi banche estere 6) Riporti e compravendita a termine 240 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti 7) Conclusioni c) Operazioni in cambi 1) Rapporti a scadere 2) Operazioni non eseguite 3) Nova Scotia d) Organico e personale 1) Organico 2) Filiale di Roma 3) Contatti con le banche di interesse nazionale 4) Dirigenti 5) Collaboratori e) Titoli 1) Di terzi a dossier 2) Titoli venduti e non girati 3) Titoli del gruppo 4) Titoli di proprietà 5) Titoli esteri di residenti 6) Titoli italiani di non residenti f) Partecipazioni 1) Mediolanum Management Co. 2) Finabank - Banque de Financement - Ginevra. 3) Banca di Messina 4) Immobiliare Rattazzi 5) Centenari & Zinelli S.p.A 6) Finrex 7) Illsa Viola 9) Leasing Italiana 10) Interbanca 11) Varie 12) Realizzo partecipazioni g) Recupero crediti 1) Venchi Unica 2) Smeriglio 3) Maga 4) Microel 5) S.a.s. diverse 6) Kaitas, Wescon, Teracon 7) Società diverse del gruppo Sindona. h) Crediti verso l’estero 2) Diversi i) Operazioni particolari 1) Finambro 2) Finarco 3) Interbanca OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 4) Franklin 5) Amincor Bank Parte III 1. SITUAZIONE GIURIDICA DELLA PROCEDURA a) Tribunale Civile 1) Istanza di insolvenza 2) La sentenza 3) Opposizione Fasco b) Tribunale Penale 1) Testimonianze 2) Costituzione parte civile 3) Sequestri 4) Prima relazione 5) Prof. Devoto 6) Polizia Tributaria c) Giudizi diversi avanti il Tribunale Regionale Amministrativo Parte IV 1. SITUAZIONE PATRIMONIALE a) Accertamento del passivo [...] b) Accertamento dell’attivo [...] d) Motivi della formazione dello sbilancio Parte V [...] 1. CONTO ECONOMICO DELLA LIQUIDAZIONE [...] Parte VI 1. CONCLUSIONE 241 242 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti Parte i Questa relazione12 viene stesa dal Commissario Liquidatore al termine dei primi sei mesi dalla data del decreto che ha posta in liquidazione coatta amministrativa la Banca Privata Italiana e viene stesa soprattutto utilizzando i diari tenuti dal Commissario e dal Consulente legale della procedura. Rileggere ora tali diari, è per l’estensore rivivere le ore tutte di quel periodo ma la relazione, per necessità di sistematica e di sintesi, mai potrà rendere se non in minima parte l’impegno di tutti coloro che hanno collaborato in questi mesi non poca parte ha avuto nella vita economica del Paese negli scorsi anni. Soprattutto la relazione non potrà in alcun modo rendere ciò che l’estensore ed i suoi collaboratori hanno provato e cioè che il fallimento di una banca agente con l’estero è fatto ben diverso dal fallimento di una azienda industriale per importante che sia. La sola interruzione del lavoro il distacco dei contatti eletza dichiarativa del fallimento mentre, per contro, non basta il decreto di messa in liquidazione a fermare la vita di una azienda di credito i cui rapporti con i terzi sono in tale continua mobilità anche dopo sei mesi dall’accertamento del dissesto da far sentire ancor vivo l’organismo a chi in esso opera anche se per liquidarlo. Prima di iniziare la relazione, il sottoscritto sente il dovere di dar atto che alla sua attività ha collaborato, con massima disponibilità, il Comitato di Sorveglianza i cui membri hanno operato non solo come componenti di un Organo di Controllo ma come collaboratori primari partecipando con impegno quotidiano all’attività della procedura. Del pari, l’estensore deve dichiarare che solo e soprattutto dal personale della Banca Privata Italiana, gli ha consentito di svolgere il primo periodo di attività ottenendo certi risultati che, altrimenti, semplice funzione autorizzativa la procedura e che sia gli organi centrali della tegrale del documento (aut. n° 2/2014) e Luca Castiglioni, responsabile dell’ Archivio della Camera di Commercio di Milano per la disponibilità e la collaborazione nella pubblicazione della Relazione del Commissario liquidatore della Banca Privata Italiana conservato nell’Archivio Banca Privata Italiana. 12 OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 243 Banca d’Italia che quelli della sede di Milano sono stati prodighi sempre di consigli e suggerimenti. I.2.a) Nomina. Con decreto 27.9.1974 il Ministro per il Tesoro ha disposto la liquidazione coatta amministrativa della Banca Privata Italiana: in pari data il Governatore della Banca d’Italia ha con proprio decreto nominato Commissario Liquidatore l’Avv. Giorgio Ambrosoli e membri del Comitato di Sorveglianza13 i Sigg. Avv. Giovanni Demaria, Dott. Bruno Pasquali e Dott. Alberto componenti del Comitato di Sorveglianza si presentava alla sede dell’Istituto: dichiarava all’Amministratore Delegato Rag. Giovan Battista Fignon che, in forza del decreto sopracitato, egli prendeva possesso dell’azienda e chiedeva la consegna dei documenti e della situazione patrimoniale della Banca. I membri del Comitato di Sorveglianza si riunivano ed eleggevano a Presidente del Comitato il Dott. Bruno Pasquali. Il Commissario, d’accordo con il Rag. Fignon convocava quindi i componenti del disciolto Consiglio d’Amministrazione il giorno 11.10.1974. I.2.b) Consegne. In tale data, presenti quasi tutti i componenti del disciolto Consiglio di Amministrazione nonché i Sindaci14, il Rag. Fignon dava lettura di una propria relazione dichiarando peraltro che il Consiglio non era in grado di rassegnare la situazione economico-patrimoniale. Il Commissario Liquidatore accettava con riserva le dichiarazioni del Rag. Fignon e, presente il notaio, venivano iniziate le operazioni di consegna dei libri sociali e di inventario. . Solo in data 25.10, il Rag. Fignon era in grado di rassegnare una situazione economico-patrimoniale alla data del 27.9.74, situazione che peraltro era accompagnata da riserve tali da parte dello stesso Rag. Fignon da renderla assai poco convincente. Da tale situazione emergevano i seguenti dati in milioni: 13 riconoscimento di diritti dei terzi, sulla vendita dei beni mobili e immobili e sulla distribuzione di acconti ai creditori. 14 tali a funzioni di vigilanza. - 244 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti Attivo: [...] Tale situazione, come già era denunciato dall’Amministratore Delegato all’atto stato possibile stendere una situazione che tenesse conto esattamente di partite precedentemente non contabilizzate e l’esistenza di notevoli scompensi era sede di ben 75 miliardi. I.2.d) Primi provvedimenti. creditorio. ro appoggiati per l’incasso a banche vicine alle sedi della Banca Privata Italiana e alla apertura delle cassette di sicurezza. Parte ii II.1.a) Liquidazione di Borsa. II.2.a.1) Risoluzione riporti15 settembre e ottobre. Non appena insediatosi, il Com16 di settembre. Emergeva però che la banca già in data 27.9, prima che fosse noto il decreto del Ministro, aveva consegnato alla stanza di compensazione i titoli relativi alla liquidazione del mese borsistico di settembre (L’arretratezza del mercato azionario italiano). Appariva quindi evidente l’inapplicabilità dell’art.76 L.F.17 alle operazioni di 15 16 saldo di titoli e liquidi tra i contraenti, avviene, di norma, l’ultimo giorno di ogni mese solare: Garruccio 2004, 306 ss. 17 OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 245 compravendita ed ai riporti di settembre in quanto la banca aveva già adempiuto alla propria obbligazione di consegna dei titoli che erano già stati girati ai terzi e vantava semplicemente crediti verso la stanza di compensazione18. Si riteneva quindi che i contratti a termine in essere all’atto della messa in liquidazione e che avrebbero dovuto scadere il successivo 31.10.74. La decisione di considerare eseguiti e di non risolvere i contratti di Borsa di settembre, ancora a sei mesi di distanza sembra esatta dal punto di vista giuridico e anche opportuna nell’interesse generale perché ha evitato il prevedibile trauma di Borsa. Il Comitato degli agenti di cambio peraltro nutriva gravi timori per le conseguenze che sarebdella risoluzione dei contratti di Borsa e dei riporti di ottobre e tali timori furono superati solo dopo lunghe sedute anche notturne con gli organi di Vigilanza e grazie alla estensione agli agenti di cambio del meccanismo che la Banca d’Italia aveva predisposto per evitare che il dissesto della Privata creasse panico tra i risparmiatori in Italia e discredito nei rapporti internazionali. [...] II.2.a.8) Conclusioni. L’applicazione delle norme della legge fallimentare alle openon ha determinato eccezioni delle controparti e ciò soprattutto per l’avvenuto intervento del Consorzio tra le Banche di Interesse Nazionale che si è immediatamente Comunicato per il ritiro effetti e apertura cassette di sicurezza. 18 per facilitare la regolamentazione dei rapporti di debito e di credito originati (fra le appartenenti al gruppo) dagli assegni bancari emessi dai titolari dei depositi in conto corrente. 246 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti surrogato nei crediti degli agenti di cambio. Modeste le contestazioni di clienti. . All’atto della nomina del Commissario Liquidatore, la Banca d’Italia aveva diramato un comunicato stampa con il quale annunciava che le Banche di Interesse Nazionale si sarebbero consorziate per surrogarsi a depositanti e creditori della Banca Privata Italiana: tale comunicato ha avuto immediata eco positiva tra i clienti tant’è vero che neppure nei primi giorni della liquidazione si sono avute manifestazioni di panico dei depositanti stessi, neppure si sono avute proteste dall’estero il che dimostra che, grazie ai provvedimenti disposti dalla Banca stata salvaguardata e tutelata. II.1.b.1) Trattative. Si imponeva però, a giudizio del Commissario Liquidatore, dare al più presto esecuzione a quel comunicato e non rinviarne l’attuazione a Amministrazione uscente denunciava nel rassegnare la situazione patrimoniale tuata solo in termini assai lontani rispetto a quelli previsti dalla legge. Di qui la necessità immediatamente sentita di contatti con le Banche di Interesse Nazionale per avviare le operazioni di surroga da parte loro nelle posizioni dei depositanti e dei correntisti. Fare ciò prima del deposito dello stato passivo comportava però il rischio che le banche di interesse nazionale venissero a surrogarsi in crediti che poi la liquidazione avrebbe potuto contestare e per la liquidazione comportava il grave onere di dover operare non solo per formare il passivo ma, prima ancora, per assicurare in qualche modo che le banche del consorzio e che i crediti nei quali si fossero surrogate sarebbero poi stati iscritti nello stato passivo. II.1.b.2) Comunicato. Il 30.10, a soli 30 giorni dall’inizio della liquidazione, era raggiunto l’accordo tra le banche di interesse nazionale e la liquidazione circa le modalità dell’intervento del consorzio. I creditori avrebbero ricevuto dal Commissario le comunicazioni del credito previste dall’art. 76 L.B. (la spedizione delle relative raccomandate era iniziata il 28.10) e, come da comunicato che sarebbe apparso sui principali quotidiani, i creditori avrebbero potuto con tali lettere chiedere ad una delle banche di interesse nazionale di surrogarsi nel loro credito. Le banche avrebbero rimesso le domande di surroga e le lettere di comunicazione di credito al Liquidatore il quale le avrebbe restituite previa apposizione di credito era autentica, riservandosi quindi di contestare il credito ove fossero emersi, prima della formazione dello stato passivo, circostanze nuove tali da OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 247 Comunicato delle Banche di Interesse Nazionale. Comunicato 29.10.1974 del Commissario Liquidatore ai creditori (Il Giornale, 29/10/1974). modo che le banche del consorzio per quanto possibile non fossero esposte a surrogarsi in crediti poi non ammessi. mano a mano che le operazioni di addebito o di accredito erano eseguite. 27 febbraio 1975, la maggior parte dei creditori aveva già ottenuto dal consorzio somma pari al loro credito tanto è vero che le banche del consorzio risultavano iscritte come creditrici, dirette e per intervenuta surroga, per ben L. 380.000.000.000 sui 416.900.000.000 del totale del passivo. II.1.b.3) Creditori esclusi. Il comunicato della Banca d’Italia aveva chiarito che della surroga potevano giovarsi solo creditori e depositanti che non avessero avuto legami di sorta con il precedente gruppo di controllo della Banca Privata Italiana. 248 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti Erano quindi esclusi i fornitori, i professionisti, i dipendenti e gli enti o persone che, indicate in un elenco informale predisposto dal Rag. Fignon, erano in qualche modo legate al precedente gruppo di controllo dell’azienda o potevano in un certo modo essere correcazione di credito doveva peraltro essere inviata anche a tali creditori e con le Banche di Interesse Nazionale fu quindi convenuto che il Liquidatore avrebbe apposto sulle lettere relative a tali crediti un timbro con il quale avanzava formale riserva di contestazione del credito onde consentire alle banche di ri19 . II.1.b.4) Gli interessi. L’intervento delle banche del consorzio ha operato sul credito, e cioè sul capitale e sugli interessi maturati sino Timbro per particolari riserve sui creditori alla data della liquidazione: sembrò iniquo e pericoloso calcolare gli interessi al tasso legale e ciò perché per molti il tasso era stato concordato per iscritto e si decise quindi di calcolare gli interessi in base al tasso già impostato, conto per conto, dal Calcolatore del Centro Contabile. II.1.b.5) Depositi banche estere. Particolari problemi sono sorti per fare in modo che le banche estere potessero giovarsi della surroga per i loro depositi prima 20 dei saldi, operazione che avrebbe richiesto ancora mesi. 19 una cifra di 17 miliardi attirandosi le antipatie di chi aveva permesso un rimborsato per la banca vaticana nel luglio del 1974 allorché fu disposto il «cordone sanitario» che escludeva il rimborso di banche e società legate per via diretta e non al gruppo Sindona [Cfr. Stajano 2010-9, 106]. 20 spuntano le operazioni che si sono svolte nel ciclo operativo che si è concluso. La spun- OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 249 La Banca Privata Italiana intratteneva conti con dette banche, i conti “nostro”, la spunta dei quali non in modo che la intervenuta surroga nel credito per deposito avvenisse spunta dei conti “nostro”. I crediti in valuta sono stati convertiti ovviamente in lire mentre le banche di interesse nazionale, a loro volta, hanno riconvertito in valuta i crediti all’atto del pail 27.9 e la data della surroga non è stata posta a carico delle banche estere in quanto l’onere è stato assunto dal consorzio. II.1.b.6) Riporti e compravendita a termine. Come si e detto, il consorzio ha operato surrogandosi nei crediti degli agenti di cambio e dei clienzione dei contratti di riporto e di compravendita a termine, il che ha relative alla liquidazione di borsa senza particolari conseguenze sul mercato come altrimenti avrebbe solvenza di agenti di cambio. Le decisioni relative ai riporti furono Comunicato Banca d’Italia Milano per operazioni di portate a conoscenza degli ope- Borsa (Il Sole 24 ore, 11/10/1974). ratori mediante comunicato della sede di Milano della Banca d’Italia. II.1.b.7) Conclusioni. Merito della Banca d’Italia e delle banche di interesse nazionale è di aver posto in essere il meccanismo di surroga e di averlo reso ope- denza delle scritture contabili rispetto alle operazioni eseguite. 250 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti rante con estrema immediatezza rispetto alla data della liquidazione, malgrado liana. Merito della liquidazione è l’aver voluto quella immediatezza di intervento delle banche del consorzio il cui sforzo organizzativo e il cui rischio ha ripagato, operando in modo che il 100% dei crediti per i quali è intervenuta la surroga fossero ammessi allo stato passivo: le pochissime eccezioni sono state irrilevanti quanto al numero e come percentuale. II.1.c.1) Rapporti a scadere. Il comunicato della Banca d’Italia che accompagnò il decreto di messa in liquidazione della Banca Privata Italiana precisava che lo stato di liquidazione non doveva pregiudicare la credibilità del sistema all’estero e, in linea con tale principio, il sottoscritto chiese di essere autorizzato ad eseguire i contratti di cambio in essere, alla loro scadenza. Alla data del 27.9 erano ancora aperti contratti a termine in cambi per L. 726.951.098.826 come controvalore di valuta a ricevere e L. 734.926.130.830 come contro valore di valuta a consegnare. Autorizzato dalla Banca d’Italia ad eseguire detti contratti ex art. 72 L.F., aneseguito per compensazione tutti i contratti ad eccezione di quelli non ritenuti validi e, salvo alcune contestazioni per il ritardo nella esecuzione di operazioni zione da parte della Vigilanza, le banche estere non possono che dar atto della perfetta esecuzione dei contratti che, stante lo stato di liquidazione, la banca avrebbe potuto non onorare. bilità del sistema e non di convenienza per la liquidazione tant’è vero che, per operazioni eseguite dalla liquidazione ammonta a L. 10.039.969.027, tenuto già conto della prevedibile perdita sulle operazioni ancora a scadere dopo il 31 marzo. II.1.c.2) Operazioni non eseguite. Per i contratti in essere non stipulati con le banche estere si è invece dichiarata la risoluzione e ciò per economia della procedura: purtroppo si trattava di contratti non rilevanti per numero e importi. Del pari non si è data esecuzione ai contratti stipulati con le banche estere che per qualche ragione erano sospetti di irregolarità: si tratta di due contratti in essere con la Franklin National Bank di New York per un totale di $ 20.625.000.= II.1.c.3) Nova Scotia. Particolare attenzione fu dedicata al contratto in essere tra la Banca Privata Italiana e la Bank of Nova Scotia, contratto che detta banca aveva prima della liquidazione disconosciuto, dichiarandosi in un secondo OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 251 tempo invece come contropartita. Per quanto la precedente gestione avesse ritenuto di non eseguire il contratto in forza del primo diniego della banca estera, il Liquidatore ha ritenuto dar ne reclamava l’esecuzione. II.1.d.1) Organico. L’azienda, il 27.9.74, operava su tre sportelli in Milano e uno a Roma: nei quattro ambienti di lavoro operavano 587 dipendenti dei quali 14 dirigenti, 74 funzionari, 447 impiegati e 52 commessi e ausiliari. Lo stato di liquidazione rendeva necessario sia ridurre i costi del personale sia accentrare il più possibile l’attività anche perché la troppo recente fusione avvenuta il l° agosto 1974 non aveva ancora consentito il formarsi di un organico unitario e funzionale. II.1.d.2) Filiale di Roma. Fu subito disposta la chiusura di una agenzia in Milano di via Verdi abbandonando i diversi locali nei quali prima si svolgeva il lavoro. II.1.d.3) Contatti con le banche di interesse nazionale. Era materialmente impossibile utilizzare appieno i dipendenti il cui mantenimento in servizio imponeva inoltre ingentissimi costi alla procedura. Le banche di interesse nazionale, che già all’atto della messa in liquidazione dell’azienda avevano dichiarato la loro disponibilità ad assumere i dipendenti della Banca Privata Italiana, non vennero impiegati trovò collocazione presso le banche del consorzio. II.1.d.4) Dirigenti. Poiché il Pubblico Ministero aveva emesso avvisi di reato a carico di molti dirigenti della Banca Privata, il sottoscritto provvide in un primo tempo a sospenderli e poi a licenziarli esonerandoli dal prestare in servizio il periodo di preavviso. Alla data del 31.3.1975 erano ancora in forza alla Banca Privata Italiana 294 difunzionari 52, impiegati 213, commessi 15. II.1.d.5) Collaboratori. Il Commissario Liquidatore aveva avvertita la necessità di avvalersi di propri collaboratori ed a tali funzioni chiamava per le questioni legali l’avv. Sinibaldo Tino dello studio del prof. avv. Arturo Dalmartello (che avrebbe poi difeso la procedura nelle maggiori controversie), il prof. Vittorio Coda per il controllo della contabilità generale e per guidare quella della liquidazione; il sig. Giuseppe Gusmaroli per le questioni relative ai titoli ed alla Borsa. Presso la Banca Privata Italiana erano già operanti come consulenti il dott. Iginio Chiesa, il dott. Ugo Grazia, il dott. Armando Lafronte, il dott. Luciano Masi, già funzionari del Banco di Roma nonché l’avv. Romeo Cornetta; tut- 252 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti ti erano invitati a rimanere al loro posto ma a dicembre per altro il dott. Masi cessava la propria collaborazione. II.1.e.1) Di terzi a dossier lissima apparve sin dall’inizio la sila mole di lavoro svolta negli ultimi anni, si era costituito un grave arretrato. La fusione tra i due istituti aveva inoltre creato ulteriori complicalaborazione tra i dipendenti delle due banche che prima operavano con diversi metodi di lavoro. - Comunicato per restituzione titoli (Il Sole 24 ore, 21/12/1974). contabilità titoli delle due banche: stema contabile già adottato dalla Banca Unione ma impostato sulla base del programma meccanogra- di inventario per accertare la materiale consistenza dei titoli e venivano mano a mano formati i dossier clienti ma era praticamente impossibile completare fossero state perfezionate. Poiché i titolari dei dossiers erano ben 4.674, e per numero 7.019 rubriche, occorreva decidere se costringere i clienti a rivendicare i titoli o se, avendo la Banca la semplice detenzione di essi, era possibile consegnare i titoli allo sportello a semplice richiesta. Fu deciso per tale procedura che ha consentito di limitare lo stato passivo all’accertamento dei crediti e la decisione fu senz’altro opportuna perché ha reso possibile il deposito tempestivo dello stato passivo e la consegna dei titoli frazionata nel tempo favorendo ovviamente casi particolari per i quali l’impossibilità di disporre dei titoli sino all’avvenuto deposito dello stato passivo avrebbe costituito grave danno. Tale il caso ad esempio della Mediolanum Management Co. società di gestione di fondo di investimento i OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 253 cui titolari erano depositati presso la Banca Privata in quanto la Commissione di controllo lussemburghese sui fondi minacciava la revoca dell’autorizzazione ove i titoli fossero rimasti bloccati. La consegna ai clienti ha avuto inizio nel successivo gennaio come comunicato anche con avviso sui giornali. II.1.e.2) Titoli venduti e non girati. Dal grave ritardo dell’esecuzione di operazioni poste in essere precedentemente alla liquidazione era derivato che molti dagli stessi: si rese quindi necessario chiedere alla Vigilanza autorizzazione a regolarizzare tali operazioni. II.1.e.3) Titoli del gruppo. Nei caveaux erano custoditi molti titoli di società appartenenti al gruppo Sindona o ritenute tali. rie e fu quindi deciso di consegnare i titoli di proprietà agli enti non debitori e II.1.e.4) Titoli di proprietà. Il disordine amministrativo in atto al 27.9 è dimostrato dal fatto che solo oggi, dopo oltre sei mesi dalla messa in liquidazione, prietà al 27.9, mentre è ancora in fase di quadratura la contabilità riguardante le azioni. Nel conto titoli di proprietà che non era stato mai quadrato erano inclienti e per clienti e conseguentemente, non essendo mai stato fatto un invenII.1.e.5) Titoli esteri di residenti. Alla data della messa in liquidazione della Banca Privata Italiana esistevano 670 dossiers di residenti italiani, proprietari di titoli esteri. A tutti i clienti era stata inviata lettera circolare chiedendo loro di indicare la banca agente presso la quale desideravano fossero trasferiti i dossiers relativi ai titoli di loro proprietà. Dopo aver ricevute le disposizioni dei clienti sono state interpellate le banche ti estere alle quali fare pervenire i titoli. Alcune banche hanno notevolmente ritardato le loro risposte sia per questioni burocratiche sia per altro e alcune ancora devono dare risposta ma comunque la consegna dei dossiers è in corso. II.1.e.6) Titoli italiani di non residenti. I clienti titolari erano 310 per 2.000 dossiers per Investimenti legge e Investimenti Conto Capitale. Per il trasferimen- 254 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti clienti, si è dovuto trasmettere alle varie società i titoli per i frazionamenti oppure intrattenere le banche per conoscere se erano in grado di ritirare i titoli II.1.f.1) Mediolanum Management Co. La Banca Privata Italiana possiede il 51% della società di gestione del fondo investimento Mediolanum (il residuo 49% è posseduto per 34% dalla Italswiss S.p.A. e per il 15% dalla Finabank di Ginevra). Questa partecipazione ha particolarmente preoccupato la liquidazione perché sia i titoli che la liquidità del fondo erano depositati presso la Privata e non era da escludere che le autorità lussemburghesi potessero revocare le autorizzazioni al fondo. La società di gestione era per di più acefala stanti le intervenute dimissioni della maggioranza del Consiglio. Il Commissario ha quindi provveduto a far convocare la assemblea per la ricostituzione del Consiglio ed a trasferire ad altro istituto di credito le azioni del fondo per evitare il pericolo di revoca dell’autorizzazione ottenendo poi, per il Mediolanum e la società distributrice che le banche di interesse nazionale si surrogassero nei crediti relativi alla gestione del Mediolanum. La partecipazione è in carico per L. 31.806.150 ed è stata stimata dai periti in L. 188.000.000. Sono in corso diverse trattative a prezzi assai più alti del valore di perizia. II.1.f.2) Finabank - Banque de Financement - Ginevra. La Banca Privata Italiana è proprietaria del 37,51% del capitale sociale di tale istituto di credito svizzero che opera a Ginevra: parte del residuo capitale è detenuto dall’Istituto Opere di Religione, parte dalla Fasco AG e dall’Edilcentro Sviluppo Cayman. La partecipazione è in carico al valore di L.1.432.742.600, mentre i periti lo scorso dicembre valutavano la quota Banca Privata Italiana in L. 3.750.000.000.= Tra la Privata e la Finabank erano in essere numerosissimi rapporti, alcuni diretti compensazioni avrebbe potuto comportare perdite patrimoniali per la Finabank e conseguentemente minusvalore per la quota di proprietà per la Privata. Si ritenne quindi in un primo momento di attendere gli sviluppi della situazione prima di eccepire formalmente la compensazione, riconoscendo provvicietà collegata alla Immobiliare Roma, contestazioni che e ora portavano per la Finabank la perdita di circa 30 miliardi. A quel punto il Liquidatore doveva considerare in linea prioritaria la posizione OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 255 creditoria rispetto a quella azionaria e quindi ha sciolta la riserva compensando debiti e crediti con la banca svizzera. Il Banco di Roma era inizialmente interessato al rilievo della quota della Finabank di proprietà della procedura ma poi non avendo ottenuto il benestare dalle autorità elvetiche, ha dichiarato di non avere più interesse all’acquisto e poco dopo è intervenuta la contestazione da parte dell’Edilcentro. procedura è ora all’esame del Tribunale di Milano a seguito dell’opposizione contro l’esclusione dal passivo proposta dalla banca svizzera. La liquidazione ha interesse a sostenere la tesi assunta perché gli consente di recuperare dalla Finabank in ogni caso la somma di L. 5.500.000.000, importo superiore a quello attribuito dai periti alla quota di proprietà. È da rilevare poi che i crediti Finabank che la liquidazione ha compensato, sono, a detta della stessa banca, depositi da essa eseguiti presso la Banca Privata per conto di terzi. Questi mandanti però sarebbero solo in parte cittadini stranieri e molto depositi apparterrebbero invece a cittadini italiani dei quali alcuni addirittura legati al gruppo Sindona. Poiché la banca mandataria è tenuta a rimborsare i mandanti bank, al momento, non subisce conseguenze patrimoniali dalla compensazione È evidente che se il Tribunale di Milano convalidasse la compensazione effettuata dalla procedura, la Finabank non potrebbe non riconoscersi debitrice niali negative. Il patrimonio invece è compromesso dalla avvenuta contestazione delle operacome si è detto, una perdita di 30 miliardi, cifra che supera il valore patrimoniale dell’azienda. II.1.f.3) Banca di Messina. La Banca Privata detiene il 72% circa del capitale azionario di tale banca che opera in provincia di Messina e dispone di raccolta di 36 miliardi e di 16 sportelli. Il capitale residuo è posseduto da privati. Il Consiglio di Amministrazione fu ricostituito nel periodo in cui il Banco di Roma ha gestito la Banca Privata Italiana e la Banca di Messina non ha subito scosse dal dissesto dell’azionista di maggioranza. I periti non hanno ancora terminato il loro lavoro ma la valutazione dovrebbe essere intorno ai 3,5 miliardi: la partecipazione è in carico per L. 1.037.459.680 e sono in corso trattative per la cessione ad altro istituto di credito. II.1.f.4) Immobiliare Rattazzi di evitare di dover chiedere autorizzazione alla Banca d’Italia per investire in immobili da adibire alla propria sede di Roma. 256 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti Il pacchetto azionario della Rattazzi peraltro non era intestato alla Banca PriGeminal. Con un giro di prestiti normale solo per il sistema in uso alla Privata, era stato acquistato dalla Immobiliare Rattazzi un immobile in Roma nonché l’intero pacchetto di un’altra società immobiliare che possedeva una palazzina pure a Roma. Privata la quale vantava crediti nei suoi confronti per L. 3.030.250.294.= Poiché le azioni della Rattazzi erano custodite presso la Banca Privata e il petitoli e la possibilità di rientrare nel credito. Ora sono in corso trattative per la vendita della partecipazione che i periti valutano peraltro meno del credito della Banca Privata verso la Rattazzi. II.1.f.5) Centenari & Zinelli S.p.A. Il possesso del 54% del capitale è pervenuto alla Privata Italiana a seguito della risoluzione dei riporti in essere al 30.9.74 ed il prezzo di carico delle n. 6.749.500 azioni è quindi di Lire 410 cad. pari appunto alla quotazione di Borsa del 30.9. Purtroppo tale valore non risponde nari & Zinelli e indicano in L.200 il valore unitario delle azioni rappresentando peraltro che anche tale valore è ipotetico. L’azienda produce tessuti elastici, cinture, occupa 450 dipendenti ed è quotata alla Borsa di Milano. Ha fatturato nel 1974 circa 7 miliardi. II.1.f.6) Finrex è venuta a possedere il 58% del capitale azionario di tale società immobiliareLa partecipazione è in carico ai prezzi, di borsa del 30.9 pari a L. 13.500 per azione. È in corso la stima da parte dei periti. II.1.f.7) Illsa Viola liana è venuta a possedere azioni pari al 28% del capitale al prezzo di carico di L. 2.800 per azione. L’azienda opera nel settore metallurgico e la maggioranza è posseduta dalla Famiglia Orlando. Il titolo è quotato alla Borsa di Milano. È in corso la valutazione peritale. II.1.f.8) Trafilerie. La Banca Privata possiede il 12,70% del capitale di tale società ed il pacchetto è pervenuto a seguito della risoluzione dei riporti. Il prezzo di carico è di L. 1.030 per azione ed è in corso la perizia. L’azienda opera nel settore metalli ed è quotata alla Borsa di Milano. II.1.f.9) Leasing Italiana. La banca possiede il 12% del capitale di tale società che è debitrice di L. 854.501.854 per anticipazioni di conto corrente. Allo stato non si può formulare nessuna previsione di realizzo della parteci- OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 257 pazione che è in carico per L. 75 milioni in quanto si ritiene più importante recuperare il credito. II.1.f.10) Interbanca. La Privata è partecipe dell’Interbanca S.p.A. in quanto, possiede n. 45.000 azioni ordinarie pari al 2,5% delle stesse azioni che, rapportate al capitale, sociale, ne rappresentano l’1,25%. È in corso la perizia e si prevede di poter cedere la partecipazione ad un valore superiore al prezzo di carico di L. 77 milioni. II.1.f.11) Varie. La Banca Privata possiede altre partecipazioni di minoranza (Mediocredito Regionale Lombardo, Istituto Centrale Banche e Banchieri, ecc.) di non rilevante entità che si procederà a realizzare nel tempo e nei modi migliori. II.1.f.12) Realizzo partecipazioni. La liquidazione ha posto in vendi- Comunicato per vendita partecipazioni (Il Giorno, 6/3/1975). ta le partecipazioni come le proprietà immobiliari con un sistema misto tra la trattativa privata e la gara, sistema che si auspica debba dare buoni risultati: della decisione di vendere le partecipazioni è stata data ampia pubblicità sui giornali onde interessare il maggior numero possibile di operatori. . La situazione rassegnata dal cessato Consiglio evidenziava impieghi della Banca Privata Italiana verso clienti Italia per L. 167.564 milioni oltre i crediti già La messa in liquidazione dell’azienda comportava lo scioglimento dei rapporti Si è peraltro tenuto in considerazione che le richieste di immediato rientro, stante la crisi economica e il blocco nei crediti ancora in atto nell’ottobre 74, che avrebbero potuto comportare gravi conseguenze per le aziende. Nei limiti del possibile si è quindi cercato di impegnare i clienti in graduali rientri nei casi in cui dagli stessi veniva riconosciuto, oltre al debito per capitali, l’addebito di interessi superiori a quelli chele Banche di Interesse Nazionale riconoscono alla liquidazione sui c/c della procedura. 258 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti Al 30.3.75 il rientro era già stato peraltro notevole ammontando a L. 55.000 milioni cui si aggiungono gli interessi maturati. Parte dei crediti era vantata verso società del gruppo tutte debitrici di ingenti importi: qui di seguito si esaminano alcune tra le maggiori partite creditorie. II.1.g.1) Venchi Unica. Si tratta di un’azienda del gruppo Sindona in quanto il capitale di controllo era detenuto dalla Turis Holding. La Venchi si trovava esposta verso la Privata al 27.9 per L. 2.014 milioni ed appariva subito che di un’azienda già di grosso prestigio, che occupa ben 2.000 dipendenti e le cui e si operò anzi per suscitarli. Molti contatti si ebbero con il Presidente della Regione Piemonte, Operto, con l’Assessore all’industria Conti, sedute con gli esponenti della Barilla, della Ferrero, della Pantanella che mostravano qualche interesse all’acquisizione. Finalmente la Turis trovò un gruppo, del quale peraltro ben poco si conosce, che rilevò il pacchetto azionario e sembra intenzionato ad un rilancio dell’azienda. Gli esponenti di tale gruppo hanno preso contatto con la procedura proponendo un piano di rientro graduale nella intera esposizione garanII.1.g.2) Smeriglio. Altro ingente credito la Banca Privata vanta verso altra società del gruppo, la S.I.S. Smeriglio, che è debitrice di L.2.304.000.000.= La situazione era analoga a quella della Venchi Unica per che qualunque tentativo della Privata avrebbe potuto comportare il dissesto dell’azienda che occupa nei diversi settori ben 2.029 dipendenti. Anche in questo caso è ora intervenuto un gruppo disposto al rilievo della società o almeno di alcune delle ditte che fanno capo alla S.I.S (alcune dovrebbero essere rilevate da un ente pubblico). Gli esponenti del nuovo gruppo azionario che ha rilevato il pacchetto di maggioranza da un’altra società del gruppo Sindona hanno promesso di prendere contatti con la liquidazione per proporre un piano di rientro. II.1.g.3) Maga. Si tratta di un’azienda del gruppo Sindona che produce, o meglio avrebbe dovuto produrre, macchine automatiche per la lavorazione del gelato. L’azienda che è debitrice verso la Banca Privata di ben L. 849.691.705, ha effettuato investimenti per la progettazione di tali macchine e ora non è in grado di operare. Il credito è considerato di dubbio realizzo e se non interverranno fatti nuovi non è improbabile il fallimento. II.1.g.4) Microel. Si tratta di una piccola azienda del gruppo Sindona che occupa 140 dipendenti e produce apparecchiature elettriche. Essa è esposta verso la Banca Privata per lire 1.152.869.309 e, in quanto unica azionista delle immobiliari Orbillia ed Enosse per L. 673.875.359.= I crediti, data la situazione particolare della società, sono praticamente inesigi- OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 259 bili e l’unica interessata al mantenimento dell’azienda sembra essere una ditta pure legata al gruppo Sindona. La liquidazione era propensa ad acquisire per una lira il pacchetto azionario, ma l’aggravarsi della situazione patrimoniale ha reso assai incerta tale operazione per il timore che la procedura possa essere strumentalizzata dagli Amministratori. II.1.g.5) S.a.s.21 diverse. La procedura vanta ingenti crediti verso alcune accomandite legate al gruppo e precisamente: Mabusi 1.209 milioni Menna 1.161 milioni Kilda 1.157 milioni Sapital 1.243 milioni Gadena 1.165 milioni sottoscrizioni di capitale nella Finambro S.p.A. e che hanno poi rinunziato ai crediti verso la predetta società. Era evidentemente possibile chiedere il fallimento di tali società completamente prive di contenuto patrimoniale ma la liquidazione peraltro si è resa conto che il fallimento delle s.a.s. avrebbe comportato revoca delle rinunzie ai crediti verso la Finambro e quindi probabilmente il fallimento della Finambro stessa. L’ente che aveva dato a garanzia prima e in vendita poi al Banco di Roma le azioni della Immobiliare Roma. Tale complessa situazione meritava quindi particolare attenzione perché era evidente che chi aveva interesse a non consentire che la Finambro fallisse doveva intervenire a tacitare i creditori delle s.a.s. Sembra ormai appurato che il Banco di Roma si sia impegnato a tacitare i creditori delle s.a.s. e pertanto il credito dovrebbe essere recuperato. II.1.g.6) Kaitas, Wescon, Teracon. Si tratta di società del gruppo (debitrici verso la Banca Privata per complessive lire 2.536 milioni) attraverso le quali si è operato sul mercato azionario, particolarmente Wescon e Teracon, per la difesa del come accomandatarie delle società citate al paragrafo precedente: è evidente che chi tacitasse i creditori di quelle, dovrebbe fare in modo che anche queste II.1.g.7) Società diverse del gruppo Sindona. Oltre ai crediti sopracitati, la Privata vanta crediti verso diverse aziende legate al gruppo: Coprel, Finanzitalia, Istituto Editoriale Italiano e altre. La liquidazione ha seguito le trattative intercorse tra le società proprietarie ed i propri crediti e ne ritiene almeno in parte possibile il recupero. 21 260 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti . II.1.h.1) Depositi fiduciari mento dello sbilancio negativo della procedura, hanno i cosiddetti depositi a loro volta dette somme a determinati enti. Le banche estere, come semplici intermediarie, non erano tenute a rispondere La banca, servendosi generalmente di alcune banche svizzere legate in modo De Barry, Banque Vernes, Banque Dreyfus, Finabank e soprattutto Amincor Bank) a far tempo dai primi del 1974, ha posto in essere un ulteriore passaggio cosiddette “società ponte” Idera e Arana22. zioni ed il recupero delle somme. Malgrado tale espediente, non dovrebbe essere impossibile il recupero di parte che debitori erano partecipati del gruppo che aveva sottoscritto capitale o prestiti di tipo obbligazionario. Enti interessati a questo tipo di operazioni sarebbero: Interlakes Canada Holding $ 6.397.000.= Helleniki Techniki $ 4.000,000.= Uranya Hellas $ 1.500.000.= San Faustin Panama $ 935.000.= Edilcentro Sviluppo Int.-Cayman $ 13.500.000.= Edilcentro Sviluppo Int.-Nassau $ 22.300.000.= C.I.G.A. Hotels $ 10.000.000.= S.A. di Lussemburgo per $ 158.177.000: allo stato pero manca qualsiasi eleemerge unicamente l’Arana. L’indicazione dell’Arana – e della Capisec ove si provasse essere questa l’ef- 22 che si divertiva a creare nomi di fantasia per le sue società che suscitassero l’altrui curiosità alla ricerca della loro origine. OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 261 della banca. valuta a favore di società debitrici della Privata, altri ancora nascondevano utili in cambi distratti all’estero. debitori, la liquidazione ha voluto accertare sia la regolarità delle operazioni poste in essere dalle banche che evidentemente non erano estranee al rapporto dura di liquidazione delle lettere con le quali la Privata aveva dato il mandato Per la descrizione e l’esame di tutti questi rapporti si rinvia ovviamente alle relazioni che il Commissario farà alla Procura della Repubblica: qui basti dire che la liquidazione ha ritenuto di poter eccepire la compensazione tra i crediti delle banche estere sopracitate e le somme che risultavano a loro depositate lasciando ad esse di contestare, se ne avevano legittimità, la non compensabilità delle cifre. Solo l’Amincor, la Finabank e la Privat Kredit Bank tra le banche interessate, vantavano crediti verso la Banca e nei loro confronti la compensazione ha operato: mentre la Finabank e la Privat Kredit Bank hanno proposto opposil’Amincor non ha proposto reclamo il che comporta che la procedura ha già recuperato senza alcuna azione L. 4.500 milioni degli importi che l’Amincor vata verso la Capisec e l’Edilcentro potrebbero avere anche conseguenze per ora addirittura imprevedibili. II.1.h.2) Diversi. La Privata vanta crediti verso banche estere in dissesto e preBank. cordo con la Finabank pure creditrice, ha consentito a postergare il credito per evitare il fallimento e consentire una liquidazione ordinaria più vantaggiosa per i creditori avendo il titolare messo a disposizione il suo patrimonio personale. Per il credito verso la Israel British Bank (L. 3.040 milioni) si è proceduto giudizialmente con sequestro in Zurigo. Si prevede un recupero di L. 700/800 milioni. . II.1.i.1) Finambro. La Finambro – l’ultima e più spericolata impresa di Sindona 262 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti – fu costretta a rimborsare i sottoscrittori dell’aumento di capitale dopo che apparve chiaro che tale aumento non sarebbe mai stato autorizzato dal CICR. Essa quindi nell’agosto 1974 versò alla Privata L. 15.900 milioni conferendo mandato alla banca di curare il rimborso dei prenotati. La banca ha eseguito solo parzialmente il mandato in quanto il 27.9.74 era ancora depositata nel conto Finambro la somma di L. 753.339.552. La liquidazione ha ritenuto risolto il mandato ed ha quindi ammesso al passivo chirografario23 la società per il residuo saldo del suo c/c. La Finambro ha reclamato asserendo che il proprio credito deve essere considerato debito di massa ma non si vede come possa sostenere tale tesi. II.1.i.2) Finarco. Si tratta di una brutta copia dell’operazione Finambro, realizzata dall’operatore di Borsa Pagliarulo e da alcuni esponenti del mondo politicoLa Finarco aveva deliberato di aumentare il proprio capitale sociale e, prima di ottenere l’autorizzazione prescritta, aveva raccolto sottoscrizioni di terzi. La Finarco in un primo tempo aveva depositato presso il Banco di Sicilia le somme conti. Le sottoscrizioni di terzi venivano versate sul c/c della Finarco la quale però dispose degli importi prelevandoli dal c/c anche se si era impegnata con i propri clienti a non farlo: di qui molte azioni dei sottoscrittori contro la Banca Privata che a loro avviso non avrebbe dovuto consentire alla società di prelevare dal conto. II.1.i.3) Interbanca. Questo Istituto, cui tra l’altro partecipa per l’1,25% la Banca Privata, ha fatto conoscere di essere stato richiesto dalla Franklin Bank del rimborso di US. Dols. 15 milioni, deposito che l’Interbanca ha negato in quanto essa avrebbe agito come semplice intermediaria trasmettendo all’Amincor Bank l’importo ricevuto dal la Franklin: l’Amincor avrebbe poi a sua volta plessi rapporti tra Banca Unione e Amincor, compare un deposito di Amincor di quell’entità ma non è possibile che la Federal Reserve, quale curatrice della Franklin o l’Interbanca possano validamente avanzare pretese nei confronti della liquidazione. II.1.i.4) Franklin. La liquidazione ha avuto contatti con esponenti della Federal Reserve e della Security Exchange Commission che indaga sull’attività di Sindona in U.S.A. e sulle attività della Franklin Bank. Detti contatti peraltro non sono andati oltre uno scambio di informazioni e di reciproca promessa di collaborazione anche perché da parte italiana si è avuta l’impressione che i rappresentanti della Federal Reserve mirassero più che altro 23 - OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 263 a trovare argomenti per sostenere pretese creditorie verso la Banca Privata Italiana che non intende invece riconoscere operazioni con la Franklin ritenute II.1.i.5) Amincor Bank. Apparvero subito evidenti gli stretti rapporti intercorsi sono talmente incrociate che l’Amincor chiese di essere ammessa al passivo per mandosi per contro creditrice dell’Amincor per L. 71.421,9 milioni e l’Amincor non si è opposta all’esclusione dal passivo. Il recupero del credito peraltro liquidazione volontaria (I depositi dello Ior presso l’Amincor Bank). Parte iii III.1.a.1) Istanza di insolvenza. In data 1.10.74 il Commissario liquidatore presentava ricorso al Tribunale di Milano, perché lo stesso, con sentenza, dichiarasse lo stato di insolvenza della Banca Privata, attese le gravissime perdite patrimoniali già denunciate dal Consiglio di Amministrazione nella seduta del 20.9.74. III.1.a.2) La sentenza. Il Tribunale sentiva il Rag. Fignon già Amministratore Delegato e chiedeva il parere del ministro per il Tesoro: in data 14.10.74 con sentenza n.70 dichiarava lo stato di insolvenza della Banca. III.1.a.3) Opposizione Fasco (La reazione di Ambrosoli al sistema Sindona). Nei termini di legge la Fasco ha presentato opposizione alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza ed il Liquidatore, avuta autorizzazione dalla Banca d’Italia, si è costituito in giudizio con il patrocinio del prof. avv. Arturo Dalmartello: la causa è tutt’ora pendente ma si avvia alla decisione in quanto il Tribunale non ha accolto le istanze istruttorie dell’opponente. . III.1.b.1) Testimonianze. Appena dichiarata l’insolvenza, il Liquidatore era interrogato dal Pubblico Ministero dott. Viola. III.1.b.2) Costituzione parte civile. Il Liquidatore poi, in data 13 marzo 1975 si 264 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti e costituito parte civile contro tutte le persone all’epoca indiziate di reato per i fatti connessi al dissesto della banca e nei confronti delle quali il Pubblico Ministero aveva già disposto il ritiro del passaporto, indagini di Polizia giudiziaria e perquisizioni domiciliari. III.1.b.3) Sequestri. In data 8.3.75 il Liquidatore ha inoltre presentato al Pubblico Ministero ricorso perché fosse disposto, a carico degli indiziati di reato, sequestro conservativo penale e venisse iscritta ipoteca sui loro beni. III.1.b.4) Prima relazione. In data [sic] il sottoscritto ha poi depositato una prima relazione al Giudice Istruttore con alcuni documenti di ritenuta rilevanza penale. III.1.b.5) Prof. Devoto. Per l’assistenza nel procedimento penale, la liquidazione III.1.b.6) Polizia Tributaria. Molti e continui i contatti con militari della Polizia Tributaria che da mesi, su mandato del Giudice penale, esaminano i documenti sequestrati agli imputati24. . Il decreto del Ministro per il Tesoro è stato impugnato dalla Finarco S.p.A. avanti al Tribunale Regionale Amministrativo del Lazio; al Tribunale Regionale Amministrativo della Lombardia si sono invece rivolti con ricorso la Fasco ed alcuni piccoli azionisti. In tutti i giudizi la liquidazione ha ritenuto di non doversi costituire in quanto il ricorso è rivolto non all’attività della procedura, ma agli atti che l’hanno costituita. [...] Parte iV [...] di L. 449.230 milioni ammonta quindi a L. 168.100 milioni e in in tale ipotesi, 24 ro Guido Viola comandato dal maresciallo Novembre. - OTTAVIO D’ADDEA Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona 265 importi loro riconosciuti. deve tener poi conto da una parte che la notevolissima liquidità, tutta depositata presso le banche a tassi pari o superiori a quelli interbancari, frutta ingenti interessi e, dall’altra, che le spese della procedura, soprattutto per il personale incideranno notevolmente. La necessità di non suscitare, per quanto possibile, controversie con i dipendenti, ha indotto la liquidazione ad evitare il ricorso al licenziamento che è stato disposto unicamente per i dirigenti e solo per alcuni funzionari ed impiegati. Soprattutto nei primi mesi, tale decisione ha indubbiamente comportato un costo maggiore di quello che si sarebbe potuto avere ove si fosse potuto licenziare parte dei dipendenti. Peraltro, l’esperienza di società già facenti capo del gruppo Sindona, l’Edilcentro, dimostra che il maggior costo è stato quantomeno relativo e ciò perché il non aver disposto licenziamenti ha consentito di avere una più ampia collaborazione del personale. Si ritiene poi opportuno rilevare che, quanto sopra esposto in ordine al passivo cedura di liquidazione ha permesso di contenere il prevedibile sbilancio tra attivo e passivo in L. 168.100 milioni: una gestione ordinaria, per contro, si sarebbe trovata probabilmente esposta a passività per L. 472.500 milioni (L.417.000 milioni stato passivo + L. 14.000 milioni crediti esclusi e non reclamati + L. 41.500 milioni opposizioni) e quindi lo sbilancio sarebbe stato in tal caso di ben L. 191.370 milioni. [...] Si ripete comunque che le cifre tutte sopra esposte sono suscettibili di ampie variazioni in quanto attualmente non possono formularsi che previsioni di massima. Parte Vi La mole del lavoro svolto appare solo in parte dalla presente relazione e, per quanto essa venga redatta a diversi mesi dall’inizio della procedura, non è an- 266 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti cora possibile disporre di un quadro completo e le previsioni sono suscettibili Le dimensioni dell’Istituto, la quantità dei rapporti in essere, il continuo intervento della stampa sui fatti che hanno attinenza con la banca, l’attività direttamente e non svolta dal gruppo che aveva il controllo dell’azienda per scaricare su terzi le conseguenze del dissesto, le implicazioni politiche del caso, sin dall’inizio facevano ritenere che solo un lungo e paziente lavoro avrebbe potuto fornire all’Organo di Vigilanza e al Magistrato un preciso quadro dell’entità del dissesto e delle cause dell’insolvenza. Se le particolari condizioni interne dell’azienda, la complessa situazione della bilizzate, erano note per essere già state evidenziate dalle ispezioni della Vigilanza e a tutto ciò si aggiungono i problemi conseguenti ad una fusione deliberata ma attuata solo formalmente, i problemi emersi a seguito dell’avvenuta risoluzione dei riporti che hanno comportato il trasferimento alla procedura le carenze della presente relazione e meglio valutare lo sforzo compiuto dagli organi incaricati che sono consapevoli di operare in una procedura nella quale diretto è l’interesse dello Stato. relazione. Il Commissario Liquidatore Avv. Giorgio Ambrosoli Milano, 23 giugno 1975 Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World: Discourses and Political Languages. An Introduction angela De BeneDictiS Univ. di Bologna, Dipartimento di Storia Culture Civiltà The first section of the introduction begins by providing a presentation of the nature and objectives of the workshop which took place from October 2-3 and concludes with a synthesis of the contributions of John Donoghue, Raffaele Laudani, Matteo Battistini and Paola Rudan. The second section discusses on some of the questions addressed during the introduction to the workshop that took place on October 2 (Neither disobedient nor rebels: arguments from the laws between the Old and the New World), through a reading of some English and French sources from the ends of the 17th and 18th centuries: the anonymous History of Self Defence, in requittal to the history of passive obedience (1689); Algernon Sidney, Discourses concerning Government (1698); James Murray, Fast Sermons (1781); Théophile Mandar, Des insurrections. Ouvrage philosophique et politique, sur le rapport des insurrections avec la liberté et la prospérité des empires (1793). Nella prima parte dell’introduzione vengono presentate in primo luogo la natura e lo scopo del workshop che si tenne nei giorni 2-3 ottobre 2013, e in secondo luogo una sintesi dei quattro contributi di John Donoghue, Raffaele Laudani, Matteo Battistini e Paola Rudan. Nella seconda parte sono riprese alcune delle problematiche affrontate nella introduzione al workshop il giorno 2 ottobre (Neither disobedient nor rebels: arguments from the laws between the Old and the New World), attraverso la lettura di alcune fonti inglesi e francesi di fine XVII-fine XVIII secolo: l’anonima History of Self Defence, in requittal to the history of passive obedience (1689); Algernon Sidney, Discourses concerning Government (1698); James Murray, Fast Sermons (1781); Théophile Mandar, Des insurrections. Ouvrage philosophique et politique, sur le rapport des insurrections avec la liberté et la prospérité des empires (1793). 268 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World Translated by Stephen Devins Marth This collection of essays comes as the result of the international workshop Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World: Discourses and Political Languages held at the Department of History and Culture at the University of Bologna, 2-3 October 2013.1 The workshop was the culmination of a biennial project with the same name carried out by our research unit in Bologna as part of the 2009 PRIN project,2 Between Europe and America: circulation of economic ideas, political addresses and revolutionary models, XVIII-XIX centuries by the Ministry of the Universities and Research. Coordinated by Antonino De Francesco (University of Milan), the group brought together research units from the University of Turin, the University of Basilicata, and the University of Catania. The workshop format asked presenters to focus their talks around one or more sources they consider to be fundamental to research on the workshop’s theme. As such, also the essays here follow the same organizational scheme and have appropriately been published in the section “Sources and documents”. Of the six presentations made at the workshop, only four could be included at the present time: those of John Donoghue (Loyola UniverUniversity of Bologna), Matteo Battistini (Department of Social and Political Sciences, University of Bologna), Paola Rudan (Department of History and Culture, University of Bologna), together with the present introduction. Unfortunately the papers by Luca Cobbe (University of Macerata) and Pierre Serna (Paris, Institut d’Histoire de la Révolution française) could not be elaborated for publication here. However, I men- 1 2 bellion-resistance-and-revolution-between-the-old-and-the-new-world-discoursesand-political-languages. ANGELA DE BENEDICTIS Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World 269 ticipated, together with others, such as Antonino Di Francesco, who coordinated the PRIN 2009 research group on a national level,3 Karl Härter (Max-Planck-Institute for European Legal History, Frankfurt am Main), Maurizio Ricciardi (Department Political and Social Scienand Culture, University of Bologna). by the Bologna unit of the PRIN 2009 this introduction will look at each paper with the objective of individuating the problems and/or sistance (the so-called “right to resistance”) put forth by those accused of sedition or rebellion in the form of disobedience toward government; not so much in the great revolutions (English, American, and French) as in the numerous forms (all of them I would say) of tumults, rebellions and revolts which took place between the middle of the 14th century and the middle of the 19th century and which have long been the subject of historiographic research. Such an investigation can be carried out in the political-juridical language of the arguments made in defense of communities accused of the crime of rebellion, as well as through the interpretation and reinterpretation of certain wars, rebellions and revolutions from the Early Modern period up until the beginning of the 19th century. Let’s have a brief look at the themes investigated in each of the papers. In John Donoghue’s Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during 3 opolitics in Europe and the Atlantic world, edited by Serna, De Francesco and Miller [2013]. 270 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World the English Revolution4 the author underlines the central importance of the Atlantic dimension for the English Revolution, demonstrating how the experiences of groups from the English colonies who had settled in Rhode Island in the mid-1630s and returned to England during the mulation of arguments on liberty and slavery — arguments which for many years historiography considered to be typical of the 19th century. Each of the three types of arguments on liberty analyzed by Donoghue (liberty of conscience, liberty of the body and liberty of commerce) is presented in opposition to slavery, understood as economic restriction, political tyranny, as well as religious persecution. The abolition of slavery understood as the privation of personal liberty was proposed as one of the points of the constitution of Rhode Island and was approved in 1647, the same year in which the Levellers presented their Agreement of the People in England. In both cases the radical puritan and republican groups’ campaigns for liberty demonstrate, for Donoghue, how the Atslavery into a protest of and, then, campaign against the rise of economic slavery in the colony of Rhode Island. Nova Totius Terrarum Orbis: Modern Sovereignty and the Neutralization of Atlantic Disobedience,5 proposes interpreting Thomas Hobbe’s Leviathan and John Locke’s Treatise of Government through the lens of the Atlantic, using the spatial concepts of “Land” and “Sea” as examples of two modern political philosophies: “Land” being the civilized and ordered world of the European system of sovereign med into the extraordinary event of revolution; the “Sea”, then, is the sorder are potentially inherent conditions of politics, and power operates 4 5 ANGELA DE BENEDICTIS Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World 271 two represent opposing conceptions of modern sovereignty, in which the problem of the relationship liberty/slavery in its political dimension (already discussed in Donoghue) plays a fundamental role. For Hobbes, sovereignty through contractualism (the voluntary renouncement of man’s natural rights) neutralizes the type of liberty that threatens the Imperium, symbolized by the uncivilized people of America. On the other hand, for Locke, sovereignty in no way entails the voluntary renouncement of the natural rights of man, neither in the colonial context in which power is the result of conquest, nor in the political space of Europe. Here the natural inclination of man toward disobedience (which can also entail exercising the right of resistance) may only be overcome if the political power guarantees men exceptional conditions of security and protection. In both cases, in Hobbes and in Locke, the political power of the European state necessitates and assumes that it be Matteo Battistini’s essay (Insurrection, Bank and Contracts: how Society shaped the Principles of the Constitutional Order during the American Revolution)6 investigates the problem of rebellion during the American Revolution, not so much with reference to the protests that led to the Declaration of Independence, but rather with regard to the numerous cases of rebellion that took place during the 80s, as well as their impact on Congress, because of their relevance for the overall process of institutionalizing constitutional order during the revolution. Such a perspective reveals, for example, how the peasants of Massachusetts (1779) and Pennsylvania (1784) — the self-proclaimed true heirs of the Revolution — peacefully, and then violently, opposed the national elite; an elite that did not approve of any form of resistance to the type of representative government which the former English colonies had become. Two different concepts of popular sovereignty were at play in the opposition of 6 272 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World the peasants’ interests with those of the banks and merchants. One of the protagonists of the American revolution, Thomas Paine, responded to the requests of the peasants of Pennsylvania with his Dissertations on Government, the Affairs of the Bank and the Paper Money (1786), claiming that while rebellion against the English crown might be legitimate that against the republic was not. The republican representative system, in which changing social and economic practices are continuously institutionalized, did not leave any space for insurrection, because the system as such absorbed any of the revolutionary principles of popular sovereignty. Paola Rudan’s Bolívar’s Discurso de Angostura and the Constitution of the People,7 investigates the political experiences and speeches of Simon Bolívar in relation to the imperial European perspective which saw Venezuela as part of the West, placing the problem of the relationship South America. Rudan does this through a close analysis of the Discurso de Angostura, presented at the opening of the General Congress of 1819, convened to outline and draft a new constitution for the Republic. Due to the eruption of civil war after the declaration of independence, the constitution promulgated in 1811 never entered into law. Rudan’s analysis demonstrates that, in this case, the relationship to the experience of the American and French Revolutions. In Bolivar’s Venezuela the constitution could not be the product of the constituent will of the people, as the still needed to be formed by the constitution. Spanish absolutism had reduced the Americans to passive citizens; the Republic still needed to transform them into active citizens capable of the subject of the revolution, and the citizens, who were called upon to take the place of the subjects of the Spanish imperial order, had to be 7 ANGELA DE BENEDICTIS Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World 273 created through a process of institutionalization and constitutionalization. Bolívar’s understanding of the liberty necessary and indispensable for such a transformation (including the liberation of the slaves) brought together the concepts of Montesquieu and Rousseau in a dialectical relationship. The constitutional model that would serve to overcome the by Jeremy Bentham. In the presentations of Luca Cobbe (The Atlantic Refraction of David Hume’s Political Thought)8 and Pierre Serna (Mandar ou comment penser la résistance sans violence durant l’été 1792?) obedience and rebellion, resistance and constitution — the themes central to the essays summarized above — were repeatedly referenced in their respective examinations of with regard to their evaluation and judgment of the above mentioned questions as well as to the American Revolution and constitution. In order to properly summarize the set of arguments covered by the Bomy introduction to that workshop gives us an idea: Neither disobedient nor rebels: arguments from the laws between the Old and the New World — I will start with a text that was central to the presentation of Pierre Serna: Théophile Mandar’s Des insurrections. Ouvrage philosophique et politique, sur le rapport des insurrections avec la liberté et la prospérité des empires.9 Here I will only discuss the third, and by far longest, section of the work: 214 pages10 out of a total of 608. The section is subdivided in 34 chapters with the addition of one containing Mandar’s observations on the six chapters immediately preceding it. In this third part, which con- 8 2014. 9 dar’s text, see Serna 2009 (Italian trans. Serna 2013). 10 - 274 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World nifestations: insurrection, sedition (sédition), uprising (émeute) or revolt (révolte). It is worth noting here that for Mandar revolts do not occur in the context of a free people.11 The third chapter examines cases which necessitate insurrection and the le nom d’insurrection à toutes les conjurations qui tendent à ameliorer l’homme, la patrie et l’univers») and rebellion («Alors, le mot odieux de rebellion restera consacré à designer toutes les atteintes violentes portées aux loix d’un pays, par le factieux dont elles éclairent la perversité»)12, nifeste que dans l’absence des loix, ou du moins durant leur sommeil: la rebellion frappe tantôt la loi, tantôt le dépositarire de la loi ou le législateur. L’insurrection s’annonce avec l’esprit de paix, résiste au despotisme, parce qu’il anéantit la paix, et ne prend les armes que pour forcer ses ennemis à la paix»).13 When Mandar, after citing some examples from ancient history — Solon, Brutus, Lucretia, Virginia, examples commonly used for such a discussion — speaks of the most just forms of resistance, referencing also the revocation of the Edict of Nantes by Louis XIV («qui coûta a la France l’exil ou la mort de deux cents mille hommes»), he makes protestants, c’étoit du côté des catholiques, que devoit éclore le germe généreux d’une insurrection; l’opprimé qui se défend dans une monar- 11 12 13 ANGELA DE BENEDICTIS Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World 275 chie absolue, a trop l’aire d’un rebelle; il faut que ce soit le citoyen même 14 pant le pouvoir». For lack of space I will not discuss the passage’s content with regard to the Catholic-Protestant relationship, even though it would certainly be merited. Instead, I will limit myself to underlining lue, a trop l’aire d’un rebelle» can be considered together with that of a few pages before «le mot odieux de rebellion restera consacré à designer toutes les atteintes violentes portées aux loix d’un pays, par le factieux dont elles éclairent la perversité».15 In an absolute monarchy, Mandar tells us, those who are oppressed and defend themselves appear too much as rebel. The hateful word “rebellion” must indicate only those violent attacks on the laws of a country by sectarians, the perversity of whom is manifested in those very acts. Why ‘rebellion’ is a hateful word16 is explained at much greater length several pages and 31 chapters later. Returning to the French translation of Algernon Sidney’s Discourses concerning Government a little less than one hundred years after their first publication that «Le soulevement de toute une nation ne mérite point le nom de rebellion».17 The importance for Mandar of the tradition of English revolutionary texts from the 17th century during the French Revolution, Sidney’s Discourse were the subject of a very interesting, recently published essay, in which there is also brief mention of the problem addressed 14 15 16 pratique des droits de l’homme, Mandar had written «liberté avoit été bannie de toute surface de la terre, la raison étoit considérée comme une rebellion»: Mandar 1793, 20, n. 1. 17 default/images/articles/media/1882/debenedictis_rebellion1.pdf). 276 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World in Mandar’s Chapter XXIX18 [Quastana 2014, 22]. Reading Mandar, who references Sidney, or better yet, reading Sidney directly («The General revolt of a Nation cannot be called a Rebellion» is section XXXVI of the third chapter of Discourses)19, after having read texts written long before Sidney that were the expression of events and problems long preceding the English Revolution20, it is impossible not to recognize an age-old problem, despite it being expressed in Sidney’s which it had at the time) by Mandar. That which Sidney — and as a consequence also Mandar, around 100 years later — immediately underlines as the foundational problem at the beginning of the chapter is quite simply the question of legitimate selfdefense in the face of oppression by an unjust and arbitrary government, as well as the criminalization of that legitimate self-defense by imposing false names on things: «As impostors seldom make lies to pass in the world, without putting false names upon things, such as our author [i.e. Robert Filmer, Patriarcha] endeavour to persuade the people they ought not to defend their liberties, by giving the name of rebellion to the most just and honourable actions that have been performed for the preservation of them; and to aggravate the matter, fear not to tell us that rebellion is like the sin of witchcraft».21 people’s liberty as rebellion, and comparing it to the sin of witch-craft: i.e. the highest level of human lèse majesté (rebellion) is equal to the 18 - dia/1882/debenedictis_rebellion1.pdf. 19 images/articles/media/1882/debenedictis_rebellion2.pdf 20 Benedictis 2007) and which I had the opportunity to further develop during the PRIN 2009 project: De Benedictis 2013a; De Benedictis, Härter 2013. 21 ANGELA DE BENEDICTIS Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World 277 highest level of divine lèse majesté, witchcraft — as Sidney well knew — being equated with heresy.22 One can verify the prevalence of such a from Sidney’s: the anonymous penned History of Self Defence, in requittal to the history of passive obedience (1689),23 in which the expression, OF WITCH-CRAFT») appears in capital letters and is connected with its original source, the Old Testament. In its discussion of numerous opinions in favor of passive obedience and against self-defense, the history noted: «I cannot here but take notice of a Passage of Scripture that has been egregiously wrested by our Non-resistance Men, that which was spoken by the Prophet Samuel to Saul upon his not obeying the Command of God when he was ordered to destroy the Amalekites, viz. REBELLION IS AS THE SIN OF WITCH-CRAFT, which has been used by them as an Argument for Non resistance till it’s become Thredbare; and yet any ordinary capacity may see the weakness of it, since the Rebellion here immediately spoken of was not that of Subjects against a Prince (tho’ none will deny that, that which is really Rebellion is undoubtedly a great sin) but that of King Saul against God: So that is very far fetch when used for an Argument against whatever those Gentlemen are pleased to interpret Rebellion».24 Of the «great principle of Self-defence» the anonymous author had written, not too much earlier, «is the only Bulwark against Slavery and Tyranny», and that for this all those in favor of it were condemned by 22 in the age of common law, Mario Sbriccoli’s book Crimen laesae maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie della scienza penalistica moderna, remains fundamental and indispensable: Sbriccoli 1974. tention. Source available at: http://storicamente.org/sites/default/images/articles/media/1882/debenedictis_rebellion1.pdf 23 24 278 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World the Non-resistance Men «as Rebellious, Seditious, Enemies to Kings, &c.».25 The tone and arguments of the History pamphlet that John Donoghue uses as a central source for his essay. The text, Simplicity’s Defence Against Seven-Headed Policy, was written by Samuel Gorton[[notes]][[/notes]].26 across the Atlantic in 1636 in search of freedom of religious conscience, Gorton was condemned of sedition for having refused to conform to clerical Puritan orthodoxy and was exiled from Massachusetts two years later. Gorton provides a narrative of his trial in the form of a pamphlet containing the court records, publishing it in London in 1644 as a full account of his self-defense against the arbitrary action of the Massachusetts government. To locate traces of similar arguments in support of self-defense, which I tried to express with the title of my introduction to the Workshop of October 2013 Neither disobedient nor rebels: arguments from the laws between the Old and the New World, we must look back to the numerous revolts, rebellions, and tumults that preceded, were contemporary to or came after (one thinks here of Matteo Battistini’s paper) the great Ame- nations, divine law) on which it was possible to construct arguments on legitimate resistance. Here, I cannot go without mentioning an extraordinary source which I have analyzed elsewhere.27 Written in relation to the Catalan rebellion, the Noticia Universal de Cataluña is the juri- 25 Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution), as well as in Donoghue 2013, 151-153. 26 27 ANGELA DE BENEDICTIS Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World 279 actions taken by the Catalans in order to defend themselves from their oppressive government as rebellion. Many other examples from the concreteness of history — the importanessay in relation to the XVI Chapter of the Second Treatise) — could be used to show that within that concreteness, disobedience and resistance have consistently been conditions inherent to politics, even in the “Land” Europe. Demonstrating the importance and uninterrupted presence of those stories in history is not, however, a proposal or argument in favor of a “continuistic” vision of history — on the contrary. The task at hand in English Puritan thought between the end of the Elizabethan period «the re-emergence of resistance theory» [Burgess 2001, 185] in particular moments of history. It is an investigation which cannot be carried out primarily «in terms of influence … or in terms of continuity» [185]. The task is rather «to understand the conditions that activate a dormant body of discourse or theory» [185]. Legal language on rebellion has always contained, due to its casuistic nature, a «contentious discourse»,28 in which one debated whether or not the instance at hand involved legitimate or illegitimate resistance. In concluding, I’ll cite just one more example, in reference to the American Revolution, in this case judged positively by an English Dissenter. In one of his Fast Sermons, the minister James Murray claimed in 1781 that which in another context Algernon Sidney had already written almost a century before and which Théophile Mandar would write almost a decade later, citing Sidney: «Those who obey the fundamental laws of government cannot be rebels, though it is manifest that legislators that 28 280 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World make laws contrary to natural justice and the law of God may be guilty of rebellion. … It is well known that there were no laws in existence that could make them [our brethern in America] rebels a few years ago; they were only created such, by the modern omnipotence of the parliament».29 The jurist Barolus of Sassoferrato had written something similar more than four centuries earlier (obviously without referring to the fundamental laws of government, nor to the modern omnipotence of the parliament) in his comment to the constitution issued by Henry VII to punish the Italian cities that opposed him, identifying every form of disobedience and resistance as rebellion and in doing so giving birth to the secular form of the crime of lèse majesté.30 Sources Mandar Th. 1793, Des insurrections. Ouvrage philosophique et politique, sur le rapport des insurrections avec la liberté et la prospérité des empires, Paris: De l’imprimerie des directeurs du cercle social. Rue du Théâtre Français, Masson. Murray J. 1781, Sermons for the General Fast Days, London: Printed for J. Adams, No. 10, Great Turnstile, Holborn; and sold by T. Axtell, at the Royal Exchange; and all other Booksellers in Town and Country. Seller A. 1680, The History of self-defence, in requital to the history of passive obedience, London: Printed for D. Newman at the Kings-Arms in the Poultrey (available on EEBO). Sidney A. 1698, Discourses concerning government... published from an original manuscript of the author, London: Printed, and are to be sold by the booksellers of London and Westminster (available on EEBO). 29 Bradley 1990, 155-157. 30 bibliographies. 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Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution John Donoghue Loyola University Chicago, Department of History Three themes in the discursive history of freedom and slavery during the English Revolution are explored here: the liberty of conscience, the liberty of the body, and the liberty of commerce. In the contests waged to define these liberties, contending factions of revolutionaries refashioned their opponents’ concepts of freedom as forms of bondage. Although explored in discrete fashion by historians, these discourses of religious, bodily, and commercial liberty hardly operated independently from one another. Indeed, they became increasingly entangled as the Revolution reached its imperial turn (ca. 1649-1655), accompanied as it was by the rise of the slave trade in the West Indies and debates over the nature of «free trade» that circulated between England and the colonies. Ultimately, to recover the entangled nature of these languages of liberty and their importance in the Revolution’s history of ideas, we must move beyond England itself and into the wider Atlantic world to grasp the material contexts that conditioned the Revolution’s discursive history. Nel saggio sono esaminati tre temi nella storia del discorso su libertà e schiavitù durante la Rivoluzione inglese: la libertà di coscienza, la libertà del corpo, la libertà di commercio. Nei contesti in cui questa libertà vennero definite, fazioni contrastanti di rivoluzionari riformularono i concetti di libertà dei loro oppositori come forme di servitù. Gli storici hanno già in parte analizzato questi discorsi di libertà religiosa, corporale e commerciale, che però non erano indipendenti l’uno dall’altro. In verità essi si intrecciarono in maniera crescente quando la Rivoluzione raggiunse la sua svolta imperiale (ca. 1649-1655), accompagnata come fu dall’inizio del commercio degli schiavi nelle Indie occidentali e da dibattiti sulla natura del «libero commercio» che circolava tra Inghilterra e colonie. Perciò, per scoprire la natura intrecciata di questi linguaggi della libertà e la loro importanza nella storia delle idee della Rivoluzione, è necessario andare oltre la stessa Inghilterra e addentrarsi nel più ampio mondo atlantico per comprendere i contesti materiali che condizionarono la storia del discorso della Rivoluzione. 284 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World In recent decades, the so-called Cambridge School has produced some of the most exciting work on the intellectual history of early modern Europe. Historicizing the study of political thought, these scholars have employed close linguistic analysis to deconstruct the competing and tingencies of discursive political traditions. In essence, the practitioners of the Cambridge School have illustrated the fruitlessness of attaching historically transcendent meaning to political concepts, which can be understood in their various permutations in time and over time, but never beyond time. Perhaps the best work done by historians working in the age of the English Revolution (ca. 1640-1660). Their studies of the Revolution have shown us how «liberty» was rarely understood or discussed in its own right in the mid-seventeenth century. Instead, contemporaries constantly resorted to the language of slavery, a seemingly sion here focuses on three discourses of liberty in the wider discursive history of freedom and slavery in the age of the English Revolution: the liberty of conscience, the liberty of the body, and the liberty of commerce. Although all the revolutionaries prized these liberties, no conceptual consensus existed regarding either their ideological substance or their proper political applications. In the discursive contests the revolutionanents’ views of freedom as the harbingers of bondage. Crucially, these discourses on the liberties of consciences, bodies, and commerce hardly operated independently from one another, although their interdependence during the Revolution has attracted little scholarly attention. Indeed, they became increasingly entangled as the Revolution reached its imperial turn (ca. 1649-1655), accompanied as it was by the rise of the slave trade and debates over the nature of «free trade». JOHN DONOGHUE Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution 285 To recover the history that explains both the entangled nature of these languages of liberty and their historical importance requires a historiographical intervention. As a growing body of literature has demonstrated, the English Revolution was not merely an English, British, most Cambridge School studies of the Revolution contain themselves to European sources, its languages of liberty were not merely European transmissions; instead, they were generated by the circulation of ideas and experience within a wider historical geography that encompassed the Atlantic world. The observation involves more than mere spatial considerations. I argue here as I have elsewhere that broadening our view of the Revolution’s impact from the national to the Atlantic yields rich authentic Atlantic context can help us recover the origins of abolitionist thought, an event that most historians place in the eighteenth century. Wedded as it was in the mid-seventeenth century to a transatlatic radical republican program, abolitionism represented perhaps the most important breakthrough in the early modern history of ideas, although for reasons discussed below, the existence of this breakthrough, let alone its tual historians. Atlantic crossing to America in 1636 seeking «liberty of conscience in respect to God» following his experience with religious persecution in Old England. But on the afternoon of October 14, 1643, Gorton was forced to endure what he thought he had left behind, as soldiers from Massachusetts burned Shawomet, the village that Gorton had founded in Rhode Island, to the ground. Five years before, Gorton and several of his comrades had been exiled from Massachusetts for «sedition» after refusing to conform to puritan clerical orthodoxy. In their Rhode Island exile, Gorton and his followers vowed to protect their liberty of conscience by leaving religious belief and practice free from magiste- 286 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World rial restriction. But fearing heretical corruption from such a «fountain of error», the Massachusetts government deputed its militia to destroy Shawomet and arrest Gorton and his confederates. Early that November, after a forced march in shackles to Boston, the Massachusetts Court punished the dissenters to a year of bondage and hard labor in chains. Although popular protest in the Bay Colony against Gorton’s «enslasecution was far from over; indeed, it could not be contained to the colonies. To seek justice, Gorton transformed his colonial persecution to London to plead before the Revolutionary Parliament for a colonial charter to promote religious tolerance in New England. While in London, Gorton wrote a pamphlet that he entitled Simplicity’s Defense. Published in 1646, the work recounted the Shawomet attack and the Boston trial. Here Gorton described how the government of Massachusetts had acted arbitrarily, ruling as a law unto itself and against the laws of both God and Old England. As «freeborn Englishmen in America», England’s ancient constitution protected the colonists’ property and bodies from wanton violence and warrantless captivity. But instead of living under «the laws of our native country (which) should be named amongst them, yea those ancient statute laws», Gorton observed that Massachusetts had made his community subject to «pretended and devised laws (which) we have stooped under, to the robbing and spoiling of our goods, the livelihood of our wives and children». He saluted Winthrop as the «Great and Honoured Idol General» who by the «sleights of Satan» endeavored «to subject and make slaves» of all those within and without his jurisdiction. But despite their appeal to English law, as antinomians, Gorton and his followers believed that their by remaining obedient not to puritan clerics and magistrates, but to «the law that God had written on our hearts», which they discerned through their consciences as guided by scripture and the holy spirit. «Now the 287 JOHN DONOGHUE Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution rule is evident», Gorton wrote, but to a man as a brother, then to every brother, and if to every brother, whether rich or poor, ignorant or learned, then every Christian in a Parliament man, and rule, and that not only in New England but in Old, and not only in Old, but in all the Christian world; down with all 1 Simplicity’s Defense Against Seven-Headed Policy (Lon80-83 the pretence of law and religion, have done nothing else, but gone about to establish themselves in ways to maintain their own vicious lusts, we renounce their diabolical practice, being such as have denied in their public courts that the laws of our native country should be named amongst them; yea, those ancient statute speaking according to the language of them; in the meanwhile, breaking open our houses in a violent way of hostility, abusing our wives and our little ones, to take from us the volumes wherein they are preserved thinking thereby to keep us ignorant of the courses they are resolved to run, that so the vitiosity of their own wills might be a law unto them; yea, they have endeavored, and that in public expressions, that a man being accused by them, should not have liberty to answer for himself, in open court… But the God of vengeance, unto whom our cause is referred, never having our protector and judge to seek, will shew himself in our deliverance out of the hands of you all; yea, all the house of that Ishbosheth and Meribbosheth, nor will he fail us to utter and make known his strength wherein we stand, to serve in our age and to minister in our course, today, and to-morrow; and on the third day, can none deprive us of perfection… the Lord never gives a name as an empty title, but according to the nature of the thing named, so that if he speak, I have said ye are gods, of any besides himself, it is to declare, that they have not only the name but the very nature of the god of this world; and therefore he saith, they shall die even as Adam, who aspired and usurped the place of God… 1 288 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World No man, no king, no court could rightfully claim to limit the divine sovereignty of the discerning liberty with which God had endowed his creation. When man-made authorities, such as the Massachusetts court, ruled arbitrarily over their fellow creatures, they not only violated English law, they usurped the very sovereignty of God. In New England, as Gorton wrote, such tyrannical hubris bound not only the consciences of the people, but their bodies as well. The radical’s days in chains as a convict laborer made his testimony to bondage in the Bay Colony personal. The transatlantic circuit through which Gorton tendered his petition and thus his radical reformation mission would impact the struggle for liberty of conscience in Revolutionary England. Gorton’s foe, Edward among the political elite of New England, left for London to make Massachusetts’ case against the radicals. Countering the latter’s argument that the Bay Colony had violated any colonists’ liberty of conscience, Winslow argued instead in his own pamphlet, Hypocrisy Unmasked (1647), that puritan clerics and magistrates were the absolute champions of liberty of conscience. It was proper, just, and necessary, he argued, for godly ordained authorities to protect the people’s consciences, and thus the commonwealth as a whole, from spiritual corruption and error; to allow antinomians such as Gorton and company to persist in their heresies would promote sedition and pollute the spiritual estate of the commonwealth. As Winslow wrote in Hyprocrisy Unmasked, «the Civil Magistrate is the minister of God, a Revenger to execute wrath on such evil doers and those tender consciences who follow the light of ton had, as religious toleration, but as the liberty to worship God free from corruption and error in an orderly commonwealth commanded by godly magistrates. He bolstered this line of thought by drawing atten- JOHN DONOGHUE Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution 289 While residing in the City, Gorton had attracted the ire of more moderate puritans by 2 in the New Model Army. Antinomian radicals, the Levellers had fostered the most successful popular republican program of the Revolution, organizing a mass movement based in London that forged links with the provinces and the military. Their program strove for a religiously tolerant constitutional settlement to the English Revolution based on a democratic franchise. When Winslow republished Hypocrisy Unmasked in 1649, he retitled it, The Danger of Tolerating Levellers in a Civil State. In the new edition, Winslow cautioned the English that just as Gorton and his like had seditiously undermined the authority of God’s anointed in America, he and his Leveller allies would do the same vis-à-vis Parliament and the puritan clergy in England. Winslow did not exaggerate the Leveller threat; mass meetings and unruly protests in London and mutinies in the New Model Army, occasioned by petitioning campaigns gathering tens of thousands of signatures, forced the army high command, at the behest of Parliament, to crush the Levellers, which it did so through waves of arrests and executions.3 The Danger of Tolerating Levellers in a Civil State (LonThe danger of tolerating levellers in a civil state, or, An historicall narration of the dangerous pernicious practices and opinions wherewith Samuel Gorton and his levelling accomplices so much disturbed and molested the severall plantations in New-England : parallel to the positions and proceedings of the present levellers in Old-England : wherein their severall errors dangerous and very destructive to the peace both of church and state. 2 3 movement, see Donoghue 2013, 170-197. 290 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World Soon after its violent repression of the Leveller movement, the English state, via the newly established Revolutionary Republic, embarked upon ded the colonial conquest of Ireland (1649), the armed subjugation of Royalist colonies in the West Indies and the Chesapeake (1651), and a tury naval wars against its most potent maritime rival. But the Republic turned to legislation as well as force of arms to bring its Atlantic emwhich opened up what its authors called a «free trade», a long-held goal Maurice Thomson and Martin Noell, two slave traders and absentee plantation owners with estates in the Chesapeake and Caribbean, the existing English trading monopolies in the nation’s Atlantic colonies.4 A Collection of Acts and Ordinances of General Use, Made in Parliament… in Two Parts (LonFor the increase of the shipping and the encouragement of the navigation of this nation, which under the good providence and protection of God is so great a means of the welfare and safety of this Commonwealth: be it enacted by this present or commodities whatsoever of the growth, production or manufacture of Asia, Africa or America, or of any part thereof; or of any islands belonging to them, or which are described or laid down in the usual maps or cards of those places, as well of the English plantations as others, shall be imported or brought into this Commonwealth of England, or into Ireland, or any other lands, islands, plantations, or territories to this Commonwealth belonging, or in their possession, in any other ship or ships, vessel or vessels whatsoever, but only in such as do truly and without fraud belong only to the people of this Commonwealth, or the plantations thereof, as the proprietors or right owners thereof; and whereof the master and mariners are also for the most part of them of the people of this Commonwealth, under the 4 the Navigation Act, see Farnell 1964, 439-454; Armitage 2000, 100-124; Leng 2005, 933-954. JOHN DONOGHUE Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution 291 penalty of the forfeiture and loss of all the goods that shall be imported contrary to this act; as also of the ship (with all her tackle, guns and apparel) in which the said goods or commodities shall be so brought in and imported; the one moiety to the use of the Commonwealth, and the other moiety to the use and behoof of any person or persons who shall seize the goods or commodities, and shall prosecute the same in any court of record within this Commonwealth. While all merchants saw commercial expansion as vital to English empire-building, the exact nature of the «free trade» clamored for in England and the colonies remained in dispute. As Dudley Digges wrote in 1615 «well-minded merchants like Hercules in the cradle» would make England «a staple of commerce for all the world to advance the reputation and revenue of the Commonwealth».5 In 1641, at the outset of the English Revolution, Henry Robinson urged Parliament to help the nation’s merchants make «England the Emporium or Warehouse from whence other Nations may bee furnished with forraine commodities».6 Commerce was clearly described as crucial for English empire-building, ned in an international, seventeenth century debate about the nature of imperial «free trade». Hugo Grotius sparked the debate in 1609 with the publication of Mare Liberum. Here, the Dutch jurist argued that unlike landed territory, the sea could not be divided into politically exclusive dominions; it was in the interest of each state, and thus of humankind in general, to leave the seas to open navigation and thus unrestricted commerce.7 John Selden, taking the opposite tack in his 1635 book, Mare Clausum, found that England’s imperial destiny lay in circumscribing English waters, both in Europe and in ports abroad, to English commerce, to protect English sovereignty and the prosperity that such 5 6 7 292 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World sovereignty assured when applied to England’s watery dominions.8 The English free trade debates of the Revolutionary era fell along the ideological fault lines established by Grotius and Selden. In a 1651 pamphlet entitled The Advancement of Merchandize, Thomas Violet argued that free trade should end merchant monopolies among English merchants and allow foreign merchants to trade in English ports at home and abroad. He warned Parliament that «we must match the Dutch at their own weapons, and give them as great privileges, as they have given to our Clothiers [...] and by this way you will make England truly the Empress of the Sea, when every Sea-Port-Town will be an Amsterdam».9 A year later, the Republic’s propagandist in chief, Marchmont Nedham, sought to bolster public support for the Navigation Act and by virtue the naval war with the Dutch by translating Selden’s two volume Mare Clausum into English under the title, Of the Dominion, or Ownership, of the Sea. Free trade under the auspices of the Navigation Act pleased English merchants who had wished to do away with pre-existing commercial monopolies. The Act, however, proved equally unpopular with English sugar planters in the West Indies, who had depended on Dutch mercommodities came in human form in the way of enslaved Africans. Without Dutch slave traders, as the planters knew, the wildly lucrative sugar boom on Barbados would never have exploded. The Council and Assembly of Barbados responded to the Navigation Act with a Declaration that they published not in London but in The Hague, obviously to reach their Dutch commercial allies in the most direct fashion possible. The Declaration sing to obey the Act, particularly the clause forbidding «all Forraigners 8 Selden’s argument. 9 JOHN DONOGHUE Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution 293 from holding any commerce with the inhabitants of this Island». For the islanders, restricting commercial liberty in this way was economically unfeasible. According to the Declaration, they had depended upon «the Dutch for their subsistence». They would, furthermore, never «be so ungratefull to the Dutch for former help as to deny them or any other Nation the freedome of our Ports and Protection of our laws». Moreover, as the colonists observed, the Dutch sold «us [commodities] much cheaper to us then [the merchants] of our own nation». The Barbadians also felt that the Navigation Act was as politically unjust as it was economically destructive. The colonists had settled Barbados without any assistance lives even though the colonists had «no representatives no persons there chosen [by them] to propose or consent». The Declaration concluded by calling for «free trade both at home & abroad», a customary liberty that they argued had long been enjoyed by all «true Englishmen» [Declaration 1651, 1-5].10 A Declaration Set forth by the Lord Lieutenant General (and) the Gentlemen of the Council and Assembly Shall we be bound to the Government and Lordship of a Parliament in which we have no Representatives, or persons chosen by us, for there to propound and consent to what might be needful to us, as also to oppose and dispute all what should tend to our disadvantage and harm? In truth, this would be a slavery far exceeding which hath brought us thus far out of our own country, to seek our beings and livelihoods in this wild country, will maintain us in our freedoms; without which our lives will be uncomfortable to us… By the abovesaid Act… [foreign] nations island; although all the ancient inhabitants know very well, how greatly they have it would have been for us, without their assistance, ever to have inhabited these places, or to have brought them into order; and we are yet daily sensible, what necessary comfort they bring to us daily, and that they do sell their commodities a great deal cheaper than our own nation will do; but this comfort must be taken 10 Declaration 1651, 1-2. 294 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World from us by those whose will must be a law to us: but we declare, that we will never be so unthankful to the Netherlanders for their former help and assistance, as to deny or forbid them, or any other nation, the freedom of our harbors, and the protection of our laws, by which they may continue, if they please, all freedom of The planters also knew that English slave traders within and outside Parliament had written the bill in part to promote their own investments, and so the planters regarded the Navigation Act as the height of corruption that had «enslaved» them to a regime of grasping regicides. Having established their arbitrary government in England through the sword, the Revolutionaries had violated the rights of free born Englishmen in the colonies to protect the property they had accumulated through «free restricted commerce. Here we see how partisans in the Navigation Act a discursive pattern that also marked the struggle over liberty of conscience. But free trade discourse revolved around a common economic For both merchants in England and English planters in the West Indies, free trade meant the freedom to trade slaves.11 the age of the English Revolution becomes even more illuminating when, in circum-Atlantic fashion, we move from England and Barbados and back to Rhode Island. In 1652, as the debates over free trade and, by virtue, the future of the English slave trade, began in earnest, Samuel Gorton steered legislation through the Rhode Assembly to end slavery and slave trading in the colony. As the ordinance stated, «whereas there is a common course practiced amongst English men to buy negers to that end they may have them for service or slaves forever; 11 Gragg 1995, 65-84; Menard 2006. JOHN DONOGHUE Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution 295 for the preventing of such practices among us, let it be ordered, that black mankind or white being forced by covenant bond, or otherwise be set free as the manner is with the English servants». The law also prohi- twice the going rate for a slave in Barbados; in this way, the assembly informed by knowledge of slavery and slave trading around the Atlantic. become «common course amongst Englishmen to buy negers to have them as slaves forever.12 Records of the Colony of Rhode Island and Providence Plantations in New England, 1636-1663 Ordered, whereas there is a common course practiced amongst English men to buy negers to that end they may have them for service or slaves forever; for the preventing of such practices among us, let it be ordered, that no black mankind or white being forced by covenant bond, or otherwise, to serve any man or his assigns longer than ten years, or untill they come to be twenty four years of age, if they be taken in under fourteen, from the time of their coming within the liberties of this colony. And at the end or term of ten years to set them free, as the manner is with the English servants. And that man that will not let them go free, or shall sell them away elsewhere, to that end that they may be enslaved to others for a long time, he or they shall forfeit to the colony forty pounds. The Acts and Orders of Rhode Island. The whole body of the colony’s freeman had met in their separate towns, where they participated in drafting, deliberating, and ratifying the constitution, which rejected the ancient constitutional mix of monarchical, aristocratic, and democratic forms of government, stating explicitly «that the form of government established 12 296 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World is democratical; that is to say, a government held by ye free and voluntary consent of all, or the greater part of the free inhabitants». Although democracy was commonly held to be the gateway to anarchy in the early modern period, the Acts and Orders declared that far from having democracy «prove an anarchy and so a common tyranny», the Rhode Islanders believed that «popular» government prevented anarchy by malaw, thus ensuring against the lawlessness of arbitrary government.13 While historians of republican thought in the English Revolution have radicalism with Leveller republicanism. Putting the Acts and Orders in Atlantic context is particularly revealing in this regard. The Rhode Islanders established their constitution in 1647, the same year that the Levellers proposed their own, called the Agreement of the People, which like its colonial counterpart, combined the ideals of religious toleration with democratic republicanism. Linking the radical republican programs that unfolded diachronically in Old and New England, we see how the Atlantic dimensions of Leveller ideology carried the struggle against political slavery into a protest against the rise of economic hardly be understated, as it undid the classical link between slavery and republican liberty, with the former providing the material foundations for the latter to thrive. Indeed, in the midst of the English Revolution’s imperial turn, the classical inheritance of the slave-holding republic was over a century later by the framers of the Constitution of the United States. While many southern delegates to the Constitutional Convention sought to guard against their political «enslavement» by ensuring their liberty in the property of their slaves, the colonial radicals of the 13 JOHN DONOGHUE Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution 297 a reformed commonwealth. In conclusion, the discourses of liberty of conscience, liberty of the body, and commercial liberty evolved in a historically interdependent fashion, circulating around the Atlantic world within the wider discourse of freedom and slavery that characterized the political culture of Revolutionary England and its colonies. From the magistrate’s perspective, Samuel Gorton’s liberty of conscience, once made a civil liberty, would enslave the body politic to the arbitrary power of democratic seditionists bent on the anarchic project of usurping the divinely ordained prerogatives of the puritan magistracy. But from Gorton’s perspective, the puritan magistracy’s discretionary power to enforce religious conformity on behalf of the public good actually usurped the divine sovereignty of the believer’s conscience. From the perspective of Gorton and the antinomian radicals of Rhode Island, only democratic forms of government could protect the divine prerogative of universal religious freedom. Complete liberty of conscience was critical for antinomians, as spiritual experimentation provided the way to discern the true path to reformasedition, producing in Gorton’s own words, a condition of political «slavery» that had led the court to claim «dominion over bodies» via hard labor in chains as the ultimate means to preserve its own misguided notion of religious liberty. Turning to the debate over the Navigation antithetical imperial policies regarding mercantile competition. But the contentious discourse that evolved from a shared political language nonetheless promoted a common, commercially lucrative goal: free trade in any discursive guise would promote slave trading. Transcending the rhetorical dialectics that wed English liberty to the slave trade via the promotion of free trade, radical Rhode Islanders tried to abolish the slave trade, viewing it not as a form of commercial liberty, but as a threat to 298 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World republican liberty. In the end, without an Atlantic perspective on English Revolutionary discourse, recognition of such a milestone in early modern political thought remains impossible. Finally, the Atlantic context that illuminates the abolitionist dimensions of radical republican discourse in the English Revolution also sheds light on the limitations of the linguistic turn in the study of political thought. emphasis that historians of the Cambridge School of political thought have placed upon language, as if it more than anything else can reveal the mutability and historically transient meanings of terms like freedom and slavery. Although it has contributed invaluably to our understanding of the history of ideas in the early modern period, the Cambridge the discursive realm, using it as a mere metaphor for the condition of subjection to political tyranny. Yet the Revolutionary period marked the rise of plantation slavery in the English Atlantic; not coincidentally, the discourse of freedom and slavery in the free trade debate occasioned by be conducted in the West Indies. Colonial radicals in Rhode Island transcended this debate by passing an abolitionist law that conveyed their belief that the tyranny of chattel slavery would corrupt the virtue of republican liberty in a just commonwealth. To be grounded in any kind of authentic reality, the history of political thought in the English Revolution, like the history of any political event, must take into account material contexts as well the linguistic and high political. Without broadening the contextual universe of discursive analysis, we risk reducing the history of freedom and slavery in the English Revolution to the interplay of rhetorical devices, when it ultimately produced the original attempt to equate republican liberty with the end of chattel slavery. JOHN DONOGHUE Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution 299 Sources A Declaration Set forth by the Lord Lieutenant General (and) the Gentlemen of the Council and Assembly 1651, The Hague. Digges D. 1615, The Defense of Trade, in a Letter to Sir Thomas Smith, Governor of the East India Company, London. Gorton S. (1644) 1835, Simplicity’s Defense Against Seven-Headed Policy, London: reprint, Staples W.R. (ed.), Providence: Marshall Brown. Grotius H. 1609, Mare Liberum, sive de jure quod Batavis competit ad Indicana commercia dissertatio, Leiden. Johnson E. 1653, A History of New England from the English Planting until the Year 1652, London. Robinson H. 1641, England’s Safety in Trades Increase, London, 20. Scobell H. 1658, A Collection of Acts and Ordinances of General Use, Made in Parliament in Two Parts, London. Selden J. 1635, Mare Clausum seu de Dominio Maris libri duo, London. Violet T. 1651, The Advancement of Merchandize, London. Winslow E. 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Insurrections, Bank and Private Contracts: How Society shaped the Constitutional Order during the American Revolution Matteo BattiStini Univ. di Bologna, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali Looking at the revolutionary context of Pennsylvania, the essay analyzes the continuous movement of rebellions during the American Revolution in order to highlight the process of institutionalization of the constitutional order, namely the changeable power relationship that shaped society. The essay reconstructs: 1) the battle for free trade and freedom of property and the resulting rising of the mercantile class as a national elite; 2) the mercantile political project of ordering society by creating a national system of public credit based upon the institution of the public debt and the foundation of the first national bank; 3) the vicissitudes of the bank by analyzing (1786), one of the most underrated pamphlets of Thomas Paine. By this way, the essay shows how the principle of popular sovereignty and the language of rebellion were intended to be institutionalized as part of the constitutional order that was formalized in 1787-88. Il saggio analizza i movimenti di ribellione verificatisi durante tutto il periodo della Rivoluzione americana, con particolare attenzione al contesto rivoluzionario della Pennsylvania, allo scopo di evidenziare il processo di istituzionalizzazione dell’ordine costituzionale e in specifico le mutevoli relazioni di potere che diedero forma alla società. Il saggio ricostruisce: 1) la battaglia per la libertà di commercio e di proprietà, e il conseguente sorgere della classe mercantile come élite nazionale; 2) il progetto politico mercantile di ordinamento della società attraverso la creazione di un sistema nazionale di credito pubblico basato sulla istituzione del debito pubblico e la fondazione della prima banca nazionale; 3) le vicissitudini della banca attraverso l’analisi di uno dei più sottovalutati pamphlet di Thomas Paine, Dissertations of (1786). In tal modo il saggio mostra come si intendesse istituzionalizzare il principio della sovranità popolare e il linguaggio della ribellione in quanto parte dell’ordine costituzionale formalizzato nel 1787-1788. 308 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World introduction Historiography has adressed the question of rebellion during the Amefounding of the United States: the protests against imperial taxation that led to the Declaration of Independence; and the insurrections that Declaration elaborated the Lockean theory of legitimate sidered as self-evident truths, by referring to the Scottish Philosophy of Common Sense. In the second case, historians have reconstructed the Shays’ and Whiskey Rebellions in order to underline their role in caof democracy», «tyranny of majority» or «anarchy». of the language of rebellion and the principle of popular sovereignty that were spread by the Declaration. The farmers of the western counties of Massachusetts and Pennsylvania proclaimed themselves to be the true heirs of the Revolution. Like the patriots, they said, they opposed unjust taxation levied by a distant and unresponsive legislature. They voiced their objections through peaceful protests, including petitions and instructions to the assembly, and the calling of county conventions. Like the revolutionaries of 1776, they resorted to more violent measures – such as closing courts and taking up arms – only when previous national elite leading the reaction to the insurrections conceived that, overthrow of a representative government could never be sanctioned. By circumventing representative institutions and procedures, extralegal popular action threatened the very basis of the Declaration, namely the principle of popular sovereignty. Thus, both the Shays’ and Whiskey Rebellions became a symbol of the need for a stronger Union throu- MATTEO BATTISTINI Insurrections, Bank and Private Contracts 309 ghout the United States. The state militias that President Washington called into national service against the «whiskey rebels» issued a warning to all who invoked insurrection against the new constitutional order.1 In this view, such events were considered as isolated constituent moments that explained the Declaration of Independence, the drafting of the fedeAmericans rebelled on numerous occasions during all the revolutionary age, particularly during the Eighties, the so-called “critical period” of the Revolution. Far from agreeing with the national elite that the thirsegment – farmers, artisans and journeyman – of society considered the states not attentive enough to the will of the majority. They heavily order to regulate commerce, control prices, seize properties and bring about debt and tax reliefs: they “used” representative institutions in order to force legislatures at local and state level to their will.2 construct this continuous movement of rebellions and its ongoing relation with Congress and state legislature in order to cast light on the social and political forces that fueled the making of Union. From this perspective, I will pay less attention to the drafting of the federal Constitution in the national convention – that is to say the constitution as a written text – than to the very basis of the process of institutionalization of the constitutional order during the Revolution, namely the changeable power relationship that shaped society. First, I will reconstruct the battle for free trade and freedom of property and the resulting rising of the mercantile class as a national elite. Second, I will analyze the mercantile political project of ordering society by creating a national system 1 2 ton 2007. - 310 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World of public credit based upon the institution of the public debt and the of the bank through Dissertations of Government, the Affairs of the Bank and Paper Money (1786), one of the most underrated pamphlets of Thomas Paine – author of the bestsellers Common Sense (1776) and Rights of Man (1791-1792), I will show how the principle of popular sovereignty and the language of rebellion were intended to be institutionalized as part of the constitutional order that was formalized in 1787-88 [Battistini 2012]. the rising of the Mercantile class Faced with the economic crisis of the American Revolution – the problematic funding of the war and the necessary printing of paper money, which highly depreciated the continental currency causing prices of commodities to soar – a campaign for price regulations was launched thern states, acting together in regional conventions, which had popular support. In 1779, the depreciation of paper currency was mainly responsible for the renewed demand for regulation by town meetings. The city of Philadelphia led this new wave of regulation. On May 12th, the First Company of Philadelphia Artillery presented a memorandum to the city assembly, reviewing the rise in prices since 1776 and referring to possible popular actions. As the threat of violence mounted, the radical leaders of Philadelphia called for a mass meeting on May 25th. The meeting appointed a committee to carry out price reduction. Intended to work as «discretionary power […] for the redress of temporary evils» [Pennsylvania Packet, June 29, 1779], the committee could exceed constitutional bounds and interfere in economic exchanges. In the September 10th extraordinary edition of the Pennsylvania Packet, the committee argued that free trade had de facto implied «a right to extort MATTEO BATTISTINI Insurrections, Bank and Private Contracts 311 and a power to enforce that extortion». For the merchants, «freedom of trade» had meant «freedom of extorting […] forestalling, monopolizing and engrossing». The committee declared these practices to be «repugnant to every principles on which society and civil governments are founded» [Pennsylvania Packet, September 10, 1779]. At the end of August 1779, Philadelphia merchants demanded the repeal of regulation. Their memorandum – signed by merchants and lawyers such as Robert Morris and James Wilson – emphasized the argument that «the limitation of prices is in the principles unjust, because it invades the law of property, by compelling a person to accept less in exchantheir vision of society and conception of individual freedom: It is true they [merchants] were prompted by the love of gain, but whanecessities of the people [Pennsylvania Packet, September 10, 1779]. By setting love of gain at the very center both of individual freedom and general welfare of the people, merchants could justify free trade as regulation. Moreover, they could demand a leading role in economy and society for themselves. By claiming their superior degree in society, they aimed, in turn, to raise their level of national political leadership. In several writings (Essays on Free Trade and Finance, 1779; Dissertation on the Political Union and Constitution of the Thirteen United States of North America, 1783), Pelathia Webster, one of the signers of the memorandum, voiced the merchants’ economic and political ambitions by arguing that there was no «another body of men, whose business of life, and whole full and extensive intelligence, foreign and domestic [...], and whose particular interests are more intimately and necessarily connected with the general prosperity of the country».3 - 3 312 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World ces, Philadelphia merchants forced the Committee to stop its activities. The demise of the city Committee and the reluctance of the state goof early October 1779. With the failure of institutional channels for the expression of popular grievance, resentments against the merchants exploded into insurrection. On October 4, a militia group began to march into the center of the city, making its way to the house of James Wilson, the rich merchant and important lawyer who later became a member of the national convention and Supreme Court justice. The insurrection was suppressed by state government troops. The riot can be considered a turning point: it split rural farmers groups from urban artisans groups, and – most importantly – the radical leadership of Pennsylvania politics from popular activity, it set therefore the tone for the rise of the mercantile class.4 What result was the crystallization of sentiment among members of the Continental Congress in favor of free trade, and the emergence of Robert Morris as the political leader of the national mercantile elite. The proposal – advanced by Webster among others – of appointing a Superintendent of Finance was adopted. In May 1781, the Continental Congress elected Morris as Superintendent. the Mercantile Political Project of national Finance The Superintendent’s Report on Public Credit of July 29, 1782, most clearly expressed the political project of the mercantile elite.5 The plan took up the question of how best to found a new State in the world of European States. Funding the war was not simply a national problem, 4 5 an atlantic percpective, also in relation to role played by Alexander Hamilton in the early American process of state-building: Battistini 2013. MATTEO BATTISTINI Insurrections, Bank and Private Contracts 313 Morris suggested. The economy of the American nation had to be considered in the context of the international market. Given the war against the British, the need for loans, both domestic and foreign, was more and more pressing. But, American citizens and foreigners – moneyed men and governments, in particular the French and Dutch – would trust Congress with money only if they were certain of being repaid. Morris proposed therefore to center the states’ war debts in the Continental Congress. Following the experience of Eighteenth century England, he aimed at funding debt by committing taxes to pay the interests on the debts without an obligation to discharge the principal. Merely by paying interest regularly, new monies from domestic and foreign creditors could be expected. Yet, there was an obstacle to this plan. This method of funding public debt would increase the power of Congress, power that was restricted by the Articles of Confederation. Morris advanced therefore a two-fold reform that would shape both politics and society. On the political end, the reform added political centralization to a vision of society based on free trade. The reform aimed at giving Congress the power to collect fe- statehood, the power of taxation. On the end of society, the method of bank, the Bank of North America. Funded by French loans and American merchants’ subscriptions, the bank was more than just a commercial bank for private transactions. It was also intended to serve as a national bank, holding government funds and issuing notes that Morris hoped would serve as medium of exchange. When Congress incorporated the subscribers by recognizing them as a corporation «able and capable in law», it gave them de facto power to control both money lending and the quantity of money in circulation. Thus the bank could do more than manage the war debt. In his Report, Morris argued that the bank was positioned to «distribute pro- 314 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World perty into those hands which could render it most productive». As Morris explicitly pointed out before the Congress, the bank «would supply the Want of Credit to the mercantile Part of Society» [Morris 1973-99, 6:62-63, 70]: regular interest payments would put capital into the hands of the merchants who were the creditors of public debts and making the debt transferable would create a market, nation-wide in scope, for intangible property, thus solving the problem of a lack of credit. This explains why, from his point of view, no distinction should be made between investment and speculation, because the accumulated funds of intangible property would serve as capital that would be invested, thus creating more wealth in which the larger population would ultimately share [6:56-58]. The mercantile interest would then become the general interest of the nation.6 legitimate and consolidate the accumulation of capital scattered across society. «Method of Administration». It was not only a matter of economic accounting. Most important, it would have a constituent political meaning addressed to the state governors – the administration of the public debt trust referred to the Lockean theory of the relationship between government and proprietors (in this case the proprietors were the creditors of the public debt), and the word confidence was related to the individual hope of of administration was therefore intended to foster both trust between the government and the creditors, and confidence, not only among creditors, but also among debtors and all other economic forces of society. Thus, trust and confidence were perceived as the necessary social and political 6 MATTEO BATTISTINI Insurrections, Bank and Private Contracts 315 would neutralize the principle of popular sovereignty and the language of rebellion: the system of public credit and its method of administration were the double institutional solution to the problem of overcoming the «inevitable unruliness of a great revolution». In his opinion, the government would be obeyed and the society would be ordered only if the system of public credit would be shaped by, and would shape, the power relationship that marked society, namely only if the supremacy of mercantile interest and the mercantile principles of free trade and freedom of property would be institutionalized in the and have discouraged merchants’ economic activities, the method of administration would favor the pursuit of private interest and would reand in the national government: «Being more Respectable», national government would consequently be «better obeyed» [Morris 1973-99, 1:397-400; 3:84-88; 4:376]. We can therefore conclude that the national system of public credit not only consolidated mercantile interest and the rising of mercantile naframed – constitutional order, paving the way for the making of the Union. But, in order to move from the Confederation toward the federal Constitution, such mercantile national elite should again face popular revolts, such as the one that led to the dismantling of the national bank in Pennsylvania.7 7 316 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World the government and the affair of the Bank Starting in 1784, a new wave of popular protests, in particular by the farmers of Pennsylvania’s western territories, forced the state legislature to issue policies of price regulations, tax and debt relief. Moreover, a new committee was instituted for the control of the economy. The committee presented the Assembly with a document in which it was argued that the national bank was responsible for the «accumulation of enor- the economy: reducing the supply of money; restricting credit; raising while ensuring that creditors received a substantial return on what they had loaned. Some men were forced to sell their property to cover their debts, others saw their property foreclosed on. The restriction of credit limited access to capital to a small circle of merchants, and frustrated workers’ ambitions to achieve economic independence by acquiring land or a workshop [Paine 1945, 2:387-388]. The mercantile class answered the document by publishing pamphlets in which it was argued that the repeal of the law, which had established the bank at state level, represented a constitutional problem: how to conjugate the revolutionary principle of popular sovereignty with the need for a nationwide method of administration.8 One of the most important pamphlets was Dissertations on Government, the Affairs of the Bank and the Paper Money (1786) in which Thomas Paine answered the farmers’ leaders by adressing the question of rebellion. John Smilie and others, who later would be protagonists of the antifederalist campaign against vored an «extreme accumulation of wealth» which was against «democracy,» rebellion was legitimate. In order to oppose such arguments, the 8 MATTEO BATTISTINI Insurrections, Bank and Private Contracts 317 on sovereignty and rebellion. Paine argued that any government was based on an uncontrolled power that controlled everything, namely the sovereign power. What changed was therefore where sovereignty rested: while in despotic monarchies sovereignty was the title of the crown, in republics it belonged to the people. However, popular sovereignty did not imply an “indiscriminate use” of political power. It instead implied a “constitutional and legal” method. Paine explained that power should be exerted only in accordance with sentation, namely «electing and deputing a certain number of persons to present and act for the whole»; from above, through «the administration of the republic» that should be directed by principle of «right and justice» in order to achieve the «public good». Paine explained that public good was not «a term opposed to the good of individuals», but it was «the good of every individual collected». From this perspective, the legislature could not only enact general laws that «have universal operation, or apply themselves to every individual». The legislature could also issue acts that operated in certain cases and on some parts or groups of society, namely it could negotiate agreements and contracts interest of the nation, as in the case of the bank. In this view, the «public ting interests of society by the legitimate procedures of representation and administration. This double movement, from above and below, exrebellion against the crown was legitimate, in the republic rebellion was illegitimate: the continuous process of institutionalization of social and economic practices and interests through the system of representation and administration left «no room for insurrection, because it – such system – provides and establishes a rightful means in its stead» [2:368372, 375-376]. 318 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World denounced the fact that the popular protests forced the state Assembly to issue policies – not only the repeal of the bank law, but also measures for price regulation and tax and debt relief, such as the issue of paper money – that impaired private contracts. Such policies gave to the state government too much power, namely the power to violate the right of property: «there can be no such power in a republican government, the people have no freedom, and property no security where this practice can be acted» [2:374, 380-381]. Since no law could revoke a private contract, such acts were to be considered as «unconstitutional» and posthe bank should be under the jurisdiction of courts [Ford 1998; Foner 1977]. In this view, Paine elaborated the same threefold constitutional argument that it could be read in the pamphlets of the mercantile class, such as Considerations on the Bank of North America (1785) by James Wilson: the supremacy of the continental law that instituted the bank on the law that incorporated the bank at state level; the primacy of the constitution on the law and the principle of constitutionality; the competency limit of legislative power and the role of judiciary in ensuring private contracts and property rights. The repeal of the state law of the bank forced therefore Paine and the mercantile class to elaborate a constitutional conception of the Union more fully and coherently than ever before, paving the way to the overcoming of the confederal boundaries to the national sovereignty. In conclusion, by reading Paine’s Dissertations in the broad context of continuous popular insurrections, the foundation of the United States cial transactions, credit and debt) and interests (landed and mercantile) - MATTEO BATTISTINI Insurrections, Bank and Private Contracts 319 tion as process”: a political process that shaped and was shaped by the changeable power relationships of society; that absorbed the revolutionary principle of popular sovereignty and the language of rebellion into “rightful” representative and administrative procedures; and – most importantly – opened constitutional room for legitimating the mercantile political project. The federal Constitution did not only restrict the range of states’ power on commerce and enlarge both the constitutionally protected domain of human economic agency and the sovereign national power of regulating domestic and foreign market [Edling 2003]. The national convention also resolved to write creditor language into the Constitution by prohibiting the states from rescuing debtors and the mercantile class played a crucial role in translating «the inevitable unruliness of a great revolution» into «constitutional and legal reason». Sources Morris R.. 1973-99, The Papers of Robert Morris, Ferguson E.J. (ed.), voll. 6, Pittsburgh: University of Pittsburgh Press. Paine Th. 1786, Dissertations on Government, the Affairs of the Bank and Paper Money, in Paine Th. 1894, The Writings of Thomas Paine, Moncure Daniel Conway (ed.), Vols. 4, New York: G.P. Putnam’s Sons, 2:132-187, http://oll.libertyfund.org/titles/344. Paine Th. 1945, The Complete Writing of Thomas Paine, Foner P.S. 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Nova Totius Terrarum Orbis: Modern theory of sovereignty and the neutralization of Atlantic Disobedience raFFaele lauDani Univ. di Bologna, Dipartimento di Storia Culture Civiltà The essay offers an Atlantic reading of Thomas Hobbes’ Leviathan and John Locke’s Second Treatise of Government based on the spatial concepts of “Land” and “Sea”. «Land» is considered as the spatial principle of a terracentric conception of politics, in which politics is viewed as static, and order exists only when conflict is neutralized. «Sea», on the contrary, is the spatial principle of a maritime conception of politics, in which politics is viewed as fluid, and order is shaped in an endless, changing, and conflicting movement of powers and agents. From this perspective, modern sovereignty emerges as a process of reterritorialization of politics. il saggio si propone di fornire una lettura “atlantica” del Leviatano di Thomas Hobbes e del Secondo Trattato sul governo di John Locke attraverso i concetti spaziali di “terra” e “mare”. Il primo è il principio spaziale di una concezione terracentrica della politica, in cui quest’ultima è vista come statica e l’ordine esiste solo quando il conflitto è neutralizzato. Il secondo, invece, è il principio spaziale di una concezione marittima della politica, nella quale la politica è vista come e l’ordine è il risultato di un movimento conflittuale tra poteri e attori. Da questo punto di vista, la sovranità moderna emerge come un processo di riterritorializzazione della politica. 324 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World Sea and land as political categories In the following pages, I will venture in an Atlantic reading of Thomas Hobbes’ Leviathan and John Locke’s Second Treatise of Government. For this goal, I will use the spatial concepts of “Land” and “Sea”, as examples of two modern political logics. «Land» will be considered as the spatial principle of a terracentric conception of politics, in which politics «Sea», on the contrary, as the spatial principle of a maritime conception To better understand the spatial implications of these two competing modern visions of politics, we can preliminary look at two very famous and coeval XVII century Dutch world maps, both entitled Nova Totius Terrarum Orbis Geographica ac Hydrographica Tabula and created, as their title suggests, with the revolutionary ambition of producing a «new map of the whole earth», a new representation of the world, of its «land» and of its «sea». One is the 1639 planisphere by Claes Janszoon Visscher’s (also known as “Piscator”), one of the most prominent and celebrated cartographers of the XVII century. Here, the Atlantic Ocean is not represented in the traditional ptolemaic style as the end of the world, the western edge of a world which is essentially European and terrestrial. It is on the contrary the very core of the map, the hub of the incredibly wide network of communication that has become the world. In addition, Europe – often represented in the medieval and early modern cartography as a queen ruling over the known world – has been reduced to a peripheral and quite small portion of this transatlantic world linked together and dominated by the sea. To be honest, Piscator’s map was less new than what its title suggests, since it was based on the model of the truly innovative 1570 Ortelius’ Orbis Terrarum. However, its title expresses the complete awareness of this new and modern representation of the earth and of the complexity RAFFAELE LAUDANI Nova Totius Terrarum Orbis 325 of a world that has suddenly become «atlantic». The same is true for the other «Nova Totius Terrarum Orbis», created in 1630 by Hendrik Hondius. Here, the earth is clearly divided into two worlds, the old and the new, confronting each other as «equals». Thanks to the incorporation of the ancient oriental enemy into the old world, Europe is again big and strong: a great power on earth. Most importantly, the centrality of the Atlantic Ocean has disappeared, split and shadowed by the two impressive terrestrial spaces of Europe and the colonial world. Now, from a spatial perspective, modern theory of sovereignty can be considered a victory of Hondius’ conception of the world over Ortecontain and supersede the sensation of «displacement», or, in Deleuze and Guattari’s words, the «deterritorialization» of politics caused by the disturbing and uncanny «discovery» of politics’ natural movement. Two fundamental theoretical strategies characterize this process of reterrito- among equals, able to transform a naturally wild and disordered world in a political space populated by sovereign states. The other strategy, which constitutes Locke’s most original spatial contribution to modern political theory, is the division of the world into two qualitatively difce and disturbance are (potentially) an immanent condition of politics, and power operates in the form of the government over an unstable and European system of sovereign states, where politics is supposed to be arevent of revolution. 326 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World hobbes Recent historiography has shown how English Civil Wars – the historical background of the fathers of modern theory of sovereignty – were more than national or English, involving in one single theatre of confrontations the new territories of the Americas and the Caribbean. Similarly, great attention has been given to Locke’s interest in England’s colonization of America, underlying the deep existing connection between liberalism and colonialism. However, Hobbes’ political biography is itself in many ways an Atlantic life as well. Since 1619, he (Bermuda) Companies on behalf of his patron, Lord Cavendish, and he was assigned by the Virginia Company to administrative jobs, such as answering letters of complaint from settlers, formally becoming one of its shareholders in 1622 [Aravamudan 2009; Jessen 2012]. Refractions of this Atlantic experience, though rare, can be found, such as in the frontispiece of De Cive. Here, Libertas (liberty) takes the form of a poor, sickly, and nasty Algonquian warrior who is confronted with Imperium (political power) in the form a (European) queen with sword and scales. This image suggests the precariousness of natural liberty and the necessity of abandoning it, but it equally represents the uncertain and precarious exercise of Imperium caused by the wild irruption of liberty in human relations. State sovereignty, we know, will be Hobbes’ answer to this problem. Similarly, the theoretical abstraction of Hobbes’ description of the state of nature in Leviathan is interrupted only in one case, when America is used as an example of the savage present condition of humanity: It may peradventure be thought there was never such a time nor condition of war as this,; and I believe it was never generally so, over all the world: but there are many places where they live so now. For the savage people in many places of America, except the government of small families, the concord whereof dependeth on natural lust, have no government at all, and live at this day in that brutish manner, as I said before. Howsoever, it may be perceived what manner of life there would RAFFAELE LAUDANI Nova Totius Terrarum Orbis 327 be, where there were no common power to fear, by the manner of life which men that have formerly lived under a peaceful government use to degenerate into a civil war1. in early modern Europe regarding the incivility of Native Americans [Gerbi 1973; Kupperman 1995; 2000], Hobbes’ discourse is not implying any real superiority on the side of Europeans. Rather, America is, for Hobbes, the image of the present miserable and uncivil condition of all humanity. If Europeans really want to keep up with their alleged superior civilization, they must act rationally and submit themselves to the existing political powers (i.e., territorial states), as if they were the This is true for the inland bellum omnium contra omnes, but also for all In such condition there is no place for industry, because the fruit thereof is uncertain: and consequently no culture of the earth; no navigation, nor use of the commodities that may be imported by sea; no commodious building; no instruments of moving and removing such things as require much force; no knowledge of the face of the earth; no account of time; no arts; no letters; no society; and which is worst of all, continual fear, and danger of violent death; and the life of man, solitary, poor, nasty, brutish, and short2. Although the «importation of that which may be had abroad, either by Exchange, or by just Warre, or by Labour» is for him an essential part of the «Nutrition and Procreation of a Common-wealth»3, the «immoderate greatnesse» of some of «the great number of Corporations» that operate in the colonial trade – their growing independence and power - 1 2 3 328 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World mes in the entrayles of a natural man»4. Only the «art» of law and stafrom other «criminal» maritime activities, such as piracy, mutiny, and all other forms of resistance to and within colonial settlements. What makes them legitimate is, in other words, their «incorporation» within the state (the model being, of course, the system of royal charters). State sovereignty is then the condition of possibility of maritime capitalist development and, more generally, the only way to create order in a world that has become Atlantic (intended here as the spatial epitome of the wider commercial and colonial routes of rising global capitalism). In spatial terms, we know from the frontispiece of Leviathan that soverei- and makes possible the existence of one people and its peaceful cohabitation [Bredekamp 1999; Bertozzi 2007]. Although based on the model of the European system of international relations, this logic operates on a planetary scale, making the whole world a space entirely populated by sovereign states. contractualism. In fact, he distinguishes between «sovereignty by institution» (created by agreement) and «sovereignty by acquisition» (created by the imposition of force, through conquest). However, according to are based on «voluntary servitude», since it is not victory that gives the right to the conqueror over the conquered, but the «pact» following the conquest with which the conquered consigns and submits to the conqueror, acknowledging the power of the conqueror and authorizing all his actions to keep his life in return. 4 RAFFAELE LAUDANI Nova Totius Terrarum Orbis 329 And in case the master [the sovereign by acquisition], if he [the colonized] refuse, kill him, or cast him into bonds, or otherwise punish him for his disobedience, he is himself the author of the same, and cannot accuse him of injury5. After the pact, the multiplicity of (public and private) actors and centers of power that freely live and circulate in the new global political space – e.g., companies, colonies, and charters – are phagocytized by the State, reabsorbed within its terracentric logics as external projections of its sovereignty. They continue to exist, but they are no longer a source of instability for order. They are now what Hobbes calls «subject systems», «parts» of the Commonwealth, «body politics» subordinated to the State: «The variety of bodies», Hobbes explains in chapter XXII of Leviathan, diversity; but also by the times, places, and numbers, subject to many limitations»6. One typical example of these numerous subject systems is «the government of a province», where the word «province» means for Hobbes «a charge or care of business, which he whose it is committeth to another man to be administered for and under him; and therefore when in one commonwealth there be diverse countries that have their laws distinct one from another, or are far distant in place, the administration of the government being committed to diverse persons, those countries where the sovereign is not resident, but governs by commission, are called provinces»7 Hobbes as «numbers of men sent out from the Common-wealth, under a Conductor, or Governour, to inhabit a Forraign Country, either formerly voyd of Inhabitants, or made voyd then, by warre», whose rights 5 6 7 330 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World and authority «dependeth wholly on their License, or Letters, by which their Sovereign authorized them to Plant»; or also as «Procreation, or Children of a Commonwealth»8, because they operate as a subordinate function of (state) sovereignty. Under the shadow of Leviathan, the Atlantic political space is governed by one single political logic, the (European) logic of state sovereignty. In cartographic terms, it is as if, in the very moment they are created, the borders of European sovereign states, and their capacity to neutralize the intrinsically political and plural materiality of society, extend themselves outside their territorial limits through the functioning of sovereign extraterritorial articulations (both private and public). As a consequence, Sea returns to political irrelevancy, a mere geographical locke If Hobbes’ strategy to reterritorialize politics is unitary (meaning the political actors), Locke’s seems to be dual. Contractualism is supplemen- chapter of the Second Treatise dedicated to conquest and colonial power – a chapter as important in the economy of the book as the most famous and celebrated chapter V, on property. Here, the general abstraction of the argument for the foundation of civil government is, from the beginning, suspended by the irruption of history and its concreteness: Though governments can originally have no other rise than that before mentioned, nor polities be founded on any thing but the consent of the 8 RAFFAELE LAUDANI Nova Totius Terrarum Orbis 331 with, that in the noise of war, which makes so great a part of the history of mankind, this consent is little taken notice of: and therefore many have mistaken the force of arms for the consent of the people, and reckon conquest as one of the originals of government9. We are suddenly informed here that the long and detailed analysis of the foundation of civil government, its internal articulation, and its liberal they are simply a fantasy, a wishful desire that has never taken place in the history of humanity, which is governed, on the contrary, by force and usurpation. State sovereignty and government by consent become an ought to be: But conquest is as far from setting up any government, as demolishing an house is from building a new one in the place. Indeed, it often makes way for a new frame of a common-wealth, by destroying the former; but, without the consent of the people, can never erect a new one10. ought to be to create a functioning state sovereignty, is precisely the dismantlement of Hobbes’ vereignty by institution and sovereignty by acquisition – we could say between state and colonial sovereignty. According to Locke, Hobbes’ argument is inconsistent: even if one admits that the conquered consensually submit to the conqueror, one would still have to consider «whether promises extorted by force, without right, can be thought of as consent, and how far they bind» since «the law of nature […] cannot oblige me by the violation of her rules: such is the extorting any thing from me by force». His answer is obviously negative: «the government of a conqueror, imposed by force on the subdued, against whom he had 9 10 332 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World no right of war […] has no obligation upon them»11. In the colonial context, where power is the result of a conquest, there is then no voluntary giving up of man’s natural rights. In fact, «whatsoever another gets from me by force, I still retain the right of, and he is obliged presently to restore»12. Sovereign power depends then exclusively on the conqueror’s ability to force, «with a sword at their breasts», the conquered «to stoop to his conditions, and submit to such a government as he pleases god shall give those under their subjection courage and opportunity» to 13 . However, Locke makes clear that this recognition of the precariousness of sovereignty in colonial contexts is «the best fence against rebellion, and the most probable means to hinder it» in state contexts14: historical evidence, he explains, demonstrates that «the people generally ill treated and contrary to right» that «are made miserable», are ready «upon any occasion to ease themselves of a burden that sits heavy upon them», since «the will of man [is] inwardly obstinate, rebellious, and averse from all obedience»15. To make (European) men obedient and thus renounce their natural inclination to disobedience, it is therefore necessary that (European) political power is considered a space with guaranteed exceptional conditions of security and protection, as in the case of the newborn government by consent emerged in England at the end of the civil wars. of sovereignty needs the diversity of the new world as a place where all the vices of the old world – or, more precisely, all the vices that the old 11 12 13 14 15 RAFFAELE LAUDANI Nova Totius Terrarum Orbis 333 humanity has discovered with the «discovery» of the new world – can be externalized and localized. Mirrored in the colonial world, Europe (the European system of sovereign states) can become the political space of an exception in human history that, because of its exceptional capacity to secure and protect man’s vital needs, can require exceptional conditions of obedience: voluntary servitude (what is needed to stabilize politics). This does not mean that colonial power is illegitimate per se. On the contrary, the legitimate (European) aspiration to acquire and defend property – to be intended in the double meaning of land and human beings – in the naturally and immanently turbulent territories of the new world makes in some ways necessary the overt and «despotic» exercise of power. However, the exercise of this particular form of sovereign ce of the colonial world. logics: the rational and consensual one of state power, and the unrestrained and coercive one of colonial power, both legitimate in their from considering as asymmetrical the relationship between the two political spaces that compose the (north) Atlantic world. As he explains in chapter V of the Second Treatise, «in the beginning all the world was America»16, a colony, an undisciplined space characterized by domination and attempts to withdraw from it. With the emergence of the rule of law, the modern civilized European man is succeeding in escaping this destiny and changing «so great a part of the history of mankind». Europe in the moral position of dominating the world: There cannot be a clearer demonstration of anything than several nations of the Americans are of this, who are rich in land and poor in all 16 334 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World the comforts of life; whim nature, having furnished as liberally as any other people with the materials of plenty, i.e., a fruitful soil, apt to produce in abundance what might serve for food, raiment, and delight; yet, for want of improving it by labour, have not one hundredth part of the conveniences we enjoy, and a king of a large and fruitful territory there feeds, lodges, and is clad worse than a day labourer in England17. However, the primacy of the European state needs and presupposes its continuing mirroring in the colonial world. It does not really exist without this other political space. Sources Hobbes T. 1651, Leviathan, capp. XIII, XX, XXII, available online at: http://oregonstate.edu/instruct/phl302/texts/hobbes/leviathan-contents.html Hobbes T. (1651) 1839-45, The English Works of Thomas Hobbes of Malmesbury (coll. and ed. by W. Molesworth), London: Bohn. Locke J. 1689, Second Treatise of Government, capp. V e XVI, available online at: http:// oll.libertyfund.org/titles/222 reference list Aravamudan S. 2009, Hobbes and America, in D. Carey, L. Festa (eds.) 2009, The Postcolonial Enlightenment: Eighteenth-century Colonialism and Postcolonial Theory, Oxford: Oxford University Press, 37-70. Bertozzi M. 2007, Thomas Hobbes. L’enigma del Leviatano (1983). Un’analisi della storia delle immagini del Leviathan, «Storicamente», 3, no. 12. DOI:10.1473/stor399. 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Bolívar’s Discurso de Angostura and the constitution of the people Paola ruDan Univ. di Bologna, Dipartimento di Storia Culture Civiltà This introduction provides a close reading of Simón Bolívar’s Discurso de Angostura (1819) as an attempt to understand the relationship between revolution and constitution within the frame of the civil war which inflamed Venezuela after the declaration of independence. While constitution is usually conceived by modern political thought as the act which puts an end to revolution by formalizing the constituent will of the people, in South America it emerges as a device to realize the preconditions of the revolution itself. Questa introduzione offre una lettura del Discurso de Angostura (1819) di Simón Bolívar come un tentativo di comprendere il rapporto tra rivoluzione e costituzione nella cornice della guerra civile esplosa in Venezuela subito dopo la dichiarazione d’Indipendenza. Mentre il pensiero politico moderno concepisce la costituzione come l’atto che pone fine alla rivoluzione formalizzando la volontà costituente del popolo, in America Latina essa emerge come strumento per realizzare le precondizioni della costituzione stessa. Together with the Carta de Jamaica (1815), Simón Bolívar’s Discurso de Angostura contains the most exhaustive exposition of his political and constitutional thought. The Discurso was presented by the Libertador at the opening of the 1819 General Congress of Venezuela, the institution charged with the task of providing a new constitution for the Republic. enacted due to the bloody civil war which exploded after independence was declared. In order to face this exceptional situation, in 1813 Bolívar 338 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World gostura, was that of renouncing to the Congress the supreme power he had been consigned with until then [Masur 1987]. Bolívar’s explanation concerning the past and the future of the South American Republic he lead, and his Proyecto de Constitución: No ha sido le época de la República, que he presidido, una mera tempestad política, ni una guerra sangrienta, ni una anarquía popular: ha sido, sí, el desarrollo de todos los elementos desorganizarores: ha sido si la inundación de un torrente infernal que ha sumergido la tierra de Venezuela. In Angostura, Bolívar had to understand the «infernal» overlapping between the war against Spain and the civil war in order to govern and to neutralize its causes. With this aim in view, he moved «por la senda del Occidente», rearticulating the western tradition of political and constitutional thought within the particular South American context [Castro Leiva 1984; Rudan 2007]. To stress this legacy, however, does not lead us to either point out an uninterrupted continuity between the 18th-century revolutions and the South American one, or to conceive of a neat progression from the feudal imperial society and the absolute State towards the revolutionary establishment of constitutionally orgaexperience allows a questioning of the relationship between revolution and constitution: while the latter is usually conceived as the result of the former, as the act which puts an end to revolution by formalizing the constituent will of the people, in South America it emerges as a device to realize the preconditions of the revolution itself. The constitution, in other words, is not the product of the constituent will of the people, since it should produce the people who is supposed to will the constitution. In summarizing the ends of the declaration of Independence, in Angostura Bolívar clearly adopted the language of the 18th-century revolu- PAOLA RUDAN Bolívar’s “Discurso de Angostura” and the constitution of the people 339 tions: Amando lo mas útil, animada de lo mas justo, y aspirando á lo mas perfecto al separarse Venezuela de la Nación Española, ha recobrado su Independencia, su Libertad, su Igualdad, su Soberanía Nacional. Constituyéndose en una República Democrática, proscribió la Monarquía, las distinciones, la nobleza, los fueros, los privilegios: declaró los derechos del hombre, la Libertad de obrar, de pensar, de hablar y de escribir. […] El primer Congreso de Venezuela ha estampado en los anales de nuestra lejislatura con carácteres indelebles, la Majestad del Pueblo dignamente espresada al sellar el acto social mas capaz de formar la dicha de una Nación. In Bolívar’s words, independence coincides with the subversion of the whole institutional and legal structure of the ancient régime, the abrogation of feudal privileges and of the monarchical form of government and the assumption of the rights of man and of national sovereignty as the foundation of the new republic. However, in Venezuela the rights of man did not have the unifying power of self-evident truths as was the case in North America, while the civil war actually denied the very exi- revolutionary discourse by stressing the presence of the imperial past even within the independent States: nuestra suerte ha sido siempre puramente pasiva, nuestra existencia para alcanzar la LIbertad, quanto que estábamos colocados en un grado inferior al de la servidumbre. […] La España […] realmente había privado [la America] del goce y exercicio de la tiranía activa; no permitiéndonos sus funciones en nuestros asuntos domésticos y administración interior. Esta abnegación nos había puesto en la imposibilidad de conoscer el curso de los negocios públicos: tampoco gozábamos de la consideración personal que inspira el brillo del poder á los ojos de la multitud, y que es de tanta importancia en las grandes Revoluciones. […] Uncido el Pueblo americano al tripe yugo de la ignorancia, de la tiranía y del vicio, no hemos podido adquirir ni saber, ni poder, ni virtud. 340 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World With these words, Bolívar developed the explanation of the internal Carta de Jamaica where – besides the condition of ignorance concerning «la ciencia del gobierno y administracion del Estado» – he also pointed out the economic subordination of the South-American people: they «no ocupan otro lugar en la sociedad que el de siervos proprios para el trabajo y cuando mas el de simple consumidores» while even this status was surrounded with «restricciones chocantes: tales son las prohibiciones del cultivo de frutos de Europa, el estanco de las producciones que el rey monopolize, el impedimento de las fábricas que la misma Península no posee»1. The Libertador was denouncing not only the whole history of by the Bourbon reformers since the middle of the 18th century. The centralization of political power had been necessary in order to enact the system of the «comercio libre y protegido»2 [Fisher 1996; Schwartz 1983] whose aim was that of granting the economic modernization of the metropolis while avoiding the social transformation that it would have determined. Through a system of monopolies inspired by the British Navigation Acts, the imperial government claimed to provide «la protección de los fabricantes naturales y extranjeros, y su premio […] guardándose mis providencias para que no perjudique á la nobleza», as the ‘Prime minister’, Conde de Floridablanca, declared in his Instrucción Reservada3 [Rudan 2009]. The new economic course of the Empire was then to be enforced through an administrative reorganization of the Imperial government [Barbier 1977; Kuethe and Blaisdell 1991] and by a «recolonization of Indias», that is the «hispanization» of the himetropolis in order to strengthen its control over the colonies [Garriga 1 2 3 PAOLA RUDAN Bolívar’s “Discurso de Angostura” and the constitution of the people 341 2002, 781-821]. In denouncing imperial politics, Bolívar was interested legislators towards their true task, i.e. that of ‘constituting the citizen’: Un pueblo pervertido si alcanza su libertad, muy pronto vuelve a perderla; porque en vano se esforzarán en mostrarle que la felicidad consiste en la práctica de la virtud; que el imperio de las leyes es más poderoso que nas de las leyes; que el ejercicio de la justicia es el ejercicio de la libertad. Así, legisladores, vuestra empresa es tanto más ímproba cuanto que tenéis que constituir a hombres pervertidos por las ilusiones del error, y por incentivos nocivos. La libertad dice Rousseau, es un alimento suculento, pero de difícil digestión. Nuestros débiles conciudadanos tendrán que enrobustecer su espíritu mucho antes que logren digerir el saludable nutritivo de la libertad. The link established by Bolívar between liberty and morality along the path of Rousseau’s thought is crucial here [Scocozza 1978; Herren 1994]. According to the Author of the Social Contract, «To renounce our freedom is to renounce our character as men […]. It is incompatible with the nature of man; to remove the will’s freedom is to remove all morality from our action»4. Thus, Rousseau established a conception of self-determination as something possible only insofar as the law is internalized by the citizens, and this self-determination would be impossible in a condition characterized by personal dependency and domination. A free obligation can be realized only through the coincidence between the particular wills of the individuals and the general will of the people, and every individual who wants the general will is obeying only to himself. However, Rousseau maintains a distinction between the will of all, that is the sum of individual wills, and the general will willed by the people as a unitary subject, since not every man is able to recognize his real good. In order to be moral, man should silence his passions and transcend its 4 342 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World immanent nature [Riley 1982, 99-100]. Once it is displaced from its ideal dimension and applied to the contradictory reality of Bolívar’s present time, Rousseau’s discourse is particularly useful for highlighting the Libertador’s understanding of liberty. As he wrote in a letter to General Francisco de Paula Santander in 1821, Bolívar believed that el pueblo está en el ejército, porque realmente está, y porque ha conquistado este pueblo de mano de los tiranos; porque además es el pueblo que quiere, el pueblo que obra y el pueblo que puede; todo lo demás es gente que vegeta con más o menos malignidad, o con más o menos patriotismo, pero todos sin ningún derecho a ser otra cosa que ciudadanos necesario desenvolverla para que no nos vuelvan a perder esos señores5. Paradoxically, while he denies the practicability of Rousseau’s discourse, for liberty are willing to be free. So, in 1816 he accordingly freed those habrá, pues, más esclavos en Venezuela que los que quieran serlo»6. The liberation of slaves, therefore, is not only necessary in order to empower the army, but also as a symbolic turn which demonstrates to every individual that the possibility of freeing himself exists. This means that the practicing their republican virtue. Citizenship, therefore, is not regarded as something which depends on being born on Republican soil, but on the choice of liberty. This same logic explains the aim of Bolívar’s constitutional project for Venezuela. There he moved from the problem of the civil war and the lack of political unity that was completely 5 6 PAOLA RUDAN Bolívar’s “Discurso de Angostura” and the constitution of the people 343 underestimated by the authors of the 1811 republican constitution. In fact, they had established a federal form of government based on the assumption that «las bendiciones de que goza son debidas exclusivamente a la forma de gobierno y no al carácter y costumbres de los ciudadanos». In proposing a centralized government, on the contrary, Bolívar believed that «nuestra Constitución Moral no tenía todavía la consistencia necetativo, y tan sublime cuanto que podía ser adaptado a una República de Santos». The constitution, the formal organization of the State, should the circumstances, times and men which constitute it. This constitutional principle is clearly derived from Montesquieu, although it produces another paradox at the crossroad between theory and practice, as in fact virtue is conceived by Montesquieu as the principle of the Republican government. How is it possible, then, to establish a republican government in a context where civil war is the symptom of an almost complete lack of virtue in the people? An answer could be found just in Montesquieu’s doctrine, insofar as he did not conceive virtue as a given condition. Rather, virtue is the result of human nature as acting within particular circumstances, which necessarily determine the life and action of a particular form of government. From this point of view, nature is both the result and the condition of the relationship among things Spirit of the laws. This dynamic conception of nature, however, becomes secondary in Montesquieu’s climates theory, since it «renaturalizes» nature and is, therefore, inconsistent with the modern ar7 [Postigliola 1992, 77]. Bolívar’s perspective is therefore much more similar to that of Helvétius, who was critical of Montesquieu’s approach. According to Helvétius, the relationship between the form and the content of government is inverted: 7 344 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World . This conception helps to explain why, according to Bolívar, the condition of the American peolitical order. The American people have lost even their desire to be free since they have been subjected to the Spanish despotism. Accordingly, a change in the form of government will allow to change the people which is no longer conceived as the subject of the revolutionary process, but rather as the forthcoming result of a constitutional revolution. When Bolívar wears the gown of the legislator, therefore, he is not the exceptional man who is able to know the general will of the people, as conceived by Rousseau, but the one who must grant the coincidence between private and public interest by acting upon human passions. The constitution, then, is not the result of the revolutionary process, nor 8 Rather, the constitution is a disciplinary device which should realize the revolution by creating its condition of possibility in future times. In this perspective, human passions are not anymore a source of corruption, but a tool to govern the individuals: the creation of the Orden de los Libertadores, the distribution of rewards and honors for the most virtuous soldiers, the public ceremonies organized to celebrate their virtue and to inspire citizens to emulate their virtuous behavior are only one of the many examples that can be taken from Bolívar’s experiment. However, the most striking aspect of his project of constituting the citizen is his Poder moral, included in the constitution he drafted for Venezuela in 1819, and his Camara de Censores, proposed to the constitutional Congress of Bolivia in 1826 [Battista 1987]. Through these foundations, the principle of the republican order, virtue, is institutionalized and the individual is subjected to laws prescribing the behavior that is required by the Republican order as a whole. Virtue is embodied by some peculiar characters – the father, the soldier, the worker, the enlightened man – 8 PAOLA RUDAN Bolívar’s “Discurso de Angostura” and the constitution of the people 345 of its constitutional organization. This process of building the republican individual explains Bolívar’s conception of citizenship. In Angostura, he stated that ses en un estado, en que la diversidad se multiplicaba en razón de la propagación de la especie. Por este solo paso se ha arrancado de raíz la cruel discordia. The acknowledgement of individual rights is not only a revolutionary discourse, but also a means to break the bonds of the colonial legacy. Against the social structure of the ancient régime left untouched or used by the Bourbon reformers to strengthen their domination on the colonies, Bolívar’s objective is that of turning the constitution, based on equality, into an instrument of individualization the aim of which is to thus reducing them to something which is politically irrelevant. For the same reason, in his 1819 and 1826 constitutional drafts he does not establish proprietary limits for the entitlement of political rights. Rather, cuidadano. Citizenship, therefore, is conceived as a disciplinary device which aims at determining the «nature» of the individual according to the imperative established by the republican order. If Spanish absolutism reduced the Americans to passive citizens, so the Republic will turn them into active citizens, at least Thus, Bolívar followed the path laid out by Jeremy Bentham, which 9 . Both believed that the constitution of a state should realize a system of government «que produce mayor suma de felicidad posible, mayor suma de seguridad social y mayor suma de estabilidad política». Yet, while for 9 346 Storicamente 10 - 2014 Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World Bentham the constitution was to improve and organize, manage and «maximize» social forces and dynamics already existing, and to protect them from contradictions that may emerge from within society itself, like indigence [Rudan 2013], for Bolívar the constitution has to ma«un cuerpo político y aun se podría decir [...] un sociedad entera». The constitution as a code, as the formal legal organization of the State, depends entirely upon the disciplined and disciplining process of constituting the individuals. Thus, looking at the recollection of his experience provided by Bolívar in the Discurso de Angostura to conceive of the constitution as «the end» of the revolution, to recall Napoleon’s famous words10 [Schnur 1983, 97; Ricciardi 2001, 90]. The constitution is not the expression of the constituent will of a unitary subject founding the new, independent, sovereign State [Schmitt 1928; Galli 2010, 589]. Rather, the ‘people’ which was assumed as the subject of the revolution and the citizens who were called to take the place of the subjects of the former imperial order were to be created through a process of institutionalization and constitutionalization which is one of the most important features of the Bolivarian experience. Read the full text of the Discurso de Angostura (PDF version) Sources Bolívar S. 1815 [1950], Carta de Jamaica, in Lecuna V. (ed.), Obras completas, 3 voll., Caracas: Ministerio de Educación Nacional. 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L’impiego di tecniche eterodosse da parte dei movimenti di guerriglia provoca il disorientamento degli eserciti professionali, inducendoli alla ricerca di soluzioni in grado di stabilizzare la situazione. Più che dimostrare le origini di ciascuna dottrina, il saggio analizza la loro derivazione da un complesso circuito di sistematizzazione teorica, risultante da una tensione continua tra elaborazione locale e circolazione globale. La presenza di elementi comuni in diversi contesti nazionali, malgrado l’assenza di una comprovata volontà di collaborazione ufficiale tra paesi, mostra la capacità di circolazione delle idee attraverso canali diversi da quelli istituzionali. L’obiettivo di questo studio è di analizzare le dinamiche di tale circolazione nell’ambito della contro-rivoluzione e di considerare il ruolo delle reti sociali nei processi di comunicazione. This essay focuses on the circulation of ideas on ‘irregular warfare’ matters between France, the United States and Chile, after World War II. The international environment of the Cold War is characterized by the emergence of irregular warfare as the paradigm of modern conflicts. The employment of heterodox techniques of guerrilla provokes the disorientation of professional armies, who start looking for measures to stabilize the situation. More than showing the origins of each doctrine, our aim is to discuss the fact that these doctrines are the product of a complex process of theoretical analysis resulting from a tension between local elaboration and global circulation. The fact that common elements can be found in different national contexts despite the inexistence of any formal collaboration between countries, demonstrates that ideas can circulate through non-institutional channels. In the light of this, the objective of this study is to evaluate the dynamics of such circulation in the field of counterrevolution, and to look at the networks underlying this process of communication. 352 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia introduzione librio internazionale basato sul principio del bipolarismo e dettato dai ritmi dello scontro a distanza tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Sulle ceneri di un’Europa devastata dalla guerra, i popoli di quello che allora tà di autodeterminazione contro vecchi e nuovi imperi. Accecati dal “Sol dell’avvenire”, i cui raggi sembravano minacciosamente superare la “Cortina di ferro”, i dominatori di un tempo confondono quelle che sono espressioni di una volontà di liberazione nazionale con manovre 1 s’impongono come paraeserciti regolari e forze ribelli. Disorientati dalle tecniche elaborate dai guerriglieri, gli eserciti professionali si mettono alla ricerca di soluzioni in grado di stabilizzare la situazione. Oggetto di questo studio sono per l’appunto le dottrine di guerra irregolare o, come veniva chiamata allora: “guerra contro-rivoluzionaria”2. zioni preliminari. La nostra ricerca parte dal presupposto che ciascuna delle diverse dottrine analizzate non nasca in un ambiente asettico, ma all’interno dell’ambiente militare internazionale. All’interno di questo 1 sulla popolazione(i) interessata(e). La guerra irregolare predilige un approccio indiretto e asimmetrico, anche se può utilizzare l’intera gamma delle risorse militari e non, al Department of Defense Dictionary of Military and Associated Terms, Washington DC, 8 Nov. 2010. Department of Defense Dictionary of Military and Associated Terms, Washington DC, 8 Nov. 2010. 2 MIRKO GIANCOLA Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico 353 centri spazio-temporali in cui il processo di elaborazione teorica si accentua a causa delle necessità contingenti: è il caso del Sud-est asiatico anni successivi. Il nostro studio sarà dunque dedicato alla circolazione delle idee in materia di guerra irregolare tra Francia, Stati Uniti e Cile Si tratta naturalmente di un caso esemplare che non accampa in alcun modo pretese di completezza ma che speriamo possa fornire un utile spunto di ricerca in questo settore di studi. D’altra parte, la scelta del soggetto è stata condizionata anche da una serie di fattori legati ad eventi odierni, che hanno riportato al centro dell’attenzione i temi qui proposti. Da una parte, le dichiarazioni rilasciate dall’ex membro dei servizi segreti francesi Paul Aussaressess3 sull’utilizzo della tortura da parte dell’esercito francese hanno scosso l’opinione pubblica d’oltralpe, riaprendo la ferita mai rimarginata della Guerra d’Algeria. Dall’altra, l’ual terrorismo” alla “primavera araba”, rendono estremamente concrete e militari cileni, si tratta di un terreno in gran parte inesplorato in cui lo sguardo degli studiosi, nella migliore delle ipotesi, non supera la prospettiva continentale. All’interno del saggio, un’attenzione particolare è riservata agli attori di questo processo di circolazione del sapere. Si tratta di gruppi relativamente ristretti di esperti, ma caratterizzati da una forte mobilità gemostrare in questa sede non è tanto la paternità o le origini di ciascuna dottrina, quanto il loro derivare da un complesso circuito di sistema- 3 L’accablante confession du général Aussaresses sur la torture en Algérie, «Le Monde», 3 Mai 2001. 354 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia tizzazione teorica, risultante da una tensione continua tra elaborazione locale e circolazione globale. La presenza di elementi comuni in diversi contesti nazionali malgrado l’assenza di una comprovata volontà di delle idee attraverso canali diversi da quelli istituzionali. Concentrare l’attenzione sugli agenti di tale scambio di idee richiede tuttavia degli proccio relazionale” sfruttando idee e suggestioni della “social network analysis”4. Si tratta di una metodologia elaborata in ambito sociologico, che tuttavia crediamo si riveli estremamente utile all’interno di studi sto“tradizionali” scoraggia la ricerca. Ancora una volta le risorse a nostra disposizione hanno impedito la realizzazione di una ricerca completa ed esaustiva in questo senso; abbiamo ritenuto tuttavia utile mostrare qui presentata. Dal Vietnam all’algeria: l’impero di fronte alla decolonizzazione della Terza Repubblica e del regime di Vichy inizia la costruzione della Quarta Repubblica, nel segno di una forte instabilità accentuata dalla problema fondamentale è quello di determinare il ruolo delle Forze Armate all’interno del nuovo scenario politico del Paese; tema di non facile social network analysis (analisi delle reti sociali) è una metodologia sociologica fondata sulla teoria delle reti, la quale concepisce le relazioni sociali in termini di «nodi» e «legami». I nodi corrispondono solitamente agli attori sociali all’interno delle reti, ma possono anche rappresentare delle istituzioni e i legami sono le relazioni che intercorrono tra di essi. MIRKO GIANCOLA Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico 355 soluzione, considerando la scarsezza dei fondi a disposizione e il risentimento nutrito verso le Forze Armate da larghi settori della società civile, che gli attribuiscono la responsabilità dei traumi subiti durante l’ultimo bra aprire nuove prospettive agli uomini d’arme francesi [Doise-Vaisse 1992]. In un’atmosfera politica e culturale di patriottismo esacerbato una causa “patriottica” piuttosto che come il relitto di un passato in decadenza. Imbevuti della retorica della “missione civilizzatrice” [Ranalet- mento proveniente dall’esterno [Ruscio 1995]. nisce per delegare alle Forze Armate il compito di raggiungere i suoi principali obiettivi: sicurezza e integrità territoriale, re-indirizzamento economico e ristabilimento del prestigio internazionale. Nel corso degli della politica governativa, a veri e propri “decisori” nella gestione dei territori occupati. La tendenza verso una maggiore autonomizzazione e politicizzazione delle Forze Armate trova un incentivo nelle rivolte crescenti presso le colonie; di fronte a tale situazione, i vari governi si mostreranno piuttosto permissivi nei confronti d’iniziative personali e for- l’esigenza di un rinnovamento del sistema di difesa e di addestramencambiate dopo il 1939, tanto nell’aspetto strategico-materiale quanto in quello concernente la dimensione dottrinaria. Da tale esigenza prende avvio il processo di elaborazione teorica che porterà alla nascita della Doctrine de la Guerre Révolutionnaire (DGR). La Guerra d’Indocina rappresenta un punto di svolta in questo senso. 356 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia La guerra vera e propria scoppia nel Dicembre del 1946, quando in seguito al bombardamento del porto di Haiphong da parte della Marina Francese, i Viêt Minh sferrano un attacco volto a riprendere il controllo della città di Hanoi, da cui era stata proclamata l’indipendenza l’anno precedente e che nel frattempo era stata recuperata dall’Esercito francese. lare vietnamita, creato dai Viêt Minh, il quale riesce progressivamente a imporre una guerra di guerriglia, sfavorevole all’esercito francese. A delle dinamiche della Guerra Fredda. In seguito alla guerra di Corea, l’attenzione del fronte anticomunista si dirige verso l’estremo oriente. La Francia cerca di far passare agli occhi dei suoi alleati quella che è di fatto una guerra coloniale, per una lotta contro il comunismo globale, in difesa dell’Occidente. In tal modo inizia il coinvolgimento statunitense nelle questioni vietnamite. di quanto possano apparire a un primo sguardo. Se Inghilterra e Francia mirano a ristabilire il loro controllo nella regione, perduto durante la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti mettono in opera una politica più fumosa, cambiando spesso alleanze e campo di battaglia. L’atteggiamento statunitense irrita il comando francese, preoccupato di «evitare 2008]. Benché nell’ambito di una collaborazione di fondo con l’alleato statunitense, l’Armée cerca dunque di formare in maniera autonoma un proprio sistema di contro-guerriglia, che vedrà la luce col nome di Groupement de Commandos Mixtes Aéroportés (GCMA). Come spiegato dal colonnello Trinquier, la missione del GCMA «era ricalcata su quella del Service Action durante la guerra ’39-’45, in altre parole: creazione di maquis5 5 destini. - MIRKO GIANCOLA Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico 357 sione» [Trinquier 1976]. In ogni caso, nonostante la superiorità tecnica e strategica, l’esercidi Diên Biên Phu rappresenta un vero e proprio trauma per i militari [Ruscio-Tignères 2005]. Incapaci di comprendere gli eventi, i militari francesi cominciano a leggerli in maniera distorta, reinterpretando la ria. Piuttosto che nella volontà di liberazione dei popoli colonizzati o nei mutamenti della politica internazionale – che rendevano assolutamente anacronistica la continuità degli imperi coloniali – i militari cercano le canza di sostegno da parte della popolazione francese e, soprattutto, in un presunto ritardo dell’esercito nell’adeguarsi alle tecniche di combat- lanciano nello studio delle opere di Mao e Ho Chi Minh, persuadendosi di aver fatto una scoperta sensazionale: la Guerre Révolutionnaire6. Secondo i teorici della DGR, la Francia sarebbe coinvolta in una nuova nenti» e «Totali»7. Tale guerra si combatte infatti su tutto lo spazio del è nemmeno nel tempo e ciò in ragione del fatto che l’aggressione psicologica, che ne costituisce l’elemento predominante, non distingue tra 6 2522/1: Conférences et exposés, La guerre révolutionnaire, Conferenza tenuta a Lione da un veterano della guerra d’Indocina, sept. 1958. Instruction provisoire sur l’emploi de l’arme psychologique, approvato dal generale Ely, Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate, 29 Luglio 1957. 7 358 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia tempo di pace e tempo di guerra. Totale è poi da intendersi nel senso di “totalità umana”, poiché la battaglia si estende ai cuori, agli spiriti, alla volontà degli uomini. Secondo una famosa massima di Mao, «la popolazione civile rappresenta, per gli eserciti, ciò che l’acqua rappresenta per i pesci» [Tse-Tung 1964]. Se la natura della nuova guerra appare relativamente semplice nelle sue caratteristiche principali, l’individuazione del nemico lo è in misura ancora più grande. Si tratta del Comunismo Internazionale, visto come una sorta di mostro marino che dal quartier generale di Mosca allungherebbe i suoi tentacoli sui popoli del Terzo Mondo. Troviamo qui, probabilmente, l’abbaglio più grande dei teorici della Doctrine de la Guerre Révolutionnaire, ossia la convinzione che quazazione, insurrezione nazionale, rivoluzione religiosa ecc. – la sua radice sia sempre la stessa: l’azione del Comunismo Internazionale guidato da Mosca, che sfrutta in maniera utilitaristica i popoli del Terzo Mondo per portare a termine il suo piano di conquista del mondo [Ruscio 1995]. Una volta compresa la natura intima della strategia comunista, si trattaDoctrine de la Guerre Révolutionnaire, elaborata in maniera simmetrica a quella che si riteneva fosse la strategia comunista. Lo studioso americano Peter Paret parla a questo proposito di «immagine dello specchio», sottolineando il divario esistente, all’interno del pensiero militare francese di quegli anni, tra una visione della rivoluzione assolutamente limitata e l’elaborazione di una teoria controrivoluzionaria estremamente precisa e dettagliata [Paret 1964]. La nuova dottrina s’impone a metà degli anni Cinquanta come il principale paradigma dottrinario all’interno dell’esercito francese. Ma se da una parte la Guerra d’Indocina rappresenta il momento del trauma e della presa di coscienza, cui seguono i primi tentativi di risposta da parte dell’esercito francese, è nella Guerra d’Algeria che possiamo osservare una completa realizzazione dei principi della DGR. Incapace di contenere la rivolta capeggiata dal Front de Libération National (FLN), MIRKO GIANCOLA Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico 359 il governo parigino delega progressivamente ai militari la condotta delle operazioni. La nomina del generale Salan a capo delle operazioni nel 1956 mobilita un largo contingente di veterani della Guerra d’Indocina, per lo più convinti sostenitori della DGR. È il generale Aillard, a capo dei militari di stanza ad Algeri, a fornirci una descrizione piuttosto eloquente del lavoro svolto dall’esercito francese nella capitale algerina, in occasione di una conferenza tenuta presso la sede parigina della NATO nel 1957. Una prima fase, denominata di «Distruzione» consiste innanzitutto nello smantellamento e nella soppressione delle reti politico-amministrative ribelli. Distruggere tali organizzazioni multi-tentacolari vuol dire restituire la libertà alle popolazioni controllate, liberarle dal condizionamento di tutte le forze legali poste sotto un comando unico: Forze Armate, polizia e servizio d intelligence. In secondo luogo occorre procedere all’annichilamento dei gruppi armati ribelli che hanno il compito precipuo di organizzare attentati e operazioni spettacolari contro le forze legali, al mostrare la propria forza demoralizzando le forze legali. La distruzione di tali bande, da condursi secondo un piano essenzialmente militare, ascomporta nel caso di terreni accidentati o all’interno di un centro urbano. A tali esigenze si potrà rispondere con un’adeguata organizzazione delle truppe, dividendosi in unità combinate appoggiate dall’aviazione Una volta assolti tali compiti si passerà alla fase di «Costruzione» ossia al sociale. Secondo il generale Aillard ciò richiede innanzitutto una ricostruzione di una rete di rapporti con la popolazione e di un rapporto di della popolazione, creazione di gerarchie all’interno della società, so- 360 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia mi educativi, lo stabilimento di un sistema di autodifesa e l’impiego di forze ausiliari autoctone, a combattere la battaglia contro la rivoluzione [Déon 1959]. All’interno di tale strategia, un ruolo centrale è rivestito dalla dimensioteorica della DGR. Benché il concetto di “Guerra psicologica” permeasse tutti i settori dell’esercito francese, ad essa era dedicata una divisioArmée, denominata 5° Bureau. Nella guerra d’Algeria, tale divisione svolge due compiti essenziali: ԥ Action psychologique, consistente nel mantenere uno stato di benessere ԥ Guerre psychologique versario, attraverso la sottrazione dei propri sostenitori e l’abbattimento del morale delle proprie truppe [Sourys 1959]. Naturalmente gli incarichi del 5° Bureau potevano coinvolgere diversi momenti e aspetti della guerra. I suoi membri parteciparono a diversi tipi di operazioni, dagli attacchi a punti chiave del FLN, al rastrellamendegli avversari catturati. Su quest’ultimo aspetto, considerato di centrale importanza in una guerra che si riteneva soprattutto ideologica, si cond’Algeria. Generalmente, si riteneva che la rieducazione di un prigioniero richiedesse un totale isolamento dal mondo esterno; per questo una volta catturati, i prigionieri algerini erano internati in appositi campi. Tali campi erano parte integrante del sistema giudiziario inaugurato durante la guerra stessa, all’interno della quale il normale apparato giudiziario pareva inadatto a fronteggiare le condizioni introdotte dalla Guerre Révolutionnaire. I campi in questione erano di due tipi: MIRKO GIANCOLA Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico 361 ԥ Centre de triage et de transite (CTT), utilizzato come punto di raccolta e smistamento dei prigionieri; ԥ Centre d’hébergement. Nei CTT vi era una prima divisione dei prigionieri, secondo il loro coinvolgimento nella lotta rivoluzionaria, sulla base della quale erano raggruppati in tre gruppi: Rossi, direttamente inviati a processo; Bianchi, liberati «nell’ambito delle possibilità»; Rosa, contro i quali non vi erano prove certe di coinvolgimento, ma che tuttavia rimanevano soggetti pericolosi. I membri di quest’ultima categoria erano inviati nei centres d’hébergement, dove si cercava di convertirli pienamente alla causa francese [Paret 1960]. Il sistema dei campi era supervisionato da un presubordinati provenivano generalmente dal 5° Bureau. Di centrale impor- rieducazione di un gruppo di prigionieri. Il primo passo nel processo di rieducazione consisteva nel “disintegrare l’individuo”; il prigioniero era isolato, le sue paure e i suoi sensi di colpa erano portati alla luce e manipolati dal monitor, il quale lo spingeva a rinnegare il proprio passato e a riconoscere i propri errori. Tale fase di lavage de crâne, era seguito da un periodo di bourrage de crâne, durante il quale si cercava di far assimilare ai prigionieri, il punto di vista delle Forze Armate sulla storia, la cronaca e po disciplinato di prigionieri convertiti alla causa francese, con i quali partecipava attivamente alla campagna contro il FLN. la ribellione algerina un focolaio rivoluzionario di matrice marxista – tocca il suo apice nel 1957 con la cosiddetta Battaglia di Algeri, dove si pone in atto un’opera di repressione sistematica della guerriglia che I successi militari ottenuti in Algeria oscurarono, almeno agli occhi dei militari, il fallimento politico della questione algerina. Persuasi di esse- 362 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia re ormai gli unici in grado di gestire la situazione contro un governo paese, con la formazione dell’organizzazione militare clandestina Organisation de l’Armée Secret (OAS), processo che culmina nel tentativo di putsch del 1961. La neonata Quinta Repubblica guidata dal generale De dell’indipendenza. In quegli stessi anni, all’applicazione pratica della nuova dottrina si acfa della DGR la protagonista assoluta della letteratura militare francese degli anni Cinquanta8. I veterani delle guerre d’Indocina e Algeria cominciano a mettere in ordine le loro esperienze, ricavandovi saggi spe[Trinquier 1961]. Tuttavia, l’egemonia della DGR, unitamente alla forte politicizzazione delle Forze Armate, costituisce un ostacolo sulla strada della riorganizzazione dello stato avviata dal presidente De Gaulle. Bisogna liberarsi dei propagandisti della DGR al più presto e ristabilire la a tale corrente da parte loro, si sentono irrimediabilmente traditi dalla madrepatria e sono ben disposti ad allontanarsene, almeno in maniera provvisoria. In questo senso, la richiesta di esperti di guerra non convenzionale rivolta dagli Stati Uniti al governo francese all’inizio degli anni Sessanta arriva nel momento più opportuno [Robin 2004]. gli Stati uniti: gli allievi si fanno maestri Prima di analizzare la collaborazione franco-statunitense in tema di guerra irregolare, riteniamo utile una breve digressione sulla politica 8 litaire générale». - MIRKO GIANCOLA Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico 363 quale si inserisce il contributo francese. Quando nel Gennaio del 1961 il neoeletto presidente John Fitzgerald Kennedy fece il suo ingresso alla Casa Bianca, il pericolo rappresentato dalle guerre irregolari era già considerato molto seriamente a Washington. Il processo di decolonizzazione che attraversa il mondo negli anni Cinquanta imprime una dinamica nuova al corso della Guerra Fredda. Particolari preoccupazioni suscitano nel Dicembre del 1957, secondo cui l’Unione Sovietica avrebbe ben presto superato gli Stati Uniti in termini di aiuto ai paesi in via di sviluppo. La risposta a tale minaccia viene trovata nell’impiego delle Forze Armate dei paesi in via di sviluppo, come corridoio principale di trasmissione di riforme socio-economiche e di sviluppo [McClintock 1992]. Nel 1959 viene dunque creata la Banca Interamericana di Sviluppo (IDB), mentre il Dipartimento di Stato sviluppa un programma di assistenza militare rivolto a favorire un’integrazione di sicurezza interna e sviluppo economico. È la nascita della National Security Doctrine (NSD) nella sua versione nord-americana, perno ideologico dell’amministrazione Kennedy. L’evolversi degli eventi sulla scena politica internazio9 che il suo governo si mostri particolarmente sensibile ai problemi legati Taylor, nominato suo consigliere, Kennedy e soprattutto il nuovo segretario della difesa Robert McNamara, arriverà a stabilire una priorità della strategia contro-rivoluzionaria su quella nucleare, considerata eccessivamente rischiosa [Freedman 1983]. Questa nuova attitudine porterà all’avvento di quella che Blaufarb chiama «era della contro-insurrezione» 9 come più tardi quando si troverà ad esprimersi sulla questione Algerina, il presidente americano aveva mostrato un atteggiamento fortemente anticoloniale. Ciò lo rendeva particolarmente sensibile a quella che si supponeva essere una strumentazione sovietica dei movimenti di liberazione nazionale. 364 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia [Blaufarb 1977]. di esuli cubani addestrati dalla CIA di conquistare la parte sud-ovest Castro – accresce le preoccupazioni del governo che cerca di correre ai ripari istituendo una commissione d’inchiesta sull’accaduto, presieduta da Maxwell Taylor. Dal comitato Taylor emerge, nel gennaio del 1962, lo Special Group (Counter-insurgency) [SG (CI)], incaricato di svolgere un’attività di sorveglianza sulle azioni insurrezionali, considerate al pari delle guerre convenzionali10. L’attività del gruppo si dirige inizialmente verso i soli territori del Laos e della Thailandia, rivolgendo più tardi la sua attenzione all’America Latina e al Medio Oriente. In marzo, un altro memorandum della difesa, una formazione in tema di contro-insurrezione11. Nell’ambito di un’accelerazione nella formazione alla guerra irregolare, la priorità assegnata allo sviluppo economico dei paesi in via di sviluppo è confermata dalla nomina di Walt Whitman Rostow – celebre economista che aveva preso parte al Piano Marshall – come consigliere aggiunto alla sicurezza nazionale. Altra tappa fondamentale in questo processo di “sostegno” dei governi amici è la creazione dell’Office of Public Safety (OPS) sotto la direzione dell’ex OSS Byron Engle12. Tale organismo svolgerà un ruolo essenziale in termini di formazione delle forze di polizia alleate, in particolar modo in Vietnam e America Latina, attraverso l’International Police Academy creata nel 1963. Dal punto di vista militare, aumentano notevolmente gli investimenti Establishment of the Special Group (Counter-Insurgency), Gen 1962. <http://www.jfklibrary.org/Asset-Viewer/qJbe3E_H7kmxvtbyzSb8pw.aspx> 10 Training Objectives for Counter Insurgency, Mar., 1962. <http://www.jfklibrary.org/Asset-Viewer/BivdC1v8-0GxxLDyWr7pxw.aspx> 11 Police Assistance Programs, Ago, 1962. <http://www.jfklibrary.org/Asset-Viewer/Jf1xwOvPMUKJZdt3_ITj1w.aspx> 12 MIRKO GIANCOLA Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico 365 sulle Special Forces13, sostenute con forza dal presidente Kennedy che si reca appositamente a Fort Bragg, ribattezzata per l’occasione Special Warfare Center (SWC). Fort Bragg si conferma dunque come tempio una serie di agenzie civili che apportano un bagaglio di conoscenze Sessanta lo Special Operations Research Office (SORO), che realizza numerosi studi teorici sulla contro-insurrezione per conto del centro di Johns Hopkins University diventa Reserch Analysis Corporation (RAC), che stipula un contratto con l’esercito e mobilita una serie di esperti civili della guerra non convenzionale, il cui ruolo sarà analizzato più avanCorporation, anch’essa impiegata nella ricerca teorica in materia contro-insurrezionale. L’amministrazione Kennedy taria all’interno delle Forze Armate statunitensi, un pilastro della difesa nazionale americana. Ne risulta un complesso contro-insurrezionale articolato in tre settori: politico (CIA e Special Group (CI)), militare (Fort Bragg) e universitario (SORO, RAC e RAND). I tre settori lavorano in simbiosi con l’obiettivo di recuperare il ritardo, denunciato da Kennedy e dai suoi collaboratori, in materia di guerra non convenzionale. È su hoc, che va ad installarsi l’apporto della cultura francese alle teorie di contro-insurrezione statunitensi. In realtà primi episodi di collaborazione militare tra Stati Uniti e Francia in materia di guerra irregolare risalgono ai primi anni Quaranta [Tenenbaum 2009]. Già nel corso dell’occupazione nazista della Francia, gruppi misti franco-britannico-americani chiamati Jedburghs si erano adoperati nell’organizzazione di operazioni di guerriglia in appoggio Development of Counter-guerrilla Forces. Feb 3, 1961. <http://www.jfklibrary.org/Asset-Viewer/B3leMaWRSkOnvMDbjd00Cw.aspx> 13 366 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia alla resistenza francese [Irwin 2008]. Tale collaborazione si rinnova e proprio in questa regione che secondo lo storico della guerra irregola- la dottrina di contro-insurrezione che ne deriva [McClintock 1992]. Questa prassi di collaborazione serve a intessere una rete di amicizie e conoscenze tra i soldati dei due eserciti, che si rivelerà fondamentale nel momento in cui si tratterà di sviluppare un’azione congiunta contro il nemico comune rappresentato dal Comunismo. Tuttavia, lo “scambio atlantico” in tema di guerra irregolare non si limita alla sola collaborazione militare su campi di battaglia comuni. Si tratta piuttosto di una dinamica complessa che si articola su di un piano politico, militare e culturale, in cui l’apparato civile riveste un’importanza pari se non superiore ai militari stessi. Sul terreno istituzionale, ad aprire la strada all’attività di collaborazione franco-americana sono una serie di accordi bilaterali, i quali prevedevano dei periodi di addestramento dei soldati di un paese negli istituti del dell’École Supérieure de Guerre proprio negli anni in cui questa si costituisce come il principale vettore di trasmissione della DGR [Péries 1999]. Uniti a metà degli anni Cinquanta, chiamati a svolgere delle conferenze sul tema della guerra irregolare, come fu il caso di Roger Trinquier e Charles Lacheroy. Tuttavia, è a partire dal 1952, con la creazione della Officiers de liaison instructeurs (OLI), che si stabilisce un vero e proprio canale di trasmissione sulla guerra irregolare tra la Francia e gli anni Cinquanta il generale de Bary – aggiunto militare presso l’ambasciata francese negli Stati Uniti – pensa di sfruttare a vantaggio del pro- MIRKO GIANCOLA Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico 367 prio paese le conoscenze accumulate dall’esercito francese in Indocina e Algeria, lanciando l’idea di una serie di seminari sulla guerra irregolare da tenere nei centri di addestramento militare statunitensi. Nel 1961 è Paul Aussaresses – ex Jedburgh, veterano d’Indocina e Algeria, dove lavorava per i corpi speciali francesi – a essere nominato OLI nel centro di Fort Benning e più tardi a Fort Bragg [Aussaresses-Deniau 2008]. Uniti proviene dal mondo accademico statunitense, dove ben presto nasce un forte interesse per la guerra non convenzionale, specie durante questo tipo di ricerche. Tra i diversi istituti che nei primi anni Sessanta sono impegnati nella realizzazione di analisi e ricerche sulla guerra irregolare, la RAND Corporation rappresenta sicuramente il caso più importante [Long 2006]. È presso questo istituto che lavorano alcuni tra i principali analisti statunitensi della DGR – spesso ex militari di origine francese – quali Constantin Melnik e David Galula. Tuttavia, il personaggio chiave in questo senso è senza dubbio Bernard Fall, unanimemente considerato come il principale esperto statunitense delle due guerre del Vietnam, il cui prestigio nel mondo accademico statunitense [Gosha-Vaisse 2003]. li statunitensi mostreranno negli anni successivi le loro doti di maestri. A partire dagli anni Sessanta un intenso programma di addestramento di militari stranieri sarà messo in atto da parte del governo americano, deciso a giocare d’anticipo sullo scacchiere degli equilibri internazionali. Le dottrine elaborate in questo periodo saranno quindi trasmesse ai militari dei paesi alleati che provvederanno a integrarle nei rispettivi ambienti nazionali. Tradizionalmente, la politica estera americana si era mossa in un’ottica di “integrità continentale”. Il Tratado Interamericano de Asistencia Reciproca successivi rivelano la strategia di “difesa emisferica” che gli Stati Uniti 368 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia questo periodo tuttavia, ritenuto ormai improbabile un attacco diretto dell’URSS sul continente americano, gli Stati Uniti concentrano i loro sforzi verso il mantenimento dell’ordine interno agli stati latinoamericani [Veneroni 1973]. Spaventati dal ripetersi dell’esperienza cubana, che territorio americano, gli USA avviano una politica di re-orientamento delle forze armate in funzione contenitiva delle tendenze progressiste presenti in America Latina. Si tratta di una politica ad ampio raggio conosciuta con il nome di Flexible Reponse [Taylor 1960], che va dalla promozione di politiche di sviluppo all’attività di propaganda anticomunista; dall’addestramento di militari latinoamericani sulle tecniche della guerra non convenzionale alla vendita di armamenti; dalle pressioni economiche per mezzo di organismi internazionali ad atti di sabotaggio e promozione di governi favorevoli agli interessi degli USA [Kornbluh 2003]. la : tra tradizione locale e Le responsabilità degli Stati Uniti nella vita politica dei paesi latinoamericani tra gli anni Sessanta e Settanta è innegabile e generalmente acnumerosi analisti a farne la causa esclusiva del fenomeno del militarismo in America Latina. In tal modo si sono spesso ignorati i fattori endogeni su tali contesti [Roquié 1982]. In tal senso il caso del regime militare cileno è illuminante. L’11 Settembre 1973 il governo progressista di Salvador Allende è rovesciato da un colpo di stato militare guidato dal generale Augusto Pinochet. L’intensa partecipazione degli Stati Uniti nell’organizzazione e nello sviluppo del golpe è largamente documentato MIRKO GIANCOLA Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico 369 e dimostra il ruolo fondamentale degli USA nel determinare questa fase politica del Cile14. Ben più trascurato è il processo di evoluzione interna dell’esercito e della società cilena nella seconda metà del ventesimo secolo. L’analisi di tale processo rivela tutto il peso delle dinamiche locali nello sviluppo politico e sociale del paese andino. Allo stesso modo, tale consentendoci di smontare alcuni luoghi comuni su questo tema. Su questa scia si pongono gli studi di Genaro Arriagada Herrera, il quale rivela l’esistenza di una componente anticomunista presente all’interno dell’esercito cileno ben prima dell’avvio delle politiche di condizionamento degli USA [Arriagada Herrera 1986]. Allo stesso modo, alcuni brillanti studi realizzati dalla Facultad Latinoamericana de Ciencias Sociales (FLACSO) hanno rivelato l’inconsistenza del mito di un presunvigilia del golpe del 1973 si parlasse di “eccezione cilena” rispetto alla tendenza d’interventismo mostrata da gran parte delle Forze Armate latinoamericane [Varas-Aguero-Bustamante 1980]. no i semi della controrivoluzione. L’apparato dottrinario che in questi anni domina il pensiero delle Forze Armate in America Latina – e che proprio nel Cile di Pinochet trova uno dei suoi momenti di maggior cristallizzazione – prende il nome di Doctrina de la Seguridad Nacional paragonabile a quella dedicata alla DGR. Tuttavia, alcuni brillanti saggi di studiosi latinoamericani [Comblin 1979], nonché le testimonianze delle vittime del regime raccolte dalle commissioni parlamentari istituite al momento del ritorno alla democrazia15, ci permettono un confronto Operations with respect to Intelligence Activities, Covert Action in Chile 1963-1973, GPO, Washington DC, Dic. 1975. 14 15 Informe de la Comision Nacional de Verdad y Reconciliacion (Informe Rettig), Se- 370 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia interessante con le teorie elaborate dai francesi e dagli statunitensi nei due decenni precedenti. Anche qui, come nel caso statunitense, vi è la presenza di evidenti analogie tra le pratiche degli organismi di repressione cileni e le teorie proposte dai teorici francesi della DGR. Nel suo pioneristico studio sulla DSN, José Comblin individua quattro concetti principali intorno ai quali si articola la dottrina: gli Obiettivi Nazionali, la Sicurezza Nazionale, il Potere Nazionale e la Strategia Nazionale stilare una lista di Obiettivi nonostante le diverse declinazioni nazionali, tali obiettivi presentano una sorprendente generalità e somiglianza tra di loro. Ciò è dovuto al fatto che nella DSN tale lista trae origine dalla strategia di guerra e non viceversa. Di conseguenza, l’obiettivo principale resta l’annientamento del nemico comunista, rispetto al quale gli altri obiettivi agiscono in maniera strumentale. In generale essi si possono raggruppare in tre categorie: L’appartenenza al complesso dei valori occidentali, siano essi indicati col nome di democrazia, umanesimo o cristianesimo; L’idiosincrasia nazionale; Sovranità e indipendenza territoriale, autodeterminazione, integrità nazionale. La Seguridad Nacional è invece il concetto che sta alla base dell’omonima dottrina; in essa si può riassumere l’insieme degli obiettivi nazionali. Si tratta di un concetto che rimane tuttavia abbastanza vago; il brasiliano Seguridad Nacional è la garanzia fornita dallo Stato per la conquista o la difesa degli obiettivi nazionali, malgrado gli antagonismi e le pressioni [avverse]» [Gurgel 1975]. Si tratta dunque della capacità della Nazione, grazie ai mezzi forniti dallo Stato, d’imporre il perseguimento dei propri obiettivi naziona- cretaria de Comunicacion y Cultura, Santiago, 1991. Informe de la Comisión Nacional sobre Prisión Política y Tortura (Informe Valech). MIRKO GIANCOLA Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico 371 comprendere la natura di tale concetto, al di fuori del contesto della Guerra Fredda. In sostanza la sicurezza nazionale è pensata in diretta opposizione al pericolo comunista, costituendosi come la capacità dello stato di opporsi a tale pericolo, ovunque esso si presenti. In forza di tale opposizione, la Seguridad Nacional apporta dei cambiamenti radicali ciale. Essa elimina innanzitutto ogni distinzione qualitativa tra utilizzo i mezzi utilizzati per conseguirli passano in secondo piano. In nome della sicurezza sparisce la frontiera tra guerra e diplomazia, in una fusione di strategie che vanno dall’uso della violenza diretta alla pressione economica e psicologica. Allo stesso modo perdono di validità i limiti tracciati dalla Costituzione, qualora questi costituiscano un ostacolo al raggiungimento della sicurezza nazionale. In secondo luogo, scompare la distinzione tra nemico esterno e interno; il nemico è sempre lo stesso ed utilizza le risorse della nazione contro lo stato incaricato di amminiventiva; l’imperativo di sicurezza legittima l’uso della violenza preventiva in vista di un pericolo futuro. La sicurezza nazionale interessa dunque ogni ambito del vivere associato; il germe della sovversione può nascondersi in ogni angolo della nazione e in ogni angolo va combattuto ed annientato; tanto nella vita politica come in quella economica, nel come Potere Nazionale, che costituisce il terzo elemento della DSN. «Il Potere Nazionale è lo strumento della Politica Nazionale per raggiungere gli Obiettivi Nazionali» [Gurgel 1975]. Si tratta, insomma, dell’insieme di risorse di cui dispone lo Stato per imporre la sua volontà, costituita dal raggiungimento dei propri obiettivi. O, come spiega il generale Pinochet nel suo manuale di geopolitica, La forza organizzatrice della vita associata, nel senso più ampio, che 372 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia ha lo Stato; il potere comprende l’organizzazione della popolazione per esercitare il dominio sullo spazio e sulla massa umana ubicata nei limiti dello Stato, per mettere in pratica, in forma essenzialmente dinamica, la volontà dello Stato [Pinochet 1974]. Il potere nazionale si articola in quattro componenti: politico, militare, economico e psicosociale [Comblin 1979]. Queste quattro categorie costituiscono l’insieme degli strumenti di cui dispone lo Stato per imporre la sua volontà. Ora si tratta di articolarli in un piano organico che permetta di raggiungere la sicurezza nazionale e con essa gli obiettivi nazionali. Tale è il compito della Strategia Nazionale. niamo la Strategia Nazionale come «l’arte di preparare ed esercitare il litica Nazionale» [Gurgel 1975]. Peculiarità della strategia della DSN è che cade la distinzione tra l’ambito civile e quello militare; i due campi si fondono in una totalità indistinta che vede l’egemonia dell’elemento militare su quello politico. Questi sono gli elementi costitutivi della azione di governo. A partire dalla metà degli anni Sessanta, si aggiunge un quinto elemento, frutto del nuovo orientamento della politica economica degli Stati Uniti. Nel 1968 il segretario di stato statunitense Robert McNamara pubblica un libro intitolato The Essence of Security è sviluppo e senza sviluppo non c’è sicurezza. Un paese in via di sviluppo e che non progredisce non conquisterà mai un livello accettabile di sicurezza per la semplice ragione che non può spogliare i propri cittadini della loro natura umana» [McNamara 1968]. Le parole del segre- studioso americano Lars Schoultz, gli Stati Uniti hanno sempre individuato le cause di tale instabilità nei due poli del comunismo e della povertà [Schoultz 1987]. Nel tentativo di costruire un’azione congiunta in grado di rimuovere alla radice le cause della sovversione, la presidenza MIRKO GIANCOLA Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico 373 Kennedy diede avvio a una serie di iniziative – Alleanza per il Progresso, Civic Action, politica di aiuti economici ai paesi in via di sviluppo – volti militare dei movimenti insurrezionali. L’enfasi posta dal segretario di stato statunitense sul tema dello sviluppo ebbe delle ripercussioni evidenti sui teorici latinoamericani della DSN, i quali giudicarono necessario perseguire una conciliazione tra sviluppo e sicurezza, ordine e progresso. L’analisi delle diverse sfumature e implicazioni della politica economica statunitense nei confronti dell’America Latina in questi anni, benché interessante, esula dallo spazio della nostra ricerca. In questo saggio ci limiteremo dunque ad analizzare la dimensione della sicurezza, focalizzando la nostra attenzione sulle caratteristiche della politica di repressione messa in atto dal regime di Pinochet. Sergio Arellano Stark il compito di guidare un gruppo di militari incaricato di “accelerare” il corso della giustizia nelle province settentrio“Carovana de la muerte”, percorse le province del nord lasciandosi alle spalle sessantotto cadaveri, di cui quattordici non furono mai ritrovati, avviando la lunga lista di Desaparecidos16 del regime [Verdugo 1989]. La Carovana della Morte non fu altro che l’inizio di una strategia del terrore che culminerà con la creazione della Direcion de Inteligencia Nacional (DINA), istituzionalizzata con il Decreto Legge n. 521, il 14 Giugno 16 noamericani, il cui corpo fu fatto sparire nel nulla dopo la morte. La Commissione dera la scomparsa forzata la privazione della libertà di una o più persone, in qualsiasi forma, commessa da agenti dello Stato o da persone o gruppi di persone che attuino con l’autorizzazione, l’appoggio o l’acquiescenza dello Stato, seguita dalla mancanza recapito della persona, di modo che s’impedisce l’esercizio dei ricorsi legali e delle garanzie processuali pertinenti››: Inter-american Convention on Forced Disappearance of Persons, <http://www.oas.org/juridico/spanish/tratados/a-60.html>. 374 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia che istituzionalizzare il modus operandi della Carovana, costituendosi come un organismo di repressione itinerante che rispondeva delle proprie azioni direttamente al Presidente. Fonti americane fanno risalire la fondazione della DINA agli stessi membri della Carovana, dalla quale si sarebbe preso spunto per una riorganizzazione del servizio segreto cileno17. La DINA, sotto la direzione del tenente-colonnello Juan Manuel Contreras Sepulveda, fedelissimo del regime e strettamente legato al presidente Pinochet, si trasformò ben presto in un’istituzione onnipotente. Già nel Decreto 527 gli articoli 9, 10 e 11, coperti dal segreto, davano segrete per raggiungere i propri obiettivi. Come notava un funzionario dell’Intelligence militare americana: «Non sembra esserci restrizione alcuna alle operazioni d’intelligence che possa avviare il direttore. In ganizzazione che è già in piena attività»18. Ben presto la DINA divenne celebre per la sua brutalità e la sua onnipotenza. «Nessun giudice di nessun tribunale, e nessun ministro del governo fa una sola domanda su di un caso concreto se la DINA dice di esserne incaricata» avrebbe riferito una fonte cilena all’agente statunitense della difesa William Hon19. Nel Giugno del 1975, i servizi americani erano riusciti ad ottenere un organigramma del temibile servizio cileno. Stando a tale rapporto, il servizio si sviluppava su di una complessa rete di divisioni operative operanti sia dentro che fuori il Cile20. A capo della DINA vi era il tenente colonnello Manuel Contreras, che fonti della DIA attestano come uomo estremamente intelligente e capace, di totale dedizione al regime e so17 Informe segreto sul generale Arellano Stark, 5 Genn. 1975. Official Decree on the Creation of the National Intelligence Directorate (DINA), 2 Lug. 1974. 18 19 DINA, Its Operations and Power, Informe per la DIA, 8 Febbr. 1974. Organization Diagram of the Directorate of National Intelligence (DINA), 17 Giu. 1975. 20 MIRKO GIANCOLA Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico 375 prattutto al Presidente Pinochet. Al momento del golpe, il colonnello Contreras era a capo della scuola d’ingegneria militare si Tejas Verde, situata a un centinaio di chilometri da Santiago. Nei giorni successivi al colpo di stato, Contreras trasformò il centro nel Campamento de Prisoneros n. 2, che diverrà il prototipo per i futuri centri di detenzione e tortura della DINA. Sotto la sua direzione, la DINA si rese responsabile rete di campi segreti di detenzione, l’uso sistematico della tortura, la sparizione di centinaia di cileni. In generale tutti questi centri operavano alla stessa maniera: ricevevano, bendati, i prigionieri, dopo che questi erano stati catturati presso il loro domicilio o direttamente in strada, caricati su di una Ford Falcon senza distintivo alcuno. Una volta entrati nei centri di detenzione, le vittime erano sottoposte a terribili sessioni di tortura, allo scopo di ottenere informazioni utili ad annientare la resistenza di cui si riteneva facessero parte. Ciascun centro aveva la sua “specialità”; Londres 38 ad esempio, usava sequestrare familiari delle vittime e torturarle dinanzi a queste, Villa Grimaldi invece, era conosciuta per le cosiddette casas Chile, casse di legno molto piccole dove i prigionieri venivano rinchiusi. A queste vanno aggiunte violazioni sessuali di ogni genere nonché la pratica di far sparire nel nulla i corpi delle persone assassinate [Garcia Castro 2002]. Al di là delle inquietanti similitudini nei metodi e tecniche di tortura e di controllo della popolazione, i militari cileni riescono a conquistare ciò cui i loro colleghi francesi più ambivano e che agli statunitensi non era concesso nemmeno di sperare: la gestione politica dello Stato. Nel caso del Cile non si tratta di ristabilire l’ordine in una colonia, come nel caso di Indocina e Algeria per i francesi, o di favorire i propri interessi politici ed economici, come nel caso del Vietnam per gli Stati Uniti. La guerra in Cile è volta alla ricostruzione totale della nazione; l’obiettivo, per dirla con le parole del generale Pinochet, era quello di «cambiare la 376 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia mentalità ai cileni»21. Tuttavia, le evidenti analogie tra le politiche di repressione del regime cileno e le teorie francesi pongono un interrogativo riguardo alla dinamica della loro trasmissione, laddove mancano prove documentate di una volontà istituzionale di collaborazione tra le due realtà quale quella riscontrata nel caso degli Stati Uniti. Cercando una spiegazione a tale quesito, abbiamo seguito percorsi alternativi che ci permettessero di rintracciare la presenza di un contatto tra quelli che abbiamo visto essere testimonianza del generale Aussaresses in questo senso si è rivelata fondamentale. Si è già accennato al lavoro del generale francese negli istituti militari statunitensi, tra cui lo Special Warfare Center a Fort Bragg, nel North Carolina. Gran parte dei soldati che seguivano i suoi seminari sulla guerra non convenzionale a Fort Bragg era di origine latinoamericana22 [Aussaresses-Deniau 2008]. Di fatto lo SWC è una scuola di élite, ed è lo stesso Aussaresses a rivendicare con un certo orgoglio il fatto che la maggior parte dei suoi allievi assumerà, negli anni successivi, posti di responsabilità presso le Forze Armate e presso i governi dei propri paesi23. Altri diverranno a loro volta istruttori presso istituti specializzati School of Americas (SOA) [Robin dei militari latinoamericani – e il Centro d’istruçao na Selva a Manaus, in Brasile, dove periodicamente terrà seminari lo stesso Aussaresses a partire dal 1973, quando lavora a Brasilia in qualità di aggiunto militare presso lena a meno di un anno dall’instaurazione del regime militare. Cfr. Junta de Gobierno, Declaracion de Principios del Gobierno de Chile, 11 Mar. 1974. 21 22 Cile e Venezuela, secondo quanto dichiarato dal generale francese. 23 Bragg e più tardi capo del Centro Nacional de Informacion (CNI), servizio segreto cileno che sostituisce la DINA dopo la sua dissoluzione nel 1977. MIRKO GIANCOLA Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico 377 l’ambasciata francese. Si sono dunque analizzati gli elenchi dei diplomati della SOA nei primi anni Sessanta, alla ricerca di corrispondenze che comprovassero l’esistenza di un contatto tra i militari cileni che nella decade successiva andranno a integrare gli organismi di repressione del regime e la tradizione dottrinaria francese veicolata dagli statunitensi. L’analisi di tali elenchi rivela l’assoluta preponderanza di soldati cileni tra gli allievi del centro24. Seguendo poi la carriera di questi militari, scopriamo che la maggior parte di essi assumerà successivamente incarichi di rilievo nei servizi segreti – in particolare nella Dirección Nacional de Inteligencia (DINA) – e in generale negli apparati di repressione del regime di Pinochet [Giancola 2011]. Interrogato esplicitamente dalla giornalista cese nella DSN cilena, l’ex capo della DINA Manuel Contreras è restio a mettere in questione l’autonomia dottrinaria del passato regime, ma ammette di essere un grande ammiratore dell’OAS e di aver inviato regolarmente dei gruppi di militari al suo servizio presso il centro di parte, una semplice analisi del modus operandi della DINA rivela come questi sia sorprendentemente simile alle istruzioni fornite dal colonnello Trinquier nel suo libro La Guerre Moderne [Trinquier 1964]. Rintracciaquello cileno, le analogie tra i due complessi dottrinari appaiono meno stupefacenti. Si tratta ora di capirne la dinamica di comunicazione e di valutare il ruolo dei personaggi coinvolti nel processo di trasmissione. 24 378 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia conclusioni In questo lavoro si è cercato di ricostruire il processo di elaborazione di tre diverse teorie di guerra non convenzionale, elaborate nel corso della seconda metà del secolo passato. Abbiamo mostrato come tali dottrine siano strettamente vincolate tra loro, instaurando un rapporto di comunicazione triangolare, dai risvolti estremamente interessanti. Innanzitutto, la presenza di numerose analogie tra gli apparati dottrinari francese e cileno malgrado la mancanza di un contatto diretto tra le due realtà, getta una nuova luce sul ruolo degli Stati Uniti nell’indottrinamento delle Forze Armate latinoamericane. Di fatti nel caso del Cile qui analizzato, gli Stati Uniti non fanno che “traghettare” oltre il canale di modello di circolazione del sapere in materia di repressione, che vede l’instaurarsi di un rapporto triangolare tra Francia Stati Uniti e Cile, con gli Stati Uniti in funzione di mediatore tra le altre due realtà. Applicando su scala continentale le teorie del sociologo americano Mark Granovetter [Granovetter 1973], osserviamo come in questo senso gli Stati Uniti costituiscano un ponte tra il mondo della difesa francese e cilena, attraverso cui la DGR approda nel paese andino. In secondo luogo, focalizzando l’attenzione a livello micro-sociale osserviamo come in realtà i pilastri portanti di tale ponte non poggino tanto nell’apparato istituzionale della difesa statunitense, quanto nella rete di contatti amicali e professionali stabilitisi tra soldati francesi, statunitensi e cileni. Ciò mostra la capacità di circolazione delle idee attraverso canali alternativi a quelli istituzionali, percorrendo i percorsi tracciati di collaborazione tra le istituzioni cui appartengono. L’apparente casualità e disordine delle analogie riscontrate tra i diversi apparati dottrinari dall’analisi delle reti sociali [Moutoukias 1998]. Gli strumenti forniti da tale metodologia permettono di avanzare nuove ipotesi nel campo della circolazione del sapere, rappresentando un valido supporto per chi MIRKO GIANCOLA Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico 379 intenda addentrarsi in questo campo di ricerca, gettando nuova luce su alcuni angoli ancora inesplorati e caotici. abbreviazioni SHAT: Service Historique de l’Armée de Terre (Francia) DIA: Defense Intelligence Agency (Stati Uniti) NSAM: National Security Action Memorandum (Stati Uniti) DGR: Doctrine de la Guerre Révolutionnaire Arriagada Herrera G. 1986, El Pensamiento Politico de los Militares (Estudios sobre Chile, Argentina, Brasil y Uruguay), Santiago: Centro de Investigaciones Socioeconómicas. Aussaresses P., Deniau J.C. 2008, Je n’ai pas tout dit, Paris: Rocher. Blaufarb D. 1977, The Counterinsurgency era. U.S. doctrine and performance. 1950 to the present, New York: Free Press. Branche R. 2001, La torture et l’Armée pendant la guerre d’Algérie (1954-1962), Paris: Gallimard. Comblin J. 1979, La Doctrina de la Seguridad Nacional, in Dos ensayos sobre Seguridad Nacional, Santiago: Vicaria de Solidaridad. 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La pena di morte e il riscatto delle anime in età moderna. A proposito di Delitto e perdono di Adriano Prosperi ceSarina caSanoVa Univ. di Bologna, Dipartimento di Storia Culture Civiltà In Delitto e perdono Adriano Prosperi ha preso spunto dall’immediata attualità – l’uccidi giustizia –, stimolando, nell’ambito degli studi sulla storia della pena di morte, una tale e nella salvezza della propria anima grazie al supplizio della Croce ad espiazione del carattere di sacralizzazione della pena. Delitto e perdono a sacramental act. 382 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia Nel 1835, quando Carlo Contoli scrisse le Considerazioni sul processo e giudizio criminale, Jeremy Bentham era morto da tre anni. Questa e le morale, un riferimento che eliminare ogni forma di arbitrium, ma anche di emotività incontrollata, e 1835, V]. di condanne a morte, propri del processo inquisitorio e degli uditori di 1 grande crescita, e i processi conoscitivi del magistrato inquirente e dello investigativa, come la storia e la medicina, pur non avendo lo stesso statu 1 383 CESARINA CASANOVA La pena di morte e il riscatto delle anime in età moderna 2 to tempo prima, nel 1841, la stessa corrente innovatrice che era arrivata di alla Verità sviluppando le proprie congetture investigative a partire da qua modus operandi dei criminali, . 3 lo, pur continuando ad essere irrogata, per molti aspetti ci restituisce una ed avevano assicurato per secoli lo spettacolo del riscatto 2 dei Uno studio in rosso 3 , Fi 384 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia reati e dalla poesia dedicata da Ed CESARINA CASANOVA La pena di morte e il riscatto delle anime in età moderna Constitutio penalis - , 385 386 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia un passaggio cruciale, dal diritto consuetudinario fondato sulla concreta Constitutio avviava in una parte della Franconia una radicale riforma che consisteva nel redi unica portatrice della prerogativa di condannare a assolvere, non poteva Tribunali della coscienza mento della società. Questo approdo divergente delle rispettive dottrine e 387 CESARINA CASANOVA La pena di morte e il riscatto delle anime in età moderna del proprio riscatto. 4 condo le leggi ma con temperamento tale che non mostri crudele il legisla giudice si scuopra male intendente della legge, sententiando con la mente 4 388 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia . 5 di santa Caterina Benincasa riassume il senso sacrale della conforteria e gradante e disgustoso fosse quel compito, la risposta dei devoti della carità fu straordinariamente positiva e portò rapidamente a una diffusione di quel 5 Cagli libri tre Nei quali con bellissimo modo & ordine copiosamente si contiene quanto CESARINA CASANOVA La pena di morte e il riscatto delle anime in età moderna 389 Capitulo trigesimoquarto che tracta de coloro che la morte non li doleria se la havesseno cum ragione meritata E cussì fratello mio, tu ti dèi al presente recognoscere che se tu non hai fac martiri innocente, se tu porai portare questa pena cum pacientia e cum la volontà de Dio. E se tu hai facto el male, non dire de no, ma più tosto taci 2007, 429]. visto dal manuale ne mai volle attendere al suo consolatore, che svisceratamente la pregava, a sentì a dire oime e così spirò lasciando molto di che temere della sua salute, e tutta odio, e rancore, che se gli vedia sino dagli occhi, e lo manifestava 390 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia e conforto che le renda capace a ridursi, essendo un doloroso martirio de 6 . delle notti e nel chiuso delle loro cappelle i momenti più drammatici del Notti malinconiche anni francesi ricongiungendo nelle pratiche devote di accompagnamento 6 . 391 CESARINA CASANOVA La pena di morte e il riscatto delle anime in età moderna Considerazioni etica destinata a restare insoddisfatta7. Comparivano invece le prime cre di rosa, da parte del sovrano. rosi, dal parricidio alla stregoneria, dal furto reiterato alla sodomia ma a partire dal crimine per il quale meno facilmente potevano essere richie 7 , vol V, disp. N. 10 392 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia . 8 meno frequenti ma non era per questo che le condanne a morte erano visto pena di morte, anche con modalità atroci, come il tanagliamento con ferri neppure la cifra del codice penale italico del 1811, pura e semplice tradu 8 illustratae, divo Petronio dicatum liber primus 393 CESARINA CASANOVA La pena di morte e il riscatto delle anime in età moderna 9 morte era prevista per oltre trenta fattispecie di reato e nel caso del parrici morte confortata. meno nemmeno oggi, non solo negli stati nei quali la pena capitale è anco ra in vigore, ma anche nelle corsie degli ospedali dove, almeno nei paesi 9 2001, 394 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia 10 . Contoli C. 1835, Considerazioni sul processo e giudizio criminale nei due sistemi del processo scritto e orale Elias N. 1985, , ora in Miti, emblemi, spie: Au nom de l’ordre. Une histoire politique du Arbitrium. Un aspetto sistematico negli ordinamenti giuridici in età di diritto comune Einaudi Giustizia bendata. Percorsi storici di un’immagine di giustizia. Per Adriano Prosperi Misericordie. Conversioni sotto il patibolo tra Medioevo ed età moderna , ri 10 te al Delitto e castigo La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo FaBio Bego Università degli Studi di Roma Tre, Dipartimento di Scienze Politiche L’articolo analizza alcuni aspetti del dibattito pubblico albanese circa l’identità nazionale e di come tale dibattito abbia preso nuovo slancio negli ultimi anni. Sviluppi recenti che hanno caratterizzato la storia dell’Albania come la fine del comunismo, la rivolta in Albania del 1997 e la dissoluzione della Jugoslavia hanno determinato da un lato l’emersione di uno spazio albanofono d’interazione sociale che travalica i confini dello Stato, dall’altra sembrano anche avere stimolato la differenziazione tra gli albanesi del nord gegë e quelli del sud toskë. This article engages in analyzing some aspects of the Albanian public debate on national identity which has lately assumed new vitality. Recent Albanian history has been characterized by crucial events such as the end of communism, the Albanian revolt of 1997 and the dissolution of Yugoslavia. The overall outcome of these events is twofold. The new political situation of the western Balkans has permitted the creation of an Albanian speaking community that prevaricates the Albanian state borders. However this new circumstance has enhanced the differentiation discourses between northern gegë and southern toskë Albanians. Il tema dell’identità nazionale e tutto ciò che implica è un argomento centrale nel dibattito pubblico albanese. Il regime comunista di Enver Hoxha e l’ordine internazionale in cui era inserito sembravano aver debania. Tuttavia gli anni Novanta hanno velocemente destituito l’equilibrio politico e psicologico di quel mondo del quale ora restano solo 396 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia non meno traumatico dei precedenti anni di dittatura. Gli anni Novanta - concezione dell’identità nazionale. Il dramma della transizione albanese giunse all’apice nel 1997, soprattutto nei mesi primaverili di quell’anno, quando lo stato crollò sotto il peso di una crisi politica di violentissime proporzioni. Congiuntamente, la dissoluzione della Jugoslavia e l’emerXX secolo era nota come la “questione albanese”. Questo articolo cerca di analizzare in quale modo il periodo di transizione e la nuova situazione politica nei Balcani occidentali sta condizionando la ricerca di una dall’analisi di un libro pubblicato recentemente. A ottobre del 2013 è uscito un libro che tratta il tema dell’identità nazionale albanese in cui l’autore, Mustafa Nano, sostiene la tesi che esistono due dimensioni culturali e linguistiche parallele, quella dei gegë nel nord del Paese e quella dei toskë gli intellettuali albanesi e i regimi che si sono alternati nell’arco di un secolo d’indipendenza hanno tentato di oscurare l’esistenza di queste due dello Stato. Secondo l’autore questa politica avrebbe però richiesto molcomposta da due emisferi [Shllaku 2013, 4], gli albanesi hanno ridotto le loro facoltà cognitive e hanno perso dunque la possibilità di valorizzare il bagaglio culturale e linguistico che giace in fondo alle tradizioni delle due aree. L’idea che l’identità albanese sia costituita dall’elemento gegë e da quello toskë risale ai primi studi albanologici [Von Hahn 2010, 27]. Tuttavia FABIO BEGO La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo 397 in senso marcatamente dualistico come invece fa Nano. Prima di cercare di analizzare più a fondo le ragioni che possono avere spinto l’autore a scrivere su questo tema, credo che sia necessario eseguire un analisi tecnica del libro, ovvero esaminare la qualità dei suoi contenuti. Riguardo a questo aspetto, già dalle prime righe si evidenziano parecchi limiti. Nell’introduzione l’autore ci fa sapere di averlo inviato in stampa dopo soli quarantacinque giorni, un tempo molto breve che non poteva baper un tema complesso come questo. Inoltre, non è chiaro se Mustafa Nano considera i gegë e i toskë due popoli distinti o due «varianti» dello anche per designare realtà sociali molto più piccole come ad esempio la popolazione della sua regione natia Skrapar. Quando l’autore cerca di gegë e i toskë, lo fa citando un suo articolo del 2009 in cui riporta un elenco di antinomie speculari e complementari come segue: Ai gegë piacciono le armi ai toskë il denaro; i gegë sanno fare la guerra, i toskë sanno fare propaganda; i gegë sono orgogliosi/coraggiosi [trima], i toskë sono aperti di mente; […] i gegë sono astuti, furbi e fermi, i toskë intelligenti, cioè pragmatici e corruttibili; i gegë amano la vita rapsodica all’interno della famiglia, i toskë preferiscono la vita sociale fuori casa; […] i gegë vivono per l’onore, i toskë per un po’ di divertimento; i gegë sono fanatici, i toskë sono dissoluti; […] i gegë incarnano le virtù nazionali, i toskë le virtù civili; […] i gegë sono votati all’auto-giudizio sorretto da codici morali, i toskë preferiscono sottoporsi all’autorità di un organo amorale come lo Stato; i gegë vedono con sospetto la modernità, i toskë vedono con sospetto la tradizione; i gegë sono tradizionalisti, toskë sono progressisti, liberali e rivoluzionari; i gegë toskë gegë ci puoi costruire una nazione, con i toskë la democrazia di uno Stato di diritto; i gegë sono di destra e i toskë di sinistra. [Nano 2013, 55-56] Questo brano rivela il tentativo da parte di Mustafa Nano di dipingere 398 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia un unico organismo composto da due parti integranti. Tuttavia, come ho già detto, la serie di caratteristiche che egli elenca rappresenta una visione stereotipata dei due gruppi e ogni tentativo di risalire a questi attributi attraverso uno studio empirico darebbe scarsi risultati, almeno ché, tale ricerca non fosse disposta a fare abbondanti forzature. Il libro diventa a mio avviso più interessante nel capitolo conclusivo inoltre a necessità pratiche che sono legate agli sviluppi politici recenti nella regione. Per favorire la creazione di uno spazio culturale albanese e facilitare le comunicazioni tra gli albanofoni che vivono dentro e standard. L’autore però sostiene una risoluzione a dir poco dispendiosa, quella cioè di creare un altro standard gegë da utilizzare, se si preferisce, in alternativa all’attuale standard toskë [Nano 2013, 186-189]. Mustafa Nano era consapevole che il libro non sarebbe stato molto gradegli albanesi. Per questa ragione egli ci tiene ad assicurare che il suo lavoro è dettato da un impulso patriottico ed è disposto a rinunciare gegë. Un jam gegë (Io sono gegë) si legge sulla copertina, ma all’interno del libro l’autore sottolinea diverse volte ciò che tutti gli albanesi sanno ovvero che è originario di Skrapar, dunque un tosk . Le buone intenzioni non gli hanno evitato l’impatto con numerose critiche negative per aver toc- FABIO BEGO La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo 399 i ei secondo l’opinione di alcuni commenti fatti a proposito del libro di Mustafa nano Dal momento che il libro ha suscitato diverse reazioni da parte del pubblico, credo sia interessante osservare alcune opinioni fatte da lettori di alcuni quotidiani albanesi online quando questi hanno anticipato alcuni contenuti. Si può in tal modo cogliere un’idea, seppur limitata, circa la predisposizione di alcuni albanesi rispetto al tema e al modo in cui l’autore la concepisce. Ciò che mi interessa maggiormente è capire se coloro che hanno lasciato dei commenti percepiscono o no l’esistenza di due identità parallele geg e tosk . Ho potuto raccogliere commenti da gazetatema.net, panorama.al e gazetadita.al poiché il libro è stato pubblicato all’inizio di ottobre 2013 e molti giornali hanno cancellato le discussioni oppure non hanno avuto interesse a pubblicare una recensione. I dati possono tuttavia costituire delle fonti attendibili perché si tratta di alcuni tra i quotidiani più letti in Albania, formalmente non che gli utenti esprimono. Questi quotidiani hanno riportato per intero o in parte il brano del libro che ho citato. La maggior parte dei commenti sembra condividere l’idea che una pubblicazione simile era da evitare per la paura di scatenare discussioni tanto inutili quanto pericolose. Poche righe [soprattutto l’assioma «con i gegë ci fai la nazione con il toskë lo Stato»] sono bastate per far pensare a molti te infondati. Arberesh su panorama.net scredita l’autore a priori senza prestar molta attenzione a quanto egli ha da dire: «chi sei tu Mustafa per giungere a tali conclusioni. Non sei né un antropologo né un genetista che ha fatto un esame del DNA a tutti i gegë e a tutti i toskë per dire chi tra loro è più albanese!». Euro Maloku (euro montanaro) su gazetadita. «per sapere come è il vino nella botte basta berne un solo bicchiere». 400 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia Durres su panorama.net scrive che «sfortunatamente, per quarantacinque anni l’Albania è stata invasa dai toskë con a capo Enver Hoxha». Alpini su gazetatema.net sembra stare toskë del regime comunista. Lo spettro del passato è evocato da Shkëlzeni (un nome tipico del nord che scrive sul quotidiano Panorama online) il quale approva il lavoro di Mustafa Nano ed esorta i suoi compatrioti, soprattutto quelli del sud, ad avere il coraggio di apprendere la «verità che è stata nascosta da quasi cinquant’anni di terrore esercitato dalla banda slava-ottomana uscita - fanno eco nell’articolare una visione cospirativa a danno della nazione che sarebbe stata messa in pratica da élite politiche servili e corrotte. Su gazetadita.al Lleshi (altro nome del nord) invece, all’interno di una diatriba che si è aperta tra diversi utenti circa l’incidenza che ha avuto nelle sorti dell’Albania l’identità gegë o toskë dei leader politici ribatte gegë, ma un venduto serbo. Fatos (Nano, ex leader del Partito Socilista, ex-Premier e nemesi di Berisha) non era un toskë, ma un venduto greco. Entrambi sono stati scelti da Ramiz [Alia, l’ultimo leader del regime comunista], bosniaco». Il quadro politico mostrato da Lleshi è certamente frutto di un’ideazione circa la politica estera di Sali Berisha1 e Fatos Nano2. Ramiz Alia inoltre discusso protagonista della scena politica degli anni Novanta e duemila. È stato presidente della repubblica dal 1992 al 1997 ed in seguito, dopo aver sostenuto il varo di una legge che trasformò la repubblica in un sistema parlamentare, ha ricoperto il ruolo di primo ministro dal 2005 al 2013. 1 2 partito socialista e capo del governo albanese formatosi nel 1991 dopo le prime elezioni libere del paese che furono vinte dall’ex partito di regime che lui stesso aveva FABIO BEGO La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo 401 Lleshi dicano negativamente i politici venuti dopo Enver Hoxha per non essere al contrario sono stati permissivi e complici delle politiche anti-albanesi contraddistinto sia l’opinione comune sia quella intellettualmente più coltivata che giudicava e tuttora giudica come tradimento ogni politica estera distensiva verso i vicini da parte dei leader albanesi nel corso della storia. Tuttavia anche su questo quotidiano la maggior parte delle opinioni dimostrano fondarsi su una concezione realistica della sociegruppi, soprattutto se si cerca di attribuire rispettivi pregi e difetti. Antipod cita in modo scherzoso un caso empirico: «Fatos [Nano] è toskë, Sali [Berisha] è gegë; qual è il risultato delle loro azioni per il progresso dell’Albania? Il gabinetto». Psy appoggia questo punto di vista. Tirona (gergo per Tirana) marca il suo distacco da una diatriba che a suo avviso è da provinciali e neutralizza la discussione esortando a focalizzarsi su problemi attuali e concreti: «Finché c’era Enver [Hoxha] si vantavano quelli del sud, è arrivato Sali e si vantano quelli del nord. A tutti però piace vivere a Tirana. Non so quando ci metteremo in testa di costruire uno Stato forte che ci dissuada dall’emigrare». Su gazetatema.net, tra le molte critiche negative, c’è anche qualcuno che come Marsida ritiene l’argomento interessante e si promette di comprare il libro. Su questa testata il dibattito è molto vivace. Si nota la tendenza di molti utenti a sdrammatizzare la questione per mezzo di un linguaggio aforistico. Gjergji si chiede: «un analista che fa questa distinzione fronte alla violenta crisi, l’allora presidente albanese Sali Berisha gli condonò la pena. Tornò alla guida del governo per un breve periodo tra il 1997 e il 1998 e poi tra il 2002 e il 2005. 402 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia [tra gegë e toskë]? Sconcertante». Miredrejtesia lo tranquillizza dicendogli che l’autore «sarà stato ubriaco». YYY appoggia la tesi dell’autore e afferma che «M. Nano ha detto la verità più grande della sua vita. Non si può negare nulla perché la verità va rispettata e non ignorata». Kunji per zittire i litigi fa notare la suscettibilità emotiva dei suoi compatrioti: per trovarla… Povera Albania». Reformer critica l’aspetto ontologico del brano riportato dal quotidiano dicendo che «se dividi a metà una mela non ne ricavi mezza mela e mezza pera». Tafuti invece mette in guardia Naim Frashëri: «Oh pesci d’Albania, vi sta vendendo un libro asini che Ylli esprime un’opinione più bilanciata dicendo che: «Anch’io penso che tra gegë e toskë ci siano delle divergenze, ma il modo in cui è stato pensato da Muqi [sta per Mustafa] è inaccettabile. L’Albania non è l’India o la Cina e perciò ci sono più cose che ci uniscono di quelle che ci dividono. Non dimentichiamo che tra Suhareka e Prizren [città del Kosovo che si trovano all’interno del le separano». Dai commenti che ho letto, emerge che solo una minoranza condivide la tesi dell’autore circa l’esistenza di geg e tosk . Dai soprannomi con prevalenza di origine settentrionale. I risultati di questa indagine rivelano anche altro. Si comprende che l’opinione degli utenti, aldilà se favorevole o contraria al libro di Mustafa Nano, è frutto di una particolare visione della storia dell’Albania che è in parte geg -centrica o tosk - Questo dato presenta i suoi lati positivi giacché dimostra l’esistenza di il passato nazionale e i diversi miti che il processo di formazione dello Stato ha dovuto plasmare nel periodo tra le due guerre e durante il regi- FABIO BEGO La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo 403 me di Hoxha. A livello pubblico questo dibattito non da semplicemente luogo a una revisione storica condotta in base ad una meno idealistica lettura degli eventi, ma sembra giungere a una vera e propria riformulazione dei miti che avvolgono il carattere nazionale come ad esempio il presunto coraggio che contraddistingue gli albanesi e la loro devozione all’unità nazionale e di patria. Credo che il riconoscimento dei propri limiti sia un passo importante per ogni società che ambisce a migliorare la propria posizione sociale ed economica nel contesto in cui è inserita. Allo stesso tempo però la libertà d’opinione e l’interesse pubblico per la storia hanno lasciato il campo aperto a diverse invasioni da parte di stoognuno può pubblicare un libro sul tema che desidera e non c’è nessuna autorità all’infuori delle case editrici private che stabilisce la validità di alcune certezze collettive sulla storia di eventi recenti e non, che prendono spunto da opere pubblicistiche e da articoli giornalistici le cui fonti non possono essere controllate. Tali certezze collettive condizionano la a mettere in totale discussione la lealtà a un progetto nazionale da parte dei diversi regimi che si sono succeduti sin dai tempi di Ismail Qemali. Dietro ad un profondo pessimismo si può insinuare il rischio di vedere tutta la storia dell’Albania e il progetto nazionale di cui la storia da condisegno cospirativo. sia dal libro di Mustafa Nano e che induce ad allargare questa indagine verso un’altra direzione. Confrontando il libro con i commenti si nota un’analogia. Non fanno nessun riferimento esplicito a un periodo in cui le antinomie tra gegë e toskë possono essere ricercate all’interno di sco alla crisi dello Stato albanese del 1997. Stupisce che Mustafa Nano 404 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia possesso più o meno conscio di una particolare identità tosk va nelle azioni di protesta, nelle forme di autogestione collettiva e nel rapporto con i geg geg e i tosk sono sempre stati parte dell’equazione che ha determinato la realpolitik nazionale» [Nano 2013, 16], ma del periodo in cui questo equilibrio sembrava sfaldarsi non ne fa parola. Il 1997 si presenta come un fenomeno particolarmente adatto al confronto con la sua tesi, ma l’autore evita l’argomento in modo palese. Diversi commenti invece, pur non menzionando direttamente il 1997, sembrano concepiti in conformità ad alcune certezze collettive che hanno origine nei fatti degli anni Novanta. ne è potuta occupare molto limitatamente. Una delle ragioni scaturisce dal fatto che i documenti istituzionali non sono ancora consultabili. Si dispone però di alcuni libri con testimonianze di personaggi che hanno vissuto gli eventi in prima persona ai quali piace arricchire i resoconti l’immagine delle identità geg -tosk proposta da Mustafa Nano. I testi sono stati scritti da politici e pubblicisti che sono stati protagonisti e testimoni oculari. Questi sono l’ex primo ministro Aleksander Meksi, tense Clarissa de Waal. l’opposizione nord – sud e la questione identitaria nel dramma albanese del 1997 ramidale portò al crollo delle istituzioni statali comprese la polizia e l’esercito. Seguirono settimane di tetra anarchia che la stampa nazionale FABIO BEGO La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo 405 il nord che era considerato sostenitore dell’allora presidente Sali Berisha e il sud che riteneva il presidente direttamente responsabile di quanto stesse accadendo [Pettifer and Vickers 2009, 16; Zilja 2001, 122-138]. Questa lettura degli eventi fu dovuta al fatto che nel sud le proteste furono sin dal mese di gennaio molto violente perché si pensa che magdi febbraio Tirana non esercitava nessuna sovranità su tutto il territorio albanese che si estendeva a meridione della città di Elbasan. Dei cosiddetti «comitati di salvezza pubblica» si formarono all’inizio di marzo a Valona, Tepelen, Berat, Saranda e in altri piccoli centri. Questi divennero portavoce di rivendicazioni secessioniste che miravano a costituire una o diverse entità territoriali autonome. Alcuni media greci, ingannati dagli eventi, salutarono una rivolta armata per la liberazione dell’Epiro del nord. e soprattutto i loro oppositori? In una raccolta di interviste e interventi parlamentari dell’allora primo ministro, l’archeologo Aleksander Meksi, si nota che all’inizio della crisi erano impiegati termini di paragone che la rivolta di Valona, città dove il comunismo aveva trovato sostegno in passato, fu organizzata secondo un manuale di rivoluzione marxista mirante a debilitare la capacità difensive dello Stato [Meksi 1997, 306]. le violenze erano guidate dai terroristi rossi [Zilja 2001, 31]. Secondo un colpo di coda reazionario messo in pratica per ragioni fondamentalmente tutt’altro che marxiste, da agenti del vecchio regime in combutta La pensava diversamente Fatos Lubonja – un noto intellettuale e scrittore – che in un’intervista rilasciata a febbraio del 1997 accusava il governo dicendo che «un regime fascista può anche esistere quando consegue 406 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia successi in campo economico, ma noi qui ci troviamo di fronte ad un fallimento totale […]» [Lubonja 1999, 351]. Lubonja ha recentemente pubblicato le sue memorie del 1997 in cui racconta l’attività che svolse a capo del polo di opposizione Forumi p r Demokraci (Il forum per la bro accusa il presidente Berisha di aver fatto leva su formazioni di tipo squadriste per compiere azioni intimidatorie e violente ai danni di chi si opponeva al suo regime che diveniva ogni giorno più autoritario e personale [Lubonja 2010, 62]3. Tra le diverse vittime dei pestaggi ci fu anche l’attuale primo ministro Edi Rama che fu colpito con spranghe e pugno di ferro. Fu aggredito di notte sotto la sua abitazione dove un gruppo di persone gli aveva teso un agguato. Nel 1997, l’opposizione nord-sud iniziò a proiettarsi nel mese di febbraio quando l’amministrazione pubblica e la polizia stanziata nelle citscarsamente controllati dall’opposizione e dai comitati di salvezza. La propaganda antigovernativa iniziò a bersagliare non solamente le qualità politiche del governo e del presidente Berisha, ma indicava le ragioni del dispotismo di quest’ultimo nelle sue origine montanare. Oltre troveranno una risposta. A febbraio il popolo del sud prese a protestare innalzando al cielo le tre dita, un gesto che sino ad allora era stato visto fare ai serbi. Si dice che fu il leader del Partito Social-Democratico a dare l’esempio. Nella situazione tesa che c’era tra gli albanesi del Kosopatriottici. Furono tuttavia date diverse interpretazioni che escludevano ogni legame con il contesto jugoslavo [Zilja 2001, 160-162]. 3 ni in prima persona estratti dal diario del protagonista “Fatos qorri” (Fatos il cieco o quattrocchi). FABIO BEGO La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo 407 Il 14 febbraio il giornalista britannico Andrew Gumpel pubblicò un articolo su The Independent in cui denunciava il governo albanese, il Par- bosniaco con armi e petrolio che veniva immesso nella federazione Jugoslava attraverso il Montenegro, contravvenendo dunque all’embargo che l’ONU aveva imposto sui belligeranti. I contenuti di quest’articolo hanno alimentato le voci circa il sostegno che Berisha avrebbe fornito Lubonja non ha dubbi sul fatto che l’articolo trasponga in maniera precisa quanto avvenne in Albania in quegli anni e suppone che l’informatore di Gumpel fosse stato un tale Charles Walsh che all’epoca si trovava in Albania per conto di USAID, ma che in verità lavorava per i servizi segreti [Lubonja 2010, 118]. ciali dello SHIK di origini settentrionali. Il trattamento riservato al corad aggiungersi all’elenco di assurdità grottesche e tragiche che caratterizzarono il 1997 e che in questo caso non possono essere semplicemente attribuibili all’odio verso il malcapitato agente del governo che egli al nord, quanto ad una profonda crisi d’identità morale che accompagna spesso i periodi di transizione e all’isteria collettiva che si era impossessata della folla. Al cospetto di una crisi interna irrefrenabile il governo di Meksi diede le dimissioni il 2 marzo e il giorno seguente entrò in vigore la legge marziale. Nel sud fu dato l’assalto ai depositi militari di armi e munizioni. Il 9 marzo Berisha nominò un nuovo governo detto Fu proposta anche un’amnistia generale per chiunque deponesse le armi sottratte allo Stato. Si nutriva ancora forse la tenue speranza di arginare la frattura politica del Paese, ma la situazione non fece che peggiorare 408 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia d’ebollizione. Dalle fonti di cui si dispone non è possibile capire cosa fece scattare l’assalto ai depositi di munizioni nel nord del Paese, tuttavia è chiaro che fu una molteplicità di fattori che portarono gli individui ad armarsi essenzialmente per paura (di un possibile attacco del sud o per proteggersi tesi sostenuta soprattutto da giornalisti stranieri che l’assalto ai depositi and Vickers 2009, 37-39]. Vi fu inoltre il 10 marzo uno scontro tra le alcune vittime tra i civili che fece ulteriormente aggravare la situazione rischiava un reale rischio di scissione [Baze 2010, 231]4. Sentendosi intimidito e privo di supporto internazionale sembra che Berisha abbia tentato di trovare sostegno per vie extra-istituzionali giocando la carta della deterrenza. Sono in molti a pensare che fu il presidente a permettere, se non addirittura ad ordinare, che la popolazione del nord si armasse a spese dell’esercito nazionale il quale rimase a guardare mentre cittadini di qualsiasi fascia d’età portavano via armi e munizioni da guerra dai depositi militari [De Waal 2009, 353]5 di un modo folle per ristabilire e mantenere l’equilibrio interno senza ricorrere a un vasto intervento repressivo nel sud con forze reclutate nel - 4 Mero Baze in cui raccontava le decisioni che aveva preso e le motivazioni che lo avevano spinto a non dare le dimissioni. 5 ha assistito in prima persona a quanto stava accadendo in quella regione, nei giorni in cui la popolazione rapiva le armi dai depositi. FABIO BEGO La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo 409 sposto a fare questo lavoro. L’11 marzo furono saccheggiati i depositi di armi della capitale. Ecco come un giornalista dell’epoca si immaginava più drammatici di tutto il 1997 albanese – protetto dai suoi fedelissimi del nord: «I “fedeli”, che lui aveva raccolto dagli ovili tra le montagne del nord, mentre vedevano il loro “pascià” con la barba allungata, rannicchiato vicino a un kalashnikov che gridava stordito “Vlora hee... Vlora”, 6 . Nelle settimane che seguirono non ci fu nessun attacco del sud sul nord o viceversa, ma solo terrore per la gente comune che rimaneva chiusa in casa mentre fuori piovevano proiettili. Un bilancio preciso delle vittime è indeterminabile tuttavia si stima che tra le 2.000 e 3.000 persone perirono per cause legate all’utilizzo improprio delle armi da fuoco o nei sud autonomo o indipendente. Le bande si facevano guerra tra loro per rapinavano i viaggiatori. Il 14 aprile Romano Prodi visitò Valona dove s’incontrò con i membri del comitato locale e fu scortato dalla banda di Zani Caushi ora in carcere a vita. Il viaggio di Prodi a Valona indispetdell’esistenza dei comitati. Ad aprile sbarcarono anche le truppe della “Operazione Alba”, la cui utilità – in teoria era un’operazione umanii «turisti più costosi al mondo» [Zilja 2001, 160]7. Aldilà dei costi e la sua presenza deve avere in qualche modo contribuito all’avvio di un 6 lui non ha mai portato 7 In teoria doveva scortare i viveri da distribuire alla popolazione, ma tale compito era più abbondanti di quanto lo fossero state all’inizio degli anni Novanta. 410 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia processo di normalizzazione. Non ci fu, infatti, un’escalation del conguire. La sicurezza iniziò a migliorare molto lentamente. Il sud ritornò sotto la sovranità della capitale gradualmente, di zona in zona, dopo che fuori dal controllo di Tirana il villaggio di Lazarat nella provincia di Argirocastro8. Come è possibile comprendere dalla singolare scena dipinta dal giornalista nel brano che ho citato precedentemente, in quel periodo di crisi e stigmatizzazione dei montanari – detti malok9 – che si era avviato subito sussiste tuttora la convinzione che Berisha abbia tollerato e incoraggiasolidare il suo predominio e garantirsi una base politica militante che all’occorrenza fosse pronta a impugnare le armi. Questa visione non è priva di logica dato che all’inizio degli anni Novanta Berisha si mostrò 8 un’autonomia de facto. L’area è famosa tra i criminologi dell’UE per la produzione di cannabis sativa che quotidianamente è immessa nei mercati illegali dell’Unione. Ultimamente sembra che stia divenendo anche una meta di turismo alternativo per giovani occidentali. Nell’estate del 2014 un’azione della polizia del nuovo governo Rama ha cercato di porre freno alle coltivazioni. Tuttavia i fatti dell’estate (con tanto di cronache solo di un blando teatro per mostrare agli osservatori dell’UE l’intento governativo di voler aprire un nuovo corso di disciplina sociale e politica. Malok tanti del nord dell’Albania. Più raramente si utilizza anche per indicare i montanari del te mi sono imbattuto in una traduzione televisiva che impiegava malok per tradurre l’inglese hillbilly – noto epiteto che è utilizzato per indicare i membri delle comunità dell’hinterland statunitense i quali vivono sugli altipiani e dove, secondo lo stereotipo collettivo, perseguirebbero uno stile di vita isolato e degenerato. 9 FABIO BEGO La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo 411 piuttosto lascivo con le migliaia di famiglie che dal nord si scagliarono nei suburbi di Tirana e Durazzo dove occuparono proprietà pubbliche e private senza incontrare alcuna opposizione da parte dello Stato. anche l’autore di quel brano che dipinge Berisha come un mujaheddin 10 . Pure se originario del nord nel 1997 divenne portavoce dei ribelli di Valona e mise la sua penna a servizio della causa. Già a febbraio lanciava e dal caos come un «modello di libertà» o anche come «il nucleo dello ripudiava la cultura del sud poiché aveva reso la popolazione avversa a farsi sottomettere da lui [Zilja 2001, 64]. Il giornalista Mero Baze, in un recente libro dedicato agli eventi 1997, sostiene che nel sud furono maltrattate e torturate persone solo perché erano del nord. Spiega però che tali trattamenti non facevano parte di alseparare il nord dal sud, ma solo violenza indiscriminata contro chi era che indubbiamente il Partito Democratico aveva più sostegno al nord, i mali arrecati dal comunismo [Baze 2010, 230]. Baze termina la sua suo potere come presidente e poi come primo ministro, ha creato uno Stato ombra o «informale» tramite la nomina di suoi uomini in posti chiave della burocrazia. Questo espediente gli consentiva di controllare 10 per un breve periodo caporedattore dell’organo del Partito Democratico Rilindja Demokratike. Lasciò dopo pochi mesi perché, come lui stesso dice, non accettava l’intromissione di Berisha nelle questioni editoriali e passò all’opposizione nel giornale Koha 412 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia le istituzioni pure se formalmente queste erano fuori dalla portata delle sue azioni [Baze 2010, 351-355]. lo cita come un caso concreto, di come Berisha poneva sotto la propria anno prima della crisi, dal titolo didascalico «I malok al sud». Nella strategia per la preservazione del potere di E. Hoxha e S. Beridi partito dal sud al nord, questo fece anche il presidente in seguito. Egli installò al sud montanari del nord, suoi compaesani di Tropoja, come capi dei commissariati di polizia, doganieri, impiegati del SHIK (Sh rbimi Informativ Komb tar/Servizio d’Informazione Nazionale), eccetera. Non è questione del fatto che questi furono scelti dalle aree del nord dove il Presidente ha il “fis”11; ma furono scelte tra quelle persone che non hanno istruzione, che sono cechi obbedienti, bruti nell’atteggiamento e che capiscono solo la grammatica di Berisha. Questi furono lettiva e il presidente Berisha fu ritenuto il principale istigatore delle divisioni nord-sud, che secondo Fatos Lubonja egli sfruttava per mantenere saldo il suo potere [Lubonja 1999, 361]. In un’intervista rilasciata l’8 che aveva generato il caos nazionale, ma ne elenca gli errori in campo meridionale della regione intorno a Valona. Egli sosteneva che in quel ché Berisha non era stato in grado di ricostituire una società equilibrata do l’opinione di Mingomataja, essendo un presidente di Tropoja non 11 fis può essere inteso qui come famiglia allargata oppure lignaggio. FABIO BEGO La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo 413 seppe o non volle neutralizzare in modo graduale questa frattura in seno timenti del sud che era stato per tanto tempo maltrattato. Valona invece era la manifestazione di un nazionalismo regionale dovuto ai sentimenti Partito Socialista [Zilja 2001, 215-216]. Un analogo paragone tra Enver Hoxha e Berisha lo fa anche Fatos Lubonja. La sua prosa su questo punto è elusiva forse perché l’autore non vuole lasciarsi andare a frasi laconiche e spiegazioni dozzinali come permane l’idea che entrambi i leader abbiano assunto atteggiamenti a favore di individui coltivati nelle terre e nella cultura d’origine. Lubonja sostiene che nonostante l’uno fosse del sud e l’altro del nord entrambi in città pieno di complessi d’inferiorità, ma con la psicologia del mercenario che non si fa scrupoli per ottenere ciò che vuole. Essi si sarebbero posti a capo di un’intera categoria di individui simili riuscendo ad avere contro la determinazione di chi è cresciuto in una realtà sociale che si Con Berisha si sarebbe portato a compimento la seconda fase di urbanizzazione di tali individui mentre la prima, quella iniziata con Hoxha, è rimasta incompiuta per ragioni che l’autore non spiega [Lubonja 2010, 189-190]. Lubonja non si sbilancia a dare una collocazione meridionale o settentrionale agli “urbanizzati” della prima o della seconda ondata forse perché vuole essere corretto politicamente e perciò evita ogni generalizzazione. ci sono e nell’albania contemporanea? 414 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia in modo soddisfacente alla questione se è possibile rinvenire un sfruttamento delle identità geg -tosk da parte delle fazioni politiche che eraraccolga interviste e che prenda in esame tutta la stampa dell’epoca, del periodo precedente e di quello immediatamente successivo. Bisognerebbe inoltre attendere la pubblicazione dei documenti d’archivio che sicuramente conterranno informazioni che serviranno per conoscere meglio la storia di tutta la regione negli anni Novanta e non solo dell’Albania. geg e tosk non compaiano mai né sui testi scritti nel periodo coevo e immediatamente successivo alla crisi del 1997 né in quelli scritti alcuni anni dopo tra quelli che ho potuto leggere. I termini impiegati sono nord e sud, ma questi non indicano con precisione una particolare tipologia di cultura albanese, quanto invece sembrano costituire delle coordinate informali da cui il regime di Hoxha trasse i propri elementi più fedeli. Il nord ammettendo che questa tesi è certamente fondata su dati reali, manca precisa come è avvenuto il consolidamento dei due sistemi (comunista e post-comunista) a favore di elementi provenienti prima dal sud e poi del nord e quali ripercussioni ha avuto sullo Stato. Siccome sui testi che ho letto non si fa riferimento diretto ai geg e tosk individui non abbiano sentito alcuna esigenza di utilizzarli perché sono due parole che sono state impiegate in precedenza per raggruppare aree È possibile che una volta che i termini geg e tosk non siano stati più utilizzati, siano stati semplicemente scartati perché non evocavano nulla FABIO BEGO La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo 415 alla maggior parte della popolazione che secondo Mustafa Nano è designata da questi nomi. sizione tra alcuni centri del sud e il sistema politico che aveva consentito il proliferare di istituti bancari informali. Quando le città meridionali si sono temporaneamente sottratte alla nazione hanno iniziato a rivendicare le rispettive particolarità regionali senza descriversi come parte di nisce lab mentre indicava come la fonte principale dei problemi Sali Berisha il quale non era semplicemente del nord, ma di Tropoja. In sostansud, ma soltanto rimostranza per chi era sospettato di essere originario della regione estrema del nord da cui proveniva Berisha e dove presumibilmente la gente viveva ai margini del progresso culturale e da dove il presidente raccoglieva i membri della sua cricca. Penso che il sentimento di ostilità verso i montanari desumesse dall’odio nei confronti di Berisha e non dall’antipatia che potevano avere suscitato in pochi anni le nuove to alcuni incarichi di rilievo nel sud. 416 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia il dibattito circa l’identità albanese contemporanea come conseguenza della contrapposizione città – campagna a sottolineare un atteggiamento prettamente provinciale e retrogrado della leadership albanese e il modo in cui questa esercita il proprio controllo sulla società. L’opposizione dei contesti città-campagna e i rispettivi valori che questi due milieu rappresentano sono fenomeni spesso citati come le cause primarie della manifestazione di fenomeni violen- rango che non rispettano la legge poiché si sentono superiori a essa. Egli sostiene che: in circostanze simili: semplici, ma essenziali per il cittadino, la sua cultura e la sua educazione. [Tushi 2010, 271] Shinasi Rama è un albanese che insegna al dipartimento di scienze politiche della New York University dove è anche direttore del programma Master. Senza mezzi termini, egli pensa che il sistema socio-politico albanese sia una dittatura di bifolchi. Nel suo libro P rrallat e tranzicionit shqiptar (Le favole della transizione albanese) argomenta con convinzione come la classe dirigente albanese abbia ereditato dal contesto rurale una serie di attributi spregevoli e che tale retaggio ha conseguenze nefaste sulla prosperità dello Stato e dei cittadini. Con questa idea in mente egli ha elaborato una teoria per spiegare i malfunzionamenti della sociecircolazione delle élite perché il loro processo di formazione è ostruito da un piccolo numero di individui che hanno potuto concentrare nelle loro mani tutto il potere politico ed economico [Rama 2012, 110-126]. FABIO BEGO La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo 417 Questi individui formerebbero la «Paria e Tiran s» che nella visione del politologo è costituita da contadini che sono usciti dalle campagne per arrivare in città dove hanno occupato i posti chiave del potere12. Adesso come in passato la Paria non avrebbe interesse a trasformarsi in un’élite tutto il popolo. Rama crede che la Paria, per non rischiare nulla, rimane legata ad una tradizionale concezione localista, ultramaterialista e miope dell’esistenza opponendosi con veemenza a qualsiasi evoluzione nella struttura sociale e politica del Paese. In sostanza la mentalità contadina sarebbe il problema più grande dell’Albania contemporanea perché «lo Stato è capeggiato da contadini, che non hanno il minimo sentimento nazionale e umano» [Rama 2012, 404]. Oltre alla somiglianza con le idee di Lubonja va notato che l’attacco alla mentalità contadina, che Rama detesta in modo eccessivo, sembra nutrito da più da narcisismo che da qualche teoria sociologica che non si adatta al contesto albanese [Rama 2012, 395]13. Non stupisce che Rama, quando elenca i centri storici di cultura cittadina, al primo posto pone la sua natia Scutari [Rama 2012, 404]. Il quadro della società albanese che Rama dipinge da una parte colpisce per la lucidità con cui da conto dei problemi che contraddistinguono la nazione in termini di corruzione e plici e sembra voler completamente ignorare i presupposti da cui iniziava il cammino democratico dello Stato albanese sminuendo ogni passo che è stato fatto in questa direzione. Si tratta di progressi certamente limitati e che hanno arrecato innumerevoli ingiustizie economiche e paria (accento cade sulla i) in albanese indica un organo di persone a capo di un corpo sociale. 12 13 secolo che Rama utilizza per analizzare l’odierna Albania sia il metodo migliore per comprendere i fenomeni legati alla transizione albanese in particolare e gli altri contesti ex-comunisti in generale. Questa teoria non prende infatti per nulla in considerazione l’ambiente esterno ovvero il contesto più ampio mondiale che direttamente e indirettamente determinò e guidò i processi di transizione. 418 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia sociali che ora danneggiano la vita di tanti albanesi. Ma sono aspetti a cui uno studioso deve dedicarsi con maggiore attenzione. La libertà d’espressione, di cui lo stesso Rama usufruisce non è un fattore da sottovalutare. Inoltre la considerazione della città come luogo di cultura più elevata rispetto alla campagna evoca la celebrazione il mito della civiltà occidentale riprodotto in scala ridotta. In base alle opinioni dei diversi autori che ho sin qui comparato, è evidente che questi percepiscano l’esistenza di una frattura sociale all’interno della nazione dove secondo la loro opinione coesistono due diverse concezioni dell’organizzazione sociale, quella rurale e quella cittadina. L’identità albanese sarebbe sospesa in una dimensione psicologica tra un passato contadino e un presente urbanizzato. Sembra però che sia il passato a condizionare negativamente il presente poiché per la maggior parte degli attori, cioè per gli albanesi odierni ex contadini, non è possibile mettere in pratica in un contesto urbano la solidarietà meccanica che garantiva l’equilibrio nelle realtà rurali. I contadini urbanizzati tenderebbero a comportarsi in modo predatorio con i concittadini che non fanno parte della cerchia più stretta di parenti e conoscenti. Mustafa utilizza direttamente i termini “contadino” o “cittadino”. Tuttavia, le caratteristiche che egli attribuisce a geg e ai tosk pongono l’accento sulla predisposizione culturale dei primi a vivere secondo i precetti di una vita rurale fondata sulla tradizione e dei secondi a muoversi in un contesto moderno e urbano governato dalla legge civile. Rispetto agli altri autori, bisogna riconoscere a Mustafa Nano un’apprezzabile umiltà. Egli non si tre gli altri autori il cui pensiero è stato da me discusso sembra vogliano prendere le distanze dal popolo e dalla classe politica che lo governa. Nelle opinioni di Shinasi Rama e Fatos Lubonja il popolo e la classe politica sarebbero causa dei loro stessi mali, che provengono dall’assenza di educazione e dall’incapacità di vivere o persino di concepire le istituzioni di uno Stato del diritto democratico. FABIO BEGO La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo 419 420 Storicamente 10 - 2014 Comunicare Storia In base a quanto emerso dal confronto dell’opera di Mustafa Nano con gli altri autori vorrei formulare delle ipotesi sulle motivazioni che possono averlo spinto a scrivere questo libro. Bisogna innanzitutto notare che una reintroduzione delle categorie geg e tosk si osserva nelle nuove ricerche in campo albanologico e più in generale balcanologico da parte di autori che riutilizzano tassonomie care ai viaggiatori del XIX secolo con l’intento di mostrare l’inconsistenza delle identità nazionali e, forse, con la speranza che ciò possa attenuare i nazionalismi regionali. Ma è anche probabile che il lavoro di Mustafa Nano sia in parte determinato sviluppo di un’identità albanese post-comunista. In tal senso uno dei si limita ai soli albanesi di cittadinanza. L’utente Ylli, il cui commento qui ripropongo14, faceva notare che l’Albania è un’entità piccola e non presenta una grande variabilità linguistica o socio-culturale. Il fatto però che Ylli abbia preso come esempio un’area che non appartiene allo Stato albanese dimostra che l’Albania, come entità culturale e sociale, si estene il miglioramento delle relazioni tra i Paesi dei Balcani la popolazione albanese si sta progressivamente integrando. Quasi tre milioni di albanofoni distribuiti tra Montenegro, Kosovo e Macedonia sono tutti potenziali consumatori di cultura albanese allo stesso modo in cui lo sono quelli dell’Albania vera e propria. Tale sviluppo ha spostato il baricentro culturale dell’entità nazionale verso settentrione. Gli attori di questo nuovo spazio d’interazione sociale e i “clienti” della produzione culturale che è generata dal processo d’interazione parlano tutti un idioma gegë. 14 gegë e toskë ci siano delle divergenze, ma il modo in cui è stato pensato da Muqi [sta per Mustafa] è inaccettabile. L’Albania non è l’India o la Cina e perciò ci sono più cose che ci uniscono di quelle che ci dividono. Non dimentichiamo che tra Suhareka e Prizren [città del Kosovo che si trovano all’interno del 421 FABIO BEGO La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo Di conseguenza, il sud dell’Albania sta divenendo un’area periferica. La parlata del sud ha l’egemonia sulla lingua scritta, ma potrebbe perderla poiché gli albanofoni del nord sono in maggioranza. Coloro che si sentono dei toskë come Mustafa Nano iniziano forse a percepire la cupa sensazione di essere una minoranza. Oppure forse accade un processo strutturalmente analogo, ma di segno opposto. Ovvero che di fronte alla nuova situazione politica che sta rimescolando i tratti distintivi della nazionalità albanese, è probabile che presso taluni individui, la paura di rimanere intricati in questioni nazionali del nord extra frontaliero si cristallizzi in un sentimentalismo tosk . 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Ciò non comporta automaticamente delle conseguenze apprezzabili sul piano storico-sociale, come ha chiarito Mannheim, ma rappresenta una potenzialità che può poi dispiegarsi o meno in relazione ad altre forze che agiscono per la trasformazione della società [Mannheim 2008]. Lo studio dell’avvicendarsi delle generazioni fornisce dunque uno spe- di nuove generazioni di giovani nell’Europa del Novecento è stato scandito dalle tragedie della prima metà del secolo. Le due guerre mondiali 426 Storicamente 10 - 2014 Dibattiti hanno infatti incorniciato una guerra civile europea che ha visto i giovani come protagonisti: combattenti e animatori delle nuove culture politiche che hanno segnato il secolo, in primo luogo il comunismo e il fascismo. Nella seconda metà del Novecento le giovani generazioni si sono messe in evidenza in contesti fortunatamente meno violenti, ma nondimeno, attraverso nuovi stili di vita e pratiche di consumo, hanno marcato una precisa fase di cambiamento storico-sociale iniziata negli anni Cinquanta e culminata nel 1968: una grande rivolta globale che ha assunto un evidente carattere generazionale. Accanto ai grandi tornanti della storia del Ventesimo secolo, che hanno poi eventi che hanno assunto un carattere locale. In Italia possiamo ad esempio parlare della generazione del ’77 o di quella della Pantera, mentre la partecipazione alla fase di alta mobilitazione del movimento alterglobalista tra Seattle e Genova ha assunto dei tratti generazionali più deboli, dato il virtuoso carattere intergenerazionale che ha arricchito il neoliberista. Si ha l’impressione che a partire dagli anni Ottanta sia diventato più li coincidano il dato biologico della giovinezza e una caratterizzaziosubculture, infatti, se da un lato frammenta i gruppi giovanili secondo estetiche, con una crescente permeabilità tra generazioni diverse. Inoltre, determinati riti di passaggio hanno sbiadito la loro forza simbolica e detengono un potere di regolazione sociale meno condizionante che nel adulta. Nella comunicazione giornalistica questi cambiamenti vengono paolo capuzzo Le nuove generazioni nella crisi italiana: alcuni contributi sociologici 427 delle responsabilità legate alla vita adulta, un fenomeno per il quale la psicologia da rotocalco ha coniato l’espressione di “sindrome di Peter Pan”. In verità credo che si tratti di un fenomeno più complesso, nel quale sono certamente implicati degli aspetti psicologici che vanno tuttavia considerati, come si vedrà, nel quadro di più ampi mutamenti storico-sociali e tenendo ben presente la trasformazione di alcuni caratteri biologici del genere umano intervenuta a partire dalla seconda metà del vita. Questi processi ci porteranno probabilmente oltre le modalità del rappresentato uno degli elementi dinamici che hanno segnato i grandi tornanti della storia del Novecento. Nella prospettiva di un ripensamento della categoria di generazione per la ricerca storica, i testi qui discussi, di impianto prevalentemente socioAnzitutto, il carattere quantitativo di queste ricerche, che presuppongofornisce un solido fondamento allo studio della società secondo coorti zione storico-culturale delle giovani generazioni appare sempre più incerta. Ciò consente di allargare l’approccio allo studio dei giovani oltre la vulgata degli studi culturali, che dopo aver dato un contributo di innovazione fondamentale allo studio di questi temi negli anni Settanta e Ottanta, hanno visto spesso restringersi la loro capacità di elaborazione più fuorvianti appaiono gli approcci alla storia dei giovani che considerano questi ultimi soltanto nel quadro dei movimenti politici più o meno organizzati, facendone l’epitome della condizione giovanile tout court. consente inoltre, ed è questa un’ulteriore fertile chiave di lettura dei processi storici, di analizzare i rapporti tra le generazioni in contesti sociali determinati, evidenziando le condizioni biologiche, economiche, 428 Storicamente 10 - 2014 Dibattiti sociali che li strutturano e al contempo indagando i rapporti di potere e le implicazioni psicologiche e soggettive assunti dalle relazioni intergenerazionali. Ciò comporta uno spostamento di focus dallo studio delle generazioni che si risolveva nella “storia dei giovani” alle relazioni tra i diversi gruppi generazionali in virtù delle quali diviene necessario indagare anche la condizione degli anziani, una categoria sociale che, nei paesi occidentali e soprattutto in Italia, ha marcato con la propria Novecento. Il volume di Antonio Schizzerotto, Ugo Trivellato e Nicola Sartor (a cura di), Generazioni disuguali. Le condizioni di vita dei giovani di ieri e di oggi: un confronto, Bologna, Il Mulino, 2011, presenta un’ampia ricerca diacronica sulla condizione giovanile nell’Italia di oggi comparata a quella delle giovani generazioni della seconda metà del Novecento; vediamone i principali risultati. quella delle generazioni che li hanno preceduti, in particolare le giovani donne che, a partire dalla coorte delle nate negli anni Sessanta, hanno corsi che ha visto tradizionalmente le donne più presenti negli studi sociale di appartenenza sulla performance scolastica continua ad avere Se da questo punto di vista una pluridecennale mobilitazione democratica, che ha teso a rendere meno sessista e classista il sistema educativo del nostro paese, sembra avere conseguito un parziale successo, vi sono tuttavia delle ombre pesanti che spengono l’ottimismo generato da questi dati: tutte le rilevazioni comparative dei risultati raggiunti dalla formazione scolastica danno il nostro paese in drammatico regresso e in peggioramento rispetto al livello degli altri paesi; il peso di diplomi e lauree come valore aggiunto sul mercato del lavoro non sembra esse- paolo capuzzo Le nuove generazioni nella crisi italiana: alcuni contributi sociologici 429 che l’istruzione potrebbe avere come veicolo di mobilità sociale sembra fortemente minato dalla svalutazione del titolo di studio come elemento di forza nel mercato del lavoro. Dal punto di vista del lavoro, il tasso di attività dei giovani è aumentato quale non documenta perciò la più recente fase di drammatica crisi degli grazie essenzialmente all’incremento del tasso di occupazione femminile. Vi sono tuttavia anche qui delle note dolenti: sono infatti aumentati i tassi di disoccupazione cumulata nella carriera lavorativa a seguito dell’instabilità dei rapporti di lavoro, un dato che appare più attenuato per le donne solo perché anche in precedenza erano esposte a una forte instabilità occupazionale. Su questo piano lo svantaggio delle giovani generazioni è molto forte e provocato dall’introduzione dei lavori atipici tra gli anni Novanta e Duemila. Se inizialmente queste nuove forme contrattuali hanno evidenziato una serie di problematicità che sembrano ritenute poter generare, a partire dal 2008 hanno fatto esplodere un problema drammatico in termini di impatto generazionale della crisi. Il rapporto tra la disoccupazione giovanile e quella generale, che si era costantemente ridotto tra il 1987 e il 2007, è tornato rapidamente a crescere, mentre sul piano delle retribuzioni è terminato un ciclo virtuoso che ha visto crescere i salari di ingresso nel dopoguerra: con i nati negli anni Settanta, infatti, esso ha iniziato a regredire. dal welfare statale sono compensate dalle famiglie. I giovani di oggi possono infatti contare su un sostegno familiare molto più solido, sia dal punto di vista del reddito che da quello patrimoniale, rispetto alle generazioni precedenti. È evidente tuttavia che ciò non è privo di conseguen- 430 Storicamente 10 - 2014 Dibattiti generazioni anziane su quelle giovani, visto che queste ultime si trovano spesso in condizione di dipendenza dalle prime. Si tratta inoltre di una dei giovani molto di più di quanto accade negli altri paesi dell’Europa continentale. A questi processi che minano la mobilità sociale interdeleteri dal punto di vista psicologico, dato che molti giovani si trovano a conseguire tardi una piena autonomia personale. È perciò comprensibile che in queste condizioni vengano spostati in avanti tutti i momenti di passaggio a un’indipendente vita adulta: il primo impiego, la prima più tardi che per le precedenti generazioni. Il declino economico complessivo dell’Italia non è certo estraneo alla ne, con l’ingresso della Cina e dei paesi dell’Est nel mercato internazionale, ha inasprito la concorrenza, in particolare nei settori industriali labour intensive avevano costruito la fortuna dell’Italia negli anni del boom e poi nel, livello europeo della sovranità monetaria ha fatto anche venir meno uno strumento del quale l’Italia si era spesso servita nei momenti critici, vale titive che permettevano di conservare il potenziale produttivo orientato al mercato internazionale. Tuttavia queste condizioni, peraltro variamente condivise anche da altri intergenerazionale che è peculiare del nostro paese. Essa infatti discende da precise scelte politiche, in particolare in ambito pensionistico e del lavoro. Con il passaggio dalla riforma Amato alla riforma Dini del 1995 sono stati esclusi dal vincolo contributivo tutti coloro che a quella data paolo capuzzo Le nuove generazioni nella crisi italiana: alcuni contributi sociologici 431 avevano almeno 18 anni di anzianità contributiva. Ciò ha caricato di un fardello economico le generazioni successive. Sul piano del lavoro, poi, se il venir meno della scala mobile negli anni Ottanta ha comportato una riduzione del reddito del lavoro dipendente nel suo complesso, i nuovi contratti atipici introdotti tra il 1997 e il 2003 hanno consentito un’ulteriore compressione dei salari che ha riguardato principalmente i precari, in grande maggioranza giovani, senza peraltro che venisse adeguato il sistema di protezione sociale che tutela essenzialmente i lavoratori a tempo indeterminato. Se si aggiunge il fatto che l’enorme debito pubblico italiano graverà sulle giovani generazioni e che esse non hanno alcuna possibilità di migliorare la propria posizione occupazionale rispetto a quella dei genitori, si può facilmente concludere come i giovani di oggi si trovino di fronte a una situazione nuova rispetto alle giovani generazioni del Novecento: vale a dire il venir meno della prospettiva di un futuro migliore. Un ulteriore elemento di novità nella storia recente è la crescente presenza sociale della popolazione anziana, alla quale è dedicato il volume di Antonio Golini e Alessandro Rosina (a cura di), Il secolo degli anziani. Come cambierà l’Italia, Bologna, Il Mulino, 2011. L’Italia è all’avanguarquale gli anziani andranno assumendo un peso viepiù rilevante. I prodel rapporto tra popolazione anziana e popolazione attiva che rischia di quilibrio del sistema occorrerà agire lungo due direzioni: trattenere più a lungo la popolazione al lavoro e inserire più rapidamente i giovani nel mercato del lavoro. È importante che entrambi questi processi abbiano luogo, nonostante vi siano evidenti elementi di contraddizione tra di essi, se si vuole scongiurare un drammatico impoverimento della nostra società; se nella prima direzione si sono fatti dei passi avanti, del tutto in controtendenza rispetto a quanto sarebbe necessario appare invece il ritardato ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Da ciò discende la 432 Storicamente 10 - 2014 Dibattiti centralità, per il futuro della nostra società, delle politiche del lavoro che dovrebbero essere prioritarie rispetto a qualsiasi altra preoccupazione di politica economica. Se questa è la principale questione che pone questa transizione demolo Stato sociale debba farsi parzialmente carico di questo problema che al momento grava pressoché interamente sulle famiglie, in particolare mercato del lavoro, spesso ricorrono alle donne immigrate per gestire le esigenze di assistenza domestica. Sul piano delle politiche urbane, poi, mentre sarà al contempo importante mettere a frutto la loro presenza ripensando la funzione che gli anziani possono avere nella nostra società e che informalmente già esercitano come prestatori di servizi alle famiglie o redistributori di risorse. È infatti oltre modo evidente che in Italia l’informale e privata redistribuzione delle risorse tra le generazioni sta compensando i limiti di iniquità generazionale del nostro welfare. Dato che ci troviamo di fronte da una parte a una popolazione anziana certamente più benestante che in passato, grazie al patrimonio cumulato con una vita di lavoro e a un welfare particolarmente generoso verso il sistema pensionistico, e dall’altra a una popolazione giovane impoverita e con scarse opportunità di miglioramento delle proprie condizioni, è naturale che all’interno delle strutture familiari si operino delle compensazioni. Va comunque fatta un’importante precisazione metodologica che può essere utile a chi voglia cimentarsi con lo studio storico di questa categoria sociale che in Italia è ancora tutto da fare. Anche la categoria di anziano, non diversamente da quella di giovane, cambia insieme alla società. Nel 1951 gli over 65 erano 4 milioni, nel 2001 oltre 10 milioni, si prevede che possano essere 20 milioni nel 2050. Tuttavia, il prolunga- paolo capuzzo Le nuove generazioni nella crisi italiana: alcuni contributi sociologici 433 mento dell’aspettativa di vita pone forti dubbi alla comparabilità sociale vano mediamente aspettarsi di vivere altri 13 anni; se mantenessimo gli ultimi 13 anni di vita come parametro dell’ingresso nella fase anziana, ecco che allora nel 1981 esso si sposterebbe da 65 a 70 anni e oggi a 75. interpretare meglio i processi sociali e di orientare le politiche pubbliche in modo nuovo, come è accaduto con l’età pensionabile che è stata dinamicamente collegata alle aspettative di vita per conseguire un maggiore equilibrio nel rapporto tra contribuzione e spesa pensionistica. Il pamphlet di Elisabetta Ambrosi e Alessandro Rosina, Non è un paese per giovani. L’anomalia italiana: una generazione senza voce, Venezia, Marsilio, 2009 entra nel pieno del dibattito pubblico sulle iniquità geiniquità sia il frutto della complicità di due generazioni: quella anziana abbarbicata nei posti di potere che non sembra avere alcuna intenzione di cedere, quella più giovane che pare subire l’ingiustizia generazionale senza reagire, accettando piuttosto la logica della cooptazione che premia alcuni perpetuando uno stato di subalternità. essa non si è messa in evidenza con particolari iniziative storicamente rilevanti. Questa generazione mostra scarsa combattività e presenza si è trovata a subire il trauma della brusca interruzione di un’adolescenza la globalizzazione dei mercati e si è reso improcrastinabile fare i conti con un debito pubblico fuori controllo. L’ingresso nel mondo del lavoro di questa generazione è avvenuto all’insegna della deregulation del mercato che si è tradotta in un processo di precarizzazione che ridi- 434 Storicamente 10 - 2014 Dibattiti ricattabili. Ciò spinge molti giovani a ricorrere alle famiglie di origine quella autonomia personale che costituisce un presupposto basilare della rano poi facilmente la ricerca di vie d’uscita private, spesso caricando la di rovinosi fallimenti. Che vi sia un’acuta iniquità nel rapporto tra le generazioni è un dato di fatto incontrovertibile: nel 1965 un cinquantenne percepiva mediamencati; un tempo le opportunità di carriera erano notevoli, oggi sono assai improbabili; le generazioni precedenti sono cresciute, oltre che con le opportunità professionali del boom economico, anche con la protezione di un welfare che oggi attraversa una crisi profonda e strutturale; ancora all’inizio degli anni Ottanta l’età media dei rappresentanti politici e sindacali era di 45 anni, oggi di 59; chi è entrato nel mercato del lavoro negli anni Novanta è destinato a percepire una pensione notevolmente più bassa di chi ci è entrato in precedenza, pur a fronte di un prolungamento degli anni di contribuzione che dovrà prestare; il debito che grava sulle giovani generazioni non ha paragone negli altri paesi europei. Nonostante ciò, nel dibattito pubblico italiano è ricorrente una retorica giovanilistica e un’insistenza sul merito come strumento di selezione della classe dirigente che non può che suonare come vuota ipocrisia di fronte a una realtà sociale nella quale sembra inverarsi esattamente l’opposto. Gli autori sembrano riporre qualche maggiore speranza nella giovanissima generazione – i ventenni di oggi – che sta dando maggiori segni di orgoglio generazionale; tuttavia ritengono che siano necessarie porti tra le generazioni: la riduzione del debito pubblico; una maggiore paolo capuzzo Le nuove generazioni nella crisi italiana: alcuni contributi sociologici 435 equità generazionale nella spesa sociale; il ringiovanimento delle cariche e il rinnovo della classe dirigente. Si tratta di misure largamente condivise, e condivisibili, che sono diventate moneta corrente nel dibattito pubblico, tuttavia c’è da chiedersi se esse vadano davvero ad incidere nel profondo della disuguaglianza sociale che sta crescendo nella nostra società. Se infatti l’analisi della società in termini generazionali porta uno sguardo originale e indispenevidenza anche i limiti. Di fronte alla profonda crisi che è precipitata negli ultimi anni, vi sono infatti chiari indizi di una reazione familista e classista che sembra attraversare le generazioni e fondarsi su altre forme di appartenenza. Gli stessi soggetti sociali strutturano il loro agire sulla cipio fondamentale, quanto piuttosto delle strategie familiari, locali, di ceto, o di casta, come si preferisce nella vulgata giornalistica, volte a dile gerarchie della società. In una fase di crisi, nella quale la prospettiva ritenuta più probabile è quella di un progressivo impoverimento, coloro che si trovano nella condizione di poter disporre di patrimonio e risorse stretta cerchia sociale sulla quale si sa di poter contare e che rappresenta perciò essa stessa una risorsa. Si potrebbero citare numerosi esempi dal nostro presente che sono spie di questa tendenza: i ripetuti tentativi di alleggerire le tasse sulle proprietà immobiliari, a fronte di una tassazione sul lavoro che è la più alta d’Europa, segnala la pertinace difesa del patrimonio familiare, grande o piccolo che sia, che viene agitato come un baluardo inviolabile piuttosto che come l’oggetto di una politica domanda di lavoro; la svalutazione dell’importanza del titolo di studio per l’accesso al mercato del lavoro e al contrario la rivalutazione della classe sociale di provenienza nella determinazione del destino sociale di 436 Storicamente 10 - 2014 Dibattiti il reddito, il patrimonio, le relazioni, stiano tornando ad essere decisivi nella strutturazione della nostra società. Nella seconda metà del Novecento, sindacati e partiti di massa hanno avuto una funzione decisiva nel promuovere la democratizzazione della società e il consolidamento della cittadinanza. Con la loro irreversibile dall’euforia neoliberale che sembrava poter (ri)proporre un modello di società imperniato sui pilastri fondamentali della proprietà privata e del presentanza sociale. Si è trattato di un ampio mutamento di paradigma che ha potuto prosperare in contesti politici molto diversi, dal Cile di Pinochet all’Inghilterra thatcheriana [Harvey 2007], che si è insediato smare la stessa cultura politica di molte famiglie della sinistra europea, soprattutto dopo il 1989. È un modello che è stato sottoposto a critica sersi aperta una fase nuova. che stiamo vivendo, quella della “società del declino e della crisi duraquali si è interpretata e analizzata la società industriale dei trenta gloriosi L’importante è che non si cerchino scorciatoie e di fronte a strategie familiari, a chiusure di casta, a ritorni di concezioni patrimonialiste e qualche profonda struttura antropologica, come il familismo amorale e simili. Dalla rivoluzione neoliberista globale, alle politiche europee del dopo ‘89, al modo in cui tutto ciò ha trovato traduzione nel nostro paese, sono stati intrapresi dei precisi indirizzi politici che hanno modiforme della partecipazione e della rappresentanza politica. È a partire paolo capuzzo Le nuove generazioni nella crisi italiana: alcuni contributi sociologici 437 dalla riconsiderazione critica di questi passaggi che possiamo sperare di comprendere qualcosa in più del nostro presente. Ambrosi E., Rosina A. 2009, Non è un paese per giovani. L’anomalia italiana: una generazione senza voce, Venezia: Marsilio. Capuzzo P. 2012, Youth and Consumption, in F. Trentmann (ed.) 2012, The Oxford Handbook of the History of Consumption, Oxford: Oxford University Press, 601-617. Nach Dem Boom: Perspektiven Auf Die Zeitgeschichte Seit 1970, Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht. Golini A., Rosina A. (eds.) 2011, Il secolo degli anziani. Come cambierà l’Italia, Bologna: Il Mulino. Harvey D. 2007, Breve storia del neoliberismo, Milano: Il Saggiatore. Mannheim K. 2008, Le generazioni, Bologna: Il Mulino, (I ed. 1928). Schizzerotto A., Ugo Trivellato U., Sartor N. (eds.) 2011, Generazioni disuguali. Le condizioni di vita dei giovani di ieri e di oggi: un confronto, Bologna: Il Mulino. ISSN 22826033 ISBN 9788898392209 DOI 10.12977/stor